Febbraio 19th, 2012 Riccardo Fucile
PIRATI INFORMATICI HANNO ATTACCATO IL SITO DELL’AVVOCATO BELLUNESE COLPEVOLE, INSIEME A SCILIPOTI, DI AVER CHIESTO E OTTENUTO DALLA MAGISTRATURA LA CHIUSURA DEL PORTALE DEDICATO ALLA STRAGE DEL VAJONT
La vendetta di Anonymous non si fa attendere e colpisce il sito di Maurizio Paniz, oscurandolo e sostituendone la home page con l’ormai famosa maschera e un messaggio al deputato del Pdl colpevole di aver fatto chiudere il portale dedicato alla strage del Vajont.
Anonymous ha colpito ancora.
I pirati informatici hanno attaccato il sito di Maurizio Paniz, avvocato e deputato del Pdl che insieme a Domenico Scilipoti ha chiesto e ottenuto dalla magistratura la chiusura del portale dedicato alla strage del Vajont.
“Il giudice delle indagini preliminari di Belluno, Aldo Giancotti, ha ordinato la chiusura dell’intero portale dedicato alla strage del Vajont, costata la vita nel 1963 a 1910 persone”, ricorda AnonymousItaly in un comunicato.
Il sito, si spiega, “è ‘colpevole’ di aver scritto: ‘E se la mafia è una montagna di me… Scilipoti e Paniz sarebbero guide alpine!”.
Se l’italiano non è un’opinione, l’uso del plurale in detta frase non si rifà alle persone ma a ciò che rappresentano, quindi come prima osservazione viene da chiedersi se non sia giusto che chi giudica lo scritto non sia tenuto alla conoscenza della lingua dello scrivente”.
Inoltre, si legge ancora, “c’è da considerare il diritto degli ‘scilipoti e paniz’ sopra al diritto di migliaia di utenti che avevano come riferimento il portale oscurato; fra i documenti destinati a scomparire almeno per un periodo dalla rete, molte fotografie, interviste, e rappresentazioni teatrali come quella tenuta a febbraio dai ragazzi di uno dei paesi della comunità ancora sconvolta dal ricordo del disastro”.
Per Anonymous, che pochi giorni fa ha messo fuori uso anche il sito della Cia, “interessante è notare come la magistratura italiana abbia fatto il suo esordio censorio in rete con un portale del genere, andando a ledere il diritto primario all’informazione, come se si volesse costituire un precedente: il giudice decide cosa si puo’ scrivere e cosa si può sapere, ledendo gravemente i diritti all`informazione dei cittadini italiani che potrebbero vedere scomparire dal mondo della rete interi quotidiani, blog, portali informativi, in virtù di una o più frasi ritenute lesive dei diritti di un singolo cittadino”.
Dunque, “per queste ragioni non perdiamo l’occasione di tacere e agiamo!!!. Wikileaks dice “Informations want to be free”.
E voi cari avvocati? Oltre ai soldi e alla reputazione, un po’ di sana libertà non ve la volete godere?
A quanto pare no, quindi abbiamo deciso di farvi inc… un bel po’ iniziando un lungo processo di attacchi, che comincia proprio con http://www.mauriziopaniz.it/”, si chiude il messaggio.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 19th, 2012 Riccardo Fucile
NEL PIENO DEL CROLLO ECONOMICO-FINANZIARIO, GLI STIPENDI DELLE GRANDI AZIENDE EUROPEE HANNO SUBITO RIALZI DEL 20% IN SVIZZERA, DEL 22% IN GERMANIA, DEL 34% IN FRANCIA… MA I SALARI IN ITALIA SONO FERMI AL 22° POSTO, APPENA DAVANTI ALLA GRECIA
Per i patron delle grandi aziende europee, e per i loro stipendi, la crisi nel 2010 era già finita,
con buona pace dello spettro della recessione che aleggiava sull’Europa e dell’allarme di Ocse e Fmi sulla disoccupazione.
Mentre in Italia Napolitano già evocava i “sacrifici necessari” e Confindustria battagliava con i sindacati sul “rigore necessario alla crescita” che diventerà un anno dopo il mantra del presidente Monti, gli amministratori delegati delle 367 principali società quotate in Borsa del Vecchio continente hanno guadagnato, in media, 3,928 milioni di euro ciascuno.
Tutto compreso: salario fisso, bonus e premi di risultato, compensi in azioni e stock options, e benefici di varia natura.
Senza calcolare gli accordi previdenziali complementari, impossibili da quantificare con precisione a causa della scarsa trasparenza dei resoconti societari sull’argomento.
Basta, dunque, con le rinunce ai bonus e gli stipendi simbolicamente ridotti all’osso: ad appena due anni dall’inizio della crisi, i grandi capi delle aziende europee sono tornati a guadagnare quanto prima, se non di più, nonostante l’economia fosse sull’orlo di un nuovo baratro.
Nel 2010, mentre il Pil dell’area Ocse (i 34 Paesi occidentali ad economia più sviluppata) cresceva del 2,8%, e quello dell’eurozona appena dell’1,7%, i loro compensi si involavano del 20% in Svizzera, del 22% in Germania e addirittura del 34% in Francia.
Dove, nello stesso anno, i lavoratori a salario minimo garantito si sono dovuti accontentare di un aumento per adeguamento all’inflazione dell’1,7%.
La palma dei più pagati se la sono però assicurata i chief executive officer britannici, che secondo i calcoli del network Ecgs (che raggruppa una serie di società di consulenza e ricerca indipendenti, tra cui l’italiana Frontis governance) hanno totalizzato una retribuzione media pro-capite di 6,08 milioni di euro, beneficiando di un cambio favorevole alla sterlina ma soprattutto di un’impennata di bonus e stock options, le cosiddette componenti variabili.
Congelate durante la crisi per placare le ire di azionisti e risparmiatori, nonchè dei governi costretti a ricapitalizzare banche e assicurazioni sull’orlo del fallimento, nel 2010 sono tornate a fare la parte del leone negli stipendi dei top manager d’Oltremanica, fruttando a ciascuno oltre 5 milioni di euro.
Appena sotto gli inglesi, sul secondo gradino del podio, si sono accomodati gli amministratori delegati nostrani, con un compenso medio da 5,48 milioni.
Composto da 2,11 milioni di euro di retribuzione variabile tra denaro e azioni e 1,8 milioni di benefit vari (vantaggi in natura, gettoni di presenza e altre forme di compenso legate a elementi straordinari, come il completamento di operazioni finanziarie), da aggiungere a un principesco stipendio fisso: quasi 1 milione e 700 mila euro l’anno, il più elevato d’Europa.
Eppure, nelle classifiche Ocse del 2010 sul livello dei salari l’Italia era ben più in giù del primo posto: ventiduesima su 31, appena davanti alla Grecia, con una retribuzione media netta per un single senza figli a carico di 25.155 dollari, quasi 5.000 in meno della media della zona euro.
L’exploit dei patron italici è però ancora più stupefacente se si esamina un’altra classifica, quella delle retribuzioni individuali del 2010.
Qui due nostri concittadini, nomi più che noti dell’alta finanza tricolore, hanno infatti conquistato prima e seconda piazza, infliggendo agli inseguitori un distacco di tutto rispetto.
Medaglia d’oro per Alessandro Profumo, che grazie alla buonuscita da 38 milioni versatagli da Unicredit ha visto la sua retribuzione sfondare il tetto dei 40 milioni di euro.
Eppure, per l’istituto di piazza Cordusio il 2010 non era stato un buon anno: i ricavi erano calati, soprattutto nel trading, gli utili avevano fatto uno scivolone verso il basso di oltre il 22% e la filiale di risparmio gestito Pioneer, esperta in derivati, era stata messa in vendita.
Gli azionisti si erano quindi dovuti accontentare di un dividendo da 3 centesimi, con la promessa, formulata dal successore di Profumo, Federico Ghizzoni, di un 2011 più fruttuoso. Promessa non mantenuta, dato che l’anno scorso il gruppo è stato travolto dalla crisi del debito nella zona euro, ha azzerato i dividendi e annunciato il taglio di oltre 5.000 dipendenti.
Il secondo posto se l’è aggiudicato invece Sergio Marchionne, numero uno del gruppo Fiat, con 22,97 milioni di euro di retribuzione annuale 2010.
Stavolta, a pesare non sono bonus o buonuscita, ma il salario fisso, più che generoso: 3,473 milioni di euro, oltre 98 volte lo stipendio annuale medio di uno degli oltre 135mila dipendenti del gruppo torinese.
Incassato senza battere ciglio, mentre a Mirafiori si susseguivano i periodi di cassa integrazione: 420 operai della costruzione stampi e 900 delle presse tra marzo e aprile, 2.500 addetti delle linee di Idea, Musa e Punto tra maggio e giugno, di nuovo 800 delle presse a ottobre, e così via.
La top ten torna poi a parlare italiano qualche passo più in giù, al 5° posto, dove siede il bresciano Vittorio Colao, Ceo della britannica Vodafone, con un compenso da 18,126 milioni di euro.
All’ottavo posto, invece, un altro banchiere, stavolta spagnolo: Alfredo Saenz Abad, del Banco Santander, che nell’esercizio 2010 ha intascato 12,61 milioni di euro, con un salario fisso che batte tutti gli altri con oltre 3,7 milioni.
Cifra considerevole, che lo avrà certo aiutato a consolarsi per i guai con la giustizia che lo hanno travolto a inizio 2011: accusato di aver consentito la presentazione di una denuncia fasulla contro dei clienti, ai tempi in cui era il numero uno di Banesto, è stato condannato dal tribunale supremo di Madrid a tre mesi con la condizionale, più un’ammenda e l’interdizione dalla professione.
Pena successivamente ‘indultata’ e convertita in sanzione pecuniaria dal governo Zapatero, tra l’indignazione generale di stampa e opinione pubblica iberica.
Ma come arrivano i top manager a mettere insieme compensi tanto elevati anche in periodo di crisi?
Tutta colpa, spiegano gli esperti di Ecgs, dalla mancanza di controllo degli azionisti sui criteri con cui vengono calcolate le retribuzioni.
Nella maggior parte dei Paesi europei, infatti, le aziende quotate non sono obbligate a farli ratificare dall’assemblea generale, ma sono solo tenuti a renderli pubblici nel proprio rapporto annuale.
Se così non fosse, la situazione sarebbe forse diversa: quando è stato permesso loro di votare, infatti, gli azionisti si sono generalmente espressi contro i sistemi di calcolo dei compensi proposti dai cda, soprattutto quando si trattava di buonuscite per consiglieri a fine mandato e piani di attribuzione gratuita di azioni ai primi dirigenti.
Elena Fiorentino
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Febbraio 19th, 2012 Riccardo Fucile
ENTRO 15 GIORNI I TRE PARTITI DECIDERANNO IN MATERIA DI POTERI DEL PREMIER, RIFORMA DELLA PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE, BICAMERALISMO E FIDUCIA COSTRUTTIVA
Mini-taglio del 20 per cento, circa 200 seggi in meno, anzichè l`annunciato dimezzamento del numero dei parlamentari.
Nuovi poteri del premier, una sola Camera per approvare le leggi, sfiducia costruttiva ossia il governo va a casa solo se si trova una nuova maggioranza.
Sono queste le basi dell`intesa raggiunta nel vertice tra Alfano, Bersani e Casini con gli esperti dei rispettivi partiti.
Entro 15 giorni si deve arrivare alla scrittura di un testo unico da parte di Pdl, Pd e Terzo polo.
Sarà una legge costituzionale che comincerà il suo cammino al Senato e ha bisogno di quattro votazioni per arrivare in porto.
Fini e Schifani dicono: «Ce la possiamo fare».
E la cancellazione del Porcellum?
La discussione sulla legge elettorale viene rinviata a dopo le amministrative.
La tornata elettorale darà qualche risposta più precisa sulle alleanze che tengono e quelle che invece vanno in frantumi.
Le posizioni quindi restano per il momento congelate. Alfano invoca ancora l`indicazione del premier. ll Pd non si fida e teme che le riforme istituzionali possano nascondere una trappola: non fare nulla contro il Parlamento dei nominati.
Però ci sono passi avanti anche in questa direzione. Passi che spiazzano Idv e Sel per esempio. ll Terzo polo non si è fatto sorprendere da un sistema tedesco con correzioni maggioritarie che favorisce i primi due partiti ma aiuta anche Casini e il suo partito, che si sentono in crescita, a mantenere un ruolo cruciale.
Passi avanti anche sulla revisione del Porcellum in favore di un sistema tedesco con correzione maggioritaria
Alfano, Bersani e Casini, ma anche gli altri partiti sono d`accordo, hanno deciso che gli inquilini di Montecitorio debbano scendere a 500 a partire dalla prossima legislatura.
Taglio anche per i senatori: da 315 dovrebbero diventare 250.
Se si trovasse anche l`intesa su un modello elettorale ispano-tedesco, alla Camera 464 deputati sarebbero eletti con un sistema misto uninominale-proporzionale e uno sbarramento del4- 5%.
Altri 14 seggi andrebbero ai partiti minori come” diritto di tribuna”, mentre 12 resterebbero per l`estero.
Circa 10 seggi poi verrebbero trasformati in un piccolo premio di maggioranza..
Anche il Senato userebbe la stessa ripartizione.
La riforma del bicameralismo perfetto prevede il passaggio ad un “bicameralismo funzionale”. In pratica ogni due mesi le capigruppo di Camera e Senato stilano un calendario delle proposte da discutere nelle rispettive aule e poi affidano i provvedimenti a Montecitorio o a Palazzo Madama.
Una volta approvato la legge in un ramo del Parlamento l`altro ramo ha 15 giorni di tempo per “richiamarla” ed esaminarla a sua volta.
Dopo 30 giorni la deve comunque licenziare, mal`ultima parola spetta al ramo che lo ha approvato.
Solo questa camera può approvarlo definitivamente.
Un meccanismo che sicuramente non piacerà alla Lega e a chi ha sempre puntato sul Senato come Camera delle Regioni, espressione delle realtà regionali e locali.
Il progetto di riforme costituzionali su cui è stata trovata l`intesa dalla maggioranza di governo prevede l`introduzione del meccanismo della sfiducia costruttiva.
Un meccanismo, per esempio, in vigore nel sistema costituzionale tedesco.
In parole povere il governo nasce da un voto di fiducia del Parlamento riunito in seduta comune e muore con un voto di sfiducia del Parlamento riunito in seduta comune.
Questo vuol dire che al momento del voto deve esistere una nuova maggioranza parlamentare che sostituisce o rafforza la precedente.
Un`ipotesi che mette in discussione il”credo” del govemo e del premier eletto con la sua maggioranza, un modello senza alternative che in caso di crisi prevede, in linea teorica, solo il ritorno alle urne.
Uno degli aspetti meno appariscenti, ma fondamentale della discussione sulle riforme e la legge elettorale è quello della revisione dei regolamenti parlamentari.
L`obiettivo che si vuole raggiungere è di dare al governo delle corsie preferenziali per i progetti che debbono realizzare il suo programma.
Corsie che devono assicurare all`esecutivo tempi certi per l’approvazione dei provvedimenti. Questo dovrebbe portare alla razionalizzazione del ricorso ai decreti legge.
La modifica dei regolamenti potrebbe incidere anche sui meccanismi di formazione dei gruppi parlamentari, impedendo la frammentazione e il passaggio da un gruppo all`altro.
Cambia anche il potere del premier.
Oltre all`indicazione dei ministri, che vengono poi nominati dal capo dello Stato, il presidente del Consiglio, ed è questa la novità , avrà anche il potere di revoca.
Per dire, con questa riforma Berlusconi avrebbe potuto dare il benservito al ministro dell`Econormia Tremonti.
Al nuovo governo la fiducia verrà votata la prima volta da Camera e Senato riuniti in seduta comune.
Nella bozza è prevista la modifica dell`articolo 117 della Costituzione che regola le competenze di Stato e Regioni. La maggioranza vuole dare più poteri allo Stato ed evitare conflitti davanti alla Consulta sulle infrastrutture, dalle strade ai porti.
La discussione sulla legge elettorale è stata rinviata a dopo le amministrative.
Con qualche sospetto del Partito democratico che teme sempre l`affetto nutrito dal Pdl per il Porcellum.
In realtà un`intesa di massima è già stata raggiunta.
Prevede un sistema in cui i 150 per cento dei parlamentari viene eletto con i collegi uninominali e il restante 50 con il proporzionale.
E un sistema che si avvicina molto al modello tedesco ma che grazie a collegi piccoli e soglia di sbarramento alta favorisce i partiti maggiori.
Il Terzo polo non la teme perchè sente di essere in crescita.
Si dovrà discutere se garantire alle forze minori un diritto di tribuna.
Silvio Buzzanca e Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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