Gennaio 14th, 2012 Riccardo Fucile
MENTRE LA BASE LEGHISTA INONDA DI PROTESTE RADIO PADANIA E WEB PER AVER SALVATO COSENTINO, I BADANTI TANZANIANI DEL SENATUR METTONO MARONI AGLI ARRESTI DOMICILIARI… I DUE MAGGIORI ESPONENTI DEL CARROCCIO IN GUERRA SI RIVELANO PER QUELLO CHE SONO: DUE CACASOTTO… CI VOLEVA BERLUSCONI PER PORTARLI AL GOVERNO
Il leader della Lega Nord Umberto Bossi ha sospeso tutti gli incontri pubblici dell’ex
ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Secondo l’agenzia Tmnews, la decisione è stata comunicata oggi al consiglio direttivo della Lega che si è riunito in Bellerio.
La decisione giunge dopo l’aspra polemica divampata sul voto in Parlamento che ha salvato sull’arresto del parlamentare del Pdl Nicola Cosentino.
Oggi uno dei “custodi” dell’ortodossia bossiana, il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, noto fine intellettuale, ha attaccato Maroni con un post su Facebook: “Caro Roberto chi è causa del suo mal pianga se stesso. La Lega ha dato indicazione di votare per il sì all’arresto, salva la libertà di chi era contrario per questioni di principio. Lo abbiamo ‘salvato’ noi? Credo proprio di no, perchè come sai bene quasi tutto il gruppo ha seguito le indicazioni di Bossi che ha detto di votare sì, mica no. E poi se Cosentino andava messo in galera, perchè non ce lo hai detto quando eravate ministro tu e sottosegretario lui?”
Come se gli italiani non sapessero contare e non fosse evidente che 25-30 deputati della Lega hanno salvato Cosentino dall’arresto.
Sempre sul social network è comparsa la prima reazione di Maroni alla decisione del capo del suo partito: “Non so perchè, nessuno me lo ha spiegato, sono stupefatto, mi viene da vomitare: qualcuno vuole cacciarmi dalla Lega ma io non mollo”, si legge sul suo profilo Facebook.
Il sassofonista che per anni ha avallato le decisioni di Bossi ora fa quello che è caduto dal pero: quando sono stati cacciati centinaia di dirigenti e militanti per lesa maestà chissà dov’era Maroni. Forse impegnato nelle consulenze orali?
I riflettori in casa leghista sono ora puntati sulla manifestazione annunciata per domenica 22 a Milano.
“Prevedo che ci siano contestazioni – dice a microfoni spenti un leghista vicino al cosiddetto ‘cerchio magico’ – ma siamo pronti anche noi. Se contestano Bossi appena parlano – osserva, tanto per dare un’idea del clima nel Carroccio – pigliano tante di quelle legnate che non hanno neanche idea”.
E aggiunge: “se qualcuno si azzarda a dire ‘Maroni segretario’, è passibile di sanzioni”.
Una via di mezzo tra persecuzione statutaria e metodi da malavitosi insomma.
Intanto su Radio Padania continua lo psicodramma.
Anche oggi è andata in onda la protesta, dal caso Cosentino agli investimenti in Tanzania e al fallimento della banca della Lega con i mancati rimborsi a chi aveva investito.
Il conduttore ha replicato ai contestatori o togliendo la linea o spiegando perentorio: “Bossi propone un pacchetto con alcune soluzioni. Se le condividete bene altrimenti votate altri partiti che ce ne sono tanti. Bossi è il segretario federale, punto e basta”.
Detto fatto: in tanto voteranno per altri partiti o se ne staranno a casa, c’è un limite a tutto. Anche alla ubriachezza molesta.
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Gennaio 14th, 2012 Riccardo Fucile
LEGA SPACCATA: VOCI DI UN PIANO PER ESTROMETTERE MARONI DURANTE LA MANIFESTAZIONE DEL 22 A MILANO
La grande paura ora è per il 22 gennaio.
La manifestazione convocata in piazza del Duomo a Milano contro il «governo ladro», per le due Leghe che ormai convivono dietro Alberto da Giussano, è diventata un’incognita: secondo qualcuno rischia di essere un flop epocale, secondo altri, addirittura, di trasformarsi in un ring tra le opposte fazioni, maroniani contro clan di Gemonio.
Con i sostenitori dell’ex ministro dell’Interno a contestare i maggiorenti del movimento su un palco in cima al quale Roberto Maroni non sarà invitato.
Mentre ieri soffiavano forti le voci di un estromissione dalla segreteria padana del leghista più popolare dopo Bossi.
La giornata del voto su Cosentino ha sancito ciò che ormai era nei fatti: le Leghe ormai sono due.
Quella che fa capo a Umberto Bossi e quella che risponde all’ex ministro dell’Interno. Quella più sensibile all’alleanza storica con Silvio Berlusconi e quella che vorrebbe mani libere per ridare lustro a quella fisionomia di sindacato di territorio che molti ormai ritengono appannata.
Tutto incomincia con una tesissima riunione del gruppo a Montecitorio. Bossi non è ultimativo, quando gli parlano delle proteste sul web pare propendere per il sì all’arresto del parlamentare pdl.
Poi, si sfiora la boxe. Luca Paolini, a favore del no, ricorda i casi di Enzo Tortora e Enzo Carra.
Gianpaolo Dozzo vede rosso: l’ex esponente della Dc, nel giorno della malattia di Bossi nel 2004, non aveva trovato di meglio che invitare a preservare «questo Paese da chi lavora per la sua disunione».
I due deputati devono essere divisi: «È vero che ti ha chiamato Berlusconi?» grida Dozzo.
Poi, il voto.
Con una pattuglia di incerta entità della Lega che contribuisce a salvare Cosentino dal carcere e a cui Bossi non partecipa.
Maroni è amareggiato: «Non ho condiviso la posizione della libertà di voto, ma l’ho accettata perchè era la posizione espressa nel gruppo».
Sul web prende a circolare un video che mostra l’ex ministro nell’atto di votare a favore dell’arresto.
Immediata la solidarietà del sindaco di Verona, Flavio Tosi, che a «La zanzara» su Radio24 parla di «brutta pagina per la politica».
Poi, parla Bossi ed è un diluvio. Che comincia con una staffilata a Maroni? «È scontento? Non è che piangiamo per questo…».
Il capo dell’unico partito che abbia mai portato un cappio in Aula spiega poi che «la Lega non è mai stata forcaiola» e che Berlusconi, con la decisione padana, c’entra nulla: «Non ho parlato con Berlusconi nè prima nè dopo, non penso che il no della Camera all’arresto del deputato del Pdl rafforzi l’alleanza».
Ma ora, il big match è aperto. L’idea dei bossiani è quella di lasciare Maroni senza più cariche nè titoli per partecipare agli appuntamenti rilevanti del partito. Quanto all’impopolarità nell’elettorato padano della scelta riguardo a Cosentino, un bossiano di ferro spiega che «il problema, ora, non è prendere il 5, l’8 o il 10 per cento alle elezioni. Il punto, è fare pulizia nel partito».
Marco Cremonesi
(da “Il Corriere della Sera“)
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Gennaio 14th, 2012 Riccardo Fucile
GLI INVESTIMENTI DEL TESORIERE BELSITO HANNO GENERATO UNA SERIE DI BATTUTE E IRONIE SULLA RETE….IN PARTICOLARE TRA I SUPPORTER DI MARONI, I “BARBARI SOGNANTI”
Tra “Lega Nord Tanzania”, “Tanzania libera”, simboli artefatti a dovere e commenti
preoccupati, nel lungo elenco di sfottò al Carroccio che stanno spopolando sul web si trovano persino la tanzanite e la foto della corona norvegese.
Dopo la diffusione della notizia degli investimenti compiuti dal partito di Bossi nel continente nero sul web si sta infatti scatenando la corsa alla battuta sarcastica. Curiosamente molte di queste boutade arrivano proprio dall’interno della stessa Lega, con militanti e colonnelli che si stanno lasciando andare, soprattutto sui social network, a manifestazioni di aperto dissenso contro gli investimenti milionari operati dal tesoriere della Lega, Francesco Belsito, su fondi e titoli norvegesi, ciprioti e tanzaniani. Investimenti compiuti utilizzando i soldi dei rimborsi elettorali che, al posto di essere utilizzati per il sostegno delle sezioni (sempre in carenza di liquidità ), nella seconda metà di dicembre sono migrati verso posti esotici.
Una situazione paradossale a cui in molti nella Lega cercano di dare una spiegazione logica, ma non ci vuole molto ad imbattersi in esternazioni piccate.
Basta entrare nel profilo di qualche “barbaro sognante” (l’appellativo che molti maroniani aggiungono al proprio nome sui profili facebook) e leggere i commenti alla notizia: “Incredibile! La cassa del partito usata come patrimonio della famiglia Bossi! Mentre i militanti (e gli italiani/padani) hanno dovuto risarcire le casse della Banca della Padania. Cosa dobbiamo ancora scoprire?!”
E ancora: “Ma ai militanti fanno anche gli sconti per i viaggi in Tanzania?”, passando per i dubbi più seri: “Una domanda: se un giorno si dovesse sciogliere il partito “Lega Nord”, dove finirebbe quei soldi? con che criterio sarebbero ripartiti? Penso che partendo da questa domanda si possano capire molte cose”, sfiorando punte di vera e propria ostilità nei confronti degli esponenti più in vista del cerchio magico: “In Tanzania… si investe in piantagioni di banano… a febbraio arriveranno le banane più grosse del mondo…. per far contenta la Sim.Paticona. Sicuramente ne farà buon uso… sperando che si ricordi di mettersele anche in Bocca!” (messaggio che senza mezzi termini allude a Rosy Mauro, segretaria del Sin.Pa, il sindacato padano).
Così gli investimenti di Belsito (che risponde direttamente al Capo) hanno riaperto la frattura tra i maroniani e il cerchio magico bossiano.
Lunedì, alla riunione della segreteria politica leghista in via Bellerio il tema è stato affrontato apertamente e Roberto Maroni non ha usato mezzi termini per comunicare la propria indignazione, proponendo addirittura di rimuovere Belsito dal suo incarico. Proposta prontamente rispedita al mittente: tutta l’operazione sarebbe stata preventivamente concordata direttamente con Umberto Bossi.
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Gennaio 14th, 2012 Riccardo Fucile
IL DECRETO SULLA CONCORRENZA VERRA’ VARATO ENTRO LA PROSSIMA SETTIMANA… SODDISFATTE LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI… SECONDO L’ANTITRUST SI GUADAGNA UN PUNTO E MEZZO DI PIL
“Finalmente il governo ha ascoltato i consumatori”.
Esultano tutte le associazioni – da Adusbef a Federconsumatori, da Altroconsumo ad Adoc, dal Codacons al Movimento di difesa del cittadino – dopo la diffusione della bozza di decreto sulla concorrenza.
L’arma segreta del governo Monti per rilanciare la crescita nella “fase due” dovrebbe vedere la luce entro il 20 gennaio e per ora raccoglie il plauso dei consumatori.
“Le liberalizzazioni proposte, seppur non ancora confermate – dicono le associazioni – si allineano a quanto da noi richiesto”.
Motivo di tanto entusiasmo è il risparmio atteso dagli interventi a 360 gradi su benzina, farmacie, professioni, taxi, ferrovie, autostrade, servizi pubblici, treni, negozi.
L’intera operazione di “deregulation” riporterebbe nelle tasche di ogni famiglia italiana almeno 900 euro l’anno grazie all’apertura dei diversi mercati e al conseguente abbassamento di prezzi e tariffe.
Questo almeno in teoria.
Una ricaduta totale pari a 21,6 miliardi, un punto e mezzo di Pil, come confermato dall’Antitrust.
Un dato tuttavia sottostimato, dicono gli esperti. I risparmi potrebbero essere più generosi anche per i benefici in termini di qualità dei servizi offerti.
La vera, inaspettata, novità del decreto liberalizzazioni è l’articolo 6 della bozza sulla class action.
La normativa viene potenziata con l’eliminazione di alcuni meccanismi insidiosi che spesso bloccano le cause collettive.
Non sarà più necessario che tutti i ricorrenti abbiano una posizione “identica” (ad esempio uno stesso importo del danno da risarcire). Basterà la più logica “omogeneità “.
Solo un’apparente formalità , usata tuttavia dalle aziende come arma di difesa per ritardare i contenziosi.
Viene anche reintrodotta una misura presente nella legge Prodi, poi annacquata dal successivo governo Berlusconi: la possibilità di aderire all’azione collettiva fino al giudizio di appello (oggi fino a 120 giorni da quando il giudice ammette la causa). Innovativo anche l’articolo 5: a decidere se una clausola di un contratto è vessatoria o meno non sarà più solo il giudice su ricorso del consumatore o dell’associazione, ma l’Authority.
La misura più attesa dai consumatori era senz’altro quella sulla benzina, visto i continui rincari alla pompa che falcidiano i bilanci familiari.
La possibilità per i benzinai (sia proprietari che non, ma in misura diversa) di acquistare benzina, gasolio o gpl in modo libero e dunque da grossisti e rivenditori diversi dal marchio dell’impianto, apre squarci di possibili ribassi.
Così come la possibilità dei proprietari di trasformare l’impianto in self service.
E quella di vendere giornali, tabacchi, caramelle e altri beni.
Altroconsumo calcola in 3 miliardi il risparmio totale annuo (tra benzina e gasolio) che si traduce in 144 euro di minori aggravi per ogni famiglia. Adoc, Codacons, Unione nazionale consumatori e Movimento difesa del cittadino alzano il “bonus” a 200 euro.
Almeno 18-19 centesimi in meno al litro, 216 euro annui, per Federconsumatori-Adusbef, grazie alla trasformazione dei distributori in “plurimarchio”.
L’abbassamento del “quorum” consentirà una maggiore capillarità di farmacie sul territorio: una ogni 3 mila abitanti, dice la bozza di decreto.
Contro i 4 mila attuali per i Comuni sopra i 12.500 abitanti e 5 mila per quelli al di sotto.
Questo comporterà l’obbligo per le Regioni di mettere a bando, entro l’1 marzo 2013, 3.891 nuove sedi, di cui 882 nelle città più grandi (con più di 70 mila abitanti).
Se almeno l’80 per cento di queste nuove aperture non saranno assegnate, perchè la Regione non organizza i concorsi o li fa per una percentuale inferiore, allora la vendita dei farmaci di fascia C (quelli con obbligo di ricetta medica, ma a totale carico del cittadino) sarà liberalizzata e dunque possibile anche nelle parafarmacie e nei corner degli ipermercati, sempre alla presenza di un farmacista.
Roma dovrà assegnare 198 sedi in più, Palermo 49, Verona 20, Milano 11, Napoli 10, Firenze 5. Ma Bologna e Genova un tondo zero.
Saldi liberi tutto l’anno, senza limiti di tempo, durata nè ampiezza degli sconti praticati. E senza chiedere preventive autorizzazioni al Comune.
La misura piace moltissimo ai consumatori e riguarda 750 mila piccoli negozi, 10 mila supermercati, 600 ipermercati.
Secondo il Codacons, le mancate liberalizzazioni nel settore del commercio costano ai consumatori 8 miliardi di euro l’anno: 5,5 miliardi nel commercio al dettaglio alimentare, il restante 2,5 in quello non alimentare.
La deregulation dei saldi consentirebbe al commerciante di scegliere quando, come, per quanto tempo offrire il proprio magazzino prodotti a sconto.
I clienti avrebbero, così, un ventaglio di scelta più ampio e probabilmente più a buon mercato.
La spesa delle famiglie per i saldi stagionali, come li conosciamo, si è dimezzata dal 2007 ad oggi.
Un 50 per cento in meno dovuto certo alla crisi e che i venti di recessione sembrano confermare.
L’abolizione delle tariffe professionali (quelle minime erano state tolte da Bersani nel 2006, ma era rimasto il riferimento), accompagnata dall’obbligo per il professionista di produrre un preventivo, prima di ricevere il mandato, nel quale indicare sia la tariffa offerta secondo un “criterio di equità “, sia l’esistenza di un’assicurazione per eventuali danni provocati al cliente, dovrebbero portare ulteriori vantaggi per il consumatore.
Secondo Altroconsumo, il risparmio generale sulle tariffe applicate dai professionisti sarebbe del 30 per cento.
Nel caso dei notai, se allineassero la parcella di un rogito per l’acquisto di un appartamento, ad esempio, alle tariffe più basse del mercato, si avrebbe un risparmio di 579 euro su una parcella di 2 mila euro.
Una causa di separazione da 1.500 euro, invece, scenderebbe a mille. Secondo Codacons e Adoc il risparmio medio a famiglia sarebbe di 200 euro.
Valentina Conte
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 14th, 2012 Riccardo Fucile
PACE: “EVIDENTI DIFFICOLTA’ POLITICHE”… ONIDA: “I QUESITI ERANO AMMISSIBILI”… AINIS: “SI POTEVA SOLLEVARE LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE”
La legge elettorale ribattezzata “porcata” (che eleganza) non piaceva alla Consulta nel
2008, quando indicò al Parlamento sospetti di incostituzionalità .
Dubbi forse fugati, se i due nuovi quesiti sono finiti dritti dritti nel cestino. Accompagnati (così pare) da un “monito” al Parlamento, naturalmente privo di qualunque valore giuridico.
Delusi i moltissimi cittadini che aspirano a una legge elettorale dignitosamente priva di parolacce e pure i costituzionalisti che si sono battuti a sostegno del referendum.
I professori aspettano, con ansia e curiosità non solo accademica, le motivazioni. Alessandro Pace, rappresentante legale del Comitato promotore dei referendum, parla di “evidenti difficoltà politiche”. “È chiaro che inserire il referendum in un quadro tanto delicato avrebbe portato qualche sconvolgimento. Se ci fosse stato il referendum, saremmo tornati al Mattarellum. E avremmo votato presto: questa legislatura sarebbe terminata tra il malcontento di chi aveva interesse ad arrivare fino al 2013 e chi desiderava restare con l’attuale sistema elettorale”.
Il sito di Libertà e Giustizia, di cui il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky è presidente onorario, ospita un messaggio assai sconfortato.
“La decisione della Corte costituzionale crea per la prima volta in Italia una situazione di estremo allarme istituzionale. I cittadini delusi e decisi a far valere la loro volontà potrebbero essere indotti a un drammatico sciopero del voto, cioè a non accettare di andare nuovamente alle urne con il Porcellum”.
Libertà e Giustizia aveva raccolto le adesioni di 114 autorevoli giuristi, favorevoli all’ammissibilità dei quesiti.
Nell’appello scrivevano: “Al di là di aspetti che il Parlamento potrà sempre correggere, il ritorno alle “leggi Mattarella” potrebbe contribuire a ricostituire, attraverso i collegi uninominali, un rapporto più diretto fra parlamentari ed elettori e potrà evitare, pur in un quadro tendenzialmente maggioritario, la formazione di coalizioni rissose, fragili ed eterogenee, artificiosamente tenute insieme dalla conquista di un premio di maggioranza a livello nazionale”.
Tra i primi firmatari c’è Valerio Onida: “La decisione della Corte non è una sorpresa: è soprattutto una delusione. Era prevedibile, però. Sono ancora convinto che ci fosse una strada per arrivare all’ammissibilità , che non è stata seguita. La prospettiva di un referendum è sempre uno stimolo per le forze politiche. Se si fosse fatta la consultazione avremmo potuto conoscere la volontà popolare, che io credo si sarebbe espressa largamente contro l’attuale sistema. Una nuova legge è indispensabile, spero che le Camere ne siano consapevoli: c’è la questione delle liste bloccate, ma anche un premio di coalizione non collegato a una soglia significativa di voti. È un meccanismo inopportuno perchè crea alleanze il cui collante è solo quello di raggiungere la maggioranza”.
Stessa amarezza nelle dichiarazioni di Roberto Toniatti, docente all’Università di Trento: “Come tutti aspetto le motivazioni, anche se mi dispiace che la Corte non abbia accolto la mia interpretazione. Naturalmente sono molto deluso anche sul piano politico”.
A chi dobbiamo rivolgerci, ora?
A deputati e senatori, molti dei quali hanno votato il Porcellum.
Giovanni Guzzetta, docente all’Università di Roma Tor Vergata, spiega che “il parlamento può fare ancora di più di quello che lo strumento referendario consente: intervenire cioè sulla legge elettorale ma anche sulla Costituzione, perchè la legge elettorale da sola rischia di non bastare”.
Può, ma lo farà ?
Andrea Manzella, direttore del Centro studi sul parlamento dell’Università Luiss è ottimista: “Quando leggeremo le motivazioni della sentenza, mi auguro troveremo un monito al parlamento ben più pesante di quello già formulato dalla Corte. Ma voglio guardare al futuro che è già cominciato quando le Camere hanno votato la fiducia al nuovo governo. Il parlamento ora deve colmare il vuoto, ben più grave di un vuoto legislativo, che è quello etico-politico tra cittadini e istituzioni.
Michele Ainis aveva scritto sul Corriere che riteneva inammissibili i quesiti.
Oggi festeggia?
“Credo che la Corte non si potesse pronunciare in senso affermativo. Però poteva fare quel che non ha fatto: sollevare una questione di legittimità costituzionale”.
Stefano Rodotà riflette sulle dichiarazioni di alcuni politici contro la Consulta: “Mi preoccupano. Non mettiamo in discussione la Corte: è una delle istituzioni che ha tenuto in questi anni di berlusconismo, le dobbiamo molto. Non vedo nessuno scandalo in questa sentenza. Spero che metta il Parlamento di fronte alle proprie responsabilità ”.
Dello stesso avviso anche la professoressa Lorenza Carlassare: “Era troppo comodo farsi levare le castagne dal fuoco dalla Corte, che comunque non poteva pronunciarsi a favore. E poi il Mattarellum è una pessima legge”.
Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 14th, 2012 Riccardo Fucile
FONDAZIONE IN ROSSO, IL DENARO CHE EROGAVA E’ EVAPORATO… ALL’UNIVERSITA’ UN BUCO DA 200 MILIONI
Piena di storia e di bellezza, adorata dai turisti, con un problema di debiti troppo grande.
E una classe dirigente che si è rivelata drammaticamente inadeguata, per aver prima ignorato e poi sottovalutato i segnali che l’aria stava cambiando e che poi, in qualche caso, ha cercato di nascondere l’evidenza.
Per raccontare di Siena di oggi, com’è finita in questo pasticcio e come spera di uscirne basta però percorrere i pochi passi che separano tre tra i palazzi più belli di questa città . Il palazzo comunale, al centro di piazza del Campo.
La Rocca Salimbeni, dall’altro lato della piazza.
E palazzo Sansedoni, poco più in là lungo la passeggiata che ogni buon senese percorre con regolarità all’ora dell’aperitivo.
Il Monte dei Paschi è una banca particolare. Sta lì dal 1472 ed è il terzo gruppo bancario italiano.
Ma il suo cuore oltre che il suo controllo sono saldamente dentro alle mura della città e in mano alla città e ai gruppi di potere e interessi essa esprime.
Dei trentamila dipendenti del gruppo, circa 4000 sono in città e provincia.
Con l’indotto, significa che in ogni famiglia almeno un membro dipende dal «Monte», come lo chiamano i senesi.
Prima fonte di reddito per la città insieme all’Università : con i suoi circa 20 mila iscritti in maggioranza studenti fuorisede che pagano lauti affitti per un buco in centro. Anche all’Università c’è un buco: 200 milioni, con strascichi di inchieste e indagati illustri dai quali sta cercando di tirarsi fuori.
Neanche il Monte del resto se la passa troppo bene. Il suo presidente, Giuseppe Mussari, deve trovare entro il 20 gennaio 3,2 miliardi di euro per rafforzarne il capitale.
I problemi del Montepaschi oggi sono comuni a tante altre banche italiane e non: l’economia non gira, i Btp che pesano nel portafoglio.
In passato c’è stata l’operazione Antonveneta, pagata 9 miliardi nel 2008, giusto un attimo prima che venisse giù il mondo.
Proprio oggi a Rocca Salimbeni arriva l’uomo che cercherà di traghettare la banca fuori dalle secche della crisi.
Si chiama Fabrizio Viola, ha la faccia simpatica e la fama di bon vivant e sarà lui che, con Mussari, dovrà convincere Bankitalia che il Monte si potrà rafforzare anche senza fare il secondo aumento di capitale in pochi mesi, il terzo in tre anni. E qui arriva il secondo protagonista di questa storia.
La Fondazione Mps è l’ostinato e ormai anacronistico azionista di maggioranza assoluta della banca.
Dalla sua istituzione nel 1996 a oggi ha gestito, sotto forma di erogazioni, il fiume di soldi che le arrivavano dalla banca sotto forma di dividendi.
Oltre 1,9 miliardi in quindici anni, l’85 per cento dei quali nel territorio di Siena e provicia.
Ha ristrutturato scuole e palazzi, finanziato la ricerca biomedica e i poli museali, sistemato strade e promosso piccole imprese.
Ha anche dato soldi a pioggia, dalle bocciofile ai circoli di cicloamatori alle sagre paesane.
Perchè di soldi ce n’era tanti e sembrava non finissero mai. Pur di rimanere con più del 50 per cento, in questi anni, si è venduto quasi tutto quello che poteva vendere e si è indebitata.
A guidarla è, dal 2006, Gabriello Mancini, ex funzionario della Asl di Colle Valdelsa diventato principale azionista di una delle principali banche del paese.
Un giorno di fine novembre Gabriello Mancini comunica che i soldi non solo non ci sono più ma ne mancano parecchi. È successo che la fondazione si è indebitata per un miliardo e ha ipotecato ciò che aveva di più caro, ovvero le azioni della banca.
E messo fine per qualche anno al fiume di denaro descritto sopra.
Nel terzo palazzo, la sede del Comune, abita da qualche mese Franco Ceccuzzi. Quarantacinque anni, funzionario di partito (Ds poi Pd) e poi parlamentare, nella rossa Siena rappresenta comunque un’anomalia: è il primo sindaco dalla fine degli anni ’80 che non sia anche dipendente del Monte.
Da Rocca Salimbeni venivano gli ultimi tre sindaci, per un totale di cinque mandati da primo cittadino.
Ceccuzzi, «grande elettore» della Fondazione ha dato il via ad una sorta di spoil system alla senese.
Mussari, che lo aveva già annunciato da tempo, lascerà ad aprile la guida della banca. Mancini resiste, ma a Siena si assicura che dovrà anche lui cedere la poltrona.
A Ceccuzzi spetta il compito, difficile, d’inventarsi una città nuova, da gestire con meno soldi e più idee.
La prima si chiama Siena capitale europea della cultura: Ceccuzzi ha candidato la città toscana per il 2017 e da lì conta di ripartire.
Gianluca Paolucci
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