Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL PROGETTO ORIGINALE PREVEDEVA 25 MILIARDI DI COSTO TOTALE, ALTA VELOCITA’ CON RITORNI FINANZIARI TRASCURABILI… ORA IL PROGETTO E’ SUDDIVISO PER FASI, IL COMPLETAMENTO AVVERRA’ IN FUNZIONE DEL TRAFFICO, CIOE’ MAI
Dopo due decenni, ecco il colpo di scena: il progetto è “fasizzato”: all’inizio si costruirà di fatto la sola galleria di base.
Il completamento della linea avverrà probabilmente in funzione della reale crescita del traffico, e lo stesso Sole 24Ore, grande sostenitore fino ad ora del progetto originale senza “se” e senza “ma”, prospetta che non si farà mai.
Non è difficile crederlo: le previsioni ufficiali di traffico mettono in luce da molti anni che si tratta di un progetto essenzialmente dedicato alle merci, e le parti escluse dal progetto non apportano particolari vantaggi a questo tipo di traffico, almeno sino a quando non raggiunga livelli comparabili alla potenzialità residua della linea esistente.
Vediamo ora qualche caratteristica del nuovo progetto, definito anche “Tav low-cost” da alcune fonti.
Si tratta di costruire la sola galleria di base, per ridurre drasticamente le pendenze da superare. Da Chambery a Lione, i francesi costruiranno comunque una tratta alta velocità , ma è un progetto tutto interno a quel paese.
I costi del progetto che interessa l’Italia di fatto sarebbero solo quelli della sezione transfrontaliera della tratta internazionale, che è poi l’unica che l’Europa forse contribuisce a finanziare.
Si tratta di circa 8 miliardi (usiamo valori un po’ approssimati, perchè si tratta comunque di preventivi).
Se l’Europa ne mette due, alla Francia ne toccheranno due e mezzo, e all’Italia 3 e mezzo.
Un bel risparmio, rispetto a costi italiani del progetto originale con caratteristiche di alta velocità , che erano dell’ordine degli 11 miliardi (sempre se l’Europa ne avesse messi 2).
Ma il drastico ridimensionamento è una cosa buona? No, se la riduzione dei costi fosse inferiore alla riduzione dei benefici (e in questi termini bisogna ragionare per forza, non ci sono alternative se non mistico-ideologiche).
Non pare proprio, però, che la riduzione dei costi sia minore di quella dei benefici. Abbiamo fatto alcuni conti molto semplificati, basati su un modellino sviluppato da chi, da anni, propone invano un’articolazione del progetto per fasi, in funzione della domanda.
Lo strumento di calcolo adatto era dunque disponibile e, valutando più di una articolazione per fasi del progetto, ne indicava come più fattibile una assai diversa da quella della “low cost” attuale.
Vediamo cosa significa la tabella dei risultati: per fare un confronto, dai costi del progetto originale (Nltl) sono stati eliminati quelli, tutti francesi e invarianti, della tratta Av Lione-Chambery.
I costi detti “fasaggio” sono una stima dei costi economici totali del progetto attuale, inclusivi dell’esercizio e di altre voci specifiche delle analisi benefici-costi, su cui qui non è possibile entrare nei dettagli.
A fronte di una diminuzione di costi (attualizzati) di (14,7 — 9,1) = 4,6 miliardi, si avrebbe una diminuzione di benefici, sempre attualizzati, di (9,1 — 7,3) = 1,8 miliardi; beninteso a fronte di un esercizio ferroviario volto a saturare la potenzialità delle linee di adduzione alla rete nazionale, che già oggi costituiscono i principali “colli di bottiglia del sistema”, senza impegnarla con i previsti servizi navetta per il trasporto degli autocarri, poco efficaci in termini sia di chilometraggi evitati, sia di peso utile trasportato.
Anche se il rapporto fra benefici e costi resta deficitario, ne consegue comunque un beneficio netto per la collettività di (4,6 — 1,8) = 2,8 miliardi.
Se poi ci si aggiungesse il costo-opportunità dei fondi pubblici, (“Compf” nella tabella), data l’assoluta irrilevanza dei ricavi netti del progetto, il beneficio per la collettività del passaggio alla versione “low-cost” aumenterebbe ancora, ma anche qui non ci dilunghiamo.
Sembrerebbe un’ottima decisione, dunque.
Ma forse i calcoli su cui si basa, certo meno ottimistici di quelli ufficiali, sono sbagliati.
E qui sorge il problema maggiore: perchè non sono stati presentati i calcoli ufficiali sui quali si fonda la nuova decisione, pure così drastica?
Forse risultavano motivazioni ancora più solide.
Oppure, al contrario, negative (risparmi inferiori alla perdita di benefici), e solo la scarsità di fondi ha determinato una scelta così importante. Ma non è dato saperlo.
Si noti che in questa fase la quantità di fondi che arriverà dall’Europa è irrilevante: si parla dell’utilità socioeconomica netta del progetto.
I fondi europei per l’Italia infatti sono sostanzialmente una “invariante”: quelli che eventualmente andranno a questo progetto saranno sottratti ad altri, all’interno degli equilibri politici complessivi dell’erogazione delle risorse per infrastrutture ai diversi paesi.
Peraltro, da notizie recenti sembra che i fondi europei per il progetto siano di ammontare tutt’altro che certo.
Ma immaginiamo che il ridimensionamento sia stata una decisione saggia.
Emerge una questione molto rilevante: perchè non è stata presa prima, avvalendosi di analisi comparative tra soluzioni diverse, come sempre auspicato da lavoce.info, dalle migliori pratiche internazionali e da studiosi indipendenti?
Quale idea sull’uso dei fondi pubblici stava alla base del faraonico progetto originario?
Quali interessi si intendeva far prevalere rispetto a quelli della collettività (non è difficile certo immaginarlo, senza dietrologie particolari)?
Ora, la necessità di un riesame urgente di tutte le altre grandi opere, concepite con logica identica, sembra davvero improcrastinabile: quali sarebbero i costi e i benefici, anche ambientali, di un ponte di Messina senza la ferrovia, che ne raddoppia i costi per pochi treni al giorno?
E per un terzo valico Milano-Genova progettato non in funzione dei (pochi) passeggeri, ma solo delle merci, cioè con standard e costi molto inferiori?
Lo stesso vale per la linea Av Napoli-Bari, e per molte altre grandi opere, concepite evidentemente senza alcuna considerazione della scarsità delle risorse pubbliche.
Andrea Debernardi e Marco Ponti
(da “lavoce.info”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
GIOACCHINO CAIANIELLO, POTENTE SEGRETARIO PROVINCIALE DEL PDL, AVEVA PRETESO UNA MAZZETTA DA UN’IMPRENDITORE PER CONVERTIRE UN’AREA PUBBLICA IN IPERMERCATO
Cinque anni per estorsione all’uomo forte del Pdl in provincia di Varese.
A tanto ammonta la condanna inflitta a Gioacchino Caianiello e all’architetto Piermichele Miano per il reato di estorsione consumato ai danni del costruttore edile Emilio Paggiaro.
La sentenza è arrivata dopo un’ora di camera di consiglio ed è stata pronunciata dal collegio presieduto da Toni Adet Novik del tribunale di Busto Arsizio.
La vicenda è iniziata nel 2005, quando Paggiaro denunciò di essere stato costretto a pagare 250 mila euro in contante per favorire il cambio di destinazione dell’area ex Maino a Gallarate, dove poi è stato realizzato un supermercato.
Al Tribunale di Busto Arsizio la pm Francesca Parola aveva chiesto una condanna a sei anni per il reato di concussione, in quanto all’epoca dei fatti Caianiello aveva un incarico all’interno dell’azienda municipalizzata Amsc di Gallarate.
Tuttavia secondo il collegio giudicante Caianiello non poteva essere ritenuto un pubblico ufficiale, così è stato giudicato per il reato di estorsione, alla stregua di un privato cittadino che ha approfittato della sua grande influenza politica per condizionare la giunta gallaratese ed estorcere denaro alla vittima.
Caianiello, da gestore di una ricevitoria, ha saputo costruirsi un impero.
Prima socialista, ha aderito a Forza Italia e ha compiuto la sua scalata al partito, imponendosi come il riferimento dell’area laica del Popolo delle libertà .
È stato coordinatore provinciale del Pdl varesino e ne è tutt’ora uno degli esponenti più influenti.
È con lui che per anni bisognava fare i conti per chiudere accordi elettorali, per esprimere una candidatura, nominare i componenti dei consigli di amministrazione o, semplicemente per fare politica.
Personaggio sicuramente molto potente, circondato da una corte dei miracoli che da Gallarate si estendeva in buona parte della provincia di Varese e giù, fino al Pirellone, dove è sempre riuscito a piazzare uomini a lui vicini (non ultimi i consiglieri Rienzo Azzi e Giorgio Puricelli).
A lui rispondevano e rispondono un sacco di uomini.
Una rete articolata, che manifestava la propria presenza alla maniera del Pdl, con cene king size ed eventi tutti lustrini e paillettes.
Come la cena che viene organizzata ogni dicembre per il compleanno di Nino, che diventa occasione di autofinanziamento per il partito.
Un evento da centinaia di invitati, a cui hanno sempre partecipato super ospiti.
Nel 2010, ad esempio, accanto ai vip locali, non hanno voluto mancare l’allora sottosegretario Daniela Santanchè e il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Questo per dire che Caianiello è (o era) più di uno stratega di partito.
Era un autentico dominus, capace di influenzare e indirizzare le scelte della politica. Oggi appare sempre di più come un signore caduto in disgrazia.
Lo scorso anno la fortuna sembra avergli voltato le spalle.
Prima il Pdl ha perso le elezioni nella sua roccaforte, Gallarate, dove sull’esito del voto ha pesato l’atteggiamento della Lega Nord, che non volle stringere alleanze proprio per via della sua presenza ingombrante.
Poi nel mese di giugno è arrivata la condanna a un anno e quattro mesi per peculato (secondo l’accusa aveva utilizzato indebitamente il cellulare di Amsc, l’azienda municipalizzata che presiedeva, per effettuare telefonate e videochiamate a sfondo erotico).
Due ingredienti che lo hanno portato a dover rinunciare a tutte le poltrone che occupava (nove in totale) e ai relativi ricchi compensi che riusciva ad intascare.
Oggi una nuova pesante sentenza, che lo condanna in primo grado a cinque anni di reclusione, anche se lui si è sempre professato innocente, dichiarando a più riprese di non aver mai ricevuto denaro.
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
RIMBORSI ANTICIPATI DAGLI ISTITUTI DI CREDITO E BANCA CENTRALE…. DI 50 MILIARDI TOTALI MENO DELLA META’ POTRA’ ESSERE UTILIZZATO
Ci saranno tre giocatori in campo, Banca d’Italia, Tesoro e il sistema bancario, per chiudere definitivamente la partita dei debiti che le imprese vantano nei confronti della Pubblica amministrazione.
Settanta miliardi è la cifra che gira, anche se in realtà sarebbero 50 quelli effettivamente certificati dai creditori, su cui quindi il Tesoro potrebbe porre un marchio di garanzia.
Senza quello le banche avrebbero più difficoltà a entrare in campo per chiudere la partita.
La soluzione è una complessa operazione di ingegneria finanziaria.
A fare il primo passo sarà l’imprenditore.
Con le sue fatture (che attestano per esempio la fornitura di una partita di biancheria per una Asl), andrà alla sua banca, che si assumerà il compito di valutare qual è l’ammontare del credito e soprattutto la sua esigibilità .
Se non trova intoppi, l’istituto valuterà quanto è disposto a “pagare” quel credito e il relativo rischio, perchè è quest’ultimo che effettivamente acquista la banca, il rischio che il creditore non paghi. In gergo è quella che si chiama una cessione pro-soluto e che implica una negoziazione.
L’azienda di credito non pagherà infatti tutto l’ammontare del credito all’imprenditore, ma solo una parte.
L’altra è il prezzo per l’assunzione del rischio.
Che va comunque pagato e visto che di liquidità in giro ce n’è poca e che il denaro costa tanto, la banca, con i documenti che attestano il credito, confezionerà un “collaterale”, un titolo (che contiene una garanzia) e lo cederà alla Banca d’Italia contro finanziamenti al tasso dell’1 per cento.
Lo stesso con cui la Banca centrale europea sta finanziando il sistema bancario europeo. Palazzo Koch, d’altra parte, ha una notevole liquidità , e ha la possibilità di gestirla anche per un’operazione di questo tipo, tanto più da quando Francoforte ha allargato alle Banche centrali dei singoli Paesi lo spettro di titoli e prestiti che possono essere portati in garanzia.
Più che un’ipotesi di lavoro, l’operazione “rimborso-crediti”, sembra già a buon punto.
D’altra parte l’articolo 35 del decreto sulle liberalizzazioni parla chiaramente di “misure per la tempestività dei pagamenti, per l’estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali”.
Ma obiettivo del governo non è solo pagare le imprese, ma smaltire poco a poco l’intero stock del debito, lasciando il Tesoro senza più arretrati.
Per ricominciare da capo, tendendo conto, tra l’altro, che una normativa europea, non ancora recepita, impone che le commesse per la Pubblica amministrazione siano liquidate entro 30 giorni, senza ritardi. Sulle imprese l’effetto positivo sarebbe quello di incassare liquidi in un momento in cui le banche tengono chiusi i rubinetti e, se li aprono, il costo del finanziamento è elevato, soprattutto per le piccole e medie imprese.
Un’operazione che rischia però di dimezzare i crediti vantati dalle imprese.
Di quei 50 miliardi iniziali, si potrebbe scendere alla metà , vuoi perchè l’operazione costa, vuoi perchè le banche negozieranno con gli imprenditori.
E non è detto che tutti i crediti riescano a ottenere il marchio di garanzia per essere trasformati in collaterali e venduti alla Banca d’Italia.
“L’operazione è praticabile, ma ci sono almeno due ostacoli su questa strada”, commenta un banchiere che vuole mantenere l’anonimato.
“Il primo ostacolo è la qualità del credito, le banche stanno molto attente quando devono fare queste operazioni, perchè acquistare il rischio di credito significa acquistare anche il rischio truffa e non solo quello.
La riscossione non è mai certa: un ospedale può non voler pagare la fornitura di una partita di siringhe, sostenendo che erano difettose.
Sarebbe necessaria una cartolarizzazione del credito, per capire qual è quello esigibile. Un processo un po’ lungo, ma possibile”.
“L’altro ostacolo è rappresentato dalla quantità di credito che si può portare in Banca centrale – certo, se c’è la garanzia del Tesoro…
Vedo più che altro difficoltà di processo, ma l’operazione va bene.
La banca avrebbe a bilancio da una parte un credito dall’altra un debito. Può funzionare”.
Barbara Ardù
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
PASSERA DELEGA VARI, UOMO VICINO A LETTA E CONFALONIERI
A 75 anni l’emozione è un sentimento usurato.
E il sottosegretario Massimo Vari, a un convegno su televisioni locali e riforme di governo, ha diluito le parole di circostanza: “Questa è la mia prima uscita pubblica con le deleghe per le Telecomunicazioni”.
Ormai il segreto non funzionava più, il ministro Corrado Passera (Sviluppo economico) ha sempre inviato il sottosegretario Vari ai complicati e infiniti incontri per cambiare un sistema televisivo che appare immodificabile.
All’annuncio inaspettato di Vari, un avvocato e magistrato di poche e concise dichiarazioni, qualcuno in platea si è guardato intorno per cercare uno sguardo di conforto, e poi riflettere: “A questo punto, potevano lasciare Paolo Romani, – dice un editore di un gruppo televisivo importante — il fantasioso inventore del beauty contest”, il concorso di bellezza che regalava le frequenze a Mediaset, momentaneamente congelato (non cancellato).
Massimo Vari, ex vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, non si è mai occupato di televisioni, tralicci, canali, digitale terrestro o tecnologia analogica.
Ma ha il curriculum giusto per la poltrona, secondo i parametri italici: sei anni fa era tra i favoriti di Forza Italia per la nomina al vertice di Agcom, l’Autorità garante per le Telecomunicazione distrutta in questi anni da inchieste e manipolazioni.
Tra i suoi innumerevoli incarichi, durante una carriera nei posti di potere in cui apparire conta quasi zero, Vari è stato consigliere di Stato per il Vaticano.
Anche Giancarlo Innocenzi, considerato da molti un suo carico amico, godeva di ottimi uffici con la Chiesa (tant’è che a Roma abitava in una casa di Propaganda Fide, il braccio immobiliare del Vaticano, che affaccia su piazza San Pietro).
Vari e Innocenzi si sono conosciuti in Vaticano, potevano continuare il sodalizio all’Autorità , ma poi Silvio Berlusconi preferì Corrado Calabrò.
Mentre Innocenzi, esattamente due anni fa, lasciò l’Agcom perchè coinvolto nell’inchiesta di Trani in cui si svelava il sistema di pressioni del Cavaliere per chiudere Annozero, la trasmissione di Michele Santoro.
Quando Mario Monti e Corrado Passera l’hanno chiamato al ministero per lo Sviluppo economico, Vari aveva appena finito il suo servizio alla Corte dei Conti di Lussemburgo.
Nessuno pensava, ma molti sospettavano, che il costituzionalista potesse avere un ruolo decisivo nella partita televisiva, quella che Berlusconi e i suoi collaboratori guardano con attenzione: mancava un pezzo del racconto, però.
Vari è l’uomo indicato dal Pdl per presidiare il ministero strategico di Passera, è amico di vecchia data di Gianni Letta e Fedele Confalonieri .
A parte le relazioni pubbliche e private, Vari non ha competenze specifiche in materie televisive, eppure il Pdl ha insistito affinchè Passera gli affidasse la delega.
Sarà una coincidenza del calendario governativo, ma nei prossimi mesi Passera e Monti dovranno decidere se riformare davvero la Rai oppure allestire l’ennesimo Consiglio di amministrazione emanazione dei partiti e, soprattutto, del Cavaliere. Capitolo frequenze televisive: il beauty contest è stato fermato per tre mesi, tra qualche settimana il governo dovrà prendere una decisione definitiva.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
AI SOLLECITI RISPONDIAMO TARDI O NON RISPONDIAMO AFFATTO… LE REGOLE ERANO STATE SCRITTE DA MARIO MONTI NEL 2010
L’Italia batte tutti in Europa sulle direttive Ue non notificate nella legislazione nazionale.
Sono 29 quelle “dimenticate”.
Non va molto meglio se nella media si comprendono anche le direttive notificate con errore: in questo caso la media europea è dello 0,8 per cento, noi arriviamo all’1,9 per cento.
In questa seconda classifica, peggio di noi c’è solo il Belgio con il 2,2 per cento.
Andiamo a braccetto con la Polonia, Paese entrato nell’Ue solo nel 2004, quindi con il sistema di recepimento del diritto comunitario ancora da mettere a punto.
Il dato emerge dal rapporto della Commissione europea sull’attuazione delle regole del mercato unico (che si fonda su cifre aggiornate al primo novembre 2011) pubblicato a Bruxelles in occasione del ventesimo anniversario del mercato unico.
Nel dettaglio, con “deficit di trasposizione” s’intende la percentuale delle direttive del mercato interno che non sono state notificate alla Commissione in rapporto al numero totale delle direttive che deve essere trasporto nella legislazione nazionale.
Questo vuol dire che una volta che una direttiva europea viene approvata a Bruxelles, i vari governi nazionali devono “digerirla” nei propri ordinamenti e adeguare il diritto nazionale a quello comunitario.
Ma evidentemente in Italia troppo spesso qualche testo si perde nella burocrazia di Camera e Senato.
Sono quindi 29 le direttive Ue non notificate dall’Italia, una in più il Belgio, ma ben 15 in meno la Francia e 14 in meno la Germania.
Poi non mancano le eccellenze, come la Danimarca (7 non ratificate) e l’Irlanda (4).
Questa volta non consola nemmeno guardare le “new comers” in Europa come Romania (17) e Bulgaria (13).
Possibile che proprio l’Italia, uno dei sei Paesi fondatori dell’Ue, si trovi così indietro nell’applicazione delle direttive comunitarie?
A guardare i dati Si, e dire che l’ultimo rapporto sulla “Nuova strategia per il mercato unico” del maggio 2010 porta proprio la firma dell’attuale Premier italiano Mario Monti.
Ma non solo l’Italia è lenta a ratificare, o lo fa in modo scorretto, le direttive comunitarie. Secondo i dati della Commissione siamo soliti reagire con un’alzata di spalle anche alle sollecitazioni di Bruxelles, o peggio ancora non reagire per niente.
Sì perchè quando uno Stato non recepisce nei tempi dovuti una determinata direttiva, l’Ue invia qualche sollecito, fino a scrivere una lettera di messa in mora, primo passo ufficiale verso l’apertura di una vera e propria procedura d’infrazione.
I tempi sono sempre molto dilatati, proprio per permettere alle autorità nazionali di dare una risposta o mettersi in regola.
Tuttavia anche in questa classifica l’Italia si becca un bel bollino rosso nel rapporto della Commissione.
Infine ci sono le procedure d’infrazione, ovvero le “punizioni” previste dalla legislazione europea per i Paesi meno diligenti.
Secondo il dipartimento italiano delle politiche comunitarie, ad oggi le procedure a carico dell’Italia sono 132, ben 95 delle quali riguardano addirittura casi di violazione del diritto dell’Unione e 37 sono relative a mancato recepimento di direttive.
In cima alla lista troviamo le questioni ambientali 33 (ad esempio rifiuti, discariche, falde acquifere), seguite da fiscalità e dogana (14), lavoro e affari sociali (12) e trasporti (11). Insomma davvero non male.
E cosa succede in caso di condanna dopo una procedura d’infrazione?
La Commissione europea si rivolge alla Corte di Giustizia e questo può portare ad una sanzione economica ai danni del Paese aggravata per ogni giorno di ritardo dell’adozione della direttiva in questione. Insomma, pioggia sul bagnato.
All’ultima riunione del Consiglio europeo, il 30 gennaio 2012, i capi di Stato e di Governo hanno sottoscritto una dichiarazione con delle misure indispensabili a rilanciare il mercato interno europeo.
Lo scorso 20 febbraio, inoltre, 12 Paesi europei (tra cui l’Italia) hanno sottoscritto un’altra lettera indirizzata al Consiglio del 1 marzo con indicate altre mosse per rilanciare lo sviluppo in Europa sempre grazie al completamento del mercato unico. Insomma, a ben guardare, il grosso del lavoro di Monti resta in Italia.
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL GOVERNO PIEGA SOLO LE BANCHE… CONTRO ALTRE CATEGORIE RIMEDIA PAREGGI E QUALCHE SCONFITTA
Ordini professionali: sconfitta.
Alla fine i professionisti si salvano (ma gli avvocati non sono contenti e scioperano). Resta l’abrogazione delle tariffe, ma entro 120 giorni il ministro vigilante (Severino) dovrà emanare un regolamento che fissi i “parametri di riferimento” per i compensi. Salta l’obbligo del preventivo, sostituito da uno “di massima” la cui mancata presentazione non sarà “illecito disciplinare” (così aveva scritto il governo). I soci esterni non potranno superare il 33 per cento del capitale degli studi.
Farmacisti: pareggio
Il quorum per abitante per aprirne una passa da tremila a 3.300: significa circa cinquemila esercizi in più. Alle parafarmacie è comunque concesso di vendere farmaci veterinari e galenici (quelli preparati dal farmacista) senza ricetta. In attesa di sapere quanti e quali farmaci di Fascia C saranno “delistati” dal ministero della Salute e quindi vendibili fuori dalle farmacie tradizionali: se saranno molti, il pareggio si trasformerà in una vittoria.
Notai: pareggio
Aumenta di qualche centinaio di unità la pianta organica dei notai, che soggiacciono anche all’abolizione delle tariffe, ma nessuna delle loro competenze viene passata — per esempio — ai meno cari avvocati. Il Senato ha deciso, comunque, che i nuovi professionisti entreranno in vigore entro un anno dal concorso (oggi ce ne vogliono almeno tre) e che dal 2015 verrà bandito un concorso annuale.
Banche: vittoria
Conti correnti (quasi) gratis per i pensionati fino a 1.500 euro e disposizioni per dare più possibilità di scelta al cliente che contrae un mutuo o chiede un prestito: nessun obbligo di stipulare un’assicurazione con la banca concedente, nullità di tutte le clausole che portano commissioni alle banche nella gestione di linee di credito. Dura reazione dell’Abi sui c/c gratis: ci costerà più di un miliardo.
Assicurazioni: pareggio
Gradito alle società il pacchetto di norme anti-frode (pene fino a 5 anni) e il non pagamento per infortuni non rilevabili (vedi colpo di frusta). Per i clienti è una buona notizia la possibilità di avere agenti plurimandatari e l’obbligo di far pagare la stessa cifra in ogni regione agli automobilisti che non hanno avuto mai incidenti.
Tassisti: sconfitta
Il controllo sul numero di licenze rimane ai Comuni e l’Autorità dei trasporti non avrà poteri “vincolanti” sui sindaci. I conducenti delle auto bianche protestano ancora per la flessibilità nei turni, la possibilità di doppia guida e la mancata concessione di sgravi su carburante e Iva.
Consumatori: vittoria
C’è un ampliamento della possibilità di intentare class action e norme molto più dure sulle clausole vessatorie nei contratti tra professionista e cliente.
Eni: vittoria
Al Cane a sei zampe verrà sottratta la proprietà di Snam Rete Gas entro il settembre 2013: le modalità sono affidate a un decreto del presidente del Consiglio che dovrà anche fissare la quota della nuova società che rimarrà in capo a Eni.
Trasporti: pareggio
Niente separazione della rete ferro-viaria da Trenitalia per ora, mentre Montezemolo e gli altri privati incassano la possibilità di non attenersi al contratto di lavoro dell’ex monopolista. Viene istituita un’Authority ad hoc, che però sulle concessioni autostradali funzionerà appieno solo da quelle future.
Grande distribuzione: vittoria
Contratti scritti e termini di pagamento obbligatori: il ministro Catania porta a casa norme favorevoli agli agricoltori nonostante la guerra fattagli dal lato potente della filiera.
Enti locali: vittoria
Il governo dovrebbe ottenere, con poche modifiche, la norma sulla tesoreria unica: regioni ed enti locali fino al 2014 dovranno devolvere a quella nazionale le risorse liquide che hanno in cassa (in genere le mettono in banca per avere gli interessi). Per il Tesoro la liquidità aggiuntiva ammonterà a 8,6 miliardi di euro e consentirà di ridurre l’emissione di titoli di Stato di 620 milioni nel triennio. Regioni e enti locali hanno già cominciato a inoltrare ricorsi legali. Vince il governo anche sulla questione dei servizi pubblici locali: la messa a gara sarà incentivata quando non imposta.
Cricche: vittoria
Grazie a un emendamento del Pd, i grandi eventi non saranno più di competenza della Protezione civile: saranno dunque assegnati tramite normali gare d’appalto.
Lobbisti: pareggio
I “sottobraccisti” che affollano i corridoi parlamentari per perorare l’interesse di questo o quel gruppo di potere dovranno sottostare a un regolamento. Ieri il Senato ne ha approvato le linee guida: tra le altre cose sarà creato un registro visibile on line delle società che vogliono fare lobbing in Parlamento e delle persone da queste accreditate. Non ci sarà , però, una (temuta) legge che regolamenti il settore.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
VENTI ANNI DI SCONTRI E POLEMICHE PER 13 KM DI TUNNEL.. DAI CANTIERI ALLE SPESE, DAI POSSIBILI BENEFICI AI DANNI PER LA VALLE
Tav sì, Tav no. I pro e i contro della ferrovia più contestata d’Italia sono al centro della discussione da decenni.
Con il passare del tempo le due parti, invece di avvicinarsi, si sono sempre più allontanate.
La discussione tecnica su una galleria è diventata in Italia l’epicentro dello scontro ideologico più forte dopo la fine delle ideologie.
Proviamo a sintetizzare le ragioni di favorevoli e contrari tentando di riportare il confronto alle questioni di merito.
Quella che era nata, all’inizio degli anni Novanta, come una protesta locale per difendere la valle da progetti che nessuno dei comuni coinvolti aveva avuto alcuna possibilità di discutere, è diventata nel tempo la discussione su un modello di sviluppo.
Ma davvero la galleria che si comincia a scavare in questi mesi vicino a Susa è così pericolosa come sostengono gli oppositori o è così utile come controbattono i favorevoli?
Soprattutto, ha ancora senso oggi tentare di fermare l’opera?
Pro
La tecnologia moderna consente di scavare in quella stessa roccia che potrebbe contenere amianto e uranio, in tutta sicurezza. È già stato fatto in Svizzera, per il tunnel del Loetschberg: i cantieri saranno controllati, i materiali di scavo saranno trasportati in ferrovia e in condizioni tali da limitare l’inquinamento.
Contro
La montagna in cui si dovrà scavare la galleria contiene amianto e uranio e non ci sono garanzie sulle tecniche di sicurezza. Fanno paura anche polveri e inquinamento provocati dai mezzi nei cantieri: previsioni di aumento del 10 per cento di malattie cardiache e polmonari soprattutto tra anziani e bambini. 10mila persone rischiano di ammalarsi.
Pro
La Tav rappresenta una grande occasione per il turismo della Valsusa che così sarà più collegata con il resto d’Italia e d’Europa. A Susa sorgerà la nuova stazione internazionale dove arriveranno i treni che porteranno gli sciatori direttamente sulle piste da sci: per farlo sarà studiato un sistema di collegamenti con treni locali e autobus.
Contro
Nessuno va in vacanza in un cantiere, tanto meno se è presidiato da militari e forze dell’ordine. I lavori finiranno per distruggere l’industria turistica, perchè devasteranno il paesaggio e la ricchezza del territorio, come è già successo alla cava del Moncenisio, in alta Valsusa.
Pro
I cantieri Tav daranno lavoro ad almeno 7mila persone all’anno, con una ricaduta economica di 40 milioni di euro e un aumento dell’1 per cento del Pil per il territorio. Già con il cantiere della Maddalena ci saranno vantaggi anche per l’indotto: gli operai del cantiere mangeranno nei ristoranti e dormiranno negli alberghi della valle (150 pasti al giorno per cinque anni).
Contro
Le occasioni di lavoro create dal cantiere saranno offerte da ditte che arrivano da fuori. In compenso i disagi provocati dai cantieri faranno perdere posti di lavoro i valligiani che oggi vivono di turismo e di montagna. Già le opere preliminari hanno messo a rischio la viticoltura d’origine controllata nella valle del Clarea.
Pro
Entro il 2035 la nuova linea ridurrà il traffico togliendo dalle strade un milione di camion. Il tunnel consentirà di portare sui treni 2.050 tonnellate di merci, contro le attuali 1.050 e ridurrà (di un milione di tonnellate) le emissioni nocive. I cantieri saranno gestiti nel rispetto dell’ambiente creando occasioni per sistemare territori compromessi da precedenti interventi.
Contro
La ferrovia devasterà il territorio e distruggerà le falde: intere zone, com’è già accaduto nel Mugello, resteranno senz’acqua. Il terreno è in molti punti franoso: a ogni pioggia già oggi si sbriciolano i costoni. Lo scavo peggiorerà la situazione. Dieci anni di cantieri renderanno l’aria irrespirabile.
Pro
Con la nuova linea ferroviaria sarà più facile spostarsi. Tra Torino e Lione il treno impiegherà 1 ora e 40 minuti, invece delle attuali quattro; tra Milano e Parigi quattro ore piuttosto delle sette di oggi. Migliorerà inoltre anche il trasporto per i pendolari: la ferrovia diventerà una sorta di metropolitana di valle, con treni frequenti e collegati al servizio metropolitano di Torino.
Contro
Arrivare a Lione in 1 ora e 40 minuti non serve a nessuno. Già ora i treni viaggiano vuoti e la domanda di traffico è in calo. La Tav distrugge il trasporto pubblico e sottrae soldi ai treni per i pendolari, senza migliorare la qualità del viaggio di chi usa il treno. Per i tempi di percorrenza resta comunque più veloce ed economico l’aereo.
Pro
La Tav costa 8,2 miliardi di euro, poco più di una linea di metropolitana. Per l’Italia è un investimento di 2,8 miliardi, spalmato in dieci anni e quindi assolutamente affrontabile. L’Europa contribuisce fino al 40 per cento dell’opera (3,3 miliardi) e sono allo studio forme di coinvolgimento per gli investitori privati.
Contro
La Torino-Lione costa 23 miliardi a cui si devono sommare tutti i soldi, 90 mila euro al giorno, per pagare la sicurezza del cantiere a Chiomonte. E non è assolutamente detto che l’Europa sia pronta a finanziare il 40 per cento dell’opera. L’Italia poi paga, in base all’accordo con la Francia, il 57,9 per cento di un’opera che è solo per un terzo sul territorio italiano.
Pro
Anche per la Tav sarà attivata una task force anti mafia, così come è stato fatto per i lavori post terremoto a L’Aquila. Tutte le procedure saranno eseguite in modo rigoroso, così come è stato fatto finora. A garanzia della correttezza di queste procedure si sono impegnati gli enti locali e il governo con documenti ufficiali.
Contro
Le grandi opere servono soltanto ad arricchire i padroni e i mafiosi. È stato così per moltissimi appalti in questa regione. Sulla montagna in Valsusa è scritto a caratteri cubitali “No Tav, No Mafie”, perchè le grandi opere rubano soldi pubblici e li danno alle grandi imprese che controllano gli appalti.
Pro
La decisione è irreversibile, perchè è già stata presa dal Parlamento italiano e da quella francese, ratificata da due trattati internazionali e dall’Unione europea, che l’ha inserita tra le opere strategiche e nei documenti finanziari dei prossimi anni. Per l’opera è stato aperto un tavolo politico per il confronto con gli enti locali e un osservatorio tecnico per l’analisi dei problemi.
Contro
In questi anni non c’è stato nessun dialogo con gli enti locali. Le decisioni sono state imposte e i sindaci non hanno potuto vedere i progetti, nè avere un confronto serio sul piano tecnico, o su quello politico. Anche in Europa numerosi parlamentari sono contrari, perchè l’opera non gode del consenso della popolazione locale.
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, denuncia, economia, ferrovie | Commenta »
Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
NON SAPENDO PIU’ A CHI RIVOLGERSI, POTREBBERO PRESENTARSI A CASA VOSTRA GRILLO E BIASOTTI A PROPORVI DI FARE IL CANDIDATO SINDACO DI GENOVA DEL PDL
LI RICONOSCETE DAL CURRICULUM: UNO NON E’ RIUSCITO NEANCHE A FARSI ELEGGERE SINDACO DI CAMOGLI, L’ALTRO HA COME PRECEDENTI DUE SCONFITTE DI SEGUITO IN REGIONE
DA GIORNI CERCANO UN NUOVO AGNELLO SACRIFICALE SENZA TROVARLO E SONO DISPOSTI A TUTTO: ANCHE A CANDIDARE QUALCUNO CHE ABBIA UN REDDITO INFERIORE AI 100.000 EURO E CHE OGNI TANTO SALTI LA MESSA DELLA DOMENICA
NON DATEGLI CORDA, NON FIRMATE FOGLI IN BIANCO: RISCHIATE DI TROVARVI NOMINATI A VOSTRA INSAPUTA ANCHE SE AVETE MANDATO UNA MAIL DI RINUNCIA COME IL POVERO (SI FA PER DIRE) VINACCI
SE INSISTONO A SCAMPANELLARE ALL’USCIO PRENDETE TEMPO E INVOCATE LE PRIMARIE
LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di Presidenza
argomento: Genova, Liguria Futurista, PdL | Commenta »
Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
A RISCHIO TASSAZIONE SOLO QUELLE CON RETTE ALTE…. TANTO RUMORE PER NULLA: LA CEI HA OTTENUTO QUELLO CHE VOLEVA
Erano tre giorni che non ci dormivano la notte: tutto, ma le scuole no.
Alla fine, di fronte ad una tale dose di preoccupazione parlamentar-religiosa, s’è mosso Mario Monti in persona, il primo premier a partecipare ai lavori di una commissione (“succede anche questo… “, il suo commento): “Sono esenti dall’Imu quelle scuole che svolgono attività secondo modalità non commerciali – ha spiegato ai senatori che esaminano il decreto liberalizzazioni – il governo considera le attività svolte dagli enti no profit come un valore e una risorsa della società italiana, tanto più meritevoli di riconoscimento e garanzia nell’attuale congiuntura economica”.
E partito il coro: allora va benissimo, bravo il governo, ottimo provvedimento.
Pure la Cei, per bocca di monsignor Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, si dichiara soddisfatta: “Le dichiarazioni di Monti vanno nella direzione giusta. Non ha senso tassare attività che hanno chiara rilevanza pubblica e sociale” .
In realtà , il tipo di esenzione a cui fa riferimento il premier – quella per il no profit – è e resterà in vigore.
La sostanza, dunque, è che pagano e pagheranno l’Imu le scuole private vere e proprie (tipo quelle da “due anni in uno”), ma quasi nessuna delle oltre 13mila paritarie in attività , due terzi delle quali cattoliche: è su quel “quasi”, ovviamente, che si giocherà la partita.
I criteri da seguire, ha spiegato Monti, sono demandati a un decreto del Tesoro da emanare nei prossimi mesi, ma seguiranno tre linee guida, le stesse elencate in una circolare interpretativa emanata nel gennaio 2009 da Fabrizia Lapecorella, direttrice del Dipartimento delle Finanze .
Eccole: per l’esenzione Imu la scuola deve essere, appunto, paritaria e dunque vincolata a una serie di obblighi (rispetto dei programmi ministeriali e del contratto nazionale, etc.), non deve usare criteri discriminatori nello scegliersi gli studenti e chiudere in bilanci in pareggio o destinare l’eventuale surplus all’attività didattica.
Si tratta di linee guida già in vigore: difficile che producano sfracelli.
Restano, comunque, due problemi: la stretta sulla nuova Imu, già così, finirebbe per gravare su molti asili gestiti da enti religiosi, cui va aggiunta una postilla che Monti ha fatto ai criteri individuati nel 2009 dal Dipartimento delle Finanze: parlando dei criteri non discriminatori, il premier ha aggiunto “anche con riferimento ai contributi chiesti alle famiglie”.
Se le rette sono un criterio, allora anche altre istituzioni educative private – quelle d’èlite – saranno chiamate a pagare.
Andrea Riccardi, ministro tra i meglio piazzati quanto a rapporti in Vaticano, ha infatti notato: “Ci sono alcuni nodi da sciogliere come il discorso sulle scuole: bisogna capire cosa è sociale e cosa commerciale”.
Incassato il via libera del Parlamento, insomma, bisognerà stare bene attenti al decreto attuativo del Tesoro per capire quanto saranno larghe le maglie per l’esenzione: è probabile che alla fine pagheranno alberghi e ostelli vari degli enti religiosi, molti ospedali (già esclusi i “classificati”, che fanno servizio pubblico e sono “non a scopo di lucro”), ma le scuole la sfangheranno quasi in blocco.
Almeno, sostiene Monti, non avremo problemi con la procedura d’infrazione aperta dall’Unione europea per aiuti di Stato: “La formulazione dell’emendamento è stata informalmente sottoposta all’Ue per avere rassicurazioni che la procedura possa essere chiusa”.
E il responso è stato positivo. “Se resta così noi faremo un nuovo ricorso”, dicono i radicali Maurizio Turco e Carlo Pontesilli (autori degli esposti su cui indaga la commissione): “Sconsigliamo uscite del tipo ‘paga l’Imu chi iscrive un utile in bilancio’ includendo solo le organizzazioni no profit.
E i privati? Sarebbero discriminati.
Anche così c’è una violazione dei principi della concorrenza”. Spazio per modifiche, però, non ce n’è: il decreto liberalizzazioni è blindato dalla commissione
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Il commento del ns. direttore
Nel provvedimento del governo pare siano finalmente soggetti all’Ici alberghi e cliniche di proprietà del Vaticano che hanno chiaramente un fine commerciale da quando sono nate.
Sulle scuole invece permane l’equivoco, se gli utili verrano reinvestiti non sarà applicata alcuna tassazione: facile immaginare il giro di pezze giustificative che faranno sì che non rimanga nessun utile.
Ma qualcuno ci dovrebbe spiegare un elementare concetto.
Il cittadino è libero di rifiutare l’istruzione pubblica e mandare il proprio figlio a una scuola privata, confessionale o meno che sia, ma abbia il buon gusto di pagarsela e di non gravare sulla collettività con buoni scuola o amenità varie.
E finiamola col concetto che svolgono un’attività di servizio pubblico e sociale, sostitutiva dello Stato: non esiste angolo della penisola dove, volendo, non si possa iscrivere il proprio figlio a una scuola pubblica, asili nido a parte.
Se queste scuole vogliono godere degli stessi diritti della scuola pubblica comincino a fare una semplice cosa: assumano gli insegnanti sulla base della graduatoria pubblica, invece che chiamare chi pare a loro.
Esiste una parità di diritti solo laddove è moneta corrente la parità di doveri.
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