Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
CI SI SCANDALIZZA DEI RISULTATI DEI CONTROLLI A CORTINA, MA CONFRONTANDO I DATI CON LE DICHIARAZIONI DEI REDDITI IL FENOMENO APPARE FUORI CONTROLLO….AUTO, BARCHE E AEREI DI LUSSO: SOLO UN 30-40% POTREBBERO PERMETTERSELE IN BASE AL REDDITO DICHIARATO
E’ vero, fa effetto vedere la Guardia di Finanza che fa irruzione a Cortina come in un club di spacciatori di droga ma il senso dell’operazione è tutta qui: nell’enorme disparità fra dichiarazioni dei redditi e auto di lusso circolanti.
Nella fattispecie a Cortina sono state controllate le dichiarazioni dei redditi di gente che girava con Scaglietti, 599, Porsche Panamera Turbo, per un totale di 251 supercar.
Risultato? “Su 133 intestate a persone fisiche – spiegano l’Agenzia delle Entrate del Veneto – 42 appartengono a cittadini che fanno fatica a ‘sbarcare il lunario’, avendo dichiarato 30.000 euro lordi di reddito”.
Certo, si può discutere a lungo sul concetto di “auto di lusso di grande cilindrata” come spiega ufficialmente la Guardia di Finanza ma basta leggere solo le dichiarazioni dei redditi degli italiani per capire che il fenomeno è macroscopico.
Fra i neo proprietari che hanno appena acquistato un’auto oltre i 185 chilowatt, il 31% dichiara meno di 20.000 euro e il 36% tra 20.000 e 50.000 euro.
E parliamo di redditi lordi.
Certo, stabilire il valore di una macchina con la potenza è sbagliato e fuorviante ma, comunque, se si guadagnano meno di 900 euro al mese risulta difficile riuscire a comprare un’auto nuova da 250 cavalli…
Insomma, pur contestando il metodo di rilevazione che punta sui KiloWatt e non sul valore reale del mezzo, ci troviamo innegabilmente davanti a fenomeni macroscopici di evasione.
E il discorso diventa ancora più evidente se prendiamo in considerazione anche barche e aerei privati.
Spulciando le statistiche fiscali, si scopre infatti che oltre il 42% dei possessori di barche sono contribuenti Irpef sotto i 20.000 euro.
Tra i fortunati che navigano con mezzo proprio c’è poi quasi il 26-27% che dichiara al fisco un reddito compreso tra i 20.000 ai 50.000 euro l’anno.
Solo poco più del 30% del popolo dei ‘navigatori’ italiani può dunque definirsi ricco, sotto il profilo fiscale.
Ci sono contribuenti dal reddito modesto anche tra i possessori di aeromobili: quasi il 26% dichiara di vivere con meno di 20.000 euro l’anno.
Un altro 30%, sempre tra coloro che si muovono con l’aereo personale, guadagna, almeno questo è quanto figura nei loro modelli 730 o Unico, dai 30.000 ai 50.000 euro.
Vincenzo Borgomeo
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
I RISULTATI DELLA MAXI OPERAZIONE CONDOTTA A CAPODANNO: 215 AUTO DI LUSSO INTESTATE A 133 PERSONE FISICHE, 42 DELLE QUALI DICHIARANO 30.000 EURO DI REDDITO LORDO…COME SI SPARGE LA VOCE DEI CONTROLLI, BOOM DI INCASSI IN NEGOZI E RISTORANTI… MA PER IL PDL E’ STATA SOLO UN’OPERAZIONE MEDIATICA CON METODI DA STATO DI POLIZIA
Neve, impianti aperti, luci di un Natale appena finito e, a sopresa, controlli fiscali a tappeto. Così nei giorni di fine anno gli incassi degli esercizi commerciali di Cortina d’Ampezzo – tra alberghi, bar, ristoranti, gioiellerie, boutique, farmacie, e saloni di bellezza -, “sono lievitati rispetto sia al giorno precedente sia allo stesso periodo del 2010”.
A comunicarlo è l’Agenzia delle entrate del Veneto, diffondendo i primi risultati dell’operazione di prevenzione dell’evasione condotta nel primo giorno dell’anno.
“I ristoranti – sottolinea l’Agenzia – hanno registrato incrementi negli incassi fino al 300% rispetto allo stesso giorno dello scorso anno, i commercianti di beni di lusso fino al 400% rispetto allo stesso giorno dell’anno prima, i bar fino al 40% rispetto allo stesso giorno dello scorso anno (+104% rispetto al giorno prima)”.
Ma i dati più eclatanti arrivano dai controlli incrociati a partire dalle auto di lusso, un sistema che il governo Monti ha annunciato di voler potenziare.
A Cortina sono state controllate le dichiarazioni dei redditi dei 133 proprietari di 251 auto di lusso di grossa cilindrata: 42 di queste sono risultate di proprietà di “cittadini che fanno fatica a ‘sbarcare il lunario'”, avendo dichiarato 30mila euro lordi di reddito sia nel 2009 sia nel 2010; altre 16 auto sono risultate intestate a contribuenti che negli ultimi due anni fiscali dichiarato meno di 50 mila euro lordi.
Le restanti 118 supercar “analizzate” erano intestate a società : in 19 casi, società che negli ultimi due hanno dichiarato bilanci in perdita; in 37 casi società che hanno dichiarato meno di 50 mila euro lordi.
L’operazione, messa in campo nella celebre località del Cadore lo scorso 30 dicembre, ha impegnato 80 agenti che hanno effettuato controlli in soli 35 esercizi commerciali (su un totale di quasi mille) ed ha portato, dice l’Agenzia veneta delle entrate, “risultati e informazioni utili per il recupero dell’evasione”.
Non sono mancati singoli episodi particolari, dichiara l’Agenzia, come quello di un commerciante che “deteneva beni di lusso in conto vendita per più di 1,6 milioni di euro, senza alcun documento fiscale”.
Il blitz ha suscitato violente polemiche, non solo da parte degli operatori turistici cortinesi. Operazione “mediatica, chiaramente ispirata a una concezione ideologica del controllo fiscale”, l’ha definita il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto.
Sbagliato il metodo scelto anche per Daniela Santanchè, habituè della località sciistica.
“Sono assolutamente contraria – dice l’ex sottosegretario – a questi metodi da polizia fiscale e trovo sbagliato colpire la ricchezza”.
Sulla stessa linea Maria Stella Gelmini: per l’ex ministro dell’Istruzione, l’operazione delle Fiamme Gialle fa passare “l’idea che la ricchezza sia male”.
L’Agenzia veneta, invece, sottolinea che rientrava nella “normale attività di presidio del territorio di competenza dell’Agenzia delle entrate, svolta non solo in Veneto, ma su tutto il territorio nazionale “.
Oltretutto, malgrado il numero degli agenti impiegati, “l’esperienza e la professionalità dei funzionari dell’Agenzia è tale per cui il controllo è stato effettuato con il minimo intralcio allo svolgimento dell’attività commerciale, evidenziato anche dagli episodi nei quali i funzionari sono stati addirittura scambiati per commessi dalla clientela”.
“I controlli e la lotta all’evasione sono sacrosanti – ribatte il sindaco di Cortina, Andrea Franceschi -, ma pensiamo ci voglia più rispetto per la gente che lavora e che dà lavoro. Non comprendiamo perchè ci volessero 80 ispettori sul posto per scoprire che 133 auto di grossa cilindrata intestate a persone fisiche appartenevano a persone che dichiarano pochissimo. Sarebbe bastato un semplice controllo incrociato dei dati già in possesso dell’Agenzia, fatto direttamente dall’ufficio, senza mettere in scena uno spettacolo hollywoodiano che ha dato la sensazione di vivere in un vero e proprio stato di polizia”.
Il regista Carlo Vanzina, romano con antiche frequentazioni cortinesi, fa un altro ragionamento: “Vedo tanta gente nuova, macchinoni, ristoranti di lusso pieni di gente che magari paga in contanti. Personaggi, diciamo, ‘sospetti’; ben vengano i controlli. Io pago le tasse e se si colpisce l’evasione non posso che essere contento”.
Un grande evasore, aggiunge, sarà il protagonista del suo prossimo film.
Infine, in questo bailamme di finti poveri e veri ricchi, il parroco don Davide Fiocco prova a riportare Cortina lontano dagli estremi: “C’è un paese di montagna che fa i conti come tutti con le ristrettezze economiche e nel quale – dice il sacerdote – ogni tanto arrivano i vip”.
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA VANEGGIA DI UNA FESTA A PALAZZO CHIGI PER LA FINE DELL’ANNO, FORSE PENSAVA AI FESTINI DEL PRECEDENTE PREMIER… MONTI GLI RISPONDE IN DETTAGLIO E LO DISTRUGGE: “SOLO UNA CENA CON I SEGUENTI FAMILIARI NELLA MIA ABITAZIONE PRIVATA E A MIE SPESE”… UNA DOMANDA LA FACCIAMO NOI AL LEGHISTA: PERCHE’ A SUO TEMPO SI E’ RIFIUTATO DI SOTTOPORSI AL TEST ANTIDROGA PROMOSSO DA GIOVANARDI?
Quella specie di ministro al nulla per il quale era stato creato un ministero fantasma perchè potesse pavoneggiarsi tra roghi di presunte leggi che già non venivano applicate da anni e giri in bermuda alle feste di paese con relativa scorta pagata dai contribuenti italiani, stavolta l’ha fatta proprio fuori dal bulacco.
Se non fosse per i diversi usi cui può essere destinata la protuberanza in questione, si potrebbe dire che ha proprio sbattuto di naso, lui che di naso trinariciuto se ne intende.
Sul far del pomeriggio, imbeccato da qualche maldestro “spacciatore” di palle, Calderoli cerca di conquistarsi uno spazio sui media con una interrogazione che riguarderebbe voci di un presunto party a palazzo Chigi per la fine dell’anno.
“Se corrispondesse al vero la notizia secondo cui la notte del 31 dicembre si sono tenuti festeggiamenti di natura privata per il nuovo anno a Palazzo Chigi – dice in un’interrogazione scritta al presidente del Consiglio – Monti dovrebbe rassegnare immediatamente le dimissioni e chiedere scusa al paese e ai cittadini”.
L’esponente leghista domanda informazioni su “chi ha sostenuto gli oneri diretti e indiretti della serata”.
E pone un’altra serie di domande: “Se la festa avesse le caratteristiche di manifestazione istituzionale o di natura privata; quanti fossero gli invitati alla festa e a che titolo vi abbiano partecipato; se l’iniziativa sia stata effettivamente disposta dal presidente; se tra gli invitati figurassero anche le persone care al presidente; chi abbia sostenuto gli oneri, con particolare riferimento alla sicurezza e agli straordinari del personale addetto, e se gli stessi sono stati già corrisposti”.
Il senatore del Carroccio domanda “se non si ritiene inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare, in un momento di crisi come l’attuale, una festa utilizzando strutture e personale pubblici”.
Basterebbe rispondergli: per proteggere un soggetto come lui per tanti anni, quanto hanno dovuto pagare di scorte i contribuenti italiani?
Come mai non ha posto queste domande quando qualcuno nelle sedi istituzionali faceva entrare troie in incognito, puttane professioniste, magnacci e futuri inquisiti, sputtanando l’Italia nel mondo?
Ma andiamo avanti.
La risposta di Palazzo Chigi è arrivata con una nota, ed è molto dettagliata.
«Il Presidente del Consiglio ha appreso da fonti di stampa che il Senatore Roberto Calderoli avrebbe presentato in data odierna un’interrogazione a risposta scritta con la quale chiede di dar conto delle modalità di svolgimento della cena del 31 dicembre 2011 del medesimo Presidente del Consiglio.
Il Presidente Monti precisa che non c’è stato alcun tipo di festeggiamento presso Palazzo Chigi, ma si è tenuta presso l’appartamento, residenza di servizio del Presidente del Consiglio, una semplice cena di natura privata, dalle ore 20.00 del 31 dicembre 2011 alle ore 00.15 del 1° gennaio 2012, alla quale hanno partecipato: Mario Monti e la moglie, a titolo di residenti pro tempore nell’appartamento suddetto, nonchè quali invitati la figlia e il figlio, con i rispettivi coniugi, una sorella della signora Monti con il coniuge, quattro bambini, nipoti dei coniugi Monti, di età compresa tra un anno e mezzo e i sei anni.
Tutti gli invitati alla cena, che hanno trascorso a Roma il periodo dal 27 dicembre al 2 gennaio, risiedevano all’Hotel Nazionale, ovviamente a loro spese.
Gli oneri della serata sono stati sostenuti personalmente da Mario Monti, che, come l’interrogante ricorderà , ha rinunciato alle remunerazioni previste per le posizioni di Presidente del Consiglio e di Ministro dell’economia e delle finanze.
Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie).
La cena è stata preparata e servita in tavola dalla signora Monti.
Non vi è perciò stato alcun onere diretto o indiretto per spese di personale.
Il Presidente Monti non si sente tuttavia di escludere che, in relazione al numero relativamente elevato degli invitati (10 ospiti), possano esservi stati per l’Amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente.
Nel dare risposta al Senatore Calderoli, il Presidente Monti esprime la propria gratitudine per la richiesta di chiarimenti, poichè anche a suo parere sarebbe “inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare una festa utilizzando strutture e personale pubblici”.
Come risulta dalle circostanze di fatto sopra indicate, non si è trattato di “una festa” organizzata “utilizzando strutture e personale pubblici”.
D’altronde il Presidente Monti evita accuratamente di utilizzare mezzi dello Stato se non per ragioni strettamente legate all’esercizio delle sue funzioni, quali gli incontri con rappresentanti istituzionali o con membri di governo stranieri.
Pertanto, il Presidente, per raggiungere il proprio domicilio a Milano, utilizza il treno, a meno che non siano previsti la partenza o l’arrivo a Milano da un viaggio ufficiale».
Non contento della figura di merda che ha rimediato, il poveraccio Calderoli, che di buchi evidentemente se ne intende, replica dicendo che “la toppa è peggio del buco e che la nota di Monti conferma che c’è stata una festa privata, testimoniata dall’ampia partecipazione dei suoi parenti e congiunti, indipendentemente dal lavoro che sarebbe stato svolto dalla signora Monti in
cucina e nel servizio ai tavoli”.
Forse non gli è ancora chiaro un semplice concetto che gli traduciamo in un linguaggio più alla sua portata: ognuno a casa sua invita chi cazzo gli pare!
A differenza di altri, Monti non porta troie in aerei di Stato e paga il cotechino di tasca sua.
Piuttosto Calderoli risponda a una semplice domanda: perchè quando, a suo tempo, il ministro Giovanardi chiese a tutti i parlamentari di sottoporsi al test antidroga lui si rifiutò di aderire all’iniziativa e di sottoporsi all’esame?
Forse agli italiani interessa più questo.
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
A FINE CARRIERA STIPENDI QUADRUPLICATI.. AI COMMESSI FINO A 160.000 EURO DI STIPENDIO
Può un senatore guadagnare la metà del suo barbiere di Palazzo Madama, come lamentano quei parlamentari che per ribattere ai cittadini furenti contro i mancati tagli dicono di prendere intorno ai 5 mila euro? No. Infatti non è così.
Il gioco è sempre quello: citare solo l’«indennità ».
Senza i rimborsi, le diarie, le voci e i benefit aggiuntivi. Con i quali il «netto» in busta paga quasi quasi triplica.
Sono settimane che va avanti il tormentone.
Di qua la busta paga complessiva portata in tivù dal dipietrista alla prima legislatura Francesco Barbato, che tra stipendio e diarie e soldi da girare al portaborse ha mostrato di avere oltre 12.000 euro netti al mese.
Di là l’insistenza sulla sola «indennità ».
E la tesi che le altre voci non vanno calcolate, tanto più che diversi (230 contro 400, alla Camera) hanno fatto sul serio un contratto ai collaboratori e moltissimi girano parte dei soldi al partito.
Una scelta spesso dovuta ma comunque legittima e perfino nobile: ma è giusto caricarla sul groppo dei cittadini in aggiunta ai rimborsi elettorali e alle spese per i «gruppi»?
Non sarebbe più opportuno e più fruttuoso nel rapporto con l’opinione pubblica mostrare la busta paga reale, che dopo una serie di tagli è davvero più bassa di quella da 14.500 euro divulgata nel 2006 dal rifondarolo Gennaro Migliore?
Non ha molto senso, questa sfida da una parte e dall’altra centrata tutta su quanto prendono deputati e senatori.
Peggio: rischia di distrarre l’attenzione, alimentando il peggiore qualunquismo, dal cuore del problema.
Cioè il costo d’insieme di una politica bulimica: il costo dei 52 palazzi del Palazzo, il costo delle burocrazie, il costo degli apparati, il costo delle Regioni, delle province, di troppi enti intermedi, delle società miste, di mille altri rivoli di spesa che servono ad alimentare un sistema autoreferenziale.
Dice tutto il confronto con le buste paga distribuite, ad esempio, al Senato.
Dove le professionalità di eccellenza dei dipendenti, che da sempre raccolgono elogi trasversali da tutti i senatori di destra e sinistra, neoborbonici o padani, sono state pagate fino a toccare eccessi unici al mondo.
Tanto da spingere certi parlamentari (disposti ad attaccare Monti, Berlusconi, Bersani o addirittura il Papa ma mai i commessi da cui sono quotidianamente coccolati) ad ammiccare: «Siamo semmai gli unici, qui, a non essere strapagati».
Il questore leghista Paolo Franco lo dice senza tanti giri di parole: «Il contratto dei dipendenti di palazzo Madama è fenomenale. Consente progressioni di carriera inimmaginabili. Ed è evidente che contratti del genere non se ne dovranno più fare. Bisogna cambiare tutto».
Come può reggere un sistema in cui uno stenografo arriva a guadagnare quanto il re di Spagna?
Sembra impossibile, ma è così.
Senza il taglio del 10% imposto per tre anni da Giulio Tremonti per i redditi oltre i 150 mila euro, uno stenografo al massimo livello retributivo arriverebbe a sfiorare uno stipendio lordo di 290 mila euro.
Solo 2mila meno di quanto lo Stato spagnolo dà a Juan Carlos di Borbone, 50 mila più di quanto, sempre al lordo, guadagna Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica: 239.181 euro.
Per carità , non «ruba» niente.
Esattamente come Ermanna Cossio che conquistò il record mondiale delle baby-pensioni lasciando il posto da bidella a 29 anni col 94% dell’ultimo stipendio, anche quello stenografo ha diritto di dire: le regole non le ho fatte io. Giusto.
Ma certo sono regole che nell’arco della carriera permettono ai dipendenti di Palazzo Madama, grazie ad assurdi automatismi, di arrivare a quadruplicare in termini reali la busta paga.
E consentono oggi retribuzioni stratosferiche rispetto al resto del paese cui vengono chiesti pesanti sacrifici.
Al lordo delle tasse e dei tagli tremontiani, un commesso o un barbiere possono arrivare a 160 mila euro, un coadiutore a 192 mila, un segretario a 256 mila, un consigliere a 417mila.
E non basta: allo stipendio possono aggiungere anche le indennità .
Alla Camera un capo commesso ha diritto a un supplemento mensile di 652 euro lordi che salgono a 718 al Senato.
Un consigliere capo servizio di Montecitorio a una integrazione di 2.101, contro i 1.762 euro del collega di palazzo Madama.
Per non dire dei livelli cosiddetti «apicali».
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai rapporti col Parlamento Antonio Malaschini, quando era segretario generale del Senato, guadagnava al lordo nel 2007, secondo l’Espresso, 485 mila euro l’anno.
Arricchito successivamente da un aumento di 60 mila che spappolò ogni record precedente per quella carica.
Va da sè che la pensione dovrebbe essere proporzionale. E dunque, secondo le tabelle, non inferiore ai 500 mila lordi l’anno.
È uno dei nodi: retribuzioni così alte, grazie a meccanismi favorevolissimi di calcolo, si riflettono in pensioni non meno spettacolari.
Basti ricordare che gli assunti prima del ’98 possono ancora ritirarsi dal lavoro (con penalizzazioni tutto sommato accettabili) a 53 anni.
Esempio? Un consigliere parlamentare di quell’età assunto a 27 anni e forte del riscatto di 4 anni di laurea ha accumulato un’anzianità contributiva teorica di 38 anni. Di conseguenza può andare in pensione con 300 mila euro lordi l’anno, pari all’85% dell’ultima retribuzione.
Se poi decide di tirare avanti fino all’età di Matusalemme (che qui sono 60 anni) allora può portare a casa addirittura il 90%: più di 370 mila euro sul massimo di 417 mila.
Funziona più o meno così anche per i gradi inferiori.
A 53 anni un commesso è in grado di ritirarsi dal lavoro con un assegno previdenziale di 113 mila euro l’anno che, se resta fino al 60 º compleanno, può superare i 140 mila. Con un risultato paradossale: il vitalizio di un senatore che abbia accumulato il massimo dei contributi non potrà raggiungere quei livelli mai.
E tutto ciò succede ancora oggi, mentre il decreto salva Italia fa lievitare l’età pensionabile dei cittadini normali e restringere parallelamente gli assegni col passaggio al contributivo «pro rata» per tutti.
Intendiamoci: sarebbe ingiusto dire che le Camere non abbiano fatto nulla.
A dicembre il consiglio di presidenza del Senato, ad esempio, ha deciso che anche per i dipendenti in servizio si dovrà applicare il sistema del contributivo «pro rata».
Ma come spiega Franco, è una decisione che per diventare operativa dovrà superare lo scoglio di una trattativa fra l’amministrazione e le sigle sindacali, che a palazzo Madama sono, per meno di mille dipendenti, addirittura una decina.
Il confronto non si annuncia facile.
Anche nel 2008, dopo mesi di polemiche sui costi, pareva essere passato un giro di vite, sostenuto dal questore Gianni Nieddu. Ma appena cambiò la maggioranza, quella nuova non se la sentì di andare allo scontro.
E tutto si arenò nei veti sindacali.
Stavolta, poi, la trattativa ha contorni ancora più divertenti.
Controparte dei sindacati è infatti la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, esponente della Lega Nord, partito fortemente contrario alla riforma delle pensioni e sindacalista a sua volta: è presidente, in carica, del Sinpa, il sindacato del Carroccio.
Nel frattempo, chi esce ha la strada lastricata d’oro.
Il consigliere parlamentare «X» (alla larga dalle questioni personali, ma parliamo di un caso con nome e cognome) ha lasciato il Senato a luglio del 2010 a 58 anni.
Da allora, finchè non è entrato in vigore il contributo triennale di solidarietà per i maxi assegni previdenziali, palazzo Madama gli ha pagato una pensione di 25.500 euro lordi al mese: venticinquemilacinquecento.
Per 15 mensilità l’anno. Spalmandoli sulle 13 mensilità dei cittadini comuni 29.423 euro a tagliando.
Da umiliare perfino l’ex parlamentare Giuseppe Vegas, oggi presidente della Consob, che da ex funzionario del Senato, sarebbe in pensione con 20 mila.
Neppure il commesso «Y», assunto a suo tempo con la terza media, si può lamentare: ritiratosi nello stesso luglio 2010, sempre a 58 anni, ha diritto (salvo tagli tremontiani) a 9.300 euro lordi al mese. Per quindici.
Vale a dire che porta a casa complessivamente oltre 20mila euro in più dello stipendio massimo dei 21 collaboratori più stretti di Barak Obama.
Sono cifre che la dicono lunga su dove si annidino i privilegi di un sistema impazzito sul quale sarebbe stato doveroso intervenire «prima» (prima!) di toccare le buste paga dei pensionati Inps.
I bilanci di Camera e Senato del resto parlano chiaro.
Nel 2010 la retribuzione media dei 1.737 dipendenti di Montecitorio, dall’ultimo dei commessi al segretario generale, era di 131.585 euro: 3,6 volte la paga media di uno statale (36.135 euro) e 3,4 volte quella di un collega (38.952 euro) della britannica House of Commons.
E parliamo, sia chiaro, di retribuzione: non di costo del lavoro.
Se consideriamo anche i contributi, il costo medio di ogni dipendente della Camera schizza a 163.307 euro.
Quello dei 962 dipendenti del Senato a 169.550. E non basta ancora.
Perchè nel bilancio del Senato c’è anche una voce relativa al personale «non dipendente», che comprende consulenti delle commissioni e collaboratori vari, ma soprattutto gli addetti a non meglio precisate «segreterie particolari».
Con una spesa che anche nel 2011, a dispetto dei tagli annunciati, è salita da 13 milioni 520 mila a 14 milioni 990 mila euro.
Con un aumento, mentre il Pil pro capite affondava, del 10,87%: oltre il triplo dell’inflazione.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
ORMAI LA CASA E’ UN SOGNO ANCHE PER I GIOVANI CON UN LAVORO
La responsabile Mutui della filiale Cariparma si alza in piedi.
Si allunga verso l’altro lato della scrivania, prende le mani di quella giovane che le sta davanti: “Mi dispiace, cara”.
Le ha appena detto che il prestito per comprare casa se lo può scordare.
Lei era entrata lì dentro solo per farsi un’idea sull’ammontare dell’anticipo. D’altronde, che altri intoppi ci potevano essere? È una ragazza fortunata: ha 31 anni, un contratto a tempo indeterminato, guadagna 1800 euro al mese.
E con il nuovo anno ha deciso: si compra una casa. Certo, vive a Roma, dove ogni metro quadrato si paga oro.
Ma anche gli affitti sono esorbitanti: basta buttare via soldi, pensiamo al futuro. Se non ora quando? Mai, a quanto pare.
La dipendente di Cariparma capisce che può sbrigarsela in pochi minuti: quella che ha di fronte è una che non ha capito in che mondo siamo finiti. “Non è più come fino a due anni fa. Io lo dico a tutti che è difficile: le banche i mutui non li danno più”. Insistere? “Dunque: noi finanziamo fino al 60 per cento del valore dell’immobile. La rata non può superare il 30 per cento dello stipendio. Lei quanto guadagna? Di quanto ha bisogno? Ecco, non ci siamo proprio”.
Non le è servita nemmeno la calcolatrice.
“Non solo non è il momento, non so se ha letto i giornali — insiste nervoso il volto di Cariparma —. Ma poi se parte con una richiesta così, deve averne già quasi la metà ”. La nostra 31enne, ovvio, non ha un euro di risparmi.
E le sue non sono richieste esorbitanti, considerato il contesto di Roma.
Con 150 mila nella Capitale si possono portare a casa al massimo 35 metri quadri a Torpignattara: un bilocale a Centocelle (terzo piano senza ascensore) tocca già i 180 mila.
Cinquantotto metri quadri a Trigoria (altezza Grande Raccordo Anulare) sfiorano i 220 mila euro.
Se vuoi avvicinarti un po’ alla città , a Garbatella ti servono 250 mila euro per un monolocale di 40 metri quadri.
E arrivi a 300 mila se osi chiedere 75 metri quadri (da ristrutturare) a Cinecittà o 60 metri quadri al Pigneto con vista tangenziale.
Eppure in banca se aspiri a non vivere come un criceto in gabbia chiedi “troppo”. “Settanta metri? O ti trovi qualcosa di più piccoletto…”.
O devi avere almeno la metà , lo ha già spiegato. “Ti sarai fatta un giro nelle altre banche, no? Te l’avranno detto, no?”.
Alla filiale di Banca Intesa ha parlato con una signora che l’ha guardata per tutto il tempo come fosse sua madre.
Brava, una giovane che si dà da fare, eccoli qua i nostri ragazzi, altro che bamboccioni.
Ma l’entusiasmo è durato poco. 200 mila euro? “In 40 anni, tasso fisso del 6,40, anticipo zero… Rata da 1156 euro al mese, non è fattibile”.
Variabile? “Tanto la fattibilità si calcola sul tasso del fisso…”
Alternative? “Un co-intestatario o una fidejussione: con mio figlio sono intervenuta io — ammette la bancaria — altrimenti non l’avrebbe mai preso”.
Bisogna rassegnarsi: se uno stipendio da 1800 euro non basta nemmeno nella banca che concede mutui al 100 per cento, figuriamoci nelle altre, dove serve un 20 per cento di anticipo.
Mamma e papà , aiutatela.
“Un genitore, una zia, una sorella?”, chiedono all’Unicredit. Anche qui la donna allo sportello sciorina l’albero genealogico. “Anche se lei ha un reddito alto dovrebbe co-intestare o trovarsi un garante”.
La nostra 31enne pensa di avere l’età per ballare da sola: “Lo capisco, ma allora deve avere una cifra iniziale più alta: noi finanziamo l’80 per cento, con il suo reddito possiamo concederle al massimo una rata da 585 euro… quindi siamo sotto i 100 mila euro di prestito: lo so, non ci compra niente”.
Che pessimisti.
Le agenzie immobiliari dicono che con quella cifra la nostra dipendente a tempo indeterminato può intestarsi una “piccola costruzione 20 mq con pergolato” messa in piedi in una terrazza del Labaro, oppure un “seminterrato di 27 mq in via Gradoli”, frequentatissima dai clienti dei transessuali romani.
Allo sportello del Monte dei Paschi di Siena il preventivo non lo provano nemmeno a fare: “Per carità , una richiesta formale si può presentare sempre, non voglio scoraggiarla. Sto solo cercando di essere realista”.
E il realismo dice che “siamo in una fase in cui la banca ha difficoltà a erogare il credito”.
In compenso, non mancano i consigli. A lunga (“Sia ottimista per il futuro”) e a breve scadenza (“Cominci a mettere da parte una quota di reddito in vista di un momento migliore”).
Ma nel frattempo l’affitto con che “quota di reddito” lo paga?
Alla Deutsche Bank le condizioni sono più o meno le solite: finanziamento massimo dell’80 per cento, rapporto tra rata e stipendio che non può superare il 30 per cento. “Già al 30,1 ce lo bocciano” spiega la consulente per far capire come ragionano i tedeschi.
Attenzione: il reddito lo calcolano sull’ultimo anno.
Se il contratto te l’hanno appena fatto, non vale nemmeno la pena di mettere piede in filiale. Lei comunque parte fiduciosa: “Proviamo con 240 mila euro”.
Il terminale quasi esplode: con un mutuo di 25 anni, la rata inciderebbe sul 73 per cento del suo stipendio.
Si ridimensiona all’istante: “Proviamo con 120 mila”, la metà .
Niente da fare: “711 euro al mese, non ci siamo. Il punto è che non vogliamo affamare il cliente”.
“Proviamo a spalmarli su 30 anni”. Macchè.
Quei 120 mila che dovrebbe restituire da qui al suo sessantunesimo compleanno sono ancora troppo pesanti per la sua busta paga.
“Niente, dobbiamo scendere ancora: dunque, 100 mila, per 30 anni…ok, ci siamo! 541 euro, è lo 0,28”.
E la casa? Con quella cifra le rimane solo il seminterrato di via Gradoli… “È il massimo a cui posso aspirare?”.
“Eh già . Oddio, c’è sempre l’ipotesi di vincere al Superenalotto”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
PER L’ECONOMISTA BENETAZZO L’UNICA SOLUZIONE È NAZIONALIZZARE GLI ISTITUTI DI CREDITO… “ERAVAMO POVERI, SIAMO DIVENTATI RICCHI. ORA TORNEREMO DI NUOVO POVERI”
L’età del consumo e credito facile è finita.
Il nostro declino è già iniziato, e se lo scenario attuale permane così è anche irreversibile.
Le banche stringono i cordoni perchè i vincoli di Basilea sono ineludibili. O le nazionalizziamo, oppure quello che sta accadendo è inevitabile: la Bce presta il denaro a loro, e loro non lo prestano a noi”.
Aveva scritto un libro, più di due anni fa — L’Europa s’è rotta — in cui pronosticava l’assalto speculativo all’Italia e la crisi dell’Euro.
Ne ha scritto un altro, l’estate scorsa, Era il mio paese, in cui lanciava l’allarme sulla deindustrializzazione e l’impoverimento dell’Italia.
Da anni — sul blog di Beppe Grillo — Eugenio Benetazzo tuona contro la moneta unica, lo strapotere delle banche, le scelte economiche che hanno messo in ginocchio le economie nazionali.
E oggi è ancora più pessimista: “Gli anni che abbiamo vissuto, quelli del credito facile, delle imprese che investono, della grande industria italiana sono finiti”.
Benetazzo, cosa la portava a prevedere la crisi dell’Europa a partire dalla Grecia, nell’estate prima della sua esplosione?
L’euro è una moneta troppo forte per i paesi dell’europa mediterranea. Solo cinque anni fa dirlo era una bestemmia, tre anni fa era ancora una eresia, ora anche gli economisti ufficiali ammettono che il ragionamento è sensato.
Perchè?
Paesi come il nostro hanno campato sulla svalutazione competitiva. L’euro ha cancellato questa possibilità . Non ci voleva la palla di vetro per capire che la Grecia, il paese più debole, sarebbe stata attaccata per prima. E che l’Italia sarebbe diventata un obiettivo successivo malgrado i suoi fondamentali sani.
La Bce poteva evitare quello che è successo?
L’unica preoccupazione della politica di Trichet è stata di contenere l’inflazione. Ma già nel 2010 l’euro era una moneta non fallita, ma fallimentare sul piano sostanziale.
Cioè?
I tassi da pagare per rifinanziarsi viaggiavano, per noi, intorno al 3%. Dopodichè, in un momento ben determinato, siamo entrati in una spirale autodistruttiva.
In che senso un momento ben determinato?
L’assedio della finanza all’Italia inizia nell’estate del 2011 pochi giorni dopo il risultato dei referendum in cui la maggioranza degli italiani si pronunciavano contro il nucleare e a favore della proprietà pubblica dell’acqua.
I mercati hanno voluto punire l’Italia? Mi pare esagerato.
Eravamo un’anomalia, e, senza evocare nessun complotto, in questo momento in Europa non sono tollerate anomalie. Se rilegge Era il mio paese troverà un’altra previsione: Berlusconi, che non aveva più il consenso per sostenere questo livello di riforme mercatiste sarebbe stato liquidato e sostituito con qualcuno più idoneo ad adeguarsi ai parametri monetari. Non potevo prevedere che sarebbe stato Monti, ma tutto il resto era scritto.
Non ci sono prove di questo complotto…
Non è un complotto, ma un intento dichiarato: uno dei punti principale della lettera della Bce menziona anche la privatizzazione dei servizi pubblici.
Parliamo delle banche, e del ruolo che svolgono…
In questo momento hanno le mani legate. Stanno strangolando il credito, ma è inevitabile, dati i vincoli a cui sono sottoposte.
Spieghiamolo.
Le banche stanno vivendo un momento di grande difficoltà a fronte dei processi di deterioramento della qualità del credito. Il termometro di questa sofferenza è rappresentato dall’andamento delle quotazioni di borsa: nel 2008 le azioni del Monte dei Paschi valevano 3.5 euro l’una. Ora meno di 30 centesimi. Unicredit era a 6 euro, oggi è a meno di 70 centesimi…
Ma perchè allora le banche non prestano ?
È un processo matematico. Dati i vincoli imposti dalla Bce, devono rispettare e mantenere un determinato coefficente di solidità patrimoniale dato tra il capitale di rischio proprio e il totale de prestiti erogati. Per aumentare questo rapporto o aumentano il numeratore ovvero cercano nuovo capitale di rischio dal mercato attraverso nuovi aumenti di capitale oppure diminuiscono il denominatore, ridimensionando, revocando e contraendo fidi, prestiti, in una parola credito.
Non c’è soluzione, quindi?
Finchè siamo in Europa e ci dobbiamo riscontrare con la Bce . La gente si metterebbe le mani nei capelli se sapesse come sono calcolati i quozienti di solvibilità patrimoniale. Se vogliamo che cambino ci sarebbe solo da nazionalizzare. Invece di avere delle banche al servizio dell’economia, abbiamo l’economia al servizio delle banche.
Malgrado le critiche, anche lei pensa che non si possa rischiare il collasso del sistema bancario.
Le banche sono il cuore dell’organismo. Se smette di battere tutto crolla.
Quali sono stati gli errori?
I Tremonti bond sono stati una grande occasione persa: lo Stato ha messo a disposizione delle banche denaro senza pretendere nessuna garanzia sulla governance. Il meccanismo ora è impazzito e gli istituti pensano unicamente alla propria autotutela.
E l’Italia?
Quando un Paese come la Grecia raccoglie denaro all’8% è già tecnicamente fallito. Noi ci siamo andati vicini. Ci salva la stratosferica ricchezza privata, immobiliare e finanziaria.
Però?
Però bisogna iniziare a convivere con l’idea che in questi due anni di crisi siamo entrati in un processo di deindustrializzazione, di crisi finanziaria e di sudamericanizzazione sociale.
Cosa prevede?
Eravamo poveri. Siamo stati ricchi. Torneremo poveri.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
RIMANE SEMPRE DI ALMENO 3.000 EURO AL MESE PIU’ ALTO DI QUELLO DEI LORO COLLEGHI DI ALTRI PAESI
I dati della Commissione Giovannini, come premette lo stesso rapporto, vanno certamente presi con le molle.
Mettiamoci il fatto che la norma con la quale la retribuzione (pardon, il costo…) dei nostri parlamentari dovrebbe essere equiparata alla media europea è chiarissima soltanto in apparenza: in realtà è il massimo dell’ambiguità .
Aggiungiamoci poi che da mesi, avendo probabilmente fiutato l’aria, si moltiplicano gli studi di fonte non proprio imparziale tesi a dimostrare che contrariamente all’evidenza di un peso macroscopico sui contribuenti (per mantenere le due Camere ogni italiano spende 26,33 euro l’anno, il doppio di un francese, due volte e mezzo rispetto a un cittadino britannico!) deputati e senatori italiani costerebbero individualmente meno dei loro colleghi europei.
La conclusione logica sarebbe che alla fine la montagna ha partorito un topolino.
Invece i risultati della Commissione offrono all’evidenza per la prima volta in un documento con i crismi dell’ufficialità , alcune storture del nostro sistema che mettono seriamente in crisi il catenaccio avviato dai difensori dello status quo, pronti non soltanto a respingere qualsiasi taglio a indennità , rimborsi e prerogative, ma addirittura a rivendicare più soldi proprio in virtù della famosa media europea. Intanto è palese che lo stipendio nudo e crudo dei parlamentari italiani è di almeno 3 mila euro al mese (lordi, s’intende) più alto degli altri.
Anche dei tedeschi, nonostante la Germania abbia un prodotto interno lordo procapite del 25% più alto dell’Italia.
E senza considerare la Spagna, dove l’indennità dei deputati è decisamente più bassa.
Ma soprattutto, sarà ora impossibile per la Camera e il Senato non fare i conti con alcuni scheletri nell’armadio da troppo tempo.
Prendiamo la vicenda scandalosa dei collaboratori.
Quello italiano è l’unico Parlamento in Europa nel quale deputati e senatori percepiscono una quantità non irrilevante di soldi con cui dovrebbero retribuire l’assistente personale.
Sapevamo anche prima di leggere il rapporto della Commissione che i membri del Bundestag hanno diritto a una somma enormemente superiore.
Ma c’è una differenza: i deputati tedeschi non toccano un euro.
I loro collaboratori personali vengono infatti pagati direttamente dal Bundestag.
Nè più, nè meno, come avviene altrove, a cominciare dal Parlamento europeo.
I nostri, invece, in molti casi se li mettono in tasca: puliti, senza imposte. Di più.
Quei soldi vengono da qualcuno utilizzati per fare il famoso versamento volontario al partito. Con il risultato che si può persino portare in detrazione dalle tasse il 19% dell’importo su una somma già esentasse.
Molti assistenti intascano paghe da miseria e in nero. Non è un caso che i collaboratori ufficialmente riconosciuti siano meno di un terzo dei deputati.
Speriamo che il rapporto Giovannini contribuisca finalmente a far cessare questo sconcio. Facendo venire al pettine pure altri nodi.
Per esempio la questione della diaria, che incassano tutti forfettariamente.
Di che cosa si tratta? Del rimborso per le spese sostenute a causa della permanenza a Roma nei giorni di lavoro.
Per quale ragione questo contributo (esentasse) debba spettare senza alcuna differenza anche a chi abita nella Capitale, è francamente un mistero.
Adesso toccherà al Parlamento tirare le somme.
La Commissione non le ha tirate. E non è arbitrario ravvedere dietro questa ovvia omissione una scelta precisa.
Dare anche un semplice suggerimento sull’interpretazione dei dati e delle varie voci sarebbe stato probabilmente irrituale.
Ma anche rischioso, vista l’indignata determinazione con cui le Camere hanno rivendicato la propria autonomia quando nel decreto «salva Italia» aveva fatto capolino una norma che affidava al governo il compito di fare la media, nel caso in cui i dati non fossero stati disponibili per fine 2011.
I numeri sono arrivati il 2 gennaio, pur con tutti i limiti di cui abbiamo parlato.
Le Camere hanno voluto risolvere il problema da sole invocando l’«autodichia».
E dandosi pure la zappa sui piedi, considerato che la media europea sarebbe dovuta scattare dalla prossima legislatura mentre ora il presidente di Montecitorio Gianfranco Fini ha promesso che si applicherà da subito.
Dunque lo facciano: in fretta e senza fare ricorso alle solite piccole furbizie, quando si dovranno tirare le somme.
Magari facendosi scudo di uno di quegli studi «imparziali» che mettono tutto nello stesso calderone, dall’indennità ai rimborsi spese fino ai costi del portaborse, per arrivare a una qualche conclusione gattopardesca.
Non lo meritano i cittadini e non lo meritano le istituzioni democratiche.
Per difendere il nostro Parlamento e restituire credibilità alla politica non c’è che una strada: quella della serietà e della trasparenza.
Per favore, lasciate perdere i calderoni.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
I RISULTATI DEL POOL DI ESPERTI AL CENTRO DELLA POLEMICA CON IL PARLAMENTO
La premessa è questa: “La Commissione considera i dati contenuti nella presente relazione del tutto provvisori e di qualità insufficiente per una loro utilizzazione ai fini indicati dalla legge”.
È l’epitaffio che il pool di esperti che a luglio scorso ha avuto il compito di vigilare sul “livellamento retributivo Italia-Europa”, presieduto dal numero uno dell’Istat Enrico Giovannini, mette in calce al proprio studio comparativo sugli stipendi di eletti, nominati e dipendenti degli apparati pubblici in Italia e nel resto d’Europa.
I cinque “esperti di chiara fama” Roberto Barcellan (Eurostat), Alfonso Celotto (Ordinario di diritto costituzionale a RomaTre), Ugo Trivellato (professore di Statistica economica all’ateneo di Padova), Giovanni Valotti (ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi) e Alberto Zito (ordinario di Diritto amministrativo all’università di Teramo), non sono riusciti nei cinque mesi che hanno avuto a disposizione a fornire dati adeguati alla richiesta ricevuta dal governo.
Si sono riuniti cinque volte, due a settembre, una a ottobre, novembre e dicembre, hanno chiesto delucidazioni alla Presidenza del Consiglio sui criteri tecnici da adottare, hanno chiamato le ambasciate di mezza Europa in cerca di dati certi, e niente.
Avranno tempo fino al 31 marzo per mettere mano a una materia complessa di organi elettivi, agenzie, autorità e commissioni per trovarne affinità e divergenze tra noi e il resto d’Europa.
Gli unici dati per adesso messi nero su bianco dalla Commissione Giovannini sono peraltro già noti all’Ufficio Studi della Camera e ci spiegano che i deputati e i senatori italiani hanno un’indennità lorda più elevata rispetto ai colleghi francesi, tedeschi, spagnoli, belgi, austriaci e olandesi e godono di alcuni benefit sconosciuti al resto delle Camere continentali.
Tra questi c’è la libera circolazione ferroviaria, autostradale, marittima e aerea, di cui dispongono solo i deputati e i senatori del Belgio, che però possono contare su un’indennità di 7.374 euro (uguale per Camera e Senato) e un forfati di 1.892 euro, contro gli oltre 16mila euro del parlamentare di casa nostra.
Un’altra diversità è data dal contributo per i collaboratori parlamentari (in Italia ammonta a 3690 euro al mese per Montecitorio e a 4180 euro per Palazzo Madama), che in Italia è versato direttamente al parlamentare, finendo a volte per diventare un’ulteriore voce di reddito (o una sacca di lavoro nero).
In Belgio, Austria e Germania questi collaboratori sono pagati direttamente dal Parlamento.
In Francia, i 9.138 euro lordi (alla Camera) e i 7.548 euro lordi (al Senato), stanziati per questa funzione sono una “linea di credito” che va restituita se non se ne usufruisce (anche qui il rapporto di lavoro è gestito dal Parlamento).
C’è poi la partita dei vitalizi, per cui, fino all’ultima modifica varata dagli uffici di presidenza di Camera e Senato, l’Italia vinceva a mani basse (il vitalizio nostrano era quattro volte quello francese, mentre in Spagna finiva per essere una specie di pensione integrativa di modesta entità ).
Sempre in Francia, poi, al posto della diaria di 3500 euro di cui gode un deputato italiano (in Spagna la stessa ammonta a 1823,9 se si è eletti fuori Madrid e di 870,56 se eletti nella capitale), un membro del Parlamento può risiedere con tariffa agevolata a Parigi in residence di proprietà dell’Assemblea.
Il Senato tedesco, a base regionale, è poi incomparabile con qualsiasi altra assemblea elettiva presa in esame.
È proprio per la complessità di comparare questi dati in una media “europea” che lo stesso Giovannini certifica l’inadeguatezza della propria missione: “Ci sono molti altri aspetti da tener conto che sono differenti nei vari paesi: quindi, è impossibile fare una media europea”.
La legge, insomma, è scritta male. E le variabili di cui tener conto sono difficili da ponderare.
La vicenda è anche più complicata se si pensa che le decisioni sulle retribuzioni di Camera e Senato debbono prenderle Camera e Senato.
E se il presidente dell’assemblea di Palazzo Madama lamenta di non aver ricevuto alcunchè dalla Commissione, la Camera dei deputati si premura di affermare che “secondo dati elaborati dalla Camera”, l’indennità dei nostri parlamentari, al netto delle tasse, “è di circa 5000 euro contro i 5030 della Francia, i 5100 della Germania e i 5400 dell’Austria.
Inferiore invece nei Paesi Bassi dove l’indennità degli onorevoli si ferma a 4600 euro”.
Sono questi, per Montecitorio, i dati dai quali partire.
Come dire: ma questa commissione che ci sta ancora a fare?
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
SARA’ RICONSIDERATO IL CONTRIBUTO RICHIESTO AGLI STRANIERI PER IL RILASCIO DEL PERMESSO: OCCORRE VALUTARE SE E’ COMPATIBILE CON IL REDDITO DEL LAVORATORE E LA COMPOSIZIONE DEL NUCLEO FAMILIARE
C’è la crisi economica, va dunque ripensato il contributo chiesto agli stranieri per il rilascio del permesso di soggiorno.
L’annuncio è arrivato dai ministri dell’Interno, Anna Maria Cancellieri e della Cooperazione, Andrea Riccardi, che hanno avviato una valutazione sul tema.
La Lega, però, già minaccia battaglia.
Il Viminale spiega che i due ministri “hanno deciso di avviare un’approfondita riflessione e attenta valutazione sul contributo per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno degli immigrati regolarmente presenti in Italia, previsto da un decreto del 6 ottobre 2011 che entrerà in vigore a fine gennaio”.
In particolare, aggiungono i ministri, “in un momento di crisi che colpisce non solo gli italiani, ma anche i lavoratori stranieri presenti nel nostro Paese, c’è da verificare se la sua applicazione possa essere modulata rispetto al reddito del lavoratore straniero e alla composizione del suo nucleo familiare”.
L’aumento della tassa – da 80 a 200 euro – per i permessi e la carta di soggiorno degli immigrati residenti in Italia aveva scatenato polemiche, nei giorni scorsi.
Dalla Cei alla Cgil, un vasto schieramento era insorto considerando il contributo vessatorio. Ora però, dal fronte opposto, arriva l’altolà del Carroccio: “Vigileremo affinchè il governo Monti non elimini il contributo richiesto ai richiedenti il permesso di soggiorno, un contributo dovuto vista la mole di lavoro amministrativo che la pubblica amministrazione deve fare per rilasciare il titolo di soggiorno o per rinnovarlo”.
Cosa non farebbero per un voto i pataccari padagni: così possono girare per le osterie della padagna a raccontare palle contro Roma ladrona (dove loro hanno governato otto anni)…
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