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BEFERA, IL DIRETTORE DELLA AGENZIE DELLE ENTRATE: “SERVIAMO LO STATO E NON CI FERMERANNO”

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

“L’ITALIA DEVE TORNARE ALLA LEGALITA’: DA FEBBRAIO NUOVI BLITZ STILE CORTINA”….”LE IMPOSTE SERVONO A PAGARE I SERVIZI DI CUI BENEFICIANO TUTTI I CITTADINI: CHI LE EVADE COMMETTE UN VERO FURTO AI DANNI DI TUTTI”… “GRAZIE ALL’INCROCIO CON I DATI DEL PRA SUI PROPRIETARI DI AUTO DI LUSSO, ABBIAMO FATTO RIEMERGERE 160 MILIONI DI TASSE EVASE”

“Lo ringrazio, ce n’era davvero bisogno…”. Per una volta, Attilio Befera può dismettere i panni di San Sebastiano.
Nella guerra agli evasori fiscali il presidente del Consiglio si schiera senza se e senza ma a difesa dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia.
E l’uomo che riscuote i tributi per conto dello Stato, contestato dai furbetti delle tante Cortine d’Italia, bersagliato dai reietti dell’eversione violenta e accusato dagli inetti di una destra illiberale, sente finalmente lo Stato dalla sua parte.
“Noi facciamo solo il nostro dovere. E lo facciamo sulla base delle leggi votate all’unanimità , da tutto il Parlamento. E continueremo a farlo, perchè questo Paese deve decidere da che parte stare: con o contro lo Stato di diritto”.
Il 42% dei possessori di barche di lusso, il 31,7% di proprietari di auto di altissima cilindrata e il 25,7% degli intestatari di aerei da diporto dichiarano redditi inferiori ai 20 mila euro l’anno.
Le categorie del lavoro autonomo denunciano in media 18 mila euro l’anno, contro i 25 mila euro denunciato dal lavoro dipendente.
La Guardia di Finanza fa un blitz a Cortina, scopre che su 133 possessori di auto di lusso 100 dichiarano meno di 30 mila euro e fa lievitare fino al 400% il volume dei ricavi di negozi e commercianti certificati dall’emissione di scontrini e ricevute fiscali.
Di fronte a questo scandalo della democrazia, che destabilizza le fondamenta del patto sociale e altera le basi del libero mercato, succedono due cose incredibili. Un pezzo di Paese grida all'”oppressione fiscale”.
E un pezzo di Parlamento difende i “ladri” e accusa le “guardie”.
Ancora una volta, come sempre accade quando l’Italia si sporge sull’abisso della bancarotta finanziaria e il governo di turno costringe gli italiani alla penitenza tributaria, la questione fiscale diventa il cuore di un’irrisolta frattura politica e di un’impossibile coesione sociale.
Befera è un capro espiatorio perfetto.
Monti chiede sacrifici pesanti agli italiani, e aumenta le tasse per accelerare il pareggio di bilancio.
L’amministrazione finanziaria prova a stringere la morsa intorno all’evasione fiscale, con qualche accanimento eccessivo non contro chi non paga perchè è disonesto, ma contro chi non ce la fa a pagare perchè c’è la crisi.
Ma intorno a questo disagio, oggettivo ma circoscritto, monta una colossale e paradossale campagna contro gli “strozzini” di Equitalia.
Si evoca lo “stato di polizia”.
Si denunciano le “inutili operazioni ad effetto” nelle località  dei vip.
E qualche delinquente tira le sue “conclusioni”: bombe carta contro i servitori dello Stato, proiettili per posta nelle sedi dell’Agenzia delle Entrate.
Nel Pdl, da Cicchitto a Gasparri, le parole volano comne pietre.
Befera è preoccupato: “C’è stata tanta, troppa leggerezza in questi giorni, nel commentare questi episodi. Per questo ora ringrazio il presidente del Consiglio, per la posizione molto forte che ha preso a Reggio Emilia. Noi facciamo solo il nostro dovere, nei confronti di contribuenti che spesso non lo fanno”.
La vergogna della “Gomorra delle Dolomiti”, come Francesco Merlo ha provocatoriamente definito Cortina d’Ampezzo, sta lì a dimostrarlo.
“Diciamo che con la nostra operazione abbiamo fatto andar bene gli affari…”, ripete Befera con un po’ d’ironia.
Ma la questione è invece molto seria.
“Vede, questo Paese deve davvero scegliere se continuare sulla strada di questi ultimi anni, o tornare a praticare la legalità  e il senso civico. Prima di tutto, dobbiamo ricordarci sempre che le imposte servono a finanziare i servizi di cui tutti i cittadini beneficiano, dagli ospedali alle scuole. E per questo io credo che chi evade le tasse commette un vero e proprio furto nei confronti di tutti noi. E aggiungo che chi non paga tasse e contributi viola la concorrenza, e fa un danno enorme agli imprenditori onesti, e quindi all’intero sistema economico”.
Per questo i “blitz” in stile Cortina “non si fermeranno, ma anzi andranno avanti”, come annuncia Befera.
Le prossime missioni della Guardia di Finanza scatteranno non subito (perchè gennaio “è mese di bassa stagione”), ma da febbraio.
E si concentreranno nelle località  turistiche più rinomate, soprattutto quelle invernali, a caccia dei “soliti ignoti” del Fisco.
Altro che “azioni demagogiche e spettacolari”, come strepita la Santanchè, chiedendo i danni per l’amata Cortina e le dimissioni per l’odiato Befera. “Facciamo il nostro lavoro, e abbiamo dimostrato che dà  risultati”.
Li dà  sul territorio, ma li dà  anche negli uffici.
E qui il numero uno di Equitalia ci tiene a dare un’altra risposta a chi, da destra, critica l’invio di tanti “operativi” delle Fiamme Gialle per scoprire fenomeni di occultamento delle imposte che si potevano scoprire consultando semplicemente gli elenchi del Pubblico Registro Automobilistico.
“Noi non facciamo solo operazioni sul territorio. Di controlli incrociati, attraverso il supporto informatico, ne abbiamo sempre fatti”.
C’è un dato, ancora inedito, che da la misura di questa attività  ispettiva e dei suoi risultati: nel 2011, grazie a 3 mila controlli effettuati con l’incrocio tra i dati del Pra sui proprietari di auto di lusso e le dichiarazioni dei redditi, l’Agenzia delle Entrate ha fatto emergere 160 milioni di imposte evase.
Circa 1.000 contribuenti controllati hanno aderito all’accertamento fiscale, e hanno pagato oltre 60 milioni di tasse aggiuntive.
Anche questa è l’Italia, purtroppo.
È il raccolto avvelenato della semina di questi anni, che hanno visto un presidente del Consiglio inquinare il discorso pubblico con i germi della Vandea fiscale permanente.
“Se lo Stato mi chiede il 50% di quello che guadagno mi sento autorizzato ad evadere”. Oppure “non metterò le mani nelle tasche degli italiani”.
Silvio Berlusconi ha “diseducato” così i suoi elettori, di fronte al rispetto dei doveri del civismo, della legalità , della solidarietà .
“È la peggiore espressione che si possa immaginare”, commenta Befera, che risponde facendo appello al “senso dello Stato, e al senso di appartenenza a quella comunità  che si chiama Italia, alla quale tutti apparteniamo, con gli stessi diritti e gli stessi doveri”.
Resta da dire che anche Equitalia ha commesso e commette molti errori, dalle “cartelle pazze” ai pignoramenti indiscriminati, spesso a danno di contribuenti non possono pagare per le difficoltà  economiche in cui si trovano e per l’avidità  delle banche che chiudono i rubinetti del credito.
Sono problemi seri, anche questi, che non possono essere sottovalutati. Befera non si sottrae, ma ripete che “su 10 milioni di cartelle esattoriali emesse ogni anno, i casi di errore non sono più di 1.000”.
Vanno evitati, Equitalia si impegna a farlo.
Ma considerare queste “eccezioni come un sistema è ingiusto e sbagliato”. Per questo i controlli andranno avanti.
Quelli a tavolino, che si sono sempre fatti e si continueranno a fare.
Ma anche quelli sul territorio, perchè hanno “un evidente effetto-deterrenza”, come dimostra il blitz cortinese, che ha convinto decine di esercenti e ristoratori a fare quello che altrimenti non avrebbero mai fatto: battere uno scontrino, emettere una ricevuta fiscale.
Gesti normali, in una sana democrazia politica ed economica.
“Atti sovversivi”, nel Paese dei tanti, troppi Cetto Laqualunque nati nella Prima Repubblica del Caf e cresciuti nella Seconda Repubblica berlusconiana.

Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)

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META’ DEI PATRIMONI ITALIANI CONCENTRATI NELLE MANI DEL 10% DELLE FAMIGLIE

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

COME SONO DISTRIBUITI IMMOBILI E TITOLI: IN MEDIA 1,6 MILIONI, VENTIDUE VOLTE DI PIU’ DEI CETI POPOLARI… E’ AFFONDATA LA CLASSE MEDIA E SONO CRESCIUTE LE PROPRIETA’ DI IMPRENDITORI E COMMERCIANTI…I CITTADINI HANNO TRA RISPARMI E RICCHEZZA 8.600 MILIARDI, PARI A QUATTRO VOLTE IL DEBITO PUBBLICO

Tosate i ricchi. Con le pensioni, l’appello ad una severa imposta patrimoniale è stato uno dei temi più dibattuti in questi mesi, suscitando passioni che sembravano scomparse dalla scena politica, fino a indurre anche parecchie vittime potenziali della tassa a rivendicarne l’attuazione.
La crisi ha, infatti, messo a nudo un rancore crescente verso l’ineguaglianza sociale e verso il paradosso che vede l’Italia come uno dei paesi più ricchi del mondo, senza che questo venga riconosciuto nell’esperienza quotidiana. Un paese ricco, abitato da poveri, si è detto.
Per sciogliere il paradosso, bisogna rispondere a due domande.
Quanti sono i ricchi, in Italia? E quanto sono ricchi?
La risposta è che una delle duecentomila famiglie di straricchi, in Italia, ha, in media, un patrimonio che vale 65 volte quello di cui dispone una qualsiasi della maggioranza delle famiglie italiane.
In termini statistici complessivi, non sembra una gran novità : l’Italia era un paese più egualitario negli anni ’70 e ’80, ma, dai primi anni ’90, è andata avvicinandosi agli squilibri sociali tipici di paesi come Usa e Gran Bretagna.
Negli ultimi vent’anni, tuttavia, la situazione è rimasta, più o meno, stabile. Questo, però, è uno dei tanti miraggi delle statistiche.
Due fattori hanno profondamente modificato, in quantità  e qualità , la piramide sociale italiana.
Il primo è che, avvertono gli studi della Banca d’Italia, si è aperta una spaccatura verticale: un travaso progressivo di ricchezza, dai lavoratori dipendenti agli autonomi: imprenditori, liberi professionisti, commercianti.
Il secondo è il lungo ristagno dei redditi, che ha svuotato e affondato i ceti medi. Quando si sono accorti di non essere affatto sulla strada per diventare ricchi, anche nei ceti medi si è risvegliata l’insofferenza verso gli squilibri sociali.
Secondo le indagini della Banca d’Italia, la ricchezza netta degli italiani (tolti, cioè, mutui e prestiti) era pari, nel 2010, a 8.640 miliardi di euro.
Una cifra imponente, pari ad oltre quattro volte la montagna del debito pubblico. In media, significa una ricchezza di poco inferiore a 400 mila euro, per ognuna dei 24 milioni di famiglie italiane.
Ma, naturalmente, quei 400 mila euro sono il consueto miraggio statistico. Il 50 per cento delle famiglie italiane possiede, infatti, dice sempre Via Nazionale, meno del 10 per cento di tutta quella ricchezza.
Ovvero, 12 milioni di famiglie si spartiscono, in realtà , un patrimonio di non più di 860 miliardi di euro.
Questi 12 milioni di famiglie più povere costituiscono quelli che i sociologi di una volta avrebbero definito ceti popolari.
Un termine che, con il progressivo svanire di operai e contadini, è diventato sempre più sfuggente e che, oggi, probabilmente, comprende soprattutto impiegati, insegnanti e la massa dei precari. In media, la ricchezza di ognuna di queste famiglie è di 72 mila euro in tutto, al netto di mutui e prestiti, ma casa e risparmi compresi.
L’altra metà  degli italiani ha, invece, le mani su quasi 8 mila miliardi di euro.
Ma non è così che va vista la divisione della torta.
Al di sopra dei ceti popolari e dei ceti medi in via di affondamento ci sono, elaborando i dati della Banca d’Italia, quelli che possiamo chiamare ceti medi benestanti.
Circa 9 milioni 600 mila famiglie, il 40 per cento del totale, che controlla il 45 per cento della ricchezza italiana: 3 miliardi 880 milioni di euro. In media, ognuna di queste famiglie benestanti ha un patrimonio, fra case e investimenti finanziari, pari a 405 mila euro.
Da qui in su, si entra nel mondo dei ricchi.
Il 10 per cento delle famiglie italiane, cioè circa 2 milioni 400 mila famiglie, controlla il 45 per cento dell’intera ricchezza nazionale.
Quanto 10 milioni di famiglie benestanti e oltre quattro volte quello di cui dispone la metà  meno fortunata del paese.
Sono gli altri 3 miliardi 880 milioni di euro di ricchezza che ancora mancavano al totale. In media, ognuna di queste famiglie ricche ha un patrimonio di 1 milione 620 mila euro, oltre 22 volte la ricchezza di quella metà  d’Italia che sono le famiglie dei ceti popolari.
Ma sono davvero questi i ricchi italiani? O ci sono anche gli straricchi?
La risposta è che gli straricchi ci sono, sono pochi, ma hanno abbastanza soldi da modificare profondamente la mappa sociale del paese.
Proviamo, infatti, a togliere l’1 per cento di famiglie più ricche – gli straricchi – dal plotone del 10 per cento di ricchi. Il 9 per cento di ricchi che è quasi in cima, ma non ci arriva, corrisponde a 2 milioni 160 mila famiglie.
Il loro patrimonio complessivo è pari a 2.765 miliardi di euro, un terzo della ricchezza nazionale. In media, ognuna di loro dispone di un solido patrimonio, pari a 1 milione 280 mila euro.
Infine, l’1 per cento di straricchi: meno di 240 mila famiglie.
Fa capo a loro il 13 per cento dell’intera ricchezza italiana, ovvero oltre 1.120 miliardi di euro, almeno quelli rintracciabili nel catasto e nelle banche nazionali. In media, ognuna di queste famiglie straricche dispone di un patrimonio di poco inferiore a 4 milioni 700 mila euro.
Non basta, insomma, essere un paese in cui l’80 per cento delle famiglie è proprietaria della casa in cui vive per riequilibrare la piramide rovesciata della ricchezza nazionale.
Del resto, le abitazioni (che, nelle indagini della Banca d’Italia, vengono valutate a prezzo di mercato) costituiscono la parte maggiore della ricchezza nazionale, ma non di molto: quasi 5 miliardi di euro su un totale di 8.640 miliardi.
Una eventuale patrimoniale sui soli grandi patrimoni immobiliari escluderebbe quasi 3.600 miliardi di euro di investimenti finanziari che, si deduce dalle indagini a campione di Via Nazionale, sono più comuni e frequenti, man mano che si sale nella scala della ricchezza. I dati disponibili non consentono di ripartire questi investimenti fra benestanti, ricchi e straricchi.
Permettono, però, di abbozzarne una geografia, anche se monca: i dati si riferiscono a quanto è depositato e investito presso banche italiane.
Di quanto si trova in Svizzera o in Lussemburgo, sappiamo molto poco.
Ci sono, dunque, quasi mille miliardi di euro depositati nei conti presso le poste o le banche italiane.
Non si tratta solo di soldi parcheggiati per le piccole necessità  quotidiane.
Il 30 per cento di quei mille miliardi – esattamente 276 miliardi di euro – è depositato in conti fra i 50 mila e i 250 mila euro.
Un altro 13 per cento, circa 120 miliardi di euro, si trova in conti che superano i 250 mila euro.
Chi tiene tutti questi soldi in banca? Non lo sappiamo.
Al massimo, dice l’aritmetica, mezzo milione di persone ha un conto in banca almeno di 250 mila euro.
Probabilmente, sono assai di meno.
Se, per pura ipotesi, supponessimo che ne sono titolari le 240 mila famiglie straricche, ne ricaveremmo che ognuna di loro ha, in media, mezzo milione di euro sul conto in banca.
Poi ci sono i titoli.
Fra azioni, obbligazioni e fondi comuni, ci sono oltre 1.500 miliardi di euro depositati nei conti titoli delle banche italiane.
Un terzo è piccolo risparmio, cioè conti titoli inferiori a 50 mila euro.
Un altro terzo, è risparmio, per così dire, benestante: titoli fra i 50 mila e i 250 mila euro.
Poi ci sono 150 miliardi di euro, investiti in titoli per 250-500 mila euro. Il risparmio, probabilmente, si ferma qui. Il resto è investimento ed è un salto: 300 miliardi di euro in conti titoli superiori a 500 mila euro.
Roba da straricchi.

Maurizio Ricci
(da “La Repubblica”)

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SCILIPOTI E RAZZI, I “SALVATORI” DI BERLUSCONI, NON SI SALVANO DAI LORO PORTABORSE: CITATI PER LAVORO NERO, A RAZZI CHIESTI 100.000 EURO DI RISARCIMENTO

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

IL PORTABORSE DI SCILIPOTI: “LAVORAVO DALLE 9 DEL MATTINO ALLE 23, SABATO COMPRESO, PER 600 EURO AL MESE”… E QUELLO DI RAZZI: “LAVORAVO SETTE GIORNI SU SETTE, GLI PREPARAVO ANCHE GLI INTERVENTI, MI PAGAVA SOLO I RIMBORSI SPESE E PURE IN RITARDO”

I due deputati voltagabbana ex Idv, Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, sono uniti oggi da una comune grana: entrambi hanno una causa in corso con i loro ex portaborse.
Il primo, secondo quanto denuncia il suo ex assistente parlamentare, Vincenzo Pirillo, avrebbe lavorato “per un anno dalle nove del mattino alle undici di sera, sabato compreso a soli 600 euro al mese con un contratto a progetto”.
Scilipoti sostiene invece di aver “aiutato una persona che non era in grado di fare nulla”.
Ma se fosse così perchè non gli mandava i soldi a casa?
Secondo il suo ex portavoce factotum, Massimo Pillera, il deputato Razzi, eletto nel collegio svizzero degli italiani all’estero, lo avrebbe tenuto dal 2006 al 2008 in nero, senza nessun contratto, pagandolo solo attraverso dei rimborsi spesa.
“Ho buttato due anni della mia vita — dichiara Pillera — ho girato in lungo e in largo con Razzi, ho lavorato anche sette giorni su sette sempre con la promessa che nel 2008, dopo la sua rielezione nel partito di Di Pietro, sarebbe arrivato anche il contratto regolare”.
“E invece — spiega — una volta rieletto, lo ha liquidato con queste parole: “Sai Massimo, ora siamo all’opposizione, meno discorsi da preparare, meno proposte di legge, meno lavoro per tutti”.
Pillera racconta di aver fatto di tutto “facevo il ghostwr iter per i suoi discorsi in pubblico, preparavo le interrogazioni parlamentari, le proposte di legge da presentare, seguivo i lavori delle commissioni e della Camera, dovevo persino informarmi con anticipo, grazie ai miei buoni uffici nelle segreterie, su che tipo di risposte avrebbero dato i ministri nei question time alle sue interrogazioni, in modo che lui avesse sempre pronta per fare bella figura una controreplica. Se — aggiunge — non riuscivo ad avere le anticipazioni, inviavo a lui degli sms con delle frasi di circostanza che potevano sempre andar bene”.
Razzi al giornalista del “Fatto” ha rilasciato una risposta imbarazzante: “Non mi risulta che Pillera fosse in nero, ma non ricordo la natura del contratto. Ora sono all’estero e non ho tempo per rispondere”.
E questi era i “responsabili” salvatori dei destini dell’Italia.
Parola di Berlusconi.

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LA CASTA CHE LAVORA POCO E GUADAGNA TROPPO: IL TASSO DI ASSENTEISMO DEI PARLAMENTARI ITALIANI E’ DIECI VOLTE QUELLO AMERICANO

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

SUL SITO OPENPOLIS L’INDICE DI PRODUTTIVITA’ DEI NOSTRI RAPPRESENTANTI RIVELA UNA PERCENTUALE DI ATTIVITA’ INQUIETANTE…. AGLI ULTIMI POSTI GHEDINI   E ANGELUCCI (PDL) , CRISAFULLI E ZAVOLI (PD), BONINO (RADICALI), MARCAZZAN, GRASSANO, TEDESCO, GAGLIONE, NANIA, PISTORIO

La domanda non dovrebbe essere solo riferita all’ammontare dell’emolumento (nella Pubblica Amministrazione ce ne sono anche di molto più alti), ma se lo stipendio è troppo alto rispetto al lavoro svolto e perchè non sia modulato di conseguenza.
Il sito Openpolis ha introdotto, oltre al calcolo delle presenze, un indice di valutazione della produttività  di deputati e senatori calcolato valutando l’attività  svolta in parlamento, la tipologia degli atti presentati, il consenso ricevuto, l’iter dei lavori e la partecipazione in aula.
“Non intendiamo dire chi lavora e chi no — spiegano i ricercatori sul sito di Openpolis — ci concentriamo solo ed esclusivamente su quella parte del lavoro parlamentare volto alla proposta, discussione, elaborazione ed approvazione di atti legislativi e non”.
Dalla classifica emerge che il deputato più produttivo è Antonio Borghesi dell’Idv con un valore pari a 1035.
Il secondo è Pier Paolo Baretta del Pd (991,6).
Tra loro e i meno produttivi c’è un abisso.
Gli ultimi tre posti sono occupati da Pietro Marcazzan dell’Udc (14,1) subentrato in corso di legisaltura, il 15 settembre del 2010, poi Nicolò Ghedini del Pdl, (14,4) e Maurizio Grassano della Lega (19,6) anche lui entrato il 17giugno del 2010.
Per quanto riguarda Palazzo Madama i due più produttivi sono entrambi dell’Udc, Gianpiero D’Alia e Carlo Vizzini con, rispettivamente, 1199,7 il primo e 1032,6 il secondo.
Gli ultimi della classe sono invece Vladimiro Crisafulli del Pd, con una valutazione pari a 12,9, Alberto Tedesco ex Pd ora gruppo Misto (13,2) e Sergio Zavoli, sempre del Pd (15,6).
Dal conteggio sono escluse le attività  istituzionali come quelle di presidenti di Commissione o capigruppo.
Analizzando invece il dato oggettivo delle presenze in aula il massimo assenteista di Montecitorio si conferma Antonio Gaglione, gruppo Misto, presente al 6,38% delle sedute.
Il secondo è ancora Niccolò Ghedini, (22,7%) poi Antonio Angelucci, del Pdl (28,58%).
Al Senato detiene il record di assenze la vicepresidente radicale Emma Bonino, (28,7%). Seguono Domenico Nania del Pdl (33,45%) e Giovanni Pistorio del gruppo Misto (34,20%).
I più presenti un deputato e un senatore del Pdl: Remigio Ceroni alla Camera (99,86%) e Cristiano De Eccher al Senato (99’92%).
Come riportato dai giornalisti Rizzo e Stella nel libro “Licenziare i padreterni”, il tasso di assenteismo medio italiano è circa del 30%, mentre al Senato americano è del 3,1%.
Per quanto riguarda la media delle ore lavorate in aula, escludendo quindi le Commissioni, in una settimana di attività  intensa come quella tra l’11 e il 18 dicembre, con l’esame della Finanziaria, i deputati si sono riuniti in assemblea 30 ore e 10 minuti tra il 14 e il 16 dicembre mentre a Palazzo Madama ci sono state 14 ore e 28 minuti di seduta in tre giorni.
Il governo ha rimandato al Parlamento l’onere di occuparsi del taglio dei propri stipendi.
Se fossero modulati su presenze e produttività  i doppiolavoristi non riceverebbero soldi dallo Stato mentre svolgono le loro attività  e Antonio Gaglione sarebbe costretto a presentarsi in aula per ricevere lo stipendio.

Caterina Perniconi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’ANTITRUST: “AVANTI CON LE LIBERALIZZAZIONI, MA GARANTENDO L’EQUITA’ SOCIALE”

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

LE PROPOSTE TECNICHE INVIATE AL PARLAMENTO: SCORPORARE IL BANCO POSTA DA POSTE ITALIANE, ABOLIRE IL TARIFFARIO DELLE PROFESSIONI, AUMENTARE IL NUMERO DELLE FARMACIE, INTERVENTI SUI SERVIZI PUBBLICI LOCALI, LICENZE COMPENSATIVE SUI TAXI… SUPERARE GLI EGOISMI E GARANTIRE EQUITA’

Dai servizi pubblici locali alle poste, dai trasporti alle banche all’energia, fino alle professioni e alla semplificazione dell’attività  amministrativa.
Sono queste alcune delle proposte tecniche inviate dall’Antrust al Parlamento per favorire la concorrenza e “fare ripartire al più presto la crescita economica”.
Così da “superare gli egoismi di parte e le resistenze”.
Ma se le liberalizzazioni sono necessarie, vanno però “accompagnate con interventi che garantiscano l’equità  sociale e che favoriscano, anche attraverso le opportune riforme del diritto del lavoro, nuove opportunità  di inserimento per i soggetti che ne uscissero particolarmente penalizzati”.
Secondo l’Antitrust la “legge annuale sulla concorrenza è lo strumento con il quale procedere: per vincere ostacoli e resistenze dei gruppi che si sentono danneggiati, occorre infatti recuperare la dimensione dell’interesse generale e la sua prevalenza sui vari egoismi di categoria, procedendo con interventi di ampia portata che contestualmente sciolgano i nodi anticoncorrenziali su mercati diversi e con attori economico-sociali differenti”.
L’Antitrust, si legge ancora nel testo di 90 pagine, “ha consapevolezza che per superare le numerose incrostazioni corporative e le resistenze dei grandi attori economici ad un’effettiva apertura del mercato, la politica di liberalizzazioni dovrà  inevitabilmente essere “una sorta di work in progress ma – aggiunge – l’urgenza della crisi richiede di non indugiare e di attuare gli interventi di immediata applicazione”.
Per l’autorità  “non vanno sottovalutati i costi sociali sottesi, nel brevissimo periodo, alle liberalizzazioni”.
Poste.
Scorporare Banco Posta da Poste Italiane, ridefinire il servizio universale, limitandolo ai servizi veramente essenziali e ridurre la durata dell’affidamento a Poste, attualmente fissata a 15 anni. E’ quanto si legge nella segnalazione a Governo e Parlamento dell’Antitrust, che spiega: “Per Banco Posta, occorre prevedere la costituzione di una società  separata da Poste, che abbia come oggetto sociale lo svolgimento dell’attività  bancaria e che risponda ai requisiti della normativa settoriale”.
Carburanti.  
L’Autorità  propone una più incisiva razionalizzazione della rete distributiva con misure che favoriscano lo sviluppo di operatori indipendenti dalle compagnie petrolifere anche attraverso forme di aggregazione di piccoli operatori e/o di gestori di impianti. Per garantire l’assenza di ostacoli all’accesso a nuovi operatori non integrati verticalmente (pompe bianche e GDO), occorre vietare alle Regioni di inserire vincoli alla apertura degli impianti non previsti dalle norme nazionali e eliminare la norma che impedisce la realizzazione di impianti completamente automatizzati. Per sviluppare una rete distributiva maggiormente indipendente dalle compagnie petrolifere si dovrebbe consentire l’utilizzo, nei rapporti tra proprietari degli impianti e gestori, di tutte le tipologie contrattuali previste dall’ordinamento eliminando il vincolo della tipizzazione tramite accordi aziendali. Verrebbe così, da un lato, introdotta una piena autonomia del gestore rispetto al soggetto proprietario dell’impianto incentivando, ad esempio, forme di aggregazione di piccoli operatori nell’attività  di approvvigionamento. Dall’altro, questo potrebbe consentire alle società  petrolifere di rifornire anche punti vendita non appartenenti alla propria rete (rendendo possibile la nascita di impianti multimarca).
Professioni.
Nel settore delle professioni occorre l’abolizione espressa di qualsiasi forma di tariffario mentre gli Ordini vanno riformati, garantendo che la funzione disciplinare sia svolta da organismi che garantiscano un ruolo terzo. Anche nel settore della formazione professionale il potere dei Consigli degli Ordini va limitato alla fissazione di requisiti minimi dei corsi di formazione, senza alcuna necessità  di autorizzazioni o riconoscimenti preventivi. E’ inoltre necessaria la revisione della pianta organica dei notai, in modo da aumentare significativamente il numero dei posti. Per tutti gli Ordini va infine abrogata la norma che prevede il controllo, da parte degli Ordini stessi, sulla trasparenza e veridicità  dei messaggi pubblicitari veicolati dai professionisti.
Edicole.
Va consentita una remunerazione differenziata dei rivenditori in base a parametri oggettivi, che tengano conto della qualità  delle prestazioni rese e dei risultati conseguiti dall’esercizio, affrontando anche le problematiche relative alla filiera distributiva per garantire i rifornimenti.
Banche e Rca.
Secondo l’Antitrust è preferibile limitarsi a intervenire sulla metodologia di calcolo e sul livello delle commissioni interbancarie multilaterali, piuttosto che prevedere prezzi massimi o minimi delle commissioni applicate dalle banche agli esercenti. Va inoltre introdotto il divieto per la banca che stipula un mutuo o un finanziamento di vendere contemporaneamente una polizza collegata a quel contratto. Sul fronte della Rc Auto occorre migliorare il meccanismo del risarcimento diretto, prevedendo soglie ai rimborsi ricevuti dalla compagnia del danneggiato modulati in funzione degli obiettivi di efficienza che devono essere raggiunti dalle compagnie. Dall’ambito della procedura di risarcimento diretto vanno comunque esclusi i danni alla persona.
Energia.  
Per l’Autorità  occorre in tempi brevi ridurre il gap di informazione tra i distributori e venditori finali non integrati verticalmente con i distributori stessi, aumentando la concorrenza a valle. Per questo occorre introdurre specifici obblighi informativi e ampliando la quantità  e la qualità  dei dati da mettere a disposizione. l’Autorità  ritiene inoltre necessario che in tempi brevi vengano adottate misure pro-concorrenziali relative ad agevolazioni per la costruzione di nuove infrastrutture di importazione di gas.
Taxi.
Incentivare la liberalizzazione dei tax attraverso misure compensative per chi già  possiede le licenze. “Va incentivato l’aumento del numero delle licenze dei taxi, almeno nelle città  dove l’offerta del servizio presenta le maggiori carenze, prevedendo adeguati meccanismi di ‘compensazione’ per gli attuali titolari delle licenze – afferma l’Antitrust -. In particolare, al fine di rendere effettivamente praticabile la riforma, minimizzandone l’impatto, l’autorità  suggerisce di dare la possibilità  agli attuali titolari delle licenze di vedersene assegnata un’altra gratuitamente. La nuova licenza potrebbe essere venduta, recuperando la perdita di valore del titolo originario e, comunque, l’offerta del servizio di taxi registrerebbe un miglioramento significativo”.
Strade e aerei.
Secondo l’Antitrust “va modificato il sistema di revisione delle tariffe previsto dalla Convenzione tra Anas e Autostrade per l’Italia, passando a un meccanismo che preveda la sottrazione dal tasso di inflazione del tasso di produttività  attesa e, soprattutto, un consistente premio per un miglioramento della qualità  del servizio e per i progetti di investimenti futuri, ove verificabili”. Va ridotta la durata cinquantennale delle concessioni “che va invece commisurata alle caratteristiche dell’investimento e alla possibilità  di una sua remunerazione. Nel caso di investimenti non completamente ammortizzati, le procedure di affidamento possono comunque prevedere, laddove il subentrante sia diverso dal precedente concessionario, adeguate forme di compensazione”.
Servizi pubblici.
“Occorre introdurre l’obbligo per gli enti locali di definire in via preliminare gli obblighi di servizio pubblico. Stabilito il perimetro, dovranno verificare la possibilità  di una gestione concorrenziale con procedure aperte di manifestazione di interesse degli operatori del settore a gestire in concorrenza i servizi. Solo in caso di fallimento di questa procedura gli enti locali potranno mantenere la gestione in esclusiva affidata con gara a un privato, mentre l’affidamento in house (direttamente gestito dall’ente pubblico con una sua società ) è consentito solo a fronte di un’analisi di mercato che ne dimostri in modo chiaro i benefici diretti. Occorre – prosegue l’autorità  – accelerare le scadenze degli affidamenti che non sono il frutto di un confronto competitivo, dando però all’ente locale la possibilità  di evitare la scadenza anticipata attraverso l’immediato avvio di una procedura di cessione a privati con gara delle quote della società  pubblica (totalitaria o mista). La procedura dovrà  concludersi entro un termine ravvicinato, pena sanzioni per l’ente locale”.
Farmacie.
Sul fronte farmaceutico occorre liberalizzare la vendita dei farmaci con prescrizione medica ma a totale carico del paziente (i cosiddetti farmaci di fascia C) e rimuovere gli ostacoli all’apertura di nuove farmacie, aumentando la pianta organica delle stesse. Va ampliata la possibilità¡ della multi-titolarità  in capo a un unico titolare, aumentando il numero massimo da 4 a 8.
Burocrazia.  
Secondo l’Antitrust occorre affidare al Governo la delega per un testo unico relativo a tutti i procedimenti di autorizzazioni, con espressa abrogazione di quelli non necessari. In caso di mancato rispetto dei termini per effettuare la ricognizione, scatta l’effetto ‘tagliola’ con cessazione di tutti i regimi di autorizzazione oggi previsti. Infatti, l’efficacia di alcune misure pro-concorrenziali dipende anche dall’attuazione da parte delle amministrazioni del principio di liberalizzazione delle attività  economiche e, in parte, anche del diverso principio di semplificazione delle procedure. Anche le Regioni e gli enti locali dovranno adeguarsi. Per disincentivare in futuro la reintroduzione di nuovi oneri burocratici per cittadini e imprese, l’Autorità  propone di introdurre il principio della detraibilità  per cittadino e imprese delle spese sostenute per l’adeguamento a nuove normative, che introducono nuovi oneri burocratici: obiettivo, “costringere” il legislatore a reperire le risorse in caso di approvazione di nuove leggi che comportano aggravamenti per cittadino e imprese e che devono avere, sotto tale profilo, copertura finanziaria. Identico meccanismo dovrà  valere per le Regioni.
Ferrovie.
Per il trasporto ferroviario, l’Antitrust auspica che sia resa rapidamente operativa l’Autorità  dei Trasporti: sarà  così possibile vigilare sulla “terzietà ” della gestione di tutte le infrastrutture ritenute essenziali per lo svolgimento di un corretto confronto concorrenziale nei servizi di trasporto ferroviario merci e passeggeri.

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NELLE BUSTE PAGA DEL PERSONALE DEL SENATO C’E’ ANCHE LA “SEDICESIMA”

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

LA CHIAMANO “INDENNITA’ COMPENSATIVA DI PRODUTTIVITA’”, E’ UNA VOCE “PENSIONABILE” E SI RIFERISCE ALLA RINUNCIA A FESTIVITA’ SOPPRESSE E ALL’INCREMENTO DELL’ORARIO LAVORATIVO DURANTE LE SEDUTE D’AULA

Si scrive indennità  compensativa di produttività , si legge sedicesima mensilità .
E’ quella che percepisce il personale del Senato dal 2004, ovvero da quando è stata introdotta questa nuova voce all’interno del regolamento di Palazzo Madama (articolo 17 comma 3).
Non si tratta, tuttavia, di un mese in più di stipendio, bensì — come scrive Il Sole 24 Ore, che ha dato la notizia — di una compensazione corrisposta al personale (da 37 ore e mezzo a 40 ore).
Questi soldi, inoltre, vengono inseriti in due tranche nelle buste paga di aprile e di settembre. Un po’ come avviene per la quindicesima, che il personale del Senato percepisce per il cinquanta per cento in primavera e per la restante parte a fine estate.
Metà  quindicesima e metà  sedicesima insieme, quindi, negli stipendi di aprile e settembre: in altre parole, due mensilità  in più.
A differenza di quest’ultima, tuttavia, la cosiddetta ‘sedicesima’ influisce sul calcolo dell’assegno pensionistico, cosa che invece non accade per le altre voci dello stipendio di chi lavora a Palazzo Madama e a Montecitorio, comprese tutte le indennità .
Uno dei tanti marchingegni per rimpolpare lo stipendio della “casta privilegiata” dei dipendenti del Parlamento italiano, senza dare troppo nell’occhio.
Mentre gli statali non hanno neanche la quattordicesima, chi lavora a fianco dei politici è gratificato persino della sedicesima.
Potere della Casta…

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IN ITALIA SI ASSISTE A STRAGI CALIBRO NOVE, MA IL GOVERNO ABOLISCE IL CENSIMENTO DELLE ARMI

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

“TROPPE PISTOLE IN GIRO” DENUNCIA IL SINDACO DI ROMA ALEMANNO DOPO L’ORRENDO OMICIDIO DELLA BIMBA CINESE… MA NELLA MANOVRA SALVA-ITALIA SPUNTA UN ARTICOLO CHE ABOLISCE IL CATALOGO NAZIONALE DELLE ARMI IN VIGORE DA 36 ANNI E CHE GARANTIVA IL CONTROLLO SULLA LORO DIFFUSIONE

La rapina finita nel sangue a Roma e la follia omicida di metà  dicembre a Firenze riportano in primo piano il tema della licenze per il porto d’armi.
Il motivo è semplice: giusto un mese prima di questi episodi, senza troppa pubblicità , il Parlamento ha cancellato con un tratto di penna il “catalogo nazionale delle armi comuni da sparo” cioè lo strumento che negli ultimi 36 anni della Repubblica ha garantito un controllo sul rilascio e la detenzione delle armi ammesse a circolare sul territorio italiano.
Con il comma 7 dell’articolo 4 della legge (n. 183 del 12 novembre 2011) è stato abrogato l’articolo 7 della legge 18 aprile 1975, recante le “norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi” istituito presso il ministero dell’Interno.
Quasi un atto amministrativo cui sono seguite polemiche ma sul quale il governo non ha fatto marcia indietro, considerando le critiche di alcuni parlamentari frutto di un infondato allarmismo.
Tre giorni dopo, infatti, un gruppo di parlamentari ha presentato un disegno di legge che chiedeva il ripristino d’urgenza del catalogo e definiva quella scelta “inopinata e sconsiderata” per gli effetti che avrebbe avuto sulla sicurezza dei cittadini.
Parole quasi profetiche.
Un mese dopo, con una magnum Gianluca Casseri in piazza Dalmazia e poi nel mercato di Borgo Sal Lorenzo a Firenze uccideva ambulanti senegalesi come in un videogioco.
E qualche sera fa, a Tor Pignattara, la sparatoria in cui vengono uccisi un cinese e la sua bimba di nove mesi.
Stragi a mano armata che oggi riportano l’abolizione del pubblico registro delle armi al centro del dibattito e ovviamente chi l’ha caldeggiata nel mirino delle polemiche.
In realtà  la decisione di cancellare il registro appartiene ancora al governo Berlusconi e quello dei tecnici l’ha semplicemente mantenuta.
E non era la prima volta che si tentava di affossarlo per legge.
Lo denuncia lo stesso disegno di legge “riparatore” che ora pende in Senato.
“Nel corso della presente legislatura — si legge nel Ddl — si era assistito nell’aula del Senato a tentativi operati dai lobbisti delle armi di abrogazione del catalogo. Questi tentativi però erano stati vanificati dal contrasto netto della maggioranza dei Senatori, che avevano convinto gli stessi sostenitori dell’abrogazione a fare marcia indietro e a riproporre la questione in sede di commissione o in altra idonea per una discussione approfondita”.
Invece, approfittando di un provvedimento che avrebbe osato smontare — perchè a carattere d’urgenza per i conti dello Stato — si è inserita furbescamente la norma di abrogazione del catalogo armi, un provvedimento che nulla aveva a che fare con quello principale.
La zampata non è sfuggita alle associazioni legate alla rete italiana del disarmo compatte nel ritenere che questa decisione avrebbe condotto a un “far west” armiero.
“Si va verso uno smantellamento del controllo sulle armi leggere e sull’export — denunciava Giulio Marcon, portavoce della campagna “Sbilanciamoci” e aderente alla “Rete italiana per il disarmo” — l’Italia rischia di perdere il controllo sulla diffusione delle armi e di favorire la criminalità  organizzata”.
Ma perfino i sindacati di polizia hanno espresso la noro netta contrarietà  al provvedimento. “Con l’eliminazione del catalogo liberalizzano il commercio delle armi più pericolose in Italia”, rimarcava ad esempio l’Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp).
Che pur di far ragionare il legislatore “tecnico” la ributtava sul piano dei costi: la cancellazione del registro infatti farebbe lievitare “vertiginosamente le spese per il loro controllo, che dovranno essere sostenute dai cittadini”.
E allora chi chiede la libera e incontrollata circolazione delle armi?
I costruttori, la fiorente industria d’armi nazionale che svetta in cima alle classifiche europee come fornitore di armi.
Lo rivela un trionfale comunicato del 29 novembre scorso dell’Anpam, l’Associazione nazionale dei Produttori di armi e munizioni che certifica il primato italiano nella vendita di armi per uso sportivo-venatorio: 2.264 imprese, 11.358 addetti, 612.408 armi, 902 milioni di munizioni per un valore della produzione peri 486 milioni di euro.
Il 60% di quelle che circolano in Europa le produciamo “noi” (370 milioni di euro in valore).
E la stessa associazione, che è poi il volto istituzionale della lobby armiera nazionale, difendeva così l’abrogazione come una richiesta proveniente dall’Europa: “L’abolizione del Catalogo — recita una nota — è stata espressamente richiesta dall’Europa mediante una recente procedura d’infrazione, la 2336/11/Italy, e ci uniforma agli altri paesi europei”.
Eppure di procedure aperte nei confronti dell’Italia ce ne sono 136 e la prima sanzione per il nostro Paese è arrivata a novembre per 30 milioni di euro.
Ma, sorpresa, non riguarda affatto le armi ma il mancato recepimento di una direttiva comunitaria relativa ai contratti di formazione lavoro.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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PISCITELLI FA TREMARE IL PALAZZO: “ADESSO MI INCAZZO E RACCONTO TUTTO”

Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile

L’INTERVISTA DEL “FATTO” AL COSTRUTTORE CHE RIDEVA DOPO IL TERREMOTO IN ABRUZZO E CHE ORA HA DECISO DI COLLABORARE CON LA MAGISTRATURA CHE INDAGA SULLA “CRICCA”….”HO PAGATO UN MILIONE DI EURO” : TRA I BENEFICIARI ANCHE L’ATTUALE SOTTOSEGRETARIO CARLO MALINCONICO

Francesco de Vito Piscicelli riassume così al Fatto la molla che lo ha spinto a collaborare con la Procura di Roma: “Quelli che andavano in vacanza gratis o che ho pagato sono tutti ai loro posti al ministero e alla presidenza del Consiglio. Io che lavoravo e pagavo per non avere rotture, sono trattato come se fossi il mostro. Mi braccano le troupe di Mediaset perchè atterro sulla spiaggia per il vento? Ora mi incazzo e racconto tutto”.
I pm romani hanno fatto il punto con i Carabinieri del Ros. Piscicelli sarà  risentito.
Gli indagati sono cinque e tra questi ci sono il commissario dei mondiali di nuoto Claudio Rinaldi e il magistrato contabile Antonello Colosimo.
Gli altri tre sono funzionari che hanno avuto un ruolo nel controllare i cantieri dei mondiali del nuoto.
Piscicelli ha accettato di parlare con il Fatto e finalmente fa nomi e cifre: “Ho pagato un milione di euro in contanti complessivamente ai funzionari più tanti favori e incarichi di lavoro. Mi hanno spennato come un pollo, capito? Altro che mostro. E ora mi minacciano anche”.
Piscicelli chi la minaccia?
Ho appena finito una lunga seduta per una denuncia con i carabinieri della caserma di Orbetello. Stamattina sono uscito dal cancello della mia villa all’Argentario e ho trovato ad aspettarmi tre persone, tutte con la pistola che si vedeva sotto il maglione.
Mi hanno minacciato pesantemente. È la seconda volta che succede.
La prima volta era stato a piazza di Spagna, all’uscita da un ristorante. Ero da solo e anche allora ho denunciato tutto ai magistrati. Quel giorno mi hanno detto: ‘Stia attento a quello che fa’. Non sembravano delinquenti comuni, ma persone di un certo livello. Non vogliono che parli con i pm.
Piscicelli perchè all’improvviso ha deciso di collaborare?
A luglio mi sono presentato spontaneamente ai pm perchè non sopportavo più questa situazione. Mi trattano come se fossi colpevole di chissà  cosa. Solo per una telefonata maledetta nella quale mio cognato dice quella battuta da c…., sui terremotati scusi il termine e io non lo contraddico perchè ero stanco nella notte. Ma io non ho mai lavorato a L’Aquila.
A dire il vero gli investigatori sostengono che era proprio lei a parlare. Comunque la sua immagine è rimasta inchiodata a quella telefonata. Ad altri è andata meglio. Carlo Malinconico, che ha fatto le vacanze a spese sue, è sottosegretario
Io non ho nulla contro Malinconico. Non ho mai lavorato con lui ma l’ho conosciuto e lo considero una bella persona. Ma le pare possibile che a mi fanno fuori da tutto, mi mettono in carcere e mi trattano come un mostro mentre lui invece è diventato sottosegretario alla presidenza del Consiglio? A me sospendono la licenza di volo solo perchè mi chiamo Piscicelli e non certo per l’atterraggio sulla spiaggia in pieno inverno con il vento forte, mentre a lui nessuno dice nulla. Ma si è accorto che ieri non c’era traccia in nessun articolo del nome di Malinconico mentre io, pure se collaboro con la Procura, sono sempre il mostro? Non sarà  che c’entra il fatto che lui era presidente della federazione degli editori dei giornali e ora è alla Presidenza del consiglio?
Allora ce la racconti finalmente questa storia delle vacanze di Malinconico a Porto Ercole

Dunque un giorno mi chiama Angelo Balducci e mi invita a prendere un aperitivo nel centro di Roma. Io vado e lui mi dice: “Francesco mi devi prenotare due vacanze. La prima a Capri per due amici francesi, che però pagano loro e non ti devi preoccupare di altro che di prenotare. La seconda, invece all’hotel Pellicano di Porto Ercole, l’ospite è Carlo Malinconico, però in questo caso ti prego di anticipare tu la somma”.
Piscicelli, ma lei è un ingegnere o un agente di viaggio? E poi che vuol dire anticipa tu?
Angelo Balducci era potentissimo allora. Sapeva che conoscevo bene Roberto Sciò, il padrone dell’hotel Pellicano e non potevo dire di no. Gli feci solo presente che una camera al Pellicano costa 1500 euro a notte. Così anticipai i soldi e ancora oggi aspetto che Balducci me li restituisca.
I Carabinieri del Ros di Firenze hanno accertato che lei ha pagato 9 mila e 800 euro, come da fattura alla sua società . Ma sostengono che lei avrebbe pagato ancora altre volte. Insomma quell’aperitivo con Balducci quanto le è costato?
Sì è vero, un’altra volta Diego Anemone mi chiese di prenotare di nuovo pagando ma non mi sono fatto fregare e ho chiesto a Diego di anticiparmi i soldi. Ho pagato in contanti sì ma con i soldi suoi.
Ha chiesto i soldi indietro a Malinconico o a Balducci?
Ma scherza? Malinconico non mi aveva chiesto nulla. Quanto a Balducci, non è elegante fare una cosa del genere. In certi ambienti non si usa. Certamente speravo che Balducci me li restituisse, ma non avrei mai osato chiederli. Mi costituirò parte civile nel processo e me li ridarà .
A chi ha dato i soldi?
Questo lo deve chiedere ai magistrati. Io noto che i funzionari che lavoravano con me sono ancora tutti lì. Per esempio Paolo Zini che dirigeva i lavori o il commissario Claudio Rinaldi. Un magistrato mi ha chiesto di mettergli a disposizione il mio autista per un anno. Il coordinatore per la sicurezza, Pierpaolo Gandola, voleva uno stipendio in nero di 2 mila e 500 euro al mese. Ma l’ho pagato un mese solo e poi ho detto basta. Poi ho dato un incarico di progettazione spendendo 700 mila euro a un team all’interno del quale c’era il figlio della dottoressa Natalia Muzzatti, Fabio Frasca, perchè era una funzionaria importante del ministero e mi chiese Angelo Balducci, tramite l’ingegnere Bentivoglio di aiutare il figlio.
Dichiarazioni tutte da verificare. Il magistrato contabile Antonello Colosimo che però ieri ha dichiarato “sono completamente estraneo”. Mentre Fabio Frasca replica: “Facevo parte di un team con altri due progettisti e mi occupavo della parte strutturale per tutte le gare a cui ha partecipato Piscicelli per i mondiali di nuoto, il compenso stabilito era di 80 mila euro”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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