Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
LA CACCIA AI POLITICI E LA CRONACA DI UN FALLIMENTO
Palermo è fallita. E non per i debiti.
Per la mancanza di prospettive, di speranze.
Restano rabbia e dolore, cui un capopopolo scaltro e disperato ha dato un simbolo: i forconi.
Prendiamo il sindaco, Diego Cammarata, che si è dimesso lunedì scorso.
Ha governato per dieci anni la quinta città italiana, la capitale di un’isola-nazione conosciuta nel mondo intero, e nessuno se n’è accorto.
Sui quotidiani nazionali finì solo quando Striscia intervistò il dipendente pagato dal Comune per tenergli la barca.
«Il peggior sindaco di tutti i tempi» ha sentenziato il presidente della Regione, Lombardo. Ma no, Cammarata non è stato neppure il peggiore. Semplicemente, non è stato.
Fu eletto in quanto famiglio di Miccichè, famiglio di Dell’Utri, famiglio di Berlusconi. «Nuddu ammiscatu cu’ nenti» lo definisce un ambulante al mercato del Capo: il Nulla. Poi ride spalancando la bocca sdentata.
La prima azienda è la Regione: 28 mila dipendenti, precari compresi.
La seconda è il Comune: 19 mila.
Un apparato produttivo da Nord Africa, costi burocratici da Nord Europa.
La Palermo del 2012 ha angoli di bellezza struggente e altri da Terzo Mondo.
Impossibile restituire con le parole l’incanto dei mosaici della Cappella Palatina appena restaurati; poi esci, entri nei vicoli, e a duecento metri dalla sede del Parlamento più antico e più pagato al mondo ti inoltri tra le macerie dei bombardamenti del ’43, entri in una stalla con abbeveratoio, biada e tutto, cammini su selciati da asfaltare, avanzi a zigzag per evitare l’immondizia.
Oggi la città è strozzata da una nuova emergenza: la jacquerie, la rivolta spontanea, senza partiti nè sindacati, che ha preso il nome immaginifico di «Movimento dei forconi» e firma comunicati come questo, scritto tutto maiuscolo:
«È INIZIATA LA RIVOLUZIONE IN SICILIA! STANOTTE TUTTI I TIR AI PRESIDI! GRIDIAMO FORTE L’INDIGNAZIONE CONTRO UNA CLASSE POLITICA DI NEPOTISTI E LADRONI! ».
Sono camionisti, contadini, pescatori.
Bloccano i rifornimenti alla città : vuoti e quindi chiusi i distributori di benzina, nei supermercati cominciano a mancare frutta e verdura.
Ce l’hanno con tutti, da Lombardo a Sarkozy, da Cammarata alla Merkel, con Roma e con Bruxelles.
I camionisti, molti con il ritratto di Padre Pio sul cruscotto, chiedono aiuti per il gasolio.
I contadini vogliono più controlli sui prodotti stranieri e più sussidi per i propri: «Vendiamo il grano a 23 centesimi il chilo, paghiamo il pane a 3 euro e 50».
I pescatori hanno occupato l’ingresso del porto per denunciare che le norme europee impediscono il lavoro, il pescespada è specie protetta, il novellame neanche a parlarne, «intanto i giapponesi che avrebbero due oceani a disposizione vengono qui a pescarci sotto gli occhi il tonno migliore».
Il capopopolo che si è inventato il logo si chiama Martino Morsello, ha 57 anni, gira con un forcone di legno in pugno e firma mail come questa:
«IL SISTEMA ISTITUZIONALE È AL COLLASSO! I POLITICI RUBANO A DOPPIE MANI, E LO STESSO FANNO I BUROCRATI. LA RIVOLTA DEI SICILIANI È NECESSARIA E URGENTE. A MORTE QUESTA CLASSE POLITICA COME SI È FATTO CONTRO I FRANCESI CON IL VESPRO!».
Anche se su Facebook lancia proclami sanguinosi, nella realtà Morsello è un ex assessore socialista di Marsala, fondatore di un allevamento di orate finito male.
Vive in camper con la moglie. Tre figli, tutti disoccupati.
Esposti al prefetto e processi in corso contro le banche e la Serit, versione isolana di Equitalia.
Una passione per la storia siciliana, in particolare per le rivolte che, sostiene, scoppiano quasi sempre tra gennaio e marzo: i Vespri appunto, ma anche i Fasci siciliani.
«Nel 1893 qui vicino, a Caltavuturo, cinquecento contadini che avevano occupato le terre furono attaccati dai carabinieri. Tredici morti. Esplose una rivolta nazionale. E sa che giorno era? Il 20 gennaio! Oggi in Sicilia, domani in Italia!».
Boato dei camionisti del presidio.
I carabinieri li guardano con aria interrogativa. Sul camper c’è anche Rossella Accardo, vedova del capocantiere Antonio Maiorana, madre di Stefano, entrambi scomparsi, forse uccisi dalla mafia.
L’altro figlio, Marco, è caduto dal settimo piano, non si sa come. Ecco l’ultimo proclama:
«NELLE PROSSIME ORE I MANIFESTANTI AGIRANNO CON MANIERE FORTI PER CHIEDERE AL GOVERNO REGIONALE I PROVVEDIMENTI ADEGUATI. IL 70% DEL COSTO DEL CARBURANTE È TASSA CHE ALIMENTA GLI STIPENDI DI POLITICI CORROTTI E MAFIOSI. LA RIVOLTA DIVENTERA’ NAZIONALE».
Ai blocchi sono partite le prime coltellate, un venditore ambulante di carciofi ha sfregiato un camionista.
Più che i forconi, la Palermo borghese teme però gli ex carcerati della Gesip, la società che riunisce le cooperative sociali: duemila dipendenti, molti reduci dall’Ucciardone, che finora campavano di lavori socialmente utili.
I soldi finiscono a marzo, loro minacciano di «mettere la città a ferro e a fuoco». L’espressione in questi giorni si spreca, ma loro hanno già mostrato di intenderla alla lettera, incendiando i cassonetti dei rifiuti che l’Amia fatica a smaltire: dopo i fasti delle consulenze d’oro e dei funzionari in vacanza a Dubai, la municipalizzata è inmano a tre commissari e sull’orlo del fallimento.
L’Amat, l’azienda dei trasporti, attende 140 milioni dal Comune e da tempo non garantisce la revisione dei bus, come segnala la velenosa nuvola nera che si alza a ogni fermata come dalla coda di uno scorpione.
La linea di pullman per l’aeroporto ha gasolio per una sola settimana. I tassisti non lavorano. Pure il museo di arte contemporanea, nuovo di zecca, è già a rischio chiusura.
A quanto ammontino i debiti del Comune non lo sa nessuno, neppure il sindaco dimissionario, che annuncia una ricognizione definitiva.
Fino a qualche mese fa, una pezza la metteva il governo Berlusconi. A ogni Finanziaria qualche decina di milioni arrivava, magari per intercessione di Schifani che, come già i Borboni, ogni Natale distribuisce ai poveri il pane con la milza della focacceria San Francesco, marchio esportato in tutta Italia.
Ora i soldi sono finiti, la manovra di agosto ha tagliato i contratti, migliaia di precari perderanno anche quei 500 euro al mese che non garantivano futuro, crescita, dignità , ma almeno sopravvivenza.
E Morsello col forcone ha buon gioco a dettare alle agenzie: «IL MOVIMENTO CHIAMA A RACCOLTA TUTTI I SICILIANI PER LIBERARE LA SICILIA DALLA SCHIAVITU’ DI QUESTA CLASSE POLITICA!».
Un’occasione ci sarebbe già a maggio: Palermo elegge il nuovo sindaco.
Ma la confusione è massima.
Per dire, l’emergente Gaetano Armao, assessore regionale all’Economia, è dato ora come candidato di Pd e Lombardo, ora di Pdl e Udc.
In realtà , il centrodestra punta sul rettore dell’università , Roberto Lagalla.
Ci proverebbe volentieri pure Ciccio Musotto, ex presidente della Provincia incarcerato per mafia e assolto, figlio di un grande personaggio della Palermo borghese, la pittrice Rosanna, discendente di garibaldini («il Generale è per me persona di famiglia, ho ancora il suo portaocchiali, quando scendeva Craxi a Palermo dovevamo nascondergli i cimeli»). Il Pd, che qui non tocca palla da quindici anni – «la sinistra siciliana è più debole che ai tempi del fascismo» ama dire Calogero Mannino –, si divide tra chi vorrebbe un candidato centrista, appoggiato da Lombardo e Terzo polo, e chi vorrebbe risolvere la questione con le primarie del prossimo 26 febbraio: Rita Borsellino contro il trentenne Davide Faraone, allievo di Matteo Renzi.
Poi ci sarebbe Giuseppe Lumia, ex presidente dell’Antimafia.
Ma di mafia a Palermo nessuno parla volentieri. Al più, ci si scherza.
Come l’albergatrice che racconta: «I clienti stranieri mi chiedono sempre se nel quartiere c’è la mafia. All’inizio rispondevo di no, per tranquillizzarli. Loro però ci restavano malissimo, e uscivano delusi. Ora ho imparato a dire che sì, certo che c’è la mafia. Così escono con l’aria circospetta, strisciando lungo i muri, e si sentono davvero in un altrove».
Un altrove resta Palermo, di cui è giusto denunciare ogni guaio ma anche ricordare la commovente bellezza, gli stucchi del Serpotta più elaborati di quelli di Versailles, i fregi liberty del Basile degni dell’art nouveau parigina.
Una terra da sempre produttrice di miti, oggi inaridita.
Ci sarebbe Camilleri, che però ha quasi novant’anni e da sessanta vive a Roma; qui non tutti lo amano, se Lombardo lo voleva assessore Miccichè lo definì «grandissimo nemico, prezzolato ideologico, assassino del Polo».
Più che da miti, Palermo sembra abitata da fantasmi.
La grande editrice Elvira Sellerio. I grandi preti: il cardinale Pappalardo, che si ritirò a contemplare la città dall’alto dell’eremo, e padre Pintacuda, che salì sulla montagna di fronte, nel Castello Utveggio, a dirigere per conto di Forza Italia il centro studi della Regione.
Anime morte, come don Turturro, cugino dell’attore americano, il parroco antimafia che faceva innamorare popolane devote e giornaliste straniere: condannato per pedofilia.
Dal carcere sono usciti i killer del dodicenne Di Matteo sciolto nell’acido, ed è entrato–lontano, a Roma–Totò Cuffaro, cui non è bastato collezionare crocefissi, santi, ritratti di don Bosco e immagini della Bedda Madri (dell’Atto di affidamento della Sicilia al Cuore Immacolato di Maria stampò un milione di copie, «e le assicuro che l’Atto funziona, lo sa che abbiamo avuto due terremoti senza un solo morto?»).
Dal carcere è uscito Mannino – «al terzo mese cominciai a pisciare sangue» –, dopo anni di processi per stabilire se il suo soprannome fosse Lillo, come lo chiamano i parenti, o Caliddu, come dicevano i pentiti.
Leoluca Orlando, che vorrebbe candidarsi a sindaco per l’ennesima volta, colleziona invece nella sua villa liberty statuette di elefanti e ceramiche Florio («il massimo sarebbe un elefante in ceramica Florio. Lo cerco da sempre. Mai trovato»).
Sotto la camicia, porta una mano di Fatima e la piastrina che lo certifica come affetto dalla sindrome di Kartagener, «siamo in quattro in tutto il mondo, stampati al contrario, il cuore a destra il fegato a sinistra».
Ma in tutto il mondo non si trova una città come questa, nel bene e nel male.
Palermo (pan-ormos: tutto porto) è città madre, tonda, avvolgente, che accoglie ogni cosa come in un abbraccio, e ogni cosa racchiude: i mosaici come a Bisanzio, i suq come a Fes; il Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis è più bello di qualsiasi danza macabra germanica; nella chiesa della Catena, gotico catalano, sembra di essere a Barcellona; San Domenico, barocco coloniale spagnolo, pare Cuzco.
All’apparenza basta a se stessa, i calabresi disprezzati, i napoletani ignorati, i padani compatiti. In realtà , è figura dell’intero Paese.
Di una città come Palermo, di una Palermo risanata, l’Italia ha bisogno.
Oggi si impugnano i forconi e si grida di rabbia; domani una soluzione si deve cercare. Perchè non possiamo dire: se la cavi da sola.
Se Palermo fallisce per sempre, è un fallimento nostro.
Aldo Cazzullo
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
OGGI VERTICE DECISIVO, IL GOVERNO INSISTE: PIU’ LICENZE E TRASPARENZA DELLA TARIFFE… IL PDL SOFFIA SUL FUOCO PER RACCATTARE QUALCHE VOTO
Ce vonno precettà à à à “. Ci vogliono precettare. 
Urlato a squarciagola da un giovane “tassinaro” romano, perchè tra bombe carta e altoparlanti a tutto volume nel catino gelato del Circo Massimo le voci si perdono.
Qui anche ieri si sono riuniti i tassisti di Roma, ma anche di Milano, Torino, moltissimi i napoletani, c’è anche un camper di tassisti di Sanremo.
È lo spettro della precettazione annunciata dal Prefetto della Capitale, a scaldare gli animi. Una trattativa che c’è, ma non si deve chiamare così, e che viene interrotta in serata, a infiammarli.
Tutto rinviato alle 12 di oggi. La guerra dei tassisti, “l’inferno” minacciato da Loreno Bittarelli, il leader di “Unitaxi”, è solo rinviata.
“Se ieri sera il governo ci ha solo ascoltato — ha detto — allora scateniamo la guerra. E se è stata solo una audizione, allora faremo sentire le nostre ragioni. Se vogliono davvero il braccio di ferro succede l’inferno” .
Bittarelli, che nei giorni scorsi aveva indossato la maschera della colomba, ritorna falco. Sente di nuovo soffiare prepotente il vento della solidarietà spirare dalle parti del centrodestra e allora attacca.
“Ci sono delle liberalizzazioni che è giusto si facciano, energia, servizi finanziari e banche, ma queste saranno fatte con il piumino. Fare di tutta un’erba un fascio è una cazzata”.
Grande è la confusione dentro la leadership della cupola sindacale dei tassisti.
Bittarelli minaccia fuoco e fiamme perchè il governo mostra di non voler trattare, Raffaele Grassi, leader di Satam, consegna al governo un documento di 23 pagine con le richieste dei tassisti.
Un gesto che è l’anticamera di una trattativa vera e propria. No alla doppia licenza, territorialità delle concessioni, e ruolo più marcato dei sindaci nella definizione del numero delle licenze da concedere.
Ovviamente assieme alla costituenda Authority proposta dal governo.
Ma è una foglia di fico, quello che interessa ai tassisti, soprattutto delle grandi città , è il ruolo dei sindaci, è con loro (figure che ogni cinque anni devono essere rieletti) che vogliono intavolare le trattative.
“Ho preso visione del documento unitario — ha detto subito il sindaco di Roma Alemanno dopo aver incontrato Bittarelli — e sono proposte che rispecchiano le esigenze della categoria, ma che sono in grado di migliorare questo servizio pubblico tutelando gli interessi dei cittadini utenti”.
Al Circo Massimo, cuore della protesta, i tassisti sbirciano sui cellulari le agenzie con le prime dichiarazioni politiche.
Quelle del Pdl che annuncia di “condividere gran parte delle proteste dei tassisti” e che sulle resistenze alle liberalizzazioni gioca una partita decisiva.
In ballo ci sono voti, quei consensi che il partito di Berlusconi, secondo i sondaggi, sta perdendo. Il braccio di ferro continua e si annuncia ancora più duro.
Perchè le proposte del governo, le indiscrezioni di queste ore (“Monti faccia circolare meno bozze”, è la critica di Bersani, “il governo prenda le decisioni, poi verranno le discussioni e gli aggiustamenti”) vanno in direzione opposta e contraria alle richieste dei tassisti.
Maggiore apertura, flessibilità , trasparenza delle tariffe e concorrenza, questa la filosofia di base.
L’obiettivo del governo è aumentare le licenze, operando una compensazione una tantum (i cui termini sono ancora da definire) in favore di chi è già titolare.
I tassisti avranno la facoltà di vendere o affittare le licenze e di farsi sostituire nel servizio da soggetti che ne abbiano i requisiti, ma dovranno accettare l’esistenza sul mercato di tassisti part-time e orari di lavoro flessibili.
Si cancella la territorialità stabilendo che un tassista detentore di una licenza a Frosinone possa liberamente operare anche a Roma o in altre città .
Su questi punti, almeno fino a ieri sera, il governo non intende trattare . “E noi andremo avanti a oltranza con la protesta”, sono le voci che in tarda serata si levano dal Circo Massimo.
Che anche oggi sarà presidiato dalle delegazioni di tassisti di tutta Italia.
Enrico Fierro
(“Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
ARRIVANO LE LIBERALIZZAZIONI: PREVISTA ANCHE L’INDICAZIONE DEL FARMACO GENERICO NELLE RICETTE PER I MEDICI, LICENZE PART-TIME PER I TAXI, ASTA PER LE FREQUENZE, RATEIZZAZIONE FISCO, ACQUISTO BENZINA DA PIU’ COMPAGNIE
Arriva la liberalizzazione degli orari, e dei turni, per farmacie, ma soprattutto una stretta ai costi della Rc auto. Sono queste alcune delle novità contenute nella nuova bozza del Dl del governo sulle liberalizzazioni.
Si tratta, si legge nel documento, solo di “un primo intervento ad ampio raggio che è il frutto della convinzione di dover agire in tutte le direzioni, ovunque sia possibile inserire stimoli competitivi.
Dunque, è l’inizio di un lavoro, di una politica economica orientata alla crescita”.
In premessa è detto inoltre che ”Il quadro economico internazionale, il livello del debito pubblico e la crescita al rallentatore non consentono più al Paese sacche di privilegi e rendite di posizione”.
La bozza è composta da 44 articoli, 107 pagine inclusa una lunga relazione illustrativa sulle motivazioni del decreto e le relazioni ai singoli articoli.
Via l’Articolo 18.
Come richiesto dai sindacati, salta nella nuova bozza la proposta di modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Non c’è più infatti l’articolo 3 della precedente bozza che prevedeva in caso di fusioni aziendali tra piccole aziende con non più di 15 dipendenti, un aumento della soglia di licenziabilità a 50 lavoratori. In materia di lavoro, però, come Monti ha detto anche alla City, il governo intende ridurre il numero e i tipi di contratto per favorire “l’ingresso dei giovani” sul mercato.
Farmacie.
“Le farmacie – si legge nell’articolo 14 della bozza – possono svolgere la propria attività e i servizi medici aggiuntivi anche oltre i turni e gli orari di apertura”, ma resta il tetto dei 3mila abitanti per l’apertura di nuovi esercizi.
“Si tratta sicuramente di un potenziamento del servizio a vantaggio dei clienti – commenta Alessandro Mazzocca, presidente di Essere Farmacisti (associazione che raccoglie le parafarmacie) – . Purtroppo, però, c’è da sottolineare che nel decreto nulla è previsto per le parafarmacie. Noi chiediamo al governo che ci sia, per quanto riguarda le aperture di nuovi esercizi, una sorta di ‘quota’ riservata ai titolari di parafarmacie che hanno maturato un’adeguata esperienza nel campo”.
Medicinali.
Ma quella per le farmacie non è l’unica novità : d’ora in poi medici di famiglia saranno obbligati, salvo particolari situazioni, a specificare nella ricetta medica l’eventuale esistenza del farmaco equivalente.
“Il medico – si legge nella bozza – salvo che non sussistano ragioni terapeutiche contrarie nel caso specifico inserisce in ogni prescrizione medica le seguenti parole: ‘o farmaco equivalente se di minor prezzo’, ovvero specifica l’esistenza del farmaco equivalente”.
Il segretario della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), Giacomo Milillo, definisce la norma una “forzatura” assurda della liberta di prescrizione del medico, che sarà contestata in tutte le sedi.
Rc auto.
La bozza prevede che ”nel caso in cui l’assicurato acconsenta all’istallazione di meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati scatola nera o equivalenti, i costi sono a carico delle compagnie che praticano inoltre una riduzione rispetto alle tariffe stabilite”.
Il ministro Corrado Passera ha detto che l’obiettivo del governo è il ”contenimento dei costi Rc auto”. ”Il governo è intervenuto presso le associazioni delle imprese assicuratrici – ha aggiunto Passera – per approfondire e porre rimedio alla situazione di aumento generalizzato dei premi assicurativi e inviato una segnalazione all’Antitrust per attivare una verifica sull’eventuale esistenza di intese restrittive della concorrenza tra le compagnie di assicurazione”. Ania ha dichiarato di aver fornito al ministero dello Sviluppo Economico tutte le informazioni richieste sull’Rc Auto.
Carcere e radiazione per false perizie.
L’articolo 38 prevede il carcere fino a cinque anni e la radiazione dall’albo per i “periti assicurativi che accertano e stimano falsamente danni a cose conseguenti a sinistri stradali da cui derivi il risarcimento a carico della società assicuratrice”.
Pagamenti alle imprese
Sarebbe prevista anche una misura per obbligare le amministrazioni pubbliche a pagare le imprese private entro il termine dei 60 giorni stabilito dalle direttive europee. In caso di mancato pagamento, infatti, scatterebbe una norma che prevede una mora dell’8%, oltre che gli interessi maturati. La misura è in via di definizione.
Taxi.
La nuova ‘Autorità per le reti’, prevede ancora la bozza, determinerà per i taxi l’incremento del numero delle licenze, la possibilità per i titolari di averne più d’una, nuove licenze part-time, orari più flessibili, extraterritorialità e tariffe più flessibili trasparenza. Intanto i tassisti hanno consegnato al governo il documento unitario, in rappresentanza di 23 sigle sindacali, che raccoglie le contro-proposte della categoria sulle liberalizzazioni..
Banche, conto e Bancomat meno cari.
La bozza prevede l’istituzione per legge del conto corrente bancario di base. In assenza di intesa con l’Abi, saranno stabilite per legge anche le commissioni che le banche applicheranno sui prelievi fatti con Bancomat.
Tariffe professionali.
“Sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime”, si legge all’articolo 10 della bozza, che punta “a rendere libera la contrattazione tra il professionista e il cliente” sul compenso dovuto, favorendo la concorrenza e portando così vantaggi al consumatore.
E’ confermato che i professionisti saranno obbligati a fornire ai clienti un preventivo scritto per la prestazione richiesta. Sono esclusi medici e professioni sanitarie.
Tirocini professionali.
“Le università – prevede la bozza – possono prevedere nei rispettivi statuti e regolamenti che il tirocinio ovvero la pratica, finalizzati all’iscrizione negli albi professionali, siano svolti nell’ultimo biennio di studi per il conseguimento del diploma di laurea specialistica o magistrale; il tirocinio ovvero la pratica così svolti sono equiparati a ogni effetto di legge a quelli previsti nelle singole leggi professionali per l’iscrizione negli albi”. Il testo precisa che “sono esclusi i tirocini per l’esercizio delle professioni mediche o sanitarie”.
Aumentano i notai.
Entro il 2014 ci saranno 1.500 posti di notai in più. Lo prevede l’articolo 15 del decreto liberalizzazioni. I primi 500 saranno assegnati per concorso da svolgersi entro il 30 giugno del 2012, altri 500 con concorso bandito entro il 30 giugno 2013 e ulteriori 500 entro il 30 giugno 2014.
”Per gli anni successivi entro il 30 giugno è comunque bandito un concorso per la copertura di tutti i posti che si rendono disponibili”.
Stop a esclusiva benzinai.
I gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti titolari anche della relativa autorizzazione petrolifera possono liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore.
Nella bozza si consentono anche “aggregazioni di gestori di impianti di distribuzione di carburante” e la vendita ai distributori anche di alimenti e bevande, quotidiani e periodici e tabacchi.
Separazione rete gas.
La bozza prevede che entro sei mesi dall’entrata in vigore del Dl il governo dovrà emanare un Dpcm per la separazione di Snam Rete Gas da Eni.
La separazione netta fra la figura del fornitore del servizio e del proprietario della rete di distribuzione è stata ribadita da Monti nel discorso alla City.
Il problema si pone anche per Trenitalia- Ferrovie dello stato rispetto alla rete ferroviaria nazionale, ma qui il passaggio sembra più complicato. L’articolo 40 della bozza prevede che l’Autorità per l’Energia diventi “Autorità per le reti” e si occupi anche del settore dei trasporti.
Ricerca idrocarburi.
La bozza del decreto liberalizzazioni prevede, poi, una semplificazione delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi.
In sostanza, l’attività è libera laddove non è vietata e verrà svolta in seguito a rilascio di un titolo abilitativo unico, che potrà sviluppare il giacimento in caso di ricerca dall’esito positivo.
Entro un anno, poi, verranno individuate le aree all’interno delle quali selezionare i blocchi da assegnare tramite gara europea agli operatori.
Scende da 12 a 5 miglia il limite per la ricerca di idrocarburi in mare nelle zone circostanti le aree protette, dato che, come si legge nella relazione tecnica, la norma attuale ”ha avuto rilevanti impatti economici sulle attività del settore”, ”senza peraltro apportare un significativo miglioramento della tutela ambientale”.
Imprese ferrovarie.
Non c’è più l’obbligo, per le imprese ferroviarie e per le associazioni internazionali di imprese ferroviarie che operano in Italia, di osservare i contratti collettivi nazionali di settore, anche con riferimento, salvo rispetto delle leggi vigenti, alle prescrizioni in materia di condizioni di lavoro del personale.
Vendita giornali.
La bozza del decreto liberalizzazioni sopprime il limite minimo di superficie per la vendita della stampa quotidiana e periodica, agli esercizi commerciali e alle librerie.
È prevista, inoltre, la possibilità che le condizioni economiche e le modalità commerciali di cessione delle pubblicazioni possano variare, in funzione dei risultati conseguiti dall’esercizio e dei volumi di giornali acquistati nel punto vendita.
La disposizione – spiega la relazione alla norma – rimuovendo taluni vincoli alla distribuzione di giornali quotidiani e periodici, amplia l’offerta dei punti vendita così favorendo un più ampio volume di vendite.
Vengono anche potenziate le condizioni di concorrenza tra i venditori.
Promozioni commerciali.
Vendite commerciali promozionali e bollini a premio più semplici e più trasparenti sono previsti dall’articolo 2.
Le vendite abbinate promozionali sono ammesse anche al di fuori delle occasioni tradizionali o stagionali, purchè siano accompagnare da adeguata informazione semplificata ai consumatori.
Questo in quanto, ”possono essere un’utile opportunità per i consumatori e un interessante strumento concorrenziale”.
Beauty contest.
Il ministro Passera ha annunciato che porterà la questione del beauty contest delle frequenze tv all’attenzione del consiglio dei ministri di venerdì.
Sembra confermata l’intenzione di azzerare l’assegnazione gratuita fatta dal governo Berlusconi per procedere alla gara con assegnazione delle frequenze al miglior offerente.
Smaltimento nucleare.
La bozza del decreto liberalizzazioni prevede un’accelerazione delle attività di smantellamento dei vecchi siti nucleari.
In particolare si prevede una specifica procedura per accelerare la valutazione dei cinque progetti di disattivazione presentati da almeno 12 mesi, autorizzazioni più semplici per interventi urgenti, la previsione del valore di ‘autorizzazione unica’ per gli atti relativi all’esecuzione dei progetti e delle opere di disattivazione, ferme restando le specificità relative al Deposito nazionale.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
POSSIBILE ACCORDO SUL MODELLO CONTRATTUALE TRA ESECUTIVO E PARTI SOCIALI…POSTO GARANTITO DOPO TRE ANNI, MAGGIORE MOBILITA’ MA ANCHE MAGGIORE GARANZIE PER IL LAVORATORE
Un tavolo che nei corridoi di palazzo Chigi viene definito scherzosamente “filosofico”, introdotto
dal premier Mario Monti.
E, subito dopo, due tavoli operativi sulla riforma del mercato del lavoro e sulla crescita. Il primo con il ministro Elsa Fornero, il secondo con il titolare delle attività produttive, Corrado Passera.
E’ lo schema con cui si svolgerà lunedì la trattativa tra governo e parti sociali. Sul mercato del lavoro i sondaggi delle ultime ore inducono a un certo ottimismo.
Si sarebbe insomma trovato un terreno di comune discussione tra sindacati, ministri e imprenditori intorno al disegno di legge di riforma suggerito due anni fa dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi.
L’intendimento di Fornero sarebbe di arrivare a febbraio al varo del provvedimento. Esclusa l’ipotesi del decreto, più probabile che si vada verso il disegno di legge o il disegno di legge delega.
La filosofia è quella annunciata ieri da Mario Monti: “Dovremo ridurre la frammentazione dei contratti e far andare di pari passo la riforma del mercato del lavoro con quella degli ammortizzatori sociali”.
Poche parole per dare il via libera al contratto unico di apprendistato e all’introduzione del reddito di disoccupazione, i due assi della riforma Fornero.
L’obiettivo, spiega Monti, è quello di creare “una maggiore mobilità che protegga il lavoratore ma non renda sclerotico il mercato del lavoro” per favorire l’occupazione giovanile e renderla meno precaria.
Su questi presupposti si starebbe trovando una mediazione tra sindacati e industriali, con i partiti che, sia pure con qualche distinguo, non sarebbero pregiudizialmente contrari.
La riforma non toccherebbe direttamente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ma ne limiterebbe l’efficacia in alcune fasi della vita lavorativa dei dipendenti. Per la Cgil “è importante tenere insieme crescita ed equità “. Per la Cisl “è essenziale che il governo arrivi al tavolo con la disponibilità a contrattare davvero”.
Ma i tempi stringono ed è plausibile che i margini di trattativa non saranno molto ampi.
Lunedì, subito dopo aver aperto la riunione, Monti volerà a Bruxelles a rassicurare i partner europei sull’avvio delle riforme italiane. Ecco le linee principali del progetto.
Il contratto unico
Accesso con tutele a tappe, poi niente licenziamenti
L’idea è quella di sostituire con un unico contratto gli attuali 48 censiti dall’Istat. E’ la frammentazione che penalizza soprattutto donne e giovani e che porta il salario medio lordo di un lavoratore italiano il 32% sotto la media dei Paesi dell’area euro.
Nascerà per questo il Cui, contratto unico di ingresso.
Avrà due fasi: una di ingresso, che potrà durare, a seconda dei tipi di lavoro, fino a tre anni. E una seconda fase di stabilità , in cui il lavoratore godrà di tutte le tutele che oggi sono riservate ai contratti a tempo indeterminato.
Durante la fase di ingresso, in caso di licenziamento con motivazioni che non siano di tipo disciplinare (“giusta causa”), il datore di lavoro non avrà l’obbligo di reintegrare il dipendente ma potrà risarcirlo in pagando una specie di penale pari alla paga di cinque giorni lavorativi per ogni mese lavorato. In caso di una fase di ingresso di tre anni, il licenziamento dovrà essere risarcito con sei mesi di mensilità .
Già oggi, durante il periodo di prova, non si applica la l’articolo 18 sui licenziamenti. La riforma prevede che il periodo di prova si possa allungare fino a tre anni e in cambio concede che il contratto di ingresso si trasformi automaticamente, al termine della prova, a tempo indeterminato.
L’automatismo evita al lavoratore il succedersi di decine di minicontratti precari.
Le imprese dopo tre anni possono licenziare il dipendente con un risarcimento senza essere costrette ad assumerlo.
Tempo determinato
Per i contratti a termine salario sopra i 25mila euro
Oggi sono una prassi diffusa nelle aziende che possono così assumere senza prendersi impegni particolari nei confronti dei dipendenti.
La riforma li renderà invece una specie di lusso, un modo per remunerare professionisti e personale specializzato.
Uno studio del Collegio Carlo Alberto di Torino, di cui Garibaldi è direttore, mette in evidenza che nel 2008 il 96% dei dipendenti italiani a tempo determinato guadagnava meno di 35 mila euro lordi all’anno. Una retribuzione per mansioni medio basse.
Con il provvedimento allo studio invece sarà impossibile assumere a tempo determinato dipendenti per i quali viene corrisposto un salario inferiore ai 25 mila euro lordi annui (o proporzionalmente inferiore se la prestazione dura meno di dodici mesi).
Naturalmente faranno eccezione i lavori tipicamente stagionali (come quelli agricoli o alcuni nelle località turistiche).
Verrà messo un tetto anche ai contratti a progetto e di lavoro autonomo continuativo che rappresentino più di due terzi del reddito di un lavoratore con la stessa azienda.
Se questi contratti avranno una paga annua lorda inferiore ai 30 mila euro, saranno trasformati automaticamente in Cui. La riforma dovrebbe anche prevedere l’introduzione di un salario minimo legale stabilito da un accordo tra le parti sociali. Se non si trovasse l’accordo, il salario minimo dovrà essere fissato dal Cnel.
Gli ammortizzatori
Verso il reddito minimo, ma si cerca la copertura
Oggi sono di tre tipi: cassa integrazione ordinaria, cassa straordinaria e mobilità . L’obiettivo è quello di semplificare e tornare alle origini: con la cassa integrazione ordinaria che interviene solo per far fronte alle crisi cicliche e temporanee dei settori.
Per le crisi strutturali e il sostegno a chi ha perso il lavoro dovrebbe invece intervenire il reddito minimo di disoccupazione.
Una misura che esiste in molti Paesi occidentali ma che è costosa.
Soprattutto in fasi economiche, come l’attuale, in cui la ristrutturazione delle aziende lascia senza lavoro quote crescenti di lavoratori dipendenti.
Ieri Monti ha invitato a far procedere “di pari passo” la riforma degli ammortizzatori sociali con quella dei contratti di lavoro.
Non sarà facile. Con poche risorse a disposizione e con l’inasprimento dei requisiti per maturare il diritto alla pensione, sarà già difficile utilizzare strumenti come la mobilità lunga, oggi ampiamente sfruttati dalle aziende per ristrutturare scaricando almeno una parte dei costi sull’Inps.
E’ comunque probabile che il passaggio dalla mobilità al reddito minimo di disoccupazione avvenga in modo graduale nel tempo risolvendo contemporaneamente il problema dei molti che oggi si trovano in mezzo al guado, con una mobilità lunga calcolata per approdare a un’età pensionabile a sua volta allontanata dalla nuova riforma previdenziale.
All’estero
Ogni Paese ha la sua soglia per garantire i più deboli
In Italia non esiste un salario minimo, come invece si vorrebbe introdurre con la proposta di riforma del lavoro di Boeri e Garibaldi.
Il salario minimo è contrattato a livello di categoria o di azienda ed è quindi molto variabile.
Ma esistono aree, come quelle dei precari che lavorano a progetto, in cui del salario minimo non c’è traccia. Non è così all’estero dove gli Stati stabiliscono per legge qual è la paga oraria minima che un datore di lavoro può corrispondere.
In genere si tratta di soglie che vengono rivalutate annualmente agganciandole all’andamento dell’inflazione o alla dinamica del Pil.
L’obiettivo è comunque quello di stabilire un livello sotto il quale non è consentito andare per far si che tutti i lavoratori abbiano una paga in grado di mantenere una famiglia in condizioni dignitose.
Ogni paese ha fissato quella soglia, a seconda del suo livello di vita e dell’importanza che una nazione annette alla protezione sociale della fasce più deboli della società . Così in Francia il salario minimo è di circa 1.350 euro lordi mensili mentre in Spagna è di circa la metà , 600 euro lordi mensili.
Molto basso il salario minimo brasiliano, l’equivalente di 237 euro lordi mensili. Il salario minimo è cinque volte più alto in Inghilterra: 960 sterline, equivalenti a 1.150 euro.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
I CIE SONO AL LIVELLO PIU’ BASSO DA QUANDO SONO STATI ISTITUITI… SOLO IL 28% DEI RINTRACCIATI VIENE RIMPATRIATO, CONTRO IL 49% del 2003, SOLO 1 DENUNCIATO SU 5 VIENE ESPULSO DALL’ITALIA
È una macchina che non cammina.
Il complesso meccanismo di contrasto all’immigrazione irregolare, fatto di espulsioni, Cie e reato di clandestinità , non gira più a pieni regimi.
I numeri sono lì a dimostrarlo.
Flop delle espulsioni: oggi solo il 28% dei rintracciati viene rimpatriato, contro il 49% del 2003.
Bluff del reato di clandestinità : solo un denunciato su cinque viene espulso dal Paese.
Cie colabrodo: col 38% dei trattenuti effettivamente allontanati dall’Italia, si è raggiunto il livello più basso degli ultimi sei anni.
E così, salvo periodiche sanatorie, l’esercito degli irregolari ingrossa ogni anno le sue fila.
Stando agli ultimi dati Ismu, oggi in Italia vivono e lavorano 443mila immigrati senza permesso di soggiorno.
Il loro allontanamento dovrebbe avvenire o direttamente alle frontiere o dopo l’ingresso sul territorio italiano.
Che le armi contro di loro fossero spuntate già si sapeva, ma ora una ricerca del sociologo Asher Colombo, pubblicata dal Mulino, scatta una fotografia più completa e aggiornata della situazione.
Lo studio “Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia” sfata innanzitutto alcuni luoghi comuni sia sul fronte dell’accoglienza, che su quello della linea dura.
Si viene così a sapere che il nostro Paese ha collezionato dalla fine degli anni Settanta a oggi ben 12 sanatorie, regolarizzando 1 milione e 800mila immigrati.
Un record? No, rapportate alla popolazione italiana, le nostre sanatorie hanno avuto proporzioni inferiori a quelle della Spagna, Portogallo e Grecia e paragonabili a quelle realizzate in Francia e Austria negli anni in cui questi Paesi erano le destinazioni principali delle emigrazioni di massa.
Sul fronte opposto, si scopre come l’aver prolungato (nel luglio 2011) la durata massima di permanenza nei Cie a 18 mesi non rappresenta un’anomalia in Europa, visto che in molti Stati (in testa Gran Bretagna e Svezia) la durata prevista è illimitata. Insomma in materia d’immigrazione, pare che nessun Paese possa dare lezione agli altri.
Ma quello che più emerge dalla ricerca del Mulino è l’inefficacia della macchina italiana dei controlli. Frenano le espulsioni: il loro numero cresce infatti ininterrottamente fino al 2002 (superando quota 44mila), per poi calare e raggiungere poco più di 10 mila casi all’anno.
Oggi in Italia solo il 28% dei rintracciati in posizione irregolare viene espulso, contro il 49% del 2003.
Un calo dovuto in parte alla sentenza del 2004 della Corte costituzionale, che ha sbarrato la strada ai rimpatri senza un preventivo controllo da parte di un magistrato.
A inceppare la macchina repressiva è anche il nuovo reato di clandestinità .
All’elevato numero di denunce (quasi 20mila da agosto 2009 ad aprile 2010), non corrisponde infatti un numero altrettanto elevato di espulsioni.
Finora solo un denunciato su cinque ha ricevuto la sanzione dell’espulsione, ma per alcune nazionalità la quota scende ulteriormente.
È il caso dei cinesi, ucraini, egiziani, pakistani, ghanesi, ivoriani, per i quali al massimo il 15% dei denunciati ha ricevuto l’ordine di espulsione.
“L’introduzione di questo reato – scrive Asher Colombo – rischia di ingolfare le procure e non ha raggiunto uno degli obiettivi principali che si prefiggeva, quello di accrescere l’efficacia delle espulsioni”.
Infine i Cie: chi viene rinchiuso raramente torna in patria.
Nel 2009, quando le espulsioni effettive sono state pari al 38% dei trattenuti, si è raggiunto il livello più basso degli ultimi sei anni. Non solo.
I Centri fanno selezione: entrano con più probabilità gli immigrati irregolari facilmente espellibili perchè provenienti da Paesi con i quali esistono accordi di rimpatrio di buona qualità . Non solo.
C’è anche una lunga lista d’attesa: il numero di domande di trattenimento di irregolari presentate dalle questure che non hanno Cie sul proprio territorio è di gran lunga superiore ai posti disponibili.
Dal 2003 a oggi la quota di richieste non evase è stata non solo superiore alla metà , ma pari a tre quarti.
Si capisce allora perchè l’espulsione in Italia è diventata una sorta di roulette.
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
LA PASSIONE DEL PRESIDENTE PER LE VACANZE A SPESE ALTRUI…SI E’ APERTO UN CONFLITTO AI VERTICI DI CL: DON CARRON E MONSIGNOR SCOLA CONTRO I FORMIGONIANI… GLI ARRESTATI PONZONI E DACCO’ NELL’ELENCO DEI BENEFATTORI
Chissà che cosa pensa don Julià¡n delle vacanze di Roberto Formigoni. 
Don Julià¡n Carrà³n è l’erede di don Luigi Giussani che da sette anni guida Comunione e liberazione.
I “ciellologi” sostengono stia ora tentando, assieme al cardinale di Milano Angelo Scola, di raddrizzare la rotta al movimento, dopo l’ubriacatura berlusconiana e gli scandali all’ombra del Pirellone.
L’ultimo colpo è stato l’arresto di Massimo Ponzoni, ex assessore del presidentissimo della Regione Lombardia.
Il ragioniere che curava i conti (piuttosto disastrati) delle società di Ponzoni, Massimo Pennisi, in una sua lettera-testamento scrive: “La stessa Immobiliare Mais ha pagato varie volte noleggi di barche e vacanze esotiche allo stesso Ponzoni e al suo capo Formigoni”.
Una società di Ponzoni dunque, la Immobiliare Mais, secondo il ragioniere avrebbe saldato il conto di barche e vacanze al “Celeste”.
Più che imbarazzante, se si dimostrasse vero: ma Formigoni ha smentito subito con decisione e ieri ha cinguettato su Twitter: Whoever wishes to delegitimize the political system of the Lombardy Region is deluding himself (Chiunque speri di delegittimare il sistema politico della Regione Lombardia sta deludendo se stesso).
Non può negare di essere salito sullo yacht di un altro arrestato, il faccendiere Piero Daccò: lo incastrano le foto.
Pantaloni bianchi, torso nudo o canottiera fucsia, il “Formiga” se la gode in buona compagnia, nel mare cristallino della Costa Smeralda.
E Daccò è il mediatore targato Cl accusato dalla Procura di Milano di aver fatto sparire nei suoi conti all’estero i soldi sottratti al San Raffaele di don Luigi Verzè.
E non c’è solo la barca del faccendiere che sussurrava a Formigoni.
C’è anche l’aereo di don Verzè.
Su quel velivolo il Celeste è volato a Saint Marteen, Caraibi.
Parola di Stefania Galli, fedele segretaria di Mario Cal, sventurato braccio destro di don Verzè: “Ricordo che una volta”, detta a verbale, “mi fu chiesto dal dottor Cal di prenotare un volo per Saint Marteen a bordo del quale ci sarebbero stato Daccò e Formigoni”.
Ci aveva provato, a non avere la tentazione di andare sulle barche degli altri. Nei primi anni del Duemila aveva la sua, 15 metri e due motori da 400 cavalli: Obelix, ormeggiata nel porto di Lavagna, in Liguria.
Oddio, non era proprio sua: in quanto membro dei Memores Domini, nucleo d’acciaio di Cl, ha fatto il voto di povertà , oltre che di obbedienza e di castità .
Era una barca comunitaria, Obelix, proprietà collettiva dei Memores.
Il vecchio proprietario, Adelio Garavaglia, l’aveva venduta nel 2002 a persone tutte del “Gruppo Adulto” di Cl: Fabrizio Rota, Alberto Perego, Alfredo Perico e Formigoni.
In più, c’era anche Oriana Ruozi, unica non appartenente ai Memores e moglie di Mazarino De Petro, braccio destro del presidentissimo (condannato e poi prescritto per le tangenti degli affari petroliferi Oil for food con Saddam).
Garavaglia aveva incassato 670 milioni di lire, 470 dichiarati e 200 in nero.
Il pagamento di Obelix è un’avventura.
Formigoni versa a Garavaglia 111 mila euro dai suoi conti: 10 mila nel gennaio 2002 con un assegno della Banca Popolare di Sondrio; 51 mila euro nel febbraio 2002 con un bonifico che parte dalla Banque Populaire d’Alsace; e 50 mila euro nel luglio 2002 con un altro assegno della Popolare di Sondrio.
Il resto lo paga De Petro un po’ alla volta, per lo più in contanti.
Racconta Garavaglia: “Ci incontravamo nei fine settimana a Lavagna, nei pressi della mia ex imbarcazione; io chiedevo a De Petro se avesse portato qualcosa per me, e lui tirava fuori dal suo borsello a tracolla mazzette di banconote tenute insieme da un elastico, sempre tra i 10 e i 15 mila euro per volta”.
In altre occasioni, Garavaglia incassava assegni, a volte intestati a nomi falsi (gli inesistenti Carlo Rossi e Giancarlo Rossi).
I Memores si affollano a portar soldi per pagare Obelix.
Alberto Villa, per esempio, versa 10 mila euro presi da una cassetta di legno che tiene sotto il letto. È “la mia esigua quota di partecipazione”, spiega al pm Alfredo Robledo.
Quando questi gli dice che dagli atti non risulta tra i proprietari, Villa cade dalle nuvole: “Apprendo solo in questa sede di non avere alcuna partecipazione nella proprietà dell’imbarcazione, ero convinto di esserne proprietario anch’io”.
Chissà se don Julià¡n Carrà³n sa queste cose.
Dicono che il suo programma sia ora quello di mettere al riparo Cl-movimento ecclesiale da Cl-Compagnia delle Opere-movimento economico e politico.
Ha addirittura minacciato di dimettersi e di tornarsene in Spagna: vedremo chi vincerà , tra l’erede spirituale di don Giussani e il presidentissimo dalle vacanze pericolose.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
SONO LASCIATI MARCIRE O CON PROGETTI DI RICONVERSIONE: DIVENTATI RIFIUGI PER SBANDATI, DEPOSITO PER RIFIUTI, PALESTRE, PASTIFICI…MA LA PAROLA D’ORDINE E’ COSTRUIRE E FAR GIRARE SOLDI
Per la maggior parte si tratta di case mandamentali.
Istituti, che, secondo il Dap, “non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario”.
Eppure due anni fa la Corte dei Conti si è espressa contro la decisione di chiuderle.
“Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere.
Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi.
Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No.
A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune.
Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco.
A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica.
Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio.
Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani.
Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario.
Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perchè antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo.
Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle.
Anche perchè, quando è successo, i risultati sono stati evidenti.
Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero.
La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi.
Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate.
È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna.
Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania.
Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa.
E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012.
Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci.
Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti.
Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi.
Il motivo? Mancano agenti di polizia.
Nessuno ci aveva pensato.
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
SMENTITA LA TESI DEI MERIDIONALI “FURBETTI” CHE VANNO AL NORD E POI SI FANNO RIMANDARE NELLE REGIONI DI ORIGINE…LOMBARDIA E VENETO SONO AL DI SOTTO DELLA MEDIA NAZIONALE
Insegnanti più stabili al Nord e “ballerini” al Sud. 
I dati messi a disposizione dal sito del ministero “Scuola in chiaro”- il link lanciato dal ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, per consentire alle famiglie di scegliere con maggiore consapevolezza la scuola dove iscrivere i propri figli – smontano un luogo comune sui docenti meridionali in “missione” al Nord e consegnano agli italiani un’altra verità : della più volte lamentata “toccata e fuga” dei “terroni” nelle scuole del settentrionali non c’è traccia.
Eppure, la presunta “furberia” di questi ultimi, che si sposterebbero nelle regioni del Nord per “rubare” i posti ai colleghi del luogo e dopo pochi anni rifarebbero le valigie in direzione opposta, lasciando le cattedre vacanti, è stata uno dei leit motiv della politica leghista degli ultimi anni.
E se questa migrazione si è in qualche caso verificata, in base ai numeri pubblicati qualche giorno fa da viale Trastevere, è stata del tutto marginale.
I dati lo confermano.
Scorrendo la tabella con il tasso di mobilità regionale di maestri e professori, si scopre che il corpo docente più stabile è proprio al Nord: meno trasferimenti e, di conseguenza, più continuità didattica.
Vale la pena citare qualche dato.
In Lombardia e Veneto, roccaforti leghiste, i trasferimenti degli insegnanti di scuola elementare ammontano rispettivamente al 4,2 e 3,1 per cento: sotto la media nazionale che si attesta al 4,3 per cento.
I dati in questione si riferiscono a “tutti” i trasferimenti: quelli all’interno del comune e della provincia e la piccola percentuale di trasferimenti interprovinciali, che scattano solo all’ultimo nel complesso sistema della mobilità dei docenti.
Una “percentuale della percentuale” che riduce ancora il fenomeno dei docenti che ottengono il via libera per tornare al Sud.
Ma, allora, forse il fenomeno esplode nelle medie? Niente affatto.
Anche qui nelle due regioni simbolo dell’impegno leghista contro “l’invasione” dello “straniero” meridionale i conti non tornano: 7,2 per cento di trasferimenti in Lombardia e 8,5 in Veneto.
Contro una media nazionale che tocca quota 9,0 per cento. In tutte le regioni settentrionali il tasso di mobilità dei docenti per “trasferimento a domanda” è del 5,5 per cento, contro una media nazionale del 6,2 per cento.
E’, paradossalmente, al Sud che la classe docente è più dinamica: 6,8 per cento.
E la presunta fuga degli insegnanti meridionali verso le regioni d’origine?
I dati ministeriali sono confermati da uno studio della Fondazione Agnelli, che nell’ottobre 2009 censì il numero dei docenti che ottennero il lasciapassare dal Nord verso una scuola meridionale: 691 in tutto su oltre 69 mila richieste soddisfatte.
E per dare l’idea dell’impatto che questo fenomeno può avere sulle scuole settentrionali basta fare due conti.
Nelle sei regioni del Nord – escluse Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige – sono presenti 3 mila e 500 istituzioni scolastiche e quasi 16 mila plessi.
Le 691 fughe verso le scuole del Mezzogiorno toccherebbero quindi un plesso ogni 23.
Salvo Intravaia
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 19th, 2012 Riccardo Fucile
“TROPPI PROCESSI DA SMALTIRE, BEN 9 MILIONI DI PRATICHE: TEMPI DI OLTRE 7 ANNI NEL CIVILE E 5 NEL PENALE”…LO STATO PAGA 46 MILIONI DI EURO PER INGIUSTA DETENZIONE ED ERRORI GIUDIZIARI
Secondo la Banca d’Italia “l’inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all’1% del Pil” e questo dato “non deve meravigliare.
E’ chiaro che l’andamento dell’economia è influenzato anche dall’inefficienza della giustizia civile”.
E non solo: troppi processi da smaltire, con tempi per arrivare a conclusione che vanno dagli oltre sette anni nel civile ai quasi cinque nel penale.
Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha iniziato così la relazione alla Camera sullo stato della Giustizia.
Con una premessa: “Per quanto possa apparire paradossale, proprio oggi, in presenza di una drammatica congiuntura economica internazionale, si presenta l’occasione, forse irripetibile, di riformare davvero il sistema giudiziario italiano”.
E un segnale di speranza: “Gli interventi messi a punto dal governo Monti per migliorare la situazione del sistema giustizia non sono ancora riusciti a determinare una svolta positiva e strutturale nel sistema giudiziario italiano” ma “non mancano nè i segnali positivi, nè le potenzialità che consentono di prevedere un miglioramento concreto”. Neanche un accenno a quello che era un cavallo di battaglia di Berlusconi: lo scontro tra toghe e politica.
Giustizia lenta.
Troppi processi da smaltire, con tempi per arrivare a conclusione che vanno dagli oltre sette anni nel civile ai quasi cinque nel penale.
Un quadro generale che “desta forti preoccupazioni sia in ordine all’enorme mole dell’arretrato da smaltire che, al 30 giugno del 2011, è pari a quasi 9 milioni di processi (5,5 milioni per il civile e 3,4 milioni per il penale), sia con riferimento ai tempi medi di definizione che nel civile sono pari a sette anni e tre mesi (2.645 giorni) e nel penale a quattro anni e nove mesi (1.753 giorni)”.
Severino sottolinea che con oltre 2,8 milioni di nuove cause in ingresso in primo grado l’Italia è seconda soltanto alla Russia nella speciale classifica stilata nel rapporto internazionale Cepej.
“Ebbene proprio questo fenomeno determina un ulteriore intasamento del sistema conseguente al numero progressivamente crescente di cause intraprese dai cittadini per ottenere un indennizzo conseguente alla ritardata giustizia” sintetizza il ministro.
Ingiusta detenzione.
Per ingiusta detenzione ed errore giudiziario nel solo 2011 lo Stato “ha subito un esborso pari ad oltre 46 milioni di euro”.
In media ogni anno, continua il ministro, si celebrano 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione o errore giudiziario.
Non meno rilevanti sono le conseguenze dell’eccessiva durata del processo penale: “I detenuti in attesa di giudizio rappresentano il 42% dell’intera popolazione carceraria”. “E se è vero che la libertà personale può e deve essere limitata per tutelare la collettività – aggiunge la Severino – è incontestabile che una dilatazione eccessiva della durata del processo pregiudica questo delicato equilibrio tra valori di rango costituzionale ed aumenta la sofferenza di chi è costretto ad attendere, da recluso, una sentenza che ne accerti le responsabilità . Con la possibilità , non del tutto remota, che alla carcerazione preventiva segua una sentenza assolutoria”.
Emergenza carceri.
“Sento fortissima, insieme a tutto il governo, la necessità di agire in via prioritaria e senza tentennamenti per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti, ma anche degli agenti della polizia penitenziaria, che negli stessi luoghi ne condividono la realtà e, spesso, le sofferenze”, scandisce il Guardasigilli.
Spiegando che, al di là dei dati numerici, (sono “66.897 i detenuti che, salvo poche virtuose eccezioni, soffrono modalità di custodia francamente inaccettabili per un Paese come l’Italia”), “siamo di fronte a un’emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica, poichè il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana”.
Ciò premesso, il ministro non fa riferimento alcuno a provvedimenti di clemenza, tipo l’amnistia, chiesta dai radicali.
Se non per ribadire quanto già affermato in più occasioni: “L’amnistia richiede maggioranze qualificate e richiede l’attivazione del Parlamento. E ho già detto che se il Parlamento dovesse raggiungere delle intese su questo il governo, e io stessa come ministro, non avrebbe nulla da obiettare in ossequio alla volonta parlamentare”.
Spese burocrazia.
L’Italia “non può più permettersi oltre 2.000 uffici giudiziari allocati in 3.000 edifici”. Troppe spese e troppa burocrazia.
Secondo il ministro occorre quindi “ridurre le spese di gestione” e “razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane esistenti, in progressivo decremento a causa del blocco delle assunzioni e del numero medio dei pensionamenti annuali, pari a circa 1.200 unità .
Il decreto che taglia il numero dei tribunali e prevede l’accorpamento di 674 uffici, consentendo di recuperare 2.104 unità di personale amministrativo e di risparmiare, a regime, 28 milioni di euro l’anno”.
Domiciliari.
L’innalzamento da 12 a 18 mesi della soglia della pena detentiva residua per l’accesso alla detenzione domiciliare porterà quasi a raddoppiare il numero dei detenuti che potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare.
Severino si sofferma sulle misure previste dal decreto legge per contrastare il sovraffollamento delle carceri e spiega che la norma sulla detenzione domiciliare consentirà di aggiungere “agli oltre 3.800 detenuti sino ad oggi effettivamente scarcerati, altri 3.327, con un risparmio di spesa pari a 375.318 euro ogni giorno”.
Carenza toghe.
“Al momento risultano presenti in organico 8.834 magistrati togati, con una scopertura di 1.317 posti” dice il Guardasigilli.
Per rimediare alla situazione “risultano completate le procedure per la nomina di 325 magistrati ordinari” vincitori del concorso bandito nel 2009.
Per altri 360 posti, sono in corso le correzioni delle prove scritte del concorso bandito nel 2010 e altri 370 posti sono stati banditi nello scorso settembre e le prove scritte sono previste per il prossimo maggio.
Giustizia civile.
Per il secondo anno consecutivo va registrato “un decremento delle pendenze nel settore civile con un calo, al 30 giugno 2011, di oltre 170.000 processi rispetto” alla stessa data dell’anno precedente, “mentre non si è ancora riusciti ad intaccare in modo significativo la durata media dei processi”. aggiunge Severino.
Certo, ammette il ministro, “è una goccia nel mare degli oltre 5,5 milioni di processi civili pendenti ma è la conferma di una inversione nel trend in costante ascesa degli ultimi anni”.
Ispezioni.
L’Ispettorato generale del ministero della Giustizia, nel 2011, “ha eseguito 42 ispezioni ordinarie e 14 inchieste”.
L’azione disciplinare, prosegue il ministro, è stata esercitata nei confronti di 46 magistrati per violazioni di vario tipo compreso il ritardo nel deposito delle motivazioni delle sentenze che “talvolta, hanno determinato inaccettabili scarcerazioni di pericolosi criminali per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare”.
Sono state inoltre, 234, le “ispezioni ordinarie” disposte dall’Ispettorato generale presso gli uffici giudiziari di ogni ordine e grado.
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