Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
IL CONDUTTORE DELLA RADIO PADANA DA’ DELLO STRONZO A UN ASCOLTATORE LEGHISTA CHE CRITICA IL VOTO…”BOSSI SI E’ RIPRESO LA LEGA, MARONI DEVE AVERE IL CORAGGIO DI ROMPERE”…”CHI HA SALVATO COSENTINO MI FA SCHIFO”…”ANDATE TUTTI A CASA, A COMINCIARE DALLA BADANTE”
Sono durissimi i commenti online dei militanti del Carroccio, all’interno del quale oggi si è
consumata la frattura tra i due fronti contrapposti di Umberto Bossi e Roberto Maroni.
Il Senatùr, infatti, ha smentito le dichiarazioni dell’ex ministro degli Interni, che lunedì sera aveva assicurato: la Lega voterà per l’arresto.
Posizione lontana da quella del leader del Carroccio, che oggi al termine di una riunione coi suoi deputati ha dettato la linea: libertà di coscienza.
E il coordinatore del Pdl Campania, anche grazie ai voti dell’unico partito di opposizione, è stato salvato.
“Cosentino non va ai ceppi, e Bossi si è ripreso la Lega: bye bye Maroni”, scrive il blog di centrodestra Daw perchè “il voto odierno ha dimostrato da che parte sta la Lega. Con Bossi. Roberto Maroni ha perso, ancora una volta”.
Avrà perso nel duello di oggi, ma la base leghista sulla sua pagina Facebook sta con lui. “Caro Bobo, proprio non ci siamo!”, scrive Paolo, che riferendosi a Bossi aggiunge: “Tu sai certamente meglio di tutti noi se ci siano ancora dei margini per tirare fuori il Capo dalla ragnatela in cui l’hanno avvolto la badante e i suoi amici, comunque ricordiamoci tutti che gli uomini passano, la libertà della Padania resterà sempre il nostro grande sogno”.
Anche Roberto ripone la fiducia nelle mani di Maroni: “Roberto, ti parlo con il cuore in mano come giovane lombardo che crede nel sogno di libertà dei popoli del nord, in questo ultimo periodo vedo una Lega che non sa da che parte andare. Adesso tocca a te ministro, il nord è con te”.
Anche se Bossi ha invitato a salvare Cosentino, Maroni ha deciso però di confermare quanto dichiarato lunedì.
Motivo che rende Gianmatteo “orgoglioso del ministro dell’Interno” perchè “chi si è astenuto o ha votato no mi fa schifo e non mi rappresenta”.
Valerio fornisce poi la sua interpretazione sulla Lega che vota contro l’arresto e ignora così la volontà della base: “Probabilmente è finita l’alleanza (con Berlusconi, ndr) ma non gli interessi. Comunque spero serva a dare una svolta ad una Lega ormai romanizzata. Ma per questo ci sei Tu Bobo” e anche Barbara conferma: “Serve una sterzata, forte e chiara. Bobo siamo con te! Non mollare!”.
Il forum di Radio Padania, in compenso, continua a essere “momentanemente chiuso”.
Una sospensione mai interrotta dalle scorse amministrative milanesi anche se sulla pagina Facebook il voto su Cosentino non sposta gli equilibri: “Io che si voti no o sì rimango leghista, e ci mancherebbe altro scrive Bruno -. Il mio voto non si basa certo su minchiate simili”.
In compenso, ai microfoni aperti della radio esplode la rabbia.
Alla trasmissione ‘Che aria tira’, infatti, l’accusa nei confronti della linea di Bossi è stata chiara: “Avete salvato un camorrista”.
Le critiche, però, non sono piaciute al conduttore Roberto Ortelli, che a molti ascoltatori ha risposto per le rime, togliendo spesso la parola.
La prima ascoltatrice ha solo avuto il tempo di dire: “Avete salvato Cosentino…” che Ortelli ha replicato: “Lei chi è, dica nome e cognome. Si presenti, altrimenti telefoni a Radiopopolare”.
Il secondo ascoltatore ha invece potuto ‘dialogare’: “Perchè — ha esordito — la Lega ha salvato un altro camorrista?”.
“Lei è sicuro che sia un camorrista? Ha letto le carte?” è stata la replica del conduttore: “Sì — ha risposto l’ascoltatore — le carte sono su internet e lui andava a cena con un camorrista”. “Allora — ha tagliato corto Ortelli — se io vengo a cena con lei posso dire che sono andato a cena con uno stronzo?”.
Sul forum dei giovani padani, però, a prevalere non sono i commenti a sostegno di Maroni, ma la convinzione che a dettare la linea della Lega sia ancora il legame tra Bossi e Berlusconi.
Che già a maggio, secondo decine di militanti “aveva fatto il suo tempo”.
Monta la rabbia contro l’ipocrisia di un’opposizione al governo Monti strumentale solo “a recuperare consensi”, mentre fino a due mesi fa Cavaliere e Senatùr erano alleati di ferro. “Prima ha votato leggi vergognose per il mafioso, ed ora sta all’opposizione per rifarsi una verginità ” commenta ironico BastaBossi e per Giuseppe Brianza il Senatùr è soltanto un “arruffapopoli irresponsabile”.
LoSpada poi attacca i cittadini disposti ad accordare nuovamente la fiducia al Carroccio per le prossime politiche: “Prima hanno creato danni economici a iosa e votato tutte le leggi ad personam possibili per Silvio — nota — E nel 2013 torneranno a presentarsi come quelli che hanno la chiave per risolvere i problemi. Se la gente è rincoglionita e li voterà ancora, mica è colpa della Lega”.
Namaycus spera invece in un partito nuovo perchè “se la Lega vuol prendere il mio voto deve cambiare totalmente questa classe dirigente falsa e corrotta; via tutti quelli che sono stati collusi col nanetto mafioso in questi anni di sfascio dell’Italia. Via Bossi, via Maroni, via Calderoli, via Castelli, Via Cota”.
E a chi invoca il ritorno di un governo scelto dagli elettori, altri utenti ricordano che “Scilipoti non è espressione della sovranità popolare” e i nominati di prima non hanno fatto altro che “salvare il culo a B”.
E si domandano: “Dove erano allora i puffi verdi?”.
Eleonora Bianchini
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
GLI ATTI TRASMESSI DALLA PROCURA DI ROMA ALLA GIUNTA PER LE IMMUNITA’ PARLAMENTARI DEL SENATO…TUTTO PARTE DA UN ESPOSTO DEL CONSIGLIERE REGIONALE “CINQUE STELLE” BIOLE’ SULL’USO IMPROPRIO DI AEREI DI STATO
I pm di Roma vogliono procedere contro Roberto Calderoli per l’uso di un aereo di Stato “per scopi non istituzionali”.
Proprio lui, che di recente ha bacchettato il presidente del Consiglio Mario Monti sulle spese per una festa privata di Capodanno a palazzo Chigi, è ora sospettato di aver usufruito di un volo di Stato per andare nella zone dove risiede e lavora la sua compagna, Gianna Gancia, presidente della Provincia di Cuneo.
Gli atti del procedimento contro l’ex ministro per la Semplificazione e senatore leghista sono stati trasmessi ieri dalla Procura della Repubblica di Roma alla Giunta delle immunità parlamentari del Senato, che settimana prossima affronterà il caso.
L’indagine parte da un esposto del consigliere regionale del Piemonte per il Movimento Cinque Stelle, Fabrizio Biolè.
Il 19 gennaio 2011 all’aeroporto di Levaldigi (Cn) atterra un Airbus 319-115 CJ dell’Aeronautica militare, con la scritta “Repubblica Italiana”, un aereo della flotta di base a Ciampino, riservata alla Presidenza della Repubbica, presidenti delle due Camere del parlamento e al Presidente del Consiglio. Come già dichiarato al Fatto, Biolè sa da fonte certa che a bordo c’è l’allora ministro Calderoli.
“Sono andato di persona all’aeroporto di Levaldigi perchè avevo ricevuto segnalazioni sul fatto che l’ex ministro avesse già fatto dei viaggi lì con aerei della flotta istituzionale”, racconta Biolè al fattoquotidiano.it.
Il consigliere cerca di ottenere informazioni, ma le autorità aeroportuali non possono fornirgliele: Calderoli è sotto scorta, con la protezione del più alto livello, ed è impossibile ottenere notizie sul motivo del suo atterraggio.
“Personalmente non ho visto il ministro — precisa — però dopo aver fatto la richiesta ho dato la notizia ai giornali e alcuni cronisti, dopo essersi confrontati con l’entourage di Calderoli, hanno avuto conferma del fatto che lui non avesse nessun impegno istituzionale in zona”.
L’aereo serviva per fare ritorno a Roma, dove Calderoli — stando a quanto risposto dai suoi collaboratori — aveva un impegno immediato in Commissione federalismo.
Eppure, consultando il sito della Camera dei Deputati, non c’era nessun impegno della Commissione quel giorno.
“Ho capito che era una cosa importante, un uso improprio dell’aereo di Stato, così ho fatto una richiesta di informazioni all’autorità aeroportuale e poi un’altra tramite il Consiglio regionale, perchè la Regione Piemonte controlla l’aeroporto di Levaldigi”.
Tutti tacciono.
Si interessa al caso anche il deputato Pd Emanuele Fiano, con una interrogazione a risposta scritta a cui non è mai stata data una risposta: “Non risulta all’interrogante che in quella data ci fossero missioni istituzionali programmate, nè risulta esserci alcun documento ufficiale che certifichi il viaggio stesso”.
A questo punto Biolè presenta un esposto alla Procura di Cuneo, poi inviato a quella di Saluzzo competente per i fatti avvenuti a Levaldigi.
Da qui, poi, alla capitale.
“Avendo avuto notizie nei giorni successivi dell’uso del suddetto volo per scopi strettamente personali, ritengo illegittimo l’uso del mezzo appartenente alla flotta”, scrive nel documento.
Senza un impegno istituzionale o senza motivazioni adeguate Calderoli non avrebbe potuto usarlo: la legge prevede l’uso esclusivo della flotta per il Presidente della Repubblica, quello del Senato, quello della Camera e per il premier.
I voli sono concessi ai ministri solo dopo una “richiesta altamente motivata”. Ai magistrati spetta ora verificare se il volo di Stato Roma — Levaldigi — Roma fosse giustificato.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
CI SONO ANCORA 550.000 PERSONE CHE VIVONO IN 800 CAMPI, TENDOPOLI NELLA CAPITALE… DEI MILIARDI PROMESSI NE SONO ARRIVATI BEN POCHI E SOLO IL 20% E’ STATO SPESO… LE ONG PUNTANO SU PROGETTI FACILI CHE FANNO COLPO, MA NESSUNO TOGLIE LE MACERIE
È stata una tragedia immane, ma in molti pensavano che potesse essere un riscatto per il
Paese e la comunità internazionale.
Invece, a due anni dal terremoto, Haiti è un Paese ancor più povero e devastato di come era prima del disastro e il sistema di aiuti della cooperazione internazionale mostra le crepe che da qualche anno in molti hanno deciso di non nascondere più.
I dati.
Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, il più affidabile dal punto di vista statistico, 550.000 persone vivono ancora in oltre 800 campi, 4,5 milioni di famiglie sono toccati dall’insicurezza alimentare (che nella terminologia della cooperazione significa che non mangiano tutti i giorni o che la catena alimentare non è sicura) e la minaccia del colera è ancora molto forte.
Le condizioni igieniche sono terribili, la povertà è la regola, in un Paese dove il 75% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e la disoccupazione è stimata al 70%.
A corredo delle cifre, molto approssimative, in una realtà dove non esiste un vero sistema di anagrafe, c’è quel che abbiamo visto in questi giorni.
Soltanto metà delle macerie è stata rimossa nella capitale Port Au Prince, dove le tendopoli si sono trasformate in nuove baraccopoli, affollate da chi ha perso la casa nel terremoto, ma anche da chi una vera casa non l’ha mai avuta e dopo il sisma ha trovato più accoglienti le tende degli slum in cui aveva sempre vissuto.
Il bilancio.
Che qualcosa non ha funzionato lo dimostrano anche i comunicati stampa diramati in questi giorni da alcune delle maggiori organizzazioni non governative che hanno risposto all’emergenza del terremoto.
Tutte, in modo più o meno esplicito, parlano di “ricostruzione a rilento”, “difficoltà di coordinamento”, finanziamenti stanziati e mai arrivati oppure finiti in progetti di cui non si vedono i risultati.
È un elenco di fallimenti esplicito il resoconto di uno dei maggiori Paesi donatori, gli Stati Uniti, che nel rapporto fatto dal Government Accountability, cioè l’ufficio della ragioneria, sottolineano tra l’altro la difficoltà a reperire il personale disposto ad andare ad Haiti a lavorare.
Dei miliardi arrivati usati solo il 20%.
Non è riuscito a fare di meglio L’Haiti Reconstruction fund, un organismo creato proprio con l’intento di coordinare l’azione dei donatori internazionali e del governo haitiano.
Nel suo ufficio di Port au Prince, il manager del fondo, Josef Leitmann, ci ha detto: “Dobbiamo ammettere che il sentimento di sfiducia è giustificato. Dei tanti miliardi di dollari promessi, pochi sono arrivati davvero e soltanto il 20% di quelli realmente disponibili è stato utilizzato. Parlo dei 2,3 miliardi di dollari arrivati al fondo e su questi so che è stato fatto un controllo accurato perchè non ci fosse corruzione”. Tuttavia, anche se i soldi sono stati spesi in progetti, questi non erano quelli giusti.
“Ci sono stati soldi spesi nell’immediato – ha detto ancora Leitmann – che si sarebbero potuti utilizzare in modo diverso. L’errore fondamentale è stato abbandonare le comunità di origine e mettere tante risorse nelle tendopoli”.
Il divario tra ciò di cui si ha bisogno e ciò che si fa.
Eppure il fondo doveva servire proprio a coordinare gli interventi, ma Leitmann, che ha rilevato da poco l’incarico dopo che il fondo è stato accusato, tra l’altro, di coinvolgere troppo poco gli haitiani, sottolinea ancora: “Nel guardare i progetti ci si rende conto come tra ciò che le organizzazioni vogliono fare e ciò di cui si ha bisogno il divario è enorme. Ci sono troppi soldi che vanno in quelli che chiamiamo i “sexy sectors”, i settori che fanno colpo sul pubblico, come sanità e istruzione, e troppo poco nella rimozione delle macerie e il sostegno alle comunità . Inoltre si è fatto troppo a Port au Prince e troppo poco nelle altre zone”.
Con questa ultima frase Leitmann fa cenno a uno dei grandi problemi di Haiti, la disponibilità di terreno su cui costruire, perchè nel Paese non esiste un sistema di censimento capace di accertare a chi appartiene la terra, così anche la costruzione di casette prefabbricate al posto di tende è assai complicata.
“Ci sono troppe Ong, ecco il problema”.
Emanuelle Schneider, portavoce dell’Ocha, agenzia Onu deputata al cordinamento degli Affari umanitari, mostra tutto il fastidio di una abitante di New York catapultata ad Haiti a difendere il lavoro di altri.
Ribadisce che l’allestimento delle tendopoli era indispensabile e “i bisogni immediati di rifugio e acqua potabile sono stati soddisfatti”.
Alla domanda “Cosa è andato storto?”, risponde: “All’inizio è stato caos completo, ma in 72 ore siamo riusciti a mettere insieme una task force e lanciare un appello per i finanziamenti. Il problema è che ci sono troppe organizzazioni non governative e centinaia di loro non hanno mai dichiarato la loro presenza sul territorio. Noi operiamo secondo standard internazionali e rigidi protocolli di legge per assicurare il rispetto della popolazione, non possiamo fornire mezzi a gruppi dei quali non conosciamo il modus operandi”.
L’Ocha ci fornisce fogli e fogli di statistiche accurate e grafici perfetti, nonchè l’elenco, diviso secondo le zone del Paese in cui operano, delle Ong che sono registrate e quindi riconosciute come partner.
Sono davvero tantissime, 427 in 140 comuni, la maggior parte (120) hanno progetti di salute, seguiti da quelli per l’istruzione (66).
Stupisce che in un posto come Haiti, dove l’acqua potabile è un lusso e non ci sono, in pratica, fognature, soltanto 15 si occupino di servizi igienici e sorprende non vedere nell’elenco nomi di organizzazioni che nel Paese hanno una storia consolidata.
La conclusione.
Chiedersi se un approccio sia più efficace di un altro, mentre si gira per le strade di Haiti, ha una risposta troppo semplicistica e per spiegarsi la miseria desolante di Port au Prince non bastano neanche le riflessioni storiche illuminanti di Jared Diamond in “Collasso”.
Certo tutta la cooperazione, qualunque sia il suo approccio, deve chiedersi seriamente se stia davvero fornendo un aiuto per avviare un cambiamento, o se stia invece soltanto radicalizzando le diseguaglianze e favorendo una sorta di neocolonialismo.
Cristina Nadotti
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
REGOLAMENTI MODIFICATI: LA NOMINA DEI VERTICI DEL MOVIMENTO GIOVANILE DEVE PASSARE DA UN CONGRESSO… FUOCO INCROCIATO TRA IL SEGRETARIO USCENTE RACITI E LO SFIDANTE BENIFEI…LA POSTA IN GIOCO E’ UNA CANDIDATURA IN PARLAMENTO
“Basta divisioni” ha detto Pier Luigi Bersani una settimana fa.
L’invito del leader del Pd però sembra essere rimasto inascoltato perchè le falle interne ai dirigenti del partito si allargano ogni giorno di più.
Non è solo il tema del lavoro a creare fratture, anche il congresso dei Giovani democratici rischia di diventare una miccia esplosiva.
Lo scontro interno all’organizzazione giovanile peraltro è tutto tra bersaniani, con il segretario uscente, Fausto Raciti, appoggiato dall’ala dalemiana del movimento, che in queste ore sta facendo di tutto per tagliare fuori dalla corsa lo sfidante Brando Benifei, anche lui vicino al numero uno dei democratici e fino a pochi giorni fa responsabile Esteri dei Gd.
Fin dal loro insediamento, nel dicembre 2008, i vertici del movimento giovanile (tanto Raciti quanto Benifei) hanno lavorato per un congresso che restringesse il più possibile la platea elettorale: già a maggio 2009 hanno smantellato le primarie senza troppo clamore, approvando uno statuto che riabilitava il congresso vecchia maniera, valido solo per gli iscritti, con un numero più ristretto di votanti e quindi molto più facile da gestire.
Eppure i big del partito hanno sempre sostenuto le primarie come metodo di selezione degli organismi dirigenti: prima Veltroni, poi, anche se con molto meno entusiasmo, Bersani.
Le primarie nel documento dei “giovani” sono una parola tabù, non vengono neanche menzionate. Si parla solo e soltanto di congresso.
Ogni tre anni, si legge, “l’esecutivo in carica convoca la direzione nazionale per proporre regolamento congressuale e modalità di svolgimento del congresso”. La posta in gioco d’altronde è alta: chi vince avrà quasi sicuramente un seggio alla Camera alle prossime elezioni del 2013.
Ecco perchè il 13 dicembre scorso la direzione ha approvato all’unanimità un regolamento blindato che prevede due scenari.
Il primo imposta la “base della discussione del congresso — si legge all’articolo 4 — su un documento politico per tesi proposto dal segretario e dall’esecutivo”.
Si tratta del cosiddetto “congresso a tesi”, modello vecchio Pds, ovvero un documento unico presentato dall’esecutivo uscente (quindi dallo stesso Raciti) che può poi essere emendato dai vari livelli territoriali, fino alla platea nazionale.
In poche parole con questo metodo i tesserati dei vari circoli hanno la possibilità di scegliere solo i delegati, i quali andranno poi a far parte di assemblee che avranno il compito di nominare i nuovi vertici.
Nessuna elezione diretta quindi, con tutto il tempo per i capicorrente di organizzarsi e spartirsi le poltrone.
Il secondo scenario invece è la classica conta per mozioni, in cui gli iscritti votano direttamente i candidati segretari.
Le regole però non sono state fatte per incoraggiare eventuali competitors, visto che chiunque avesse voluto presentare una mozione alternativa avrebbe dovuto raccogliere in soli tre giorni (“dal 20 al 23 dicembre”) “le firme del 33% della direzione”.
La stessa direzione che ha approvato all’unanimità il regolamento blindato.
Con queste regole la rielezione di Raciti sembrava scontata.
Invece è arrivato il colpo di scena: uno sfidante c’è. Benifei appunto, che raccoglie le firme necessarie ma viene estromesso subito dalla competizione.
Perchè? Perchè ha presentato la sua mozione con cinque giorni di ritardo. “Anche Raciti però ha presentato le sue tesi oltre i termini, il 21 dicembre anzichè il 20 — obbietta il candidato escluso -. Le regole devono essere uguali per tutti. E poi è importante che il segretario sia scelto dalle decine di migliaia di iscritti dei Gd piuttosto che da qualche centinaio di delegati”.
Da regolamento, il segretario uscente avrebbe dovuto rendere pubbliche le tesi il 20 dicembre, invece sono state pubblicate online solo il 21.
Il primo ricorso Benifei lo ha presentato alla Commissione di garanzia della giovanile e dopo il parere negativo di quest’ultima (con molte ombre sulle modalità della decisione: i commissari hanno deciso a maggioranza e sono stati contattati via mail e telefono, senza una vera e propria riunione finale) l’aspirante segretario ha deciso di interpellare la Commissione di garanzia nazionale del Partito, che prenderà una decisione domani.
Il presidente dell’organismo, Luigi Berlinguer, al momento non vuole sbilanciarsi. “Valuteremo il caso con attenzione — dice a ilfattoquotidiano.it — ma prima del 12 non possiamo dare nessun orientamento, neanche per quanto riguarda la competenza”.
Il problema è proprio questo: se la Commissione dovesse dichiararsi incompetente il fascicolo arriverebbe direttamente sulla scrivania di Bersani e del suo responsabile organizzazione Nico Stumpo.
Il rischio è che l’organizzazione giovanile venga commissariata e che le beghe congressuali degli under 30 diventino una grana nazionale.
A quel punto molti big del partito potrebbero chiedere un intervento deciso del segretario, a partire da Veltroni e Franceschini che non hanno mai digerito la cancellazione delle primarie.
I franceschiniani, che nella giovanile hanno una corrente di peso, sono marcatamente a favore della pluralità di candidature.
Un dirigente molto vicino al capogruppo alla Camera ricorda di quando “nel 2009 aiutammo noi Parisi a raccogliere le firme per candidarsi in assemblea contro Franceschini”.
Più tiepidi i veltroniani, a cui la restaurazione del congresso non è mai andata giù.
“A noi le questioni burocratiche interessano poco”, spiega Walter Verini, braccio destro dell’ex ledaer, “di certo è inconcepibile che un’organizzazione di giovani che si definiscono democratici non si apra alle nuove generazioni con le primarie”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
NELLA BOZZA DEL DECRETO INTERVENTI SU POSTE, PROFESSIONI E TRASPORTI… DEROGA SULL’ART.18 PER LE FUSIONI
“Nei prossimi giorni dovremmo arrivare ad un provvedimento molto ampio per quanto
riguarda le liberalizzazioni”, ha annunciato ieri il premier Mario Monti durante la conferenza stampa con la cancelliera tedesca Angela Merkel.
“Lo scopo di tutta questa operazione -ha spiegato – è quello di conseguire più crescita e più equità “.
La “rivoluzione per decreto”, che scandirà la fase due dell’esecutivo tecnico per rilanciare la crescita, fa dunque il suo esordio.
E non solo come annuncio.
Una prima bozza diffusa ieri (anche se palazzo Chigi nega l’esistenza di un testo definitivo) riporta difatti in 28 articoli le possibili liberalizzazioni che il governo potrebbe trasformare in decreto entro il 20 gennaio.
Spicca, tra gli altri, anche una norma sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che lo arricchisce di un comma 1bis.
L’obbligo di reintegro, in caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano un numero di dipendenti pari o inferiore a 15, scatta solo se il numero complessivo di lavoratori è sopra le 50 unità .
Tra gli altri punti della bozza di decreto c’è un capitolo che riguarda la “promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali”.
L’Antitrust vigilerà sulla effettiva liberalizzazione e la reale concorrenza nei servizi erogati dagli enti locali: dal trasporto pubblico ai servizi integrati, ad eccezione dell’acqua. In questo caso le competenze resterebbero all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
Il commercio.
Saldi liberi tutto l’anno, senza vincoli di sconti e durata, per negozi grandi e piccoli e senza previo avviso al Comune di appartenenza.
L’articolo 2 della bozza, riservato alla “Libertà di praticare sconti”, prevede che “ogni impresa commerciale anche al dettaglio, in qualunque settore merceologico, può decidere in autonomia il periodo nel quale effettuare sconti, saldi e vendite straordinarie, la durata delle promozioni e l’entità delle riduzioni”.
Gli “obblighi preventivi di comunicazione all’amministrazione” verrebbero dunque eliminati. Così come le vendite “straordinarie” (liquidazione, fine stagione, promozionali), ricomprese nella più generale possibilità offerta agli esercenti di decidere come, quando, per quanto tempo offrire alla clientela la propria merce ribassata.
I consumatori.
La class action, ovvero il procedimento o azione di classe che i consumatori possono esercitare collettivamente per ottenere il risarcimento di un danno, ispirato alla legislazione anglosassone e ora tutelato dal Codice di consumo all’articolo 140-bis, potrebbe essere rafforzata.
Stando all’articolo 5 della bozza di decreto sulla concorrenza, il campo di applicazione delle class action verrebbe esteso e liberati i coaguli che ne bloccavano gli esiti, qualora si fermavano alla situazione e alle richiesta “individuale” ora superata dal concetto di omogenea.
L’articolo 6 rende più stringenti i tempi.
La Corte d’appello decide entro e non oltre 40 giorni. In caso di conciliazione le parti devono trovare un accordo sulla liquidazione entro 90 giorni.
Le professioni.
Abolite, in modo definitivo, le tariffe professionali. Architetti, avvocati, commercialisti che le usavano ancora, ma solo come “riferimento” (le minime furono cancellate da Bersani), potrebbero essere chiamati a farne a meno.
“Sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime”, comprese quelle dei notai, specifica l’articolo 7.
I professionisti (con esclusione dei medici del servizio nazionale) “concordano in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta”.
E nel preventivo hanno l’obbligo di indicare l’assicurazione stipulata per gli eventuali danni provocati al cliente. Il praticantato per l’accesso alle professioni potrà essere svolto nell’ultimo biennio di studi universitari.
Più in generale, abrogate “autorizzazioni, licenze, nulla osta” per l’avvio di un’attività economica.
I notai.
Brutte notizie per i notai italiani che verranno duramente colpiti dalla riforma. A 99 anni esatti dal varo della legge che regola la professione, alcuni punti cardine dell’Ordinamento del notariato vengono stravolti dalle liberalizzazioni.
I riferimenti alle tariffe dei notai, come quello contenuto nell’articolo 74, vengono cancellati. Sparisce il passaggio “gli onorari, i diritti accessori e le spese dovute in rimborso al notaro sono determinati dalla tariffa annessa alla presente legge”.
Alla pari delle altre categorie professionali, quindi, anche l’acquisto di un immobile potrebbe risultare meno oneroso per il compratore. Inoltre la nuova norma prevede l’incremento di 500 posti di notaio all’anno fino al 2013 per un totale di mille professionisti in più.
I benzinai.
Rivoluzione in arrivo nella distribuzione dei carburanti.
Se quanto contenuto nella bozza di decreto del governo sarà confermato, i benzinai titolari del distributore, potranno acquistare benzina, gasolio o gpl presso rivenditori e grossisti diversi dal marchio che campeggia sull’impianto.
Anche gli altri benzinai che non sono proprietari dell’impianto, potranno rifornirsi di prodotti raffinati per almeno il 20 per cento dell’erogato medio dell’anno precedente o del fabbisogno.
I distributori di benzina potranno trasformarsi in veri e propri minimarket (dai tabacchi ai giornali, fino ad altre tipologie di beni).
Inoltre la bozza apre la facoltà dei proprietari di pompe di benzina di trasformare più facilmente il proprio impianto in self service.
Possibili anche gruppi di acquisto tra benzinai per abbassare i costi.
Le spiagge.
Novità anche per il demanio marittimo e le spiagge che dovranno adeguarsi alle normative esistenti nell’Unione europea.
Il decreto impone la concessione dei beni attraverso «procedure ad evidenza pubblica trasparenti e pubblicizzate attraverso l’offerta economicamente più vantaggiosa».
Resta a tutela dei vecchi gestori, un “diritto di prelazione”, ma solo a patto che questi adeguino la loro offerta a quella risultata vincente nella gara.
Decadono anche le concessioni “a vita”: le cessioni del demanio marittimo non potranno avere durata maggiore di quattro anni. E non potranno, tra l’altro, essere prorogate automaticamente. In ogni caso, ogni rinnovo dovrà passare per nuove gare competitive.
I treni.
L’articolo 23 della bozza di decreto liberalizzazioni dispone la “indipendenza di Rete ferroviaria italiana dalle imprese operanti nel settore dei trasporti”. In pratica Rfi, la società di Ferrovie dello Stato che gestisce orari e le linee su ferro, verrà scorporata dal gruppo e riportata in totale autonomia e solitudine tra le braccia del ministero dell’Economia.
E quindi Trenitalia, al pari di altri concorrenti (come ad esempio la Ntv di Luca di Montezemolo), non avrà più corsie preferenziali ma dovrà mettersi in fila come altre società di trasporto ferroviario per richiedere eventuali autorizzazioni, tracce orarie, linee.
Anche il contratto di lavoro del settore viene eliminato.
Le farmacie.
La proposta del governo di ampliare “la pianta organica” delle farmacie, ovvero la loro capillarità sul territorio, anticipata nei giorni scorsi dal sottosegretario Catricalà , entra anche nella bozza del decreto all’articolo 11.
Il “quorum” scelto, cioè il rapporto tra numero di farmacie e abitanti, sarebbe quello di 1 a 3 mila.
Scenderebbe così dall’attuale, posto a 4 mila per i Comuni sopra i 12.500 abitanti e 5 mila per quelli al di sotto. Asticella, questa della numerosità degli enti locali, che scomparirebbe del tutto. La quota di 3 mila potrebbe trovare concordi anche Federfarma, che proponeva 3.500, e le associazioni delle parafarmacie, che rilanciavano a 2.500.
L’articolo 27 della bozza, poi, toglierebbe il potere all’Aifa di accertare l’esistenza di brevetti nell’autorizzare il commercio dei farmaci generici.
Taxi e autostrade.
Un corposo capitolo riguarda i trasporti. In particolare l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture prenderà in mano tutte le decisioni del settore, da quelle relative al numero di licenze di taxi da assegnare ai Comuni, fino alle tariffe autostradali (che saranno definite col criterio del price cap dal gennaio 2013) e ora proposte dall’Anas al ministero dello Sviluppo.
La nuova autorità secondo la bozza, avrà competenze su autostrade, ferrovie, aeroporti, porti, mobilità urbana legata a stazioni, scali aerei e porti.
Deciderà i propri interventi in base alle necessità del momento e valutata la presenza, o meno, di concorrenza in tutti questi settori. Compresi le licenze taxi che potrebbero così aumentare in alcune aree metropolitane.
Le poste.
Fa il passo definitivo la liberalizzazione dei servizi postali.
Cadono le ultime restrizioni a favore dell’ex monopolista Poste italiane per la spedizione di pacchi e raccomandate e assicurate che sarebbero comunque sparite a giugno prossimo. Il governo sta comunque pensando di favorire la concorrenza, magari con una gara aperta anche a operatori stranieri, anche il cosiddetto “servizio universale” cioè l’obbligo di mantenere in vita la circolazione della corrispondenza in ogni parte del territorio nazionale.
Il testo prevede che “in via transitoria Poste continui a garantire tali servizi fino alla chiusura delle procedure concorsuali senza ulteriori oneri per la finanza pubblica”.
Nessun riferimento invece sui servizi finanziari realizzati attraverso Bancoposta.
Lucio Cillis e Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
LA CAMERA RESPINGE LA RICHIESTA DI ARRESTO DEL DEPUTATO PDL, INDAGATO PER PRESUNTI RAPPORTI CON LA CAMORRA
La Camera dice no all’arresto di Nicola Cosentino, il deputato e coordinatore campano del Pdl indagato per presunti rapporti con la camorra.
Il voto si è svolto a scrutinio segreto: 309 deputati si sono espressi contro l’autorizzazione all’arresto, 298 a favore.
Nessuno si è astenuto.
Non appena il presidente della Camera ha letto il risultato del no dell’Aula alla richiesta d’arresto, tutti i deputati del Pdl sono scattati in piedi e si sono diretti al posto di Cosentino per abbracciarlo e congratularsi con lui.
Lungo è stato l’abbraccio tra lui e Alfonso Papa. Ma saluti e strette di mano sono arrivate da tutti gli altri colleghi di partito.
Silvio Berlusconi, invece, è rimasto seduto al suo posto, pur esprimendo soddisfazione con Cicchitto e Alfano.
Quello su Nicola Cosentino è stato il quarto voto poco più di due anni alla Camera sulla richiesta di arresto di un deputato.
Era toccato sempre a Cosentino che si era salvato dall’arresto una prima volta il 10 dicembre del 2009.
Allora i no alla richiesta della magistratura di Napoli furono 360 e 226 i sì.
Per Alfonso Papa, l’Aula della Camera decise l’arresto il 20 luglio dello scorso anno con 319 sì e 293 no.
Marco Milanese invece, il 22 settembre scorso, vide respingere la richiesta con 312 no e 306 sì.
Anche se il voto è segreto, sono stati evidentemente in molti, sia nelle file della Lega ma anche del Pd a non rispettare le consegne di partito: soprattutto, nel Carroccio, dopo la dichiarazione di Bossi che lasciava libertà di coscienza.
Quella del Senatur potrebbe essere l’ultimo favore che ha fatto a Berlusconi: la base non gradirà .
”Ero convinto che questa sarebbe stata la decisione del Parlamento che non poteva rinunciare alla tutela di se stesso. È una decisione giusta, in linea con la Costituzione. Il processo continuerà regolarmente e senza intoppi e il parlamentare lo affronterà da uomo libero come è giusto che sia”: così Silvio Berlusconi ha commentato il voto.
”Per me è un errore politico, ma ovviamente è legittimo” il voto dell’Aula, ha detto il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini.
“Chiedere alla Lega. Adesso la Lega lo spiegherà “, sono state le parole del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.
Dopo la proclamazione del risultato, tra i deputati del Carroccio è stato visibile il gelo. Tra gli uomini vicini a Roberto Maroni e quelli dell’Aula più bossiana la tensione non è svanita dopo l’animata riunione che ha sancito la libertà di coscienza pur con un orientamento al ‘si’.
“È ovvio che ci sono voti che arrivano dall’altra parte”, sottolinea Osvaldo Napoli (Pdl), al termine della votazione sulla richiesta di arresto nei confronti di Nicola Cosentino, bocciata dall’Aula della Camera.
“La spaccatura è dall’altra parte”, dice ancora Napoli riferendosi alle fila della ‘vecchia’ opposizione per aggiungere che ”questo dimostra che il Pdl era compatto”.
“La vergognosa Lega, con l’ipocrita richiamo al voto di coscienza dimostra, ancora una volta, di essere al servizio di Berlusconi e dei suoi stallieri”, ha affermato in una nota il portavoce dell’Italia dei valori, Leoluca Orlando.
La riunione del Carroccio alla Camera aveva avuto attimi di vera tensione.
Ad un certo punto Roberto Paolini ha citato Enzo Carra e il caso delle ‘manette spettacolo’.
Un riferimento storico (il portavoce di Arnaldo Forlani fu arrestato per falsa testimonianza e quelle immagini delle manette fecero il giro del mondo) per avvalorare la tesi della necessità di respingere gli ‘arresti facili’ che ha provocato la reazione di un gruppo di leghisti.
Ma è vero che ti ha chiamato Berlusconi?, è stata la ‘risposta’ di alcuni deputati.
È così che si è sfiorata la rissa tra i due, con alcuni esponenti del partito di via Bellerio, come Davide Caparini, intervenuti per dividerli.
La discussione è stata molto animata.
Umberto Bossi – riferiscono fonti parlamentari del Carroccio – ha preso inizialmente la parola spiegando che dalle carte non si evince nulla nei confronti del coordinatore campano del Pdl.
Il ‘Senatur’ ha premesso che la gente del nord è per l’arresto, ma che occorre lasciare libertà di coscienza, proprio perchè a suo dire non c’è alcuna prova di colpevolezza.
Poi a prendere la parola è stato Roberto Maroni che, spiegano fonti del Carroccio, si è limitato a raccontare gli esiti della segreteria della Lega di lunedì, sottolineando di non essere stato l’unico a voler votare sì all’arresto del deputato Pdl.
Bossi ha tirato le somme, evidenziando che non c’è alcun ‘fumus persecutionis’ ma ribadendo che ogni parlamentare potrà decidere autonomamente in Aula.
“Si gioca sul filo dei voti, abbiamo recuperato più di trenta parlamentari”, dicevano dal Pdl.
E alla fine i conti sono stati giusti.
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
LA CORTE COSTITUZIONALE HA DETTO NO AI QUESITI SULL’ABROGAZIONE PARZIALE O TOTALE DELLA LEGGE ELETTORALE, IL FAMIGERATO PORCELLUM DEL LEGHISTA CALDEROLI FIRMATO NEL 2006
I giudici della Corte Costituzionale chiamati a decidere sull’ammissibilità dei quesiti
referendari erano riuniti in camera di consiglio da questa mattina.
Dopo l’udienza partecipata a porte chiuse di ieri mattina nella quale sono stati ascoltati i legali rappresentanti del comitato promotore del referendum e i rappresentanti dell’Associazione giuristi democratici, i giudici della Consulta hanno ritenuto di proseguire oggi l’esame delle due questioni loro sottoposte.
Con la prima veniva chiesto loro di dichiarare ammissibile il quesito con cui si chiede l’abrogazione totale della legge elettorale studiata dall’ex ministro, che prevede liste bloccate e dunque toglie la facoltà agli elettori di esprimere una preferenza.
Il secondo quesito chiedeva di eliminare, ad una ad una, le novità introdotte dalla stessa legge Calderoli alla precedente legge elettorale abrogata nel 2005, il cosiddetto ‘Mattarellum’, secondo un’espressione coniata dal politologo Giovanni Sartori.
Ecco la nota diffusa dalla Consulta al termine dell’udienza: “La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica). La sentenza sarà depositata entro i termini previsti dalla legge”.
I ‘boatos’ parlamentari avevano preannunciato la bocciatura di entrambi i quesiti, accompagnata forse da una sollecitazione rivolta dalla Corte alle Camere a riformare il Porcellum, magari mettendone in discussione alcuni profili di costituzionalità di cui si avrà traccia quando verrà reso pubblico il dispositivo della sentenza.
Già ieri, quando nel pomeriggio tra i deputati del Pd si era diffusa la voce di una sentenza di bocciatura il referendario Arturo Parisi aveva invitato alla prudenza: “Aspettiamo. Il rinvio è un buon segno, vuol dire che nella Corte c’è discussione”.
Ma così non è andata. E Parisi, dopo l’esito negativo ha dichiarato: “Anche se il prolungamento della camera di consiglio aveva aperto la nostra attesa alla speranza, tutto posso dichiararmi fuorchè sorpreso.
Noi abbiamo fatto la nostra parte” afferma l’esponente Pd, “continueremo la nostra battaglia per interpretare il milione e duecentomila firme raccolte, in modo diverso in Parlamento e ancor più di prima all’esterno di esso”.
Antonio Di Pietro, altro convinto referendario, si era invece dichiarato “preoccupato dal clima”. Oggi il leader dell’Italia dei Valori è stato, se possibile, ancora più esplicito: “E’ uno scempio della democrazia — ha detto — così si rischia il regime. Manca solo l’olio di ricino”.
La legge elettorale verrà riformata in ogni caso in Parlamento, continuano intanto a ripetere Pdl, Pd e Terzo polo, sfidando chi ritiene che senza la ‘miccia’ referendaria non si farà niente.
Ma il dialogo si presenta in partenza complicato, se solo si considera lo scontro già emerso tra Pd e Idv.
Fa infuriare infatti il partito di Di Pietro la proposta di Enrico Letta di “costituire molto rapidamente un forum” sulla riforma elettorale tra “i partiti della maggioranza”.
Leoluca Orlando si appella a Napolitano e tuona: “Vogliono escluderci”. Riecheggiando così una preoccupazione già espressa dalla Lega.
Ma c’è anche chi lancia un allarme di altro tipo: “Se oggi venisse approvato il referendum e ci fosse il via libera all’arresto di Cosentino — dice Luciano Sardelli, mettendo in relazione due appuntamenti importanti della giornata — ci sarebbe un’innegabile accelerazione verso il voto anticipato in primavera”.
La Consulta ha disinnescato il primo allarme. Resta da vedere se Montecitorio farà il resto.
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Gennaio 12th, 2012 Riccardo Fucile
LA LEGA SI SPACCA: MARONI PER IL SI’ ALL’ARRESTO VIENE SMENTITO DAL BAGNINO DELLA PANZANIA CHE INDIRIZZA VERSO IL NO… IL DESTINO DI COSENTINO APPESO A UN FILO: FRANCHI SALVATORI DIETRO IL VOTO SEGRETO
Il leader della Lega Nord Umberto Bossi ha deciso di lasciare mano libera ai suoi sul voto sull’arresto del deputato e coordinatore del Pdl campano Nicola Cosentino.
“Lascio libertà di coscienza, nelle carte non c’è nulla. Bisogna stare tranquilli quando si parla di arresti”, ha detto Bossi ai microfoni di Repubblica Tv.
Una correzione di rotta rispetto alla linea adottata dalla segreteria della Lega, dove era passata la linea maroniana orientata al sì all’arresto dell’ex sottosegretario all’Economia.
Linea poi adottata dai rappresentanti leghisti nella Giunta per le autorizzazioni della Camera, che ieri ha dato il primo via libera all’arresto del parlamentare del Pdl. Oggi toccherà all’aula di Montecitorio pronunciarsi.
E un deputato del Popolo della libertà assicura che il suo partito è pronto a un vero e proprio “mezzogiorno di fuoco”.
Il Cavaliere per tutto il giorno ha pressato la Lega affinchè cambiasse idea. L’ex premier ha trascorso tutto il giorno a palazzo Grazioli, perennemente al telefono con i suoi fedelissimi che lo aggiornavano sulle trattative in corso per evitare che l’aula confermasse quanto deciso dalla Giunta per le Autorizzazioni.
Un pressing costante, accompagnato da tutto lo stato maggiore del partito. Berlusconi nel corso della giornata ha sentito più volte lo stesso Cosentino, che in serata l’ha raggiunto a palazzo Grazioli.
Ma nel mirino del Cavaliere c’era soprattutto Bossi: l’ex capo del governo l’avrebbe cercato più volte e, secondo qualcuno, tra i due ci sarebbe stato anche un incontro, il secondo dopo quello di lunedì a Milano.
“Ora – avrebbe detto Berlusconi – spero che tutti votino secondo coscienza e non per mero calcolo elettorale”.
Le parole di Bossi rendono il sì all’arresto di Cosentino molto meno scontato di quanto sembrasse dopo l’esito in Giunta.
Potrebbe risultare decisiva la procedura.
Se verrà chiesto il voto segreto, assicurano nel Pdl, potrebbero scattare “varie dinamiche” soprattutto tra i parlamentari campani anche di altre forze politiche: è vero che alcuni berlusconiani potrebbero dire sì all’arresto (“magari per ragioni personali”), ma altri (anche in Udc o Pd) potrebbero decidere di “graziare” l’ex sottosegretario.
L’esito della votazione è a questo punto molto incerto.
Di sicuro c’è soltanto la spaccatura sempre più evidente della Lega.
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