Gennaio 29th, 2012 Riccardo Fucile
I PADAGNI HANNO TOCCATO IL FONDO (DELLA BOTTIGLIA): L’IDEA E’ DEL SINDACO MARONIANO DI SESTO CALENDE… FA PRENDERE IN PRESTITO IL LIBRO A TURNO DAI MILITANTI PER TOGLIERLO DALLA CIRCOLAZIONE
Il rogo dei libri non si può fare.
Ma il sindaco leghista di Sesto Calende, paesino del Varesotto, ha comunque fatto ritirare dagli scaffali comunali un volume scomodo.
La bibliotecaria aveva acquistato «L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord», saggio scritto da una studiosa, Lynda Dematteo, che traccia un profilo critico del Carroccio. Banalizzando un po’, il libro descrive il partito di Umberto Bossi come un movimento che ha avuto successo nella politica italiana sparandole sempre più grosse, a partire dagli anni Ottanta.
Il borgomastro Marco Colombo, 37 anni, quando ha saputo che la biblioteca lo aveva acquistato si è arrabbiato, e ha sgridato la funzionaria: «È vero, le ho urlato dietro – conferma il primo cittadino – esiste una commissione che sceglie i libri e non mi risulta che la scelta sia stata condivisa. E poi, diciamolo, la bibliotecaria è di sinistra».
Insomma, la sua sarebbe stata una scelta politica.
Il sindaco è scatenato: «I soldi dei cittadini del mio Comune si devono spendere meglio — sentenzia. E se qualcuno proprio vuole leggere quel libro, lo può cercare nel sistema interbibliotecario provinciale, dove ce ne sono già due copie».
Inizialmente il borgomastro lumbard ha cercato un modo «alternativo» per farlo sparire dalla circolazione. Legalmente.
Si è inventato una sorta di ritiro permanente. Che ora rivendica.
Dice che funzionava così: ha ordinato all’assessore alla Cultura di prendere in prestito il volume.
Detto fatto, la signora Silvia Fantino, leghista moderata, lo detiene a casa propria da tre mesi. E l’ha persino letto: «Io non avevo tempo ma lei è una professoressa e l’ha analizzato per bene – osserva il primo cittadino – mi ha detto che però non l’ha molto apprezzato, innanzitutto perchè l’ha trovato fazioso».
Ma non finisce qua: Colombo ha dato sfogo alla fantasia, e già immagina una sorta di «passalibro» di protesta: «L’assessore lo dovrà restituire, ma io non mi arrendo – continua – lo faremo prendere in prestito da un militante leghista ogni mese, a turno, così manifesteremo il nostro dissenso verso quell’acquisto».
Più ne parla, Colombo, e più si vede che ha voglia di spararla grossa: «Alla fine lo farò ritirare – sbotta -.
Naturalmente mi rendo conto che non posso vietare un libro, però posso chiedere alla biblioteca di prestare il consenso alla vendita definitiva, per toglierlo dagli scaffali».
E chi lo acquisterà ? S
emplice: «La sezione della Lega di Sesto Calende».
Insomma, il sindaco sembra pronto a tutto.
Anche se in fondo, lui e il suo assessore sono contenti che questa storia venga divulgata.
E il motivo è presto detto. Colombo si aspetta di diventare un eroe per la truppa leghista, in questi giorni un po’ ammaccata per le guerre interne tra maroniani e cerchio magico, che in provincia di Varese sono state particolarmente accese.
Anche Roberto Maroni qualche giorno fa aveva criticato il libro in questione.
Dalla sua pagina di Facebook aveva definito Lynda Dematteo una sconosciuta che vuole solo attaccare la Lega.
E Colombo è un maroniano di ferro, uno di quelli che dirigeva i cori contro il cerchio magico durante il «Maroni Day» della settimana scorsa al teatro di Varese.
Curiosamente, la Dematteo è stata invitata a Varese, a un convegno sul Nord e la Lega organizzato dal Pd locale, dove parlerà proprio delle sue teorie sul ruolo da Gianburrasca che Bossi si è autoattribuito da un ventennio a questa parte.
Giusto in tempo per commentare la singolare fatwa lanciata dai leghisti contro il suo libro.
Roberto Rotondo
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Gennaio 29th, 2012 Riccardo Fucile
“ORMAI PUO’ ACCADERE DI TUTTO, ANCHE UNA SCISSIONE: LA DIVISIONE TRA CHI SOSTIENE MONTI E CHI LO VORREBBE FAR CADERE E’ VERTICALE”: PARLA UN EX MINISTRO DI BERLUSCONI
C’e chi sta lavorando in questi giorni al reclutamento. 
Avvicinando uno a uno i deputati per chiedergli «tu che farai se bisognerà staccare la spina al governo? Sarai dei nostri?».
Ecco, al di là della retorica, l`impressione è che l`onda alta provocata dall`arrivo dei tecnici abbia investito prima e con più forza il Pdl.
Sottoposto a una fortissima pressione centrifuga a causa del sostegno a Monti.
Incalzato dalle lobby, che reclamano modifiche al decreto liberalizzazioni.
Schiacciato dal ricatto di Bossi sulla giunta della Lombardia, allettato da Casini al Sud.
Con la matematica certezza, come si legge nel report riservato che Denis Verdini ha sottoposto giorni fa al «capo», di un clamoroso cappotto alle amministrative, con la «perdita secca» in tutti e 28 i comuni capoluogo e le 7 province che vanno al voto.
Quella davvero sarebbe la fine.
Sono pessimista – ha confessato l`ex premier ancora ieri a un`amica – e questa rottura con Bossi non so dove ci porterà ».
Altro dunque che “il Caimano”.
La scena che si sono trovati di fronte gli uomini e le donne del Pdl, chiamati giovedì sera a raccolta a palazzo Grazioli, «sembrava confessa uno dei presenti – piuttosto quella di un funerale».
l Cavaliere, depresso oltretutto per la condanna che ritiene ormai «certa» al processo Mills, li aspettava con un montaggio dei suoi 18 anni di impegno politico: dalle strette di mano con Clinton al G8 dell`Aquila.
Una Spoon River per immagini, che alla fine lo ha anche commosso, con tutti che gli dicevano «caro Silvio, i prossimi 18 anni saranno anche migliori, vedrai, torneremo al governo».
Ecco, per comprendere il «male oscuro» che ha preso il Pdl bisogna partire da qui, dall`eclissi del leader che finora ha tenuto insieme le tre grandi anime del partito: gli ex missini, gli ex socialisti e gli ex democristiani.
Fuori lui da palazzo Chigi, senza voglia e possibilità di rientrarci, sta saltando tutto.
Tanto che ormai si parla apertamente di scissione, di federazioni di partiti, di Pdl del Nord e del Sud.
Il tutto in un vortice di libanizzazione tra clan, correnti, potentati in lotta fra loro.
E, a proposito di Libano, giusto ieri Franco Frattini e Claudio Scajola erano proprio a Beirut, ospiti del falangista Gemayel, per l`internazionale democristiana.
Insieme a Pier Ferdinando Casini.
Un caso? Scajola è il più avanti nell`elaborazione di una strategia che porta il Pdl a sciogliersi nella futura casa dei moderati.
«Siamo arrivati un bivio – spiega dalla sua stanza a Beirut-, si tratta di darci finalmente un`identità : decidere chi siamo, dove dobbiamo andare e con chi».
Scajola, e con lui Frattini e la gran parte degli ex Dc, sono per sostenere Monti senza se e senza ma.
«Dobbiamo approfittare del fatto che non governiamo – dice l`ex ministro dello Sviluppo- per preparare la strada del domani. Altrimenti saranno altri a occupare lo spazio dei moderati».
Sono considerazioni che Frattini ripete spesso ad Angelino Alfano.
E proprio il segretario del partito, in gran segreto, sta pianificando un tour di accreditamento personale presso le cancellerie europee che lo porterà presto a Londra, Parigi e Madrid. Presentandosi come il leader italiano del Ppe.
Alfano deve crescere in fretta.
Muoversi in anticipo prima che il partito gli si sciolga sotto al naso.
Per non farsi trovare impreparato, in vista della candidatura del 2013, ha persino promesso all`amico Frattini di imparare l`inglese entro la prossima estate con un corso accelerato.
Ma il tempo corre troppo veloce anche per i piani di Angelino, l`eterno delfino.
Gli ex An infatti scalpitano, guidati da Ignazio La Russa.
Che intravede il crollo del sistema di potere messo in piedi in Lombardia in quindici anni. Esagerazioni?
Ieri “Libero” apriva la prima pagina con un irriverente «Addio Pdl».
Con Daniela Santanchè che è arrivata a paragonare il Cavaliere al comandante della Costa, ingiungendogli un «Sali sulla nave, Berlusconi, cazzo!».
L`eclissi del leader, fermo sullo scoglio mentre la nave affonda.
In questa Babele di lingue, di tattiche contrapposte che è diventato il Pdl, chi cerca di tenere la baracca in piedi sono i capigruppo.
Diventati, forse anche loro malgrado, le uniche bitte a cui ancorare il vascello alla deriva.
È stato Maurizio Gasparri a fare la spola con palazzo Chigi per limare il decreto sulle liberalizzazioni la notte prima dell`approvazione.
Ed è stato Fabrizio Cicchitto a gestire la partita della mozione comune sull`Europa.
E proprio Cicchitto ha instaurato la consuetudine di una consultazione presso chè quotidiana e riservata con il dirimpettaio Dario Franceschini, capogruppo del Pd.
È la nascita, di fatto, di quella cabina di regia parlamentare che Casini reclamava in aula un paio di settimane fa.
E che La Russa vede come fumo negli occhi.
Del gruppo fa parte anche Gaetano Quagliariello, che lavora insieme agli sherpa del Pd per una nuova legge elettorale.
La scommessa è un triplo salto mortale: sostenere Monti, salvare il Pdl e il bipolarismo.
«C`è un interesse convergente – osserva Sandro Bondi – tra noi e il Pd per fare le riforme.
La rotta è quella e alla fine gli elettori, anche quelli della Lega, sapranno giudicare chi ha messo al centro gli interessi del paese».
Ma il problema, a questo punto, è se ci sarà ancora un Pdl sulla prossima scheda elettorale.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 29th, 2012 Riccardo Fucile
IN UNA LETTERA INVIATA AL PRESIDENTE RIZZO, LA MORATTI SI DIMETTE PER DEDICARSI AI PROGETTI DI SAN PATRIGNANO, MA IL PASSAGGIO A FLI PARE IMMINENTE
“Egregio signor presidente, è per il rispetto che nutro per Milano e nei riguardi dell’importante lavoro che il consiglio comunale svolge nella quotidianità , che oggi mi trovo a comunicare una decisione sofferta ma lungamente ponderata”.
Letizia Moratti formalizza così, in una lettera al presidente dell’aula, Basilio Rizzo, le dimissioni da consigliere comunale.
E in ambienti vicini al leader di Fli, Gianfranco Fini, si legge la notizia delle dimissioni come propedeutica al passaggio verso Futuro e libertà .
Prima di Natale l’esponente del Pdl era stata vista a Montecitorio, dove aveva incontrato tutto lo stato maggiore del partito.
I contatti, a quanto risulta, sarebbero continuati anche a gennaio.
“Nelle prossime settimane vedremo se, come mi auguro, Letizia Moratti, vottà continuare il suo impegno politico con modalità diverse rispetto a quelle che ha avuto fin qui”, è stato il primo commento di Fini.
“Ho parlato con lei qualche tempo fa – ha aggiunto – Non è un mistero che da qualche tempo aveva espresso perplessità sulla conduzione del Pdl in Lombardia”.
“In questi mesi ho intrapreso un’intensa attività nel sociale in una realtà che la mia famiglia segue ininterrottamente da oltre trent’anni – scrive l’ex sindaco del Pdl facendo riferimento al suo impegno per la comunità di San Patrignano – Un impegno che si è progressivamente accentuato e che giorno dopo giorno ha assorbito le mie energie e il mio tempo, tenendomi sempre più spesso lontana dal lavoro del consiglio comunale.
Ritengo pertanto opportuno rinunciare al mio incarico. Tornare a essere per Milano un privato cittadino non significa però rompere il patto con le migliaia di cittadini che mi hanno eletta in questo consesso.
Anche se in modo diverso e indiretto, continuerò a partecipare alla vita civile e politica della mia città , approfondendo i temi e le questioni importanti per essa e per il mio Paese”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 29th, 2012 Riccardo Fucile
LA CITTADINANZA AI BAMBINI CHE SONO NATI IN ITALIA DA GENITORI STRANIERI: PER LORO RAPPRESENTIAMO UNA SPONDA DI SICUREZZA E DI CIVILTA’ DOVE APPOGGIARE UN FUTURO DI SPERANZA… DIMOSTRIAMO DI ESSERE LA PATRIA DELLA LIBERTA’, DELLO SVILUPPO, DELLE PARI OPPORTUNITA’ E DELLA SOLIDARIETA’
Gli opposti populismi, che sempre più parlano la stessa lingua in questa Italia in cui la politica si
rattrappisce, hanno finalmente trovato un bersaglio comune, di alto rango: è la proposta di introdurre anche nel Paese dello “ius sanguinis” il principio dello “ius soli”, concedendo la cittadinanza ai bambini che sono nati in Italia da genitori stranieri.
L’idea era stata sollevata dal segretario del Pd Bersani alle Camere, al momento della fiducia per il governo Monti; poi, rilanciata con forza dal presidente della Repubblica Napolitano, secondo il quale “negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati sarebbe una vera assurdità “.
Oggi anche il presidente della Camera Fini e il ministro della Cooperazione Riccardi riprendono il tema, come il presidente della Cei Bagnasco, e lo ripropongono all’attenzione delle forze politiche e del Parlamento: dove sono state presentate proposte di legge in questo senso, mentre nel Paese diverse organizzazioni stanno raccogliendo le firme per abolire la normativa del 1991.
Stiamo parlando di un milione di bambini, i figli degli stranieri residenti in Italia.
Poco più della metà , 650 mila, sono nati nelle strutture del servizio sanitario nazionale.
Venuti al mondo, dunque, nel nostro Paese, in ospedali italiani, figli di immigrati che hanno scelto di vivere e lavorare qui e che iscriveranno questi bambini agli asili comunali e alle scuole italiane, perchè crescano con la lingua, l’istruzione e la cultura del Paese che li ospita.
Ora, come vogliamo pensare al rapporto tra il nostro Stato e quei ragazzi che sono nati nel suo territorio, spesso dopo una fuga dei genitori dalla fame, dalla miseria e dalla dittatura? Nella storia delle loro famiglie questo Paese rappresenta una sponda di civiltà e di sicurezza, dove appoggiare un futuro di libertà e di speranza: e dove – proprio per queste ragioni – poter investire per la crescita dei proprio figli, la prima generazione che nasce e vive nell’Europa dei diritti e della democrazia, l’Europa dei cittadini e delle istituzioni, in quell’Occidente che racconta se stesso – e noi vogliamo crederci – come la patria delle libertà , dello sviluppo, dell’uguaglianza delle opportunità , addirittura della fraternità .
Quei bambini venuti a nascere in Italia, sanno di essere nati in un Paese libero, come uomini finalmente liberi.
Ma sanno che non saranno cittadini, non diventeranno italiani.
Studieranno la nostra storia, l’epopea del Risorgimento, le radici di Roma e dei Cesari, la Costituzione repubblicana, parleranno la nostra lingua con gli accenti dei nostri dialetti, lavoreranno nelle fabbriche e negli uffici, sposeranno magari italiani e italiane.
Ma resteranno stranieri, qualunque cosa facciano anno dopo anno, comunque la facciano, soltanto perchè sono figli di stranieri.
È l’ultima, nuovissima forma del peccato originale: una sorta di “peccato d’origine”, incancellabile, in un Paese che ha paura della diversità perchè ha incertezza d’identità (tanto che persino il dato storico del centocinquantenario dell’unità viene ridotto a polemica politica contingente), e teme la perdita della vecchia uniformità vissuta più come un mito della tradizione che come una realtà .
Come può spaventare la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia?
Come non capire che la stessa identità nazionale, oggi, è in movimento continuo esposta com’è al contagio di culture diverse, alla complessità del sociale, alla pluralità dei soggetti con cui dobbiamo non solo convivere, ma scambiare e interagire?
La paura della cittadinanza separa queste identità ed esalta le differenze, riduce gli individui ai gruppi di origine, ripropone di fatto il modello distintivo delle tribù dentro il contesto dilatato e avvolgente della globalizzazione.
Col peccato d’origine, gli steccati sono per sempre e le culture vengono concepite come strutture statiche, che non possono evolvere o mettersi in movimento, ma devono rimanere immobili e soprattutto chiuse.
È il disegno di una società spaventata in un Paese che vede l’immigrazione altrui solo come un problema, mentre esalta le proprie radici magari mentre nega la sua storia.
È evidente che l’immigrazione comporta anche un problema di sicurezza, di spaesamento, a cui bisogna rispondere.
Ma proprio per questo, come si può pensare che la risposta sia un modello sociale per cui si vive sullo stesso suolo, sottoposti alla medesima sovranità , formati dalle stesse scuole ma con due livelli diversi di cittadinanza?
Tutto ciò comporta differenze non soltanto sociali, ma nei diritti, cioè nella sostanza democratica che è a fondamento del nostro discorso pubblico.
Col risultato – pericoloso – che la democrazia rischia di non avere sostanza concreta per una categoria di persone che vive in mezzo a noi, noi per i quali soltanto vale il concetto pieno e realizzato di società democratica.
Ma dal punto di vista delle generazioni future, persino dal punto di vista della sicurezza, domandiamoci che Paese prepariamo se c’è tra noi chi considera la democrazia come un concetto non assoluto ma relativo, addirittura un privilegio di alcuni, che contempla gradi minori e persino esclusioni.
Dunque un concetto per nulla universale e nemmeno neutrale, ma strumentale, perchè avvantaggia alcuni a danno di altri.
E infatti, per gli altri non usiamo ormai nemmeno più il termine “straniero”, che presuppone una dimensione culturale, una scoperta, un viaggio o un percorso, ma li riduciamo alla categoria geometrica, spaziale e binaria di “extra”, dove conta solo l’esito finale: dentro o fuori.
Se guardiamo avanti, ai prossimi anni, l’idea di Paese che il rifiuto della cittadinanza propone è quella di uno Stato-armadio, dove è previsto che le diverse culture si vivano semplicemente accanto, separate ed appese ognuna alla sua presunta radice: culture condannate a riprodursi nella separazione, magari ostili, certamente diffidenti, per definizione impermeabili. Come se la libertà e la democrazia non avessero fiducia in sè e nella loro capacità di far crescere, di contagiare, di seminare valori in chi le frequenta, le pratica e ne beneficia.
Dicendo questo non penso alla cittadinanza come strumento di assimilazione e riduzione delle diversità .
Penso che l’Italia può offrire a chi sceglie di vivere e lavorare qui dei valori come la democrazia e l’uguaglianza e un metodo per valorizzarli nella vita sociale, che è proprio la cittadinanza. Il nostro modo di vivere è una cultura, e come tale sarà per forza di cose influenzato dalla convivenza e dal confronto con gli altri, non è un modello, come ogni cultura è mobile e negoziabile, un sistema in movimento insieme con gli altri, nel gioco del dialogo, dello scambio, del confronto.
Ma la democrazia non è una cultura, è un valore di fondamento, su cui si regge lo Stato e la sua convivenza.
Uno Stato neutro rispetto alle culture diverse, non rispetto ai principi democratici.
Questo Stato non può dunque non preoccuparsi del rischio che livelli diversi di democrazia e di partecipazione ai diritti facciano crescere fenomeni pericolosi di marginalità , di alterità , di ghettizzazione (e autoghettizzazione).
Solo l’emancipazione attraverso il lavoro e la cittadinanza è la possibile salvaguardia, è la vera inclusione.
Solo così, può valere fino in fondo il richiamo alle nostre leggi, alla regola democratica in cui crediamo.
Leggi che devono essere pienamente rispettate da uomini pienamente liberi, perchè diventati finalmente – grazie al nostro Paese – compiutamente cittadini.
Ezio Mauro
(da “La Repubblica”)
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