Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SPOSA LA LINEA BCE, DIMEZZATA LA NORMA ANTI-LICENZIAMENTI… NON CAMBIA NULLA PER GLI ATTUALI OCCUPATI
“Affronteremo tutti i problemi. Anche quello della flessibilità in uscita. E vi sorprenderemo”. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, parla nella freddissima Davos, davanti ai potenti dell’economia globale.
E’ lo scorso giovedì, il tema della tavola rotonda è “Future of Italy”.
Il ministro, ex banchiere, sa benissimo che sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non saranno ammessi bizantinismi.
Servono soluzioni chiare, non necessariamente traumatiche. Comunque comprensibili in Europa.
Ad agosto la Bce (la Banca centrale europea, ora presieduta dall’italiano Mario Draghi) aveva indicato tra “i compiti a casa” anche quelli di superare, da una parte, il dualismo nell’attuale mercato del lavoro italiano, e, dall’altra, l’anomalia del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa.
La lettera arrivata da Francoforte resta un vincolo forte per il governo tecnico di Roma.
Lo ha detto più volte il ministro del Lavoro, Elsa Fornero; l’ha confermato il premier Mario Monti quando ha sostenuto che non possono esserci tabù nel momento in cui si avvia un negoziato per la riforma del mercato del lavoro; l’ha ripetuto Passera a Davos.
Perchè la globalizzazione è entrata nelle relazioni industriali. Non c’è solo il caso Fiat-Chrysler di Sergio Marchionne.
E’ stato Vittorio Colao, amministratore delegato della Vodafone, a sollevare la questione a Davos.
Il manager italiano trapiantato a Londra ha ricordato che un gruppo come il suo può decidere dove aprire un call center. Può installarlo in Italia, oppure in Egitto, per esempio.
Dipende dalle condizioni, dagli eventuali vantaggi fiscali, dalle potenzialità della manodopera, e dalla possibilità di programmare con certezza i costi che riguardano anche la flessibilità in uscita.
Ed è qui che Passera ha risposto che il tema non sarà eluso, perchè il recupero degli investimenti esteri in Italia (crollati dall’inizio della crisi del 2008), indispensabili per sostenere la crescita del Pil, si gioca pure su questo terreno, quello delle flessibilità del lavoro.
E c’è una via d’uscita che, a questo punto, sembra la più probabile, almeno da quel poco che trapela dalle stanze del governo e dai rapporti informali con le parti sociali. E’ una via all’insegna dell’equilibrismo, tra ostacoli sindacali, pressione delle imprese, preoccupazione opposte dei partiti che sostengono l’esecutivo, vincoli europei.
L’articolo 18 non sarà toccato per i lavoratori che oggi ne sono tutelati. Questa, ormai, sembra una certezza.
E Monti l’ha detto anche nel suo discorso programmatico in Parlamento. Cgil, Cisl e Uil, inoltre, non potrebbero mai far passare una riduzione delle protezioni per chi le ha, tanto più che si tratta di una quota di lavoratori che costituisce la maggior parte dei loro iscritti, gli stessi che hanno già subìto il superamento delle pensioni di anzianità e l’allungamento dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
Si profila, invece, uno scambio per i giovani precari, categoria centrale nell’approccio del governo alla riforma.
Il tracciato potrebbe essere più o meno questo: per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, provenendo dal bacino della precarietà (a cominciare dai contratti a termine) non sarebbe previsto il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa (è quanto stabilisce l’articolo 18 che viene considerato un’anomalia tra i paesi europei) bensì un risarcimento economico (esattamente ciò che suggeriva la Bce nella lettera estiva).
L’ammontare del risarcimento crescerebbe con l’anzianità di lavoro.
Resterebbe in ogni caso il divieto di licenziamenti discriminatori legati al sesso, alla religione, alla razza e così via.
Con un articolo 18 dimezzato, le aziende non avrebbero più l’alibi secondo il quale non si può assumere perchè poi sarebbe impossibile sciogliere il vincolo con il lavoratore.
I sindacati potrebbero accettare un meccanismo che già oggi si adotta per i lavoratori delle piccole imprese nelle quali, appunto, l’articolo 18 non si applica, e questa potrebbe essere una prima pietra per avviare l’uscita dalla precarietà dei giovani.
A nessun lavoratore attualmente occupato verrebbe tolto un diritto.
E il governo risponderebbe alle richieste della Bce.
Sorprendentemente, per usare l’espressione di Passera.
Ma le incognite restano comunque tante.
Perchè troppo delicato è il tema dell’articolo 18, perchè non è detto che i partiti restino a guardare, perchè la tenuta dell’unità sindacale è sempre a rischio, perchè, infine, il fronte delle imprese è già diviso, come sempre tra “falchi” e “colombe”.
Roberto Mania
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL GRADIMENTO PER IL CAPO DEL GOVERNO AVEVA RAGGIUNTO UN LIVELLO IMBARAZZANTE TRA LA BASE LEGHISTA E I TAROCCATORI PADAGNI CENSURANO IL SONDAGGIO DA LORO STESSI PROMOSSO… ROBA CHE NON ACCADREBBE NEANCHE IN TANZANIA
La spaccatura fra la base leghista e i vertici del partito esiste oppure o è un’invenzione mediatica?
I fischi che piazza Duomo aveva riservato a Bossi erano proprio per il Senatur, oppure (come dice Renzo) c’è stato un problema di sincronizzazione fra audio e video ed erano rivolti a Monti?
E’ tempo di dilemmi, in casa Lega.
Nelle ultime ore a chiarire qualche dubbio ci aveva pensato Radio Padania Libera.
O meglio, gli ascoltatori delle frequenze leghiste.
Subito dopo la manifestazione di sabato, infatti, la radio aveva deciso di lanciare un sondaggio on line sul proprio sito.
Domanda secca: «Cosa ne pensi dei primi mesi di attività del governo Monti?».
Un quesito che, seguendo quello che è il pensiero del partito, non avrebbe dovuto lasciare scampo all’attuale premier.
Del resto la Lega è, ad oggi, il più grande partito d’opposizione.
E Bossi non nasconde, un giorno sì e l’altro pure, il malcontento verso questo esecutivo, definito “infame”.
Invece il risultato era stato sorprendente.
Oltre l’80% dei votanti (su 5493 voti) s’era detto favorevole a Mario Monti.
Il 71,1, addirittura, si diceva «molto soddisfatto».
I delusi erano circa il 3%.
Gli «arrabbiati», invece, il 12,9.
Un giudizio che lasciava poco spazio ai commenti.
E che forse evidenziava in modo netto, se i numeri hanno ancora un senso, la divisione fra la base del partito e chi sta al timone.
Ma il sondaggio non si trova più.
E in Rete la notizia già spopola sui social media.
Sulla home page del sito non ve n’è traccia. Sparito.
L’area sondaggi, nella side bar sinistra, è completamente vuota.
Solo chi ha conservato il vecchio link può ancora accedere e visualizzare i risultati.
Biagio Simonetta
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO CASTELLI CHE LASCIA SERVIZIO PUBBLICO QUANDO UN OPERAIO SARDO GLI URLA “NON ROMPERMI I COGLIONI” E’ IL SINTOMO DEL TRACOLLO DEI PARTITI, PRECIPITATI AL 9% DI CREDIBILITA’….I POLITICI-DINOSAURI HANNO L’ACQUA ALLA GOLA
“Castelli, non rompere i coglioni a me, eh”.
Con queste parole, scandite giovedì a Servizio Pubblico, l’operaio disoccupato Antonello non ha soltanto costretto alla goffa fuga l’ex ministro leghista.
Ha mostrato, inequivocabilmente, lo scollamento che esiste tra piazza e casta.
E l’imbarazzo che i gerarchi tradiscono quando il salotto televisivo non è quello dei talk precotti, ma osa porgere il microfono alla gente comune.
Senza (più) timori reverenziali verso i politici.
La puntata di giovedì è stata a suo modo storica.
Ecco perchè merita, forse, una telecronaca doviziosa.
Minuto 20 “I nodi vengono al pettine”:
Enrico Letta comincia col cipiglio che gli è consono (quello del carlino appisolato). Passare dalla rivolta dei forconi alla flemma piddina si rivela straniante, come abbandonarsi lascivamente a una mazurka di Casadei dopo un rave party.
Minuto 30 Finalmente (come no) parla Castelli, con quel bel visino da Fonzie canuto al Bar della Polenta Taragna, e quella vocina da cyborg senza pile.
Castelli parte con un freestyle in cui parla senza dire nulla. Come ai bei tempi.
Che però non son più belli (per lui).
Minuto 35 “C’è una grande insipienza politica”.
È la volta di Maurizio Zamparini, il mangiallenatori biscardiano.
Zamparini ricorda a Castelli che lui, fino all’altro giorno, era al governo. E quindi lo sfacelo è anche colpa della Lega.
Raccoglie applausi scroscianti. In effetti, come arringatore, Zamparini — non esattamente Engels o Popper — mostra doti inattese.
“Loro (rivolto a Castelli) sono la causa, insipienti!”.
Notare il curioso uso reiterato della parola “insipienti”, imparata evidentemente un minuto prima sul Devoto-Oli.
Minuto 40 Santoro ricorda che i forconi sono nati con Berlusconi.
Lo fa anche per togliere un alibi alle tesi complottistiche di Monti. Di fatto è un assist per Castelli.
Il quale, sveglio come una lince in letargo, blatera: “Eh ma voi siete proprio ossessionati da Berlusconi”.
È la stessa frase ripetuta nelle settimane precedenti da Santanchè e Mussolini: nella banalità , il centro-destra è ancora ampiamente coeso.
Santoro scrolla la testa, come Savicevic quando elargiva assist a Pancev. E Pancev, detto “Ramarro”, li sbagliava. Sempre.
Minuto 50 Castelli desidera “rispondere a quello lì che non conosco” (il fingere di non sapere i nomi degli avversari è altra prassi antica Pdl).
Ecco la sua “risposta: “Lei è un ignorante” (ulteriore topos dei berluscones; tu argomenti, io sfanculo).
In un rutto di genialità , Castelli lamenta poi la chiara presenza di una claque pro-Zamparini. Come dargli torto.
Ogni giovedì, i suoi fans assaltano gli studi per entrare: Zamparini, si sa, è un po’ lo spin doctor di Santoro.
Minuto 58 È il momento di Enrico Letta. Quindi possiamo andare avanti.
Minuto 76 Castelli si vanta d’esser stato ministro dei Trasporti. Un po’ come se Schettino si vantasse di quanto bene dribbli gli scogli.
Minuto 83 Castelli boccheggia livido: “La Sicilia è quella che spreca di più. Voi avete 23 mila dipendenti pubblici, mentre in Lombardia ce ne sono solo tremila”.
I protestanti attaccano anche Letta: “Siete tutti uguali, dov’è finita la vertenza per ridurre i costi della politica?”.
Letta non risponde, e questo è normale (non rispondere è la linea politica del Pd), mentre è inedita la definitiva percezione di come quei manifestanti — in collegamento da Siliqua, Sardegna — stiano usando il linguaggio che apparteneva alla prima Lega.
Castelli, di colpo, appare un relitto.
È superato nel suo stesso (presunto) terreno.
Non solo non ha argomenti, cosa arcinota; non ha nemmeno più appigli.
Non può parlare nè alla testa (mai fatto) nè alla pancia (sempre fatto), perchè ciò che dice non interessa più.
Da giovedì, Castelli è ufficialmente un dinosauro. Di cui mai nessun archeologo si interesserà mai.
Minuto 90 Castelli esala un “perchè bocciare la mia proposta tout court?”, ignaro del significato dell’espressione “tout court” (che infatti pronuncia “tukurt”).
È qui che appare Antonello, operaio disoccupato dell’Eurallumina di Portovesme.
In pochi secondi, riassume 18 anni di malapolitica: “Castelli, non rompere i coglioni a me, eh”, “A me non me li rompi i coglioni tu”.
Una sintesi meravigliosa, liberatoria e iconoclasta, già divenuta tormentone in Rete.
Castelli, puerilmente, abbandona lo studio. Attenzione: è una fuga inedita. Non è esibizione di arroganza, come Berlusconi da Lucia Annunziata.
E non avviene per un attacco di un “pari grado” (Mastella, Santanchè).
Castelli, letteralmente, scappa.
È l’emblema del politico sconfitto, senza più armi di fronte al semplice cittadino.
Non è un caso — sarebbe oltremodo erroneo pensarlo — che lo sfogo si sia verificato nel momento esatto in cui tutti i politici, con l’eccezione miracolistica di Monti, stiano patendo un livello di consenso minimo.
Tutti, da Berlusconi a Bersani, Lega (ampiamente) inclusa.
A fuggire è stato Castelli, ma la faccia di Letta, ancor più quando Marco Travaglio ha scudisciato lo zio, non era certo più serena: egli era ben conscio di apparire, agli occhi della piazza, egualmente colpevole e “correo”.
Guai a ridimensionare lo sfogo di Antonello a mero atto folclorico.
La sua arringa è stata forse un po’ sgrammaticata, ma lucidissima: “Tu, e la classe dirigente degli ultimi 30 anni, ha commesso il reato più grave che si poteva fare. Ha rotto il patto tra generazioni”.
Parole che qualsiasi opposizione, se solo esistesse, dovrebbe far proprie.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
LO SCONTRO BOSSI-MARONI DILANIA IL CARROCCIO. IN VENETO L’EX SENATORE FILIPPI ATTACCA IL BOSSIANO GOBBO, TOSI PENSA A UNA LISTA CIVICA E VENGONO ESPULSI DECINE DI MILITANTI
“Caro Gobbo, perchè non porti il tuo culone sotto un gazebo e non provi ad ascoltare i militanti che ti hanno contestato durante il comizio? Magari scopri che le critiche possono essere utili”.
Affogano nel mare in burrasca del Carroccio le parole del senatore Filippi, ex leghista buttato fuori a calci dai vertici (“sono l’unico senatore che sia mai stato espulso”).
Una cacciata di peso, ma è solo l’ultima di tante espulsioni senza motivo, giura l’imprenditore vicentino di famiglia danarosa e qualche grana con la giustizia.
Pugno di ferro o l’ennesimo segno di debolezza di un movimento che ha perso la bussola, mentre Maroni va Verona a sostenere Tosi e sabato prossimo calerà Calderoli per tentare di mettere un punto alla lite Tosi-Gobbo?
Nel magma leghista Filippi lancia frecce avvelenate a uno dei totem della Liga veneta: Gian Paolo Gobbo, segretario del partito e bossiano di ferro.
Il fattaccio risale a poco tempo prima, e parla ancora una volta di espulsioni. “Due militanti hanno contestato le parole di Gobbo durante un comizio a Schio. Dopo qualche giorno senza ascoltare ragioni sono stati espulsi con una lettera dalla Lega”.
Arrivederci e grazie.
Anche lui, l’onorevole che amministra una ditta di prodotti chimici ad Arzignano, è stato defenestrato senza troppi convenevoli. “Come me sono tantissimi quelli che ricevono in questo periodo la lettera di espulsione dalla Lega”.
L’amarezza scende assieme al veleno della vendetta, ma le dichiarazioni di Filippi sono lo specchio della frana che si sta aprendo nel Carroccio veneto: “20 espulsi su 30 militanti ad Arzignano (la sua culla elettorale, ndr), moltissime sezioni commissariate nel Vicentino oltre alla sede cittadina di Padova, commissariata da oltre un anno”.
La verità ? Il nodo della partecipazione leghista è passare da sostenitore a militante, quindi con diritto di voto.
“E sa cosa hanno fatto? Ci sono tanti militanti anziani che si sono iscritti 20 anni fa — siamo il partito più longevo d’Italia — e nessuno è andato a far loro rinnovare le tessere. Non li hanno contattati, e così sono arretrati a semplici sostenitori, cioè senza diritto di voto”.
Un modo per concentrare il potere e governare i voti.
A Longare nel Vicentino una decina di sostenitori non sono diventati militanti: “Con la scusa che erano parenti tra loro. Ovviamente è una motivazione risibile”.
A Vicenza si è inventata la regola che “i militanti devono essere un terzo dei sostenitori”.
Così sono state bloccate tutte le richieste per diventare militante: “I militanti a Vicenza sono 53 in tutto, una manciata per chi deve pilotarli e un numero ridicolo per una città che ha cullato il leghismo (con Stefano Stefani e Manuela Dal Lago in sella da 20 anni) fin dalla prima ora.
Ma Vicenza e Padova commissariata (“Ma lei sa che il commissario padovano è Bricolo? C’è tanto scontento anche li tra i militanti”) sono solo le retrovie della battaglia, l’epicentro dello sfaldamento è altrove: cerchio magico contro barbari sognanti (povero Slataper), bossiani contro maroniani.
Ora persino “la velina verde”, il sito che era scomparso e si dice sia legato ai cerchisti e a Reguzzoni, torna sul web e attacca Maroni con toni durissimi: «Sei il Fini della Padania, vergognati».
Piccoli focolai che in Veneto si traducono in Gobbo contro Tosi.
Potevano mancare in questo clima le baruffe chioggiotte?
“A Chioggia il caso Malaspina segretario di sezione espulso dalla Zaccariotto presidente della Provincia di Venezia insieme ad altri 18 militanti cacciati: come lo giustificano?”, dice Filippi.
Per essere sicuri i vertici del partito hanno cambiato la serratura della sede chioggiotta e da quest’estate segretario ed espulsi fanno le riunioni al bar.
Un’epurazione in salsa veneta che forse non risparmierà nemmeno Tosi, raggiunto da sanzioni disciplinari plurime e intenzionato a correre con una lista nominale e senza Pdl alle prossime amministrative .
“Se la Lega non è d’accordo lascio la politica”, ha detto lapidario dopo che il nemico Gobbo, primo cittadino di Treviso, gli ha fatto sapere il suo dissenso. Lo appoggia invece Gentilini, 83enne vicesindaco di Treviso, che promette di candidarsi pure lui alle amministrative con una civica personale.
Una scelta che assieme alle parole di Bossi anti-Formigoni rischia di mettere a repentaglio le 150 amministrazioni locali che governano in Veneto con l’asse Pdl-Lega.
Ma ormai è guerra senza quartiere.
“Ma la base, i militanti sono sani: la Lega è un movimento puro”, chiosa Filippi.
Però? “Però i vertici non stanno facendo bene il loro dovere. Stanno riducendo il partito a un regime nord-coreano, devono smettere di buttare fuori militanti con motivi imbarazzanti e Bossi e Maroni si devono chiarire”. Come finirà ?
“Non leggo gli oroscopi, non so prevedere il futuro”.
Erminia della Frattina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
I TRASPORTI DEI PARLAMENTARI COSTANO 17 MILIONI DI EURO OGNI ANNO…VIAGGIANO GRATIS ANCHE GLI EX DEPUTATI
Camera e Senato sono impegnati, in questi giorni, a vedere dove si possa operare una qualche risparmio.
Tra diaria, appalti e bonus, si è pensato di dare una sforbiciata anche ai viaggi di deputati e senatori, puntando sulla buona volontà di questi.
Ogni onorevole, oggi, può viaggiare gratuitamente sul territorio nazionale, che prenda aereo, nave o treno.
Non paga i pedaggi autostradali, e riceve, alla Camera, un ulteriore rimborso per percorrere la distanza da casa all’aeroporto più vicino e dallo scalo di Fiumicino a Montecitorio (la cifrà è di 3.323, 70 euro a trimestre che diventano 3.995, 10 se l’aeroporto dista più di cento chilometri da casa).
Al Senato non esiste una voce unica, ma è previsto un rimborso forfettario di 1. 650 euro al mese che va a sostituire quei bonus che un tempo erano le “spese accessorie di viaggio” e le “ricariche telefoniche”.
I viaggi dei parlamentari sulla rete nazionale sono sempre gratuiti, che l’onorevole sia in viaggio per lavoro o che parta per le vacanze.
Sui trasporti, i Questori della Camera ritengono di poter risparmiare nell’anno a venire la bellezza di un milione di euro.
I senatori questori, invece, la consistente cifra di mezzo milione di euro.
Come? Invitando i parlamentari a spendere meno.
Facile, ma come si fa?
Nel bilancio della Camera 2010 le “Spese di trasporto” ammontano a
11.605. 000 euro, così divisi: 8. 180.000 per viaggi aerei, 1. 650.000 per i treni, 600.000 per i pedaggi autostradali, 200.000 per autonoleggio.
Altri 15.000, infine sono stati investiti alla voce “altre spese di trasporto”.
La Camera, a differenza del Senato, separa nel proprio bilancio la spesa di trasporto dei deputati eletti all’estero.
È una cifra considerevole: far arrivare in Parlamento i 12 onorevoli dai cinque continenti costa in un anno la bellezza di 950. 000 euro (anche perchè, prima che l’ufficio di presidenza suggerisse di tirare la cinghia, gli eletti all’estero prediligevano la classe business per il lungo tragitto).
Ma i cittadini italiani non pagano solo i viaggi sul territorio nazionale ai deputati in carica. Montecitorio spende circa 900mila euro l’anno per far viaggiare gratis gli ex deputati.
Non dovunque, però. Chi è stato eletto almeno una volta alla Camera può beneficiare di dieci voli aerei gratis ogni anno e della possibilità di viaggiare in treno su Intercity e Regionali, ma non sui Frecciarossa.
Per il 2010 Palazzo Madama ha speso 1. 300. 000 euro per il trasporto degli ex senatori contro una previsione iniziale di 1. 900. 000.
Trasportare invece i senatori in carica è costata alle casse del Senato 5. 810. 000 euro contro una previsione iniziale di 5. 220. 000.
Più o meno quello che è stato risparmiato dagli ex senatori è stato speso in viaggio da quelli in carica.
Tecnicamente funziona così: il parlamentare mostra la propria tessera e sono poi le compagnie aeree, ferroviarie o marittime a far arrivare il conto alla Camera di appartenenza.
Lo stesso avviene per i pedaggi autostradali. Il parlamentare dispone di un apparecchio telepass e di una viacard: il conto arriva al Parlamento.
Ma cosa succede nel resto d’Europa?
Una situazione simile a quella italiana si può riscontrare solo in Belgio.
In Germania è gratuita la circolazione ferroviaria; per i voli interni, però, si possono chiedere rimborsi motivati.
La Francia ha un sistema misto: il deputato dispone di un abbonamento ferroviario, di 40 voli andata e ritorno dal collegio dal quale proviene e di altri 6 viaggi (sempre a / r) fuori da quello.
In Spagna il meccanismo è legato alla diaria: i viaggi all’interno del territorio nazionale consentono di ottenere una diaria di 120 euro al giorno.
Per quelli all’estero la dia-ria sale a 150 euro.
L’Olanda paga ai propri deputati il viaggio in treno in prima classe.
Se non esistono mezzi pubblici l’onorevole ha un rimborso per l’utilizzo dell’auto propria di 0, 37 euro per ogni chilometro percorso.
In caso esistano mezzi pubblici il rimborso è assai più misero: 0, 9 euro a chilometro.
In Austria, infine, gli onorevoli dispongono di un piccolo forfait di 489 euro al mese che però viene ricompreso nella voce omnicomprensiva delle “spese di rappresentanza”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
DAL “MAFIOSO DI ARCORE” ALLA “MEZZA CARTUCCIA”… QUANDO SILVIO REPLICAVA “CADAVERE POLITICO” E “MENTALITA’ DISSOCIATA”
“Mezza cartuccia” è ancora poco, per gli standard di Umberto Bossi.
L’altra grande frattura con Silvio Berlusconi, consumata nel 1994 con la caduta del primo governo del Cavaliere, aprì una stagione di insulti senza precedenti nella storia politica italiana.
Per il leader leghista, l’ex alleato era diventato “il mafioso di Arcore”, “il grande fascista”, nonchè un “suino”. E via così.
Tra il 1994 e il 1999, la Lega ha condotto una durissima campagna contro il Cavalier “Berluskà z” o “Berluskaiser”.
Il primo filone prendeva spunto dalle inchieste palermitane sui rapporti tra Cosa nostra e la Fininvest.
Per Bossi, “Berlusconi è l’uomo della mafia, un palermitano che parla meneghino, nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord”, scrive sulla Padania il 19 agosto 1998.
“La Fininvest è nata da Cosa Nostra. Ci risponda, Berlusconi, da dove vengono i suoi soldi”.
Silvio “riciclava i soldi della mafia” (7 luglio 1998), o meglio “quel brutto mafioso” guadagna “i soldi con l’eroina e la cocaina (Corriere della sera, 15 settembre 1995).
Il secondo filone dipinge l’ex e futuro alleato come un fascista, anzi “il grande fascista di Arcore” (10 aprile 1995, La Repubblica). Berlusconi è “peggio di Mussolini” (16 giugno 1998, La repubblica), “un mostro antidemocratico” (11 febbraio 1995), “suino Napoleon” (4 luglio 1995, La Stampa), “Nazista, nazistoide, paranazistoide” (14 gennaio 1995, Corriere della Sera). In più è un “incapace”, una “febbre malarica”, con una “tendenza alla vaccaggine” (13 gennaio 1995, Corriere della sera).
Bossi lo dice chiaro: “Bisogna che si mettano in testa tutti, anche il Berlusconi-Berluskà z, che con i bergamaschi ho fatto un patto di sangue: gli ho giurato che avrei fatto di tutto, che sarei arrivato fino in fondo, per avere il cambiamento. E non c’è villa, non c’è regalo, non c’è ammiccamento che mi possa cambiare strada… Berlusconi deve sapere che c’è gente che ne ha piene le tasche e che è pronta a far il culo anche a lui” (1 novembre 1994).
Bossi è incontenibile. Per lui, Berlusconi è “Wanna Marchi”, “bollito”, “povero pirla”, “ubriaco da bar”, “piduista”, “molto peggio di Pinochet”.
Berlusconi, di rimando, definiva Bossi “un uomo dalla mentalità dissociata”, “ladro di voti”, “pataccaro”, “cadavere politico”, “sfasciacarrozze” con il quale “non mi siederò mai più allo stasso tavolo”.
Poi all’avvicinarsi delle elezioni politiche del 2001, i due leader del centrodestra capirono che solo una nuova alleanza avrebbe garantito la vittoria nel collegi elettorali del Nord e quindi nel Paese, come in effetti avvenne.
Cinque anni di insulti sanguinosi furono archiviati, Berlusconi ritirò la montagna di querele contro Bossi e La Padania.
Con l’avvento del governo di Mario Monti, la saga ricomincia.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
LA RIDUZIONE COLPIRA’ CHI INCASSA PER LE PRESIDENZE DELLE COMMISSIONI DA 1.000 A 4.000 EURO
Taglio del 15% per tutte le indennità aggiuntive percepite da circa 200 parlamentari, tra componenti degli uffici di presidenza di Camera e Senato, presidenti, vice e segretari di commissioni e giunte.
L’input di Gianfranco Fini è stato recepito dai collegi dei questori dei due rami del Parlamento, riuniti per mettere a punto le misure che lunedì saranno varate in via definitiva.
Si parte da subito col taglio ai più privilegiati tra i privilegiati (da mille a 4 mila euro al mese in più).
Ma nel vertice è stato anche deciso che il rimborso per il “portaborse” resterà forfettario per il 50 per cento, senza bisogno di alcuna “pezza giustificativa”. Nonostante la marcia indietro rispetto alla stretta iniziale, in Transatlantico monta il malessere in tutti i gruppi.
Perchè a quel budget i deputati hanno attinto finora per versare il contributo ai rispettivi partiti.
Ora che duemila euro andranno coperti da contratti e bollette “veri”, gli onorevoli non vogliono più devolvere i restanti 1.800 ai loro tesorieri.
Confermato invece il passaggio dal vitalizio al sistema contributivo, evitando però il conseguente aumento del netto in busta paga che già più di un imbarazzo stava provocando in tempi di magra. Il varo ufficiale a Montecitorio è previsto lunedì, a Palazzo Madama slitta a martedì.
I parlamentari del Pd versano ogni mese 1.500 euro al partito. Come i loro colleghi dell’Udc.
Alla Lega la quota sale a 1.800 euro.
Più light la “tassa” nel Pdl, 800 euro solo su base volontaria.
Ora però la scure sul contributo per il “portaborse”, divenuto contributo per l’esercizio del mandato (3.690 euro alla Camera, 4.100 al Senato), sta per spaccare parlamentari e loro gruppi di appartenenza.
Il taglio alla fine sarà inferiore al previsto, gli onorevoli dovranno giustificare con contratti e bollette solo la metà di quel budget, dunque continueranno a essere corrisposti loro a forfait tra i 1800 e i 2000 euro al mese.
Ma è poco più della cifra che dovrebbero continuare a corrispondere ai loro partiti. Molti sono pronti ad aprire il caso. Intanto, come spiega il questore del Senato Benedetto Adragna, la figura del portaborse sarà disciplinata da un ddl messo a punto dagli stessi questori o dagli uffici di presidenza, non da iniziative individuali (vedi Moffa).
In ogni caso, sarà esclusa la possibilità di ricorrere al giudice del lavoro per i collaboratori ai quali non viene rinnovato il contratto.
I questori di Camera e Senato hanno confermato l’adeguamento delle nuove pensioni (col sistema contributivo e non più vitalizi) alle figure “non contrattualizzate” della pubblica amministrazione.
Ovvero a magistrati, prefetti e generali dell’esercito.
Come pure viene confermato lo slittamento dell’età pensionabile ai 60 anni (con più legislature) o 65 (con una sola) sia nell’uno che nell’altro ramo del Parlamento.
Misura drastica che fa scivolare anche di un decennio la quiescenza per una generazione di cinquantenni. Infatti alla Camera pendono già 18 ricorsi che il Consiglio di giurisdizione interna, presieduto da Giuseppe Consolo (Fli), esaminerà il primo febbraio.
Se i ricorsi, per lo più di ex parlamentari, saranno accolti, altre decine se non centinaia ne seguiranno.
I collegi dei questori hanno messo nero su bianco anche il passaggio al sistema contributivo per tutto il personale delle rispettive amministrazioni. Il presidente del Senato Schifani ha già varato un decreto in materia.
Deputati e senatori continueranno a percepire i loro 3.500 euro netti mensili a titolo di diaria, per le spese di mantenimento a Roma.
Adesso anche il Senato, come già la Camera da qualche mese, introduce il registro delle presenze che consentirà di penalizzare con una decurtazione da 200-300 euro ogni assenza del parlamentare in commissione.
Finora la penalità era in vigore solo per quelle in aula.
Il nuovo sistema entrerà in vigore a febbraio e comporterà anche a Palazzo Madama il ricorso appunto a un registro da firmare.
Da quando il meccanismo è stato adottato a Montecitorio, in autunno, le presenze alle riunioni di commissione fino ad allora al lumicino sono aumentate in misura esponenziale.
Molto probabile che il fenomeno si ripeta al Senato.
Così come la diaria, anche l’indennità netta di circa 5 mila euro mensili resta comunque intatta.
Voci che sommate alla quota forfaittaria rimasta a titolo di rimborso per il portaborse (1.800 alla Camera, 2000 al Senato), compongono uno “stipendio” netto che per gli onorevoli si aggirerà adesso attorno ai 10.300-10.500 euro.
Deputati e senatori pagano l’Irpef solo sull’indennità in senso stretto, una delle tre voci del loro “stipendio”.
Di conseguenza, si avvantaggiano di un risparmio del 53 per cento rispetto agli altri contribuenti.
La stima è stata elaborata da Fiscoequo. it, sito dell’associazione per la legalità e l’equità fiscale. “Per i parlamentari – si legge nello studio – il benefit è sempre esentasse. Grazie ad una interpretazione estensiva della norma da parte dei due rami del Parlamento ogni anno deputati e senatori incassano circa 110.000 euro senza pagare l’Irpef, con un risparmio d’imposta di circa 50.000 euro. Il deputato tipo riceve in un anno complessivamente 246.295 euro (indennità lorda annua di 135.400 euro e altri benefits pari a 110.895) e subisce una tassazione ai fini Irpef pari a 44.628 Euro. Se le stesse somme, a titolo di stipendio e di benefit, fossero corrisposte a qualsiasi altro cittadino, manager o alto dirigente, l’imposta Irpef dovuta ammonterebbe a 95.031 Euro”.
Conclusione: “Un risparmio di imposta di 50.403 euro”.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
argomento: la casta, Parlamento, radici e valori | Commenta »