Marzo 31st, 2012 Riccardo Fucile
A CORTO DI ARGOMENTI, DALLA SECESSIONE ORA SONO PASSATI ALL’ANNESSIONE DELLA LOMBARDIA ALLA SVIZZERA… SCARICATI I VENETI: LORO POSSONO ANCHE RESTARE IN ITALIA
Abbasso Monti e viva la Lega.
Il copione del discorso di Bossi è ormai logoro e ieri, in occasione dell’inaugurazione di una piccola sede del partito, a Castiglione Olona, il segretario del Carroccio, special guest assieme a Roberto Maroni, ha parlato davanti ad una piccola folla di persone, attaccando l’operato del Governo e annunciando la solita inutile campagna di raccolta firme a sostegno di iniziative di legge popolare che lascia il tempo che trova: “Nelle prossime settimane dovete firmare tutti — ha detto Bossi — e quando saremo a parlare in aula a Roma dovete esserci anche tutti voi. Quando Monti vedrà il sostegno che abbiamo non potrà rifiutarsi di votare queste leggi”.
Sai che risate che si farà il governo…
Spazio anche allo stratega Roberto Maroni: a lui è toccato di approfondire la questione della petizione partita da qualche giorno in rete per promuovere l’annessione della Lombardia alla Svizzera, un’iniziativa poco più che folcloristica arrivata appena a 14.000 firme in padagna.
Una questione che non è sfuggita ai leghisti, che pur guardandola a distanza, vi leggono un segnale di insofferenza verso l’Italia e il suo Governo: “Quello di Monti è un governo centralista — ha detto Maroni -, non c’è Governo che abbia fatto di più e di peggio contro il federalismo, neanche De Mita ha mai fatto robe del genere”.
Insomma il solito grande discorso da statista del sassofonista Maroni.
Ingolositi dalla prospettiva di pagare meno tasse e avere in tasca il franco svizzero, migliaia di lombardi hanno già aderito alla proposta il cui obiettivo è quello di raggiungere 500mila firme per ottenere dal Governo un referendum per la richiesta dell’indipendenza.
Pura fantascienza, ma la Lega chiaramente non vuole lasciarsi scappare l’occasione di cavalcare l’onda, decidendo così di strizzare l’occhio all’iniziativa e a tutti gli aderenti, facendo intendere che apprezzerebbe il cambio di bandiera.
Peccato che dalle finestre delle case di piazza Garibaldi a Castiglione Olona, oltre alla bandiera con il sole delle Alpi appesa alla finestra della nuova sede leghista, sventolassero solo Tricolori.
Alla fine il duo si è rassegnato: meglio andare al bar a tagliarsi qualche bella fetta di colomba in sintonia con la padagna del magna magna.
Visto che la la Lega, in costante calo elettorale, potrebbe non arrivare a mangiarsi il panettun, come dicono a Milano, meglio intanto non perdersi la colomba.
Senza contare che in Veneto l’adesione di Bossi e Maroni al referendum di annessione della Lombardia alla Svizzera non pare sia stato accolto molto bene: ma come, dalla secessione si è passati alla annessione e ora il dimenticato Veneto, figlio di un dio minore, dovrebbe pure rimanere in Italia?
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Marzo 31st, 2012 Riccardo Fucile
DOPO L’ARTICOLO DELL’INGLESE “GUARDIAN” CHE AVEVA RESO NOTA LA STORIA DEL GOMMONE LASCIATO ALLA DERIVA, 34 MEMBRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA AVEVANO CHIESTO UN’INDAGINE: ORA LA CONDANNA DEL NOSTRO PAESE
La denuncia arriva dal rapporto “Vite perse nel Mediterraneo: chi è responsabile” presentato al termine di un’inchiesta durata 9 mesi avviata per richiesta di 34 membri dell’Assemblea dopo che il Guardian aveva reso nota la storia del gommone con 72 persone a bordo partito da Tripoli nel marzo 2011 e lasciato alla deriva per 2 settimane. “Si salvarono in 9, nessuno li aiutò”
Nuova tegola sulle politiche dell’immigrazione dell’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Dopo la condanna della pratica dei respingimenti in mare da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo dello scorso 23 febbraio, oggi arriva una nuova sanzione ancora più pesante.
Il Consiglio d’Europa ha addossato al nostro Paese la responsabilità della morte in mare di 63 migranti avvenuta nel marzo del 2011.
”L’Italia, come primo Stato ad aver ricevuto la chiamata di aiuto e sapendo che la Libia non poteva ottemperare ai propri obblighi, avrebbe dovuto assumere la responsabilità del coordinamento delle operazioni di soccorso”, si legge nel rapporto che conclude l’inchiesta dell’organismo comunitario su una delle tante tragedie del Mare Mediterraneo.
Secondo questo testo, è stata una “catena di errori”, da parte di Italia e Malta, ma anche della Nato, che ha provocato il mancato soccorso al barcone di 72 migranti in fuga della Libia, 63 dei quali sono morti nelle due settimane in cui l’imbarcazione è rimasta alla deriva nel Mediterraneo.
I Centri di soccorso in mare dell’Italia e di Malta “erano informati del fatto che l’imbarcazione era in difficoltà , ma nessuno dei due si è preso la responsabilità di iniziare una operazione di search and rescue”.
La bozza conclusiva del rapporto — dal titolo “Vite perse nel Mediterraneo: chi è responsabile” è stato presentato dall’olandese Tineke Strik, dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, al termine di un’inchiesta di nove mesi avviata per richiesta di 34 membri dell’Assemblea dopo che la tragedia di questo gommone è stata, per la prima volta, denunciata dal giornale britannico The Guardian.
Il rapporto poi rivolge anche una critica politica alla “Nato ed ai paesi coinvolti militarmente in Libia per non essersi preparati in modo adeguato all’esodo di profughi e rifugiati”.
“Queste persone non dovevano morire — afferma riferendosi ai 63 migranti morti, in maggioranza provenienti dall’Eritrea — se i diversi attori fossero intervenuti o fossero intervenuti in modo corretto, si sarebbe potuto metterli in salvo in molte occasioni. Molto si deve ancora fare per evitare che persone muoiano nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa”.
“Almeno 1500 persone hanno perso la vita tentando di attraversare il Mediterraneo nel 2011″ si legge infatti nel documento che sottolinea che questo caso appare differente “perchè appare che le richieste di soccorso siano state ignorate da pescherecci, navi militari e da un elicottero militare”.
La richiesta di soccorso era stata lanciata, dopo 18 ore in mare senza benzina, cibo o acqua, dal ‘capitanò del gommone telefonando ad un prete eritreo che vive in Italia — ricostruisce ancora il rapporto sulla base delle testimonianze dei superstiti — “il Maritime Rescue Coordination Center italiano, immediatamente informato, inviò una serie di messaggi verso le navi della zona per cercare l’imbarcazione in difficoltà ”. “E’ stato da questo momento che tutto è andato nel modo sbagliato”, si legge ancora nel rapporto che sottolinea che non solo Malta e l’Italia non hanno reagito, ma anche “la Nato non ha risposto alla richiesta di soccorso anche se vi erano navi sotto il suo controllo nelle vicinanze dalla zona da dove era stata lanciata la richiesta”.
In particolare una nave spagnola si trovava ad appena 11 miglia, anche se questa distanza viene contestata dalla Spagna che viene chiamata in causa, come gli altri stati che avevano proprie navi nella zona, dal rapporto che fa anche riferimento al mancato intervento di “due non identificate navi commerciali che si trovavano nella zona”.
A questo proposito il rapporto esorta i paesi membri ha “riempire il vuoto di responsabilità ” lasciato da “uno stato che non vuole o non può esercitare la sua responsabilità di operazioni di soccorso”, come appunto è stato il caso della Libia.
Il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) fornisce i numeri delle tragedie in mare: “Secondo le stime di Fortress Europe, dal 1998 all’agosto 2011, 17.738 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa — si legge nel rapporto “Accesso alla protezione: un diritto umano“ – Solo nel corso del 2011, circa 2000 tra uomini, donne e bambini sono morti nello Stretto di Sicilia: il 5% di tutti coloro che hanno tentato di raggiungere l’Europa dalla Libia”.
Chi sono le persone che muoiono nel Mediterraneo?
“Molti -viene rilevato- sono rifugiati che scappano da guerre, violenze e persecuzioni, che non hanno altra alternativa che tentare il pericoloso viaggio del mare per ottenere la protezione di cui hanno bisogno. La possibilità di richiedere asilo nell’Unione Europea dipende infatti dalla presenza fisica della persona nel territorio di uno Stato membro. Ma le misure introdotte nell’ambito del regime dei visti e delle frontiere dell’Ue hanno reso praticamente impossibile per quasi tutti i richiedenti asilo e rifugiati raggiungere i territori dell’Ue in modo legale. Non solo, sono stati rafforzati i controlli alle frontiere esterne ma i sistemi di sorveglianza sono stati estesi anche ai territori dei paesi terzi. Si stima che nel 2011 circa il 90% di tutti i richiedenti asilo nell’Unione Europea siano entrati irregolarmente”.
“Inoltre, la maggior parte delle persone che cercano di raggiungere l’Europa sono generalmente soggette a gravi violazioni dei diritti umani nel loro viaggio e in particolare nei paesi di transito e in alto mare”.
L’Europa e l’Italia “hanno l’obbligo di dare protezione ai rifugiati, e dovrebbero aprire ingressi legali come unico rimedio per impedire i disperati viaggi via mare. Dobbiamo ricordare che meno del 10% dei rifugiati nel mondo vive in Europa.
I rifugiati in Italia sono 56.397, mentre in Pakistan sono 1.900.621 e in Siria: 1.005.472”.
Questo ultimo atto d’accusa verso le politiche di accoglienza dell’ex governo di centrodestra segue a stretto giro la condanna della politica dei respingimenti in alto mare dei migranti, fiore all’occhiello della politica di Maroni e frutto degli accordi bilaterali fra Italia e la Libia di Gheddafi sul contrasto dell’immigrazione clandestina. Secondo le toghe di Strasburgo, questi accordi sono in contrasto con la Convenzione europea sui diritti umani. In particolare con l’articolo 3, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. In quell’occasione la Corte ha anche stabilito che Roma ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto per le vittime di fare ricorso presso i tribunali nazionali
La sentenza del tribunale europeo, che apre la strada a molti altri ricorsi, si riferiva a un episodio in particolare, quando, il 6 maggio 2009 in acque internazionali a 35 miglia a Sud di Lampedusa, le autorità italiane intercettarono un barcone con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea.
Nonostante sull’imbarcazione ci fossero anche donne in gravidanza e bambini e nonostante il fatto che le popolazioni provenienti dal Corno d’Africa una volta in Italia ricevano spesso una qualche forma di protezione internazionale, i migranti furono fatti trasbordare su un’altra imbarcazione e riaccompagnati a Tripoli.
Senza essere identificati nè tantomeno informati della vera destinazione del viaggio. Tant’è che i migranti non hanno avuto nessuna possibilità di presentare alle autorità italiane richiesta di protezione internazionale.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 31st, 2012 Riccardo Fucile
DA PAOLO BERLUSCONI ALLA CGIL, DA RENZO BOSSI ALLA COGNATA DELLA LETIZIA…NELLA LISTA CI SONO GIORNALISTI, POLITICI, BANCHE E AZIENDE…ORA PISAPIA VUOLE TAGLIARE GLI AVENTI DIRITTO DEL 40%
È un piccolo esercito di oltre 4mila componenti ufficiali, il “club” delle corsie preferenziali.
Tanti sono i pass validi che permettono, al pari di un bus dell’Atm, di evitare code e ingorghi.
Troppi, secondo la stessa amministrazione, che ha deciso una stretta. Perchè, nel tempo, oltre a medici, forze dell’ordine e personale degli enti in servizio, si sono ingrossate le fila di politici, partiti, banche, aziende, politici e giornalisti.
Ecco i nomi: da Paolo Berlusconi e Renzo Bossi fino alla Cgil.
La possibilità non è da poco: viaggiare tranquilli in corsia preferenziale, seguire percorsi vietati ai più. Ma a non essere esiguo è anche il numero dei pass distribuiti. Da tagliare, sostengono a Palazzo Marino: per l’assessore alla Mobilità , Pierfrancesco Maran, si può scendere di un bel 40 per cento.
Perchè per la prima volta, interrogando il cervellone, vengono fuori anche i nomi degli intestatari.
E perchè alcune categorie, nel tempo, si sono moltiplicate: tanto che ormai i pass distribuiti a politici (considerando le targhe) hanno superato i 360 e qualcuno sempre consultando gli elenchi che potrebbero contenere anche cambi di targa risulterebbe intestatario di 4 o 5 lasciapassare.
Tanto che, tra le “autorità dello Stato e alte personalità ”, figurano anche Paolo Berlusconi o Maria Rosa Bedy Moratti.
E tanto che le banche possiedono 376 permessi, le aziende private 489 e i giornalisti oltre 200.
Gli uffici comunali hanno già avviato le prime scremature.
Partendo da un dato: sono 4mila i pass validi, ma nelle tabelle ne risultano 4.950. Questo perchè sono associati alla targa: qualcuno ne ha più di due, considerando, però, anche quelle magari cambiate e non più valide.
Attenzione: qui non c’è nessun “furbetto”, nessuno che abbia neanche minimamente a che fare con le cronache che hanno raccontato di permessi falsificati.
Tutti possiedono il contrassegno per diritto.
A stabilirlo sono due ordinanze, firmate nel 2000 da Gabriele Albertini, che hanno allargato le maglie non solo a forze armate, ambulanze, veicoli istituzionali, ma anche ad altre categorie con esigenze di servizio: uffici giudiziari, consolati (65 pass), corpi dello Stato (328), medici (260), enti.
Tutte legittime esigenze. A cui si aggiungono quelle di consiglieri comunali (66 targhe), provinciali, regionali; e poi deputati, partiti e sindacati, banche, giornalisti, società private.
A porre il problema è anche il capogruppo dei Radicali, Marco Cappato, che ha presentato un’interrogazione: «Una grandissima parte di questi permessi non è attribuita a personalità istituzionali», sostiene.
E, nella città di Area C, dovrebbero essere annullati «tutti i pass con l’eccezione del personale medico e tecnico impegnato in prestazioni urgenti e d’emergenza attribuiti a personalità non istituzionali» o «non esclusivamente collegate» a Milano.
Non superando una vettura a testa.
La dicitura è proprio quella: “Autorità dello Stato e alte personalità ».
In tutto sono 28 (37 i pass che sarebbero collegati).
Accanto al commissario straordinario per la Grande Brera o all’oncologo Umberto Veronesi, anche Marina Berlusconi, Roberto Colaninno (le targhe sarebbero 4), il banchiere Massimo Ponzellini e Roberto Schmid, direttore dello Iuss di Pavia ed ex fedelissimo di Letizia Moratti.
Banche e aziende. è uno dei gruppi più corposi, i pass totali al netto di targhe scadute salgono a 376.
Il record spetta a Intesa Sanpaolo, con 75 permessi, ma anche Unicredit (64) e Popolare di Milano (43) sono alte in classifica.
È da qui che il Comune inizierà la cura dimagrante. Stessa sorte per le aziende: 489. Ci sono tutti i gruppi che contano: da Coca Cola a Borsa italiana, dalle Generali alle squadre di calcio (Inter batte Milan 12 a 8), da Eni a Fiera, dalla moda (Armani, Prada, Versace…) a Pirelli (21), Telecom (20), Mediaset (6).
Associazioni ed enti. Fra ministeri, università e ospedali gli enti pubblici superano quota 400.
Tra chi ha diritto ai permessi ci sono anche la Camera di Commercio (33 in tutto, compresi i 3 del presidente di Promos Bruno Ermolli) e molte associazioni.
Tra i 242 pass di queste ultime si trovano gli intestatari più vari: dalla Compagnia delle Opere (7) all’Arcivescovado (17), dalla Fondazione Cariplo (5) alla Scala e a “Mondo Gatto onlus”.
I politici. Sono 283 i politici, oltre 360 i pass: un elenco bipartisan.
Molti risulterebbero proprietari di più di una targa privilegiata.
Che siano tutte scadute? Il presidente Formigoni ne avrebbe 4.
Nell’elenco c’è ancora l’ex sottosegretario regionale e geometra di Berlusconi Francesco Magnano. I pass per i deputati sono 91.
E, oltre ai “lombardi”, ci sono anche onorevoli liguri come Claudio Scajola.
Nutrito è l’elenco dei partiti e dei sindacati, nessuno escluso.
C’è la Cgil con ben 17 pass, il Pdl e il Pd con quattro, la Sinistra per Pisapia (sei), i Pensionati del Sole o la Fiamma tricolore.
I giornalisti.
Ci sono le troupe tv (la Rai ne ha 35), naturalmente.
Ma anche le agenzie, i quotidiani, case editrici, molti direttori come Maurizio Belpietro o Alessandro Sallusti.
Tra i giornalisti spiccano i nomi di Emilio Fede, Roberto Poletti, Cesare Cadeo, Valerio Staffelli.
Alessia Gallione
(da “La Repubblica“)
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Marzo 31st, 2012 Riccardo Fucile
RAGGIUNTO IL TETTO MASSIMO DI COMPENSI, I CONSIGLIERI SPARISCONO: RESTANO 15 SU 42, ALTRI 10.000 EURO DEI CITTADINI BUTTATI
Ieri, per l’ultima seduta del mese e della legislatura, i consiglieri comunali presenti all’inizio erano quindici (su quarantadue).
Alla fine erano rimasti in sette.
Il giorno precedente avevano cominciato in ventuno (sempre su quarantadue) ed hanno finito in nove.
E come mai, visto che erano in ballo gli ultimi due gettoni della legislatura, le presenze erano così basse?
Semplicemente perchè la stragrande maggioranza dei cinquanta consiglieri comunali “ha già raggiunto il tetto”, come si dice, in gergo, a Palazzo Tursi. La contabilità è nota: il livello massimo di entrate, per un consigliere comunale, è pari ad un terzo dello stipendio del sindaco.
Dato che la Vincenzi ha scelto di pagarsi lo stipendio più basso possibile per un sindaco di città metropolitana, anche i consiglieri si devono adeguare: milleottocento euro in tutto (pari ai gettoni dei quattro consigli comunali più la partecipazione a quattordici commissioni).
A fine mese, in genere, il carnet risulta pieno e questo spiega le quindici presenze su quarantadue.
Finisce proprio male, per i consiglieri comunali, questa legislatura.
L’inchiesta sui furbetti del gettone (che ha portato alla ribalta nazionale personaggi come Aldo Praticò, Vincenzo Vacalebre e tutti gli altri fatti fuori dai rispettivi partiti) si è man mano trasformata in “furbetti della commissione”: riunioni assolutamente inutili, che durano un quarto d’ora, alle quali partecipano in trenta e tutti ricevono il loro bel gettone.
Che siano riunioni inutili non lo diciamo noi, ma gli stessi verbali della commissione: le convocazioni, spesso, riguardano temi sui quali i consiglieri comunali non hanno (per legge) alcuna possibilità di intervento.
Ma quel che importa non è il contenuto, è il gettone: come perdere la faccia (lo fanno tutti i consiglieri della Commissione 1, indipendentemente dal partito cui appartengono) per incassare 97 euro lordi per un quarto d’ora di “lavoro”.
Repubblica è entrata in possesso di altri quattro verbali ufficiali. che si aggiungono a tutti quelli pubblicati nei giorni scorsi: sedute che iniziano alle nove e trenta e finiscono alle dieci in punto (appello compreso), sedute che iniziano alle 14,30 e finiscono alle 15, sedute che durano meno di un’ora. Tutte riunioni – lo ripetiamo anche oggi – scandalose: in ballo ci sono nomine di competenza del sindaco, sulle quali i consiglieri non hanno la minima possibilità di incidere, perchè così vuole la legge.
Ma il solo fatto di parlarne permette ai consiglieri di incassare cento euro a testa.
E chi ha deciso che i consiglieri possano discutere (e incassare il gettone) anche su argomenti sui quali non hanno la minima possibilità di incidere?
Gli stessi consiglieri comunali: la delibera – votata all’unanimità dai 43 consiglieri comunali presenti il dieci dicembre del 2009 (cioè già in questa legislatura, iniziata nel 2007) – prevede che i consiglieri comunali esaminino anche le candidature di pertinenza esclusiva del sindaco.
Anche questa delibera – come il resto del materiale di cui parliamo da settimane – è a disposizione dei consiglieri che, in questo periodo, urlano indignati al qualunquismo.
Non rendendosi conto che l’ondata di antipolitica nasce dalla scelta di pagarsi un gettone anche per presenze di pochi secondi o per riunioni che durano venti minuti su argomenti inventati.
Ecco quattro esempi.
16 giugno 2011 – La commissione ha all’ordine del giorno la nomina di tre sindaci effettivi e due supplenti dell’Amiu di competenza esclusiva del sindaco (lo dice il verbale). Ma loro si riuniscono lo stesso: inizio 9,30 e fine ore 10, recita il verbale.Ventiquattro gettoni pagati, pari a duemilaquattrocento euro.
30 novembre 2011 – Inizio 14,30 e fine alle 15. Tema: nomina di un membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Abele Ruggeri, di competenza esclusiva del sindaco. Ventitrè consiglieri presenti (ma tre riescono ad arrivare in ritardo), duemilatrecento euro spesi solo in gettoni.
10 febbraio 2011 – Si comincia alle 9,30 e alle 10 è già tutto finito. Questa volta sono in ballo le nomine di un consigliere di amministrazione della Fondazione Ansaldo e di ben due all’asilo infantile Umberto e Margherita. Anche qui “nomine di competenza del sindaco”. Prenderanno il gettone in ventinove (quattro arrivano in ritardo, ma vengono segnati ugualmente come presenti, per ottenere il gettone).
6 ottobre 2011 – In questa occasione i ventotto consiglieri si attardano un po’ di più: iniziano alle 9,30 e finiscono alle 10,30.
Questa volta si tratta di sostituire un consigliere di amministrazione dell’Aster “di esclusiva competenza del sindaco”. Costo per la collettività , solo per i gettoni: duemilaottocento euro.
La città , sentitamente, ringrazia.
Raffaele Niri
(da “La Repubblica”)
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Marzo 31st, 2012 Riccardo Fucile
DA COMO A GORIZIA, SULLE LISTE CIVICHE PER LE AMMINISTRATIVE ARRIVANO I FULMINI DEI BIG DEL PDL…E’ SCONTRO ANCHE TRA LAICI E CIELLINI
Forzisti della prima ora contro “fascisti”. Laici contro ciellini.
Ras locali pronti a presentare liste camuffate (civiche, senza il nome del Pdl) per compiacere Bossi e correre di nuovo con i vecchi alleati della Lega.
In vista delle amministrative del 6 maggio, il partitone berlusconiano è sull’orlo di una crisi di nervi, dilaniato da lotte intestine che sembrano certificare il fallimento dell’unificazione tra azzurri ed postfascisti.
Il rompete le righe ha il suo epicentro (ma non si esaurisce) al Nord.
E ha già messo in allarme i capigruppo di Camera e Senato, Cicchitto e Gasparri: “Indispensabile andare alle elezioni con il nostro simbolo”.
Vallo a spiegare ai pidiellini di Gorizia, che quella regola l’hanno già infranta: sulla scheda elettorale loro si chiameranno “Popolo di Gorizia”, in cambio la Lega appoggia il candidato sindaco del Pdl, l’uscente Ettore Romoli.
E fa niente se a sostenere Romoli ci sono anche gli ultragovernativi di Udc e Fli: l’importante, come infierisce il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, è “svuotare il Pdl”.
Succede lo stesso a Mondovì, nel Cuneese, dove il Pdl, sempre per evitare la corsa solitaria del Carroccio, si presenta con un altro nome: “Popolo della Granda”.
Ci avevano provato anche a Cuneo con lo stesso marchio. Poi gli ex di An si sono messi di traverso e non se n’è fatto nulla, Pdl e Lega correranno divisi.
Poi c’è il caso di Como, dove però il momentaneo divorzio con il Carroccio
non c’entra nulla.
Primarie per il sindaco, vince Laura Bordoli, espressione del patto di ferro siglato tra ex An e ciellini, in continuità con la disastrata giunta (botte da orbi tra Pdl e Lega, ma soprattutto tra pidiellini) retta finora dal formigoniano Stefano Bruni.
I laici – e c’è la manina di Marcello Dell’Utri – contestano le modalità della consultazione e non ne accettano il risultato.
Pesanti le accuse che volano: “A Como – spiega uno dei pidiellini sconfitti – se non ti uniformi a questa banda prendi i manganelli in testa, i fascisti rimangono fascisti”.
Di qui a pensare a un’altra lista (peccato che il nome “Forza Como” sia già registrato) il passo è breve.
Ai piani altissimi del partito scatta l’allarme rosso, e mercoledì sera Verdini e La Russa convocano a Roma i rappresentanti delle due fazioni: basta litigare, lo sconfitto alle primarie Sergio Gaddi rinunci a candidarsi contro la Bordoli e ci sarà un’adeguata compensazione nei posti in lista.
Ma la partita è ancora aperta, gli anti An (e anti Cl) potrebbero schierare un loro candidato, forse un’assessora uscente, Anna Veronelli.
Da Como a Monza, altro capoluogo lombardo interessato al voto di maggio. Bossi non ha concesso la deroga al suo niet (mai più col Pdl), e Berlusconi ha trovato in extremis un candidato sindaco che correrà contro il centrosinistra e anche contro il sindaco uscente del Carroccio, Marco Mariani. La scelta è caduta su Andrea Mandelli, presidente dei farmacisti, sponsorizzato da Paolo Romani, ma non è, piaciuta affatto agli amici del governatore Formigoni, che avrebbero preferito di gran lunga Pierfranco Maffè, assessore uscente di provata fede ciellina.
Ormai il dado è tratto, e adesso, quando mancano tre giorni alla presentazione delle liste, tutti fanno buon viso a cattivo gioco.
A cominciare dal consigliere regionale Stefano Carugo, notabile ciellino a Monza, che però qualche giorno fa, alla buvette del Pirellone, era sbottato: “Ma come si fa a raccogliere le firme per Mandelli?”
Sarà un caso, ma al leghista Mariani – che era contrario alla corsa solitaria, ma si è adeguato – è rispuntato il sorriso: “Sto preparando la mia lista civica e non escludo che qualche pidiellino scontento di Mandelli possa finirci dentro”. Come a Verona, dove parecchi amministratori del Pdl si candidano contro il loro partito con la lista del sindaco Tosi. Che adesso, dopo aver “svuotato di tre quarti” confida anche nel voto della moglie pidiellina.
Lega a parte, è soprattutto tra gli ex forzisti che cresce la voglia di un ritorno all’antico.
Il solco l’ha tracciato Michela Vittoria Brambilla, fondatrice, nella sua città , di “Forza Lecco”, corrente organizzata in forte polemica con gli ex di An.
Più di recente l’hanno seguita due leonesse forziste come Micaela Biancofiore e Isabella Bertolini, levatrici di “Forza Trentino” e “Forza Emilia Romagna”, dopo il “Forza Verona” creato dai pidiellini pro-Tosi.
E che dire del caso scoppiato all’Aquila?
Lì Berlusconi candida Pierluigi Properzi, peccato che nessuno dei consiglieri comunali pidiellini lo sostegna: gli preferiscono Giorgio De Matteis, che viene dal Mpa, ha l’appoggio dell’Udc ed è vicino al governatore dell’Abruzzo Gianni Chiodi.
Roberto Sala
(da “La Repubblica”)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’AVVOCATURA CHIEDE I DANNI… MAZZOCCHI (PDL) HA ACQUISTATO L’APPARTAMENTO VENDUTO DAL COMUNE POCO PRIMA A DUE VECCHIETTI PER 206.000 EURO
Il quartiere Prati con la sua piazza Mazzini è il cuore della “city romana”.
Ma può considerarsi anche il cuore di un’intricata vicenda di case di pregio, oltre 120 metri quadri dal valore alto, fino a 900 mila euro di euro, ma svendute al prezzo di un monolocale in una zona semicentrale. In un bellissimo stabile di via Andreoli 2 (che si affaccia su piazza Mazzini), ben 22 appartamenti sui 90 cartolarizzati dal Comune a partire dal 2005 sono stati prima venduti agli inquilini a prezzi di saldo e poi rivenduti dagli stessi in violazione di una norma locale, la 139 del 2001, che vietava espressamente la rivendita prima di una certa data dal rogito.
Compravendite realizzate in circostanze tutte da chiarire e ora al centro di una complicata vicenda giudiziaria.
La norma vietava agli inquilini — nella maggior parte dipendenti pubblici che alloggiavano negli stabili comunali a canoni agevolati — che avevano acquistato dal Campidoglio gli appartamenti con sconti dal 30 al 45 %, di rivendere prima dei 10 anni.
Questo per evitare speculazioni da parte di chi aveva usufruito dei generosi sconti. L’uomo incaricato dall’ex sindaco Walter Veltroni di occuparsi di una delle più importati operazioni di dismissione immobiliare degli ultimi 20 anni in Italia è stato Claudio Minelli, ex assessore capitolino della Margherita al Patrimonio immobiliare dal 2001 al 2008, oggi desaparecidos della politica.
In ballo 7500 immobili da cartolarizzare e un processo di vendita (fermato dalla giunta Alemanno) a soli 775 immobili venduti e 150 milioni di euro entrati nelle casse del Comune. Una cifra modesta.
“Io mi ricordo le pressioni che mi arrivavano da tutti i partiti, le commissioni, i comitati di inquilini, per fare maggiori sconti — racconta al Fatto Minelli — mi sembravo un punching ball in quel periodo. Fu una lotta incredibile, e non escludo che palazzi in zone importanti della Capitale siano finiti a prezzi troppo scontati”.
In piazza Mazzini nel 2005 i prezzi di mercato al metro quadro, secondo i dati dei broker immobiliari, variavano tra i 6. 700 e i 7. 700 euro, ma nello stabile di via Andreoli 2, gli appartamenti sono stati venduti in molti casi a poco più di 1. 700 euro al mq.
“Io ho comprato 100 mq con due balconi al piano nobile più cantina nel 2006 al prezzo di 360 mila euro — racconta Bruna D’Eustachio, inquilina anziana del palazzo — ma appena comprato si sono presentate delle persone che dichiaravano di essere ‘ ben collegate’: mi offrivano fino a 860 mila euro per ricomprare subito il mio appartamento. Ho risposto loro che c’era il vincolo dei 10 anni, ma loro insistevano che lo si poteva aggirare — continua la donna —. Quella era una speculazione indegna verso il Comune che così tanto ci aveva agevolati. Li ho fatti scappare a gambe levate”.
Ma altri se ne sono fregati della norma e hanno rivenduto al doppio o al triplo a medici, notai, imprenditori, avvocati.
Un inquilino che vuole restate anonimo racconta: “Molti qui dentro hanno fatto un giro strano, l’inquilino legittimo comprava a prezzo scontato anche se non aveva i soldi, però glieli dava un terzo, il secondo compratore, magari in cambio di una generosa buonuscita che poteva arrivare a un sacco di soldi”.
Così, a partire dal 2009, l’avvocatura comunale avvia una serie di cause giudiziarie. “Laddove accerteremo che vi sono state speculazioni a danno del Comune, cercheremo di tornare in possesso anche degli immobili” dichiara il sindaco Alemanno.
Intanto è rimasto impigliato nella vicenda un sodale di Alemanno, un big della politica romana, il deputato Pdl Antonio Mazzocchi, uno dei tre questori della Camera dei deputati, presidente dei Cristiano riformisti, ex presidente della federazione romana di An, ex assessore e consigliere capitolino, padre di Erder Mazzocchi consigliere regionale Pdl.
È lui, il pomeriggio del 19 ottobre 2005, a mettere la firma insieme alla moglie, Bianca Mingoli, sull’atto di compravendita di un appartamento al primo piano nello stabile — 121 mq più cantina — al costo stracciato di 250 mila euro.
L’appartamento era stato acquistato solo poche ore prima da due pensionati de l’Aquila, che avevano comprato l’alloggio a poco meno di 207 mila euro. L’avvocatura comunale, in rappresentanza del sindaco Alemanno, ritiene che i primi compratori, i coniugi Mazzocchi e il loro notaio, N. V., abbiano compiuto una speculazione ai danni delle casse comunali e chiede loro un cospicuo risarcimento, pari al prezzo del valore di mercato dell’appartamento, stimato al 2005 tra gli 860 mila e gli 880 mila euro.
Gli avvocati del sindaco hanno trascinato tutti in tribunale.
Mazzocchi, interpellato dal Fatto, replica: “Ho pagato il prezzo del valore di mercato. Sì, è vero, siamo in comunione dei beni, ma sono stato trascinato dentro la causa anche se a comprare con propri soldi è stata mia moglie. Io ero solo la persona che doveva attestare questo al momento del rogito”.
Ecco perchè chiede un milione di euro di danni al Comune: “Capirete bene, sono deputato e questore della Camera. Comunque la compravendita è regolare, per l’immobile abbiamo interrogato il ministero dei Beni Culturali, loro — prosegue Mazzocchi — hanno un diritto di prelazione, se non lo esercitano il privato può rivendere”.
Ma il Comune la pensa al contrario, è un immobile di un ente locale, nulla c’entra il Mibac. “Siamo arrivati a quella norma dopo un grande lavoro e studio — replica Minelli — nessuno poteva rivendere prima dei limiti imposti dalla legge, chi lo ha fatto deve pagare”.
L’immobile contestato è stato affittato ad uno studio medico, ma sul punto il parlamentare è balbettante: “Da oggi è libero, l’ho sfittato ieri”.
Il deputato dell’Idv Francesco Barbato chiede le dimissioni da questore della Camera di Mazzocchi. “Come può amministrare le casse della Camera dei Deputati se si regola in questo modo? Chiederò oggi d’incontrare il presidente Fini e sottoporgli la “scandalosa” posizione dell’on.Mazzocchi e la conseguente rimozione da questore della Camera”.
Intanto, a distanza di oltre un anno dall’istituzione di una commissione di inchiesta sulle vendite del patrimonio immobiliare capitolino voluta da Alemanno, c’è buio fitto su nomi e dati.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
E AGLI EX PRESIDENTI BENEFIT FINO AL 2023… SPOSTATO IN AVANTI IL CALCOLO CHE INIZIERA’ DALLA FINE DI QUESTA LEGISLATURA, COLPITI SOLO INGRAO E LA PIVETTI
Addio ai benefit degli ex presidenti della Camera: uffici, segretari, auto di servizio a disposizione. Sì ma dal 2023.
E a Montecitorio il taglio “ad personam” diventa un caso.
Anche perchè il Senato poche settimane fa era stato più rigoroso: stop dopo dieci anni dalla cessazione dall’incarico, per tutti.
Da quest’altra parte del Parlamento invece l’anno prossimo si chiuderanno le saracinesche solo per Ingrao (cessato nel ’79) e la Pivetti (’96).
Ma per Violante, Bertinotti, Casini (come per l’attuale presidente Fini) i dieci anni decorreranno dalla fine di questa legislatura, ovvero dal 2013.
E così, caso raro, l’ufficio di Presidenza si spacca.
Il provvedimento passa ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato.
Ma pure il vicepresidente Lupi ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale. L’idv protesta: “Una presa in giro”.
La Pivetti, unica delle due vittime, non ci sta: “È il risultato di un clima forcaiolo che non distingue i bersagli”.
Il fatto è che l’aria, nell’organo di autogoverno di Montecitorio, è proprio cambiata, “scintille da fine legislatura” nota il segretario Lusetti.
E addio all’unanimità anche quando si è trattato di approvare il consuntivo 2011 e le variazioni al bilancio interno 2012.
In tre si sono astenuti (Fontana, il sudista Fallica e perfino il finiano Lamorte) per denunciare il mantenimento di spese anacronistiche.
Dalle duemila pagine di carta intestata al mese per deputato al chilo di colla liquida all’anno, passando per le gomme.
A discapito del carente aggiornamento informatico del Palazzo.
“Gli atti parlamentari anzichè sul web viaggiano in quintali di carta su carrelli che i commessi trascinano in stile mensa ospedaliera” lamenta Fallica: e costano 7 milioni l’anno.
Lo stratagemma degli ex per mantenere i vantaggi
Benefici non più a vita anche per gli ex presidenti di Montecitorio, dunque.
Fini impone anche lì lo stop dopo “dieci anni dalla data di cessazione dalla carica di presidente”. Ma con una postilla. “Per quanto riguarda la situazione degli attuali ex presidenti, le predette attribuzioni sono riconosciute per un periodo di dieci anni a decorrere dall’inizio della prossima legislatura” ovvero dal 2013: “A condizione che gli stessi continuino ad esercitare il mandato nella presente legislatura o abbiano esercitato l’ultimo mandato parlamentare nella precedente”.
È l’escamotage che consente di mantenere fino al 2023 i benefit a Violante (dieci anni scaduti nel 2011), Casini (scadranno nel 2016) e Bertinotti (nel 2018).
Per gli “ex” un ufficio con 4 addetti, auto quando occorre e plafond di ticket aerei.
La cancelleria
Duemila fogli al mese ma anche 10 dvd e 20 cd
La polemica esplosa a Montecitorio svela consuetudini finora sconosciute ai più.
Una volta al mese il commesso bussa alla porta di ogni deputato e consegna con ragionieristica puntualità duemila fogli di carta intestata “Camera” (con relativa busta). Dunque 24 mila in un anno.
Ma vengono consegnate anche sei gomme ogni tre mesi (tre da biro, tre da matita), ovvero una ogni 15 giorni.
E poi 10 dvd e 20 cd quali supporti per la trasmissione di materiale informatico. Ma la dotazione per agevolare l’attività parlamentare degli onorevoli comprende anche mille fogli di carta bianca l’anno ad uso fotocopie.
Questa e tante altre voci fanno lievitare a un milione di euro tondo, per il 2012, la spesa annua per “Carta, cancelleria e materiali di consumo d’ufficio”.
La colla
Un chilo di coccoina all’anno per ogni deputato
“Ma vi pare che ognuno di noi debba avere ancora in dotazione un chilo e mezzo di colla all’anno? Che ce ne facciamo della colla liquida?”
È il pidiellino Gregorio Fontana ad aprire il dossier delle spese non tanto inutili quanto “anacronistiche” che ancora lievitano nel palazzo.
E il chilo o litro di colla liquida l’anno che i commessi consegnano agli onorevoli è solo uno degli esempi più eclatanti, in pieno 2012 quando l’uso della carta – viene fatto notare in Ufficio di presidenza – dovrebbe essere ridotto al minimo a beneficio del web. “Io e la mia segreteria l’accatastiamo, mai utilizzata” rincara Pippo Fallica (Grande Sud).
Di contro, denuncia Fontana, “Non ci sono postazioni wi-fi, che ormai esistono pure a Villa Borghese, e i telefonini spesso sono schermati”.
Museo Montecitorio
Spesi 150mila euro per le opere d’arte
Nel 2012 la Camera spenderà 370 mila euro per “conferenze, manifestazioni e mostre”. Una spesa alla quale va sommata quella da 150 mila euro l’anno per “opere d’arte” da mantenere o, meno che in passato, da acquistare.
Tutte uscite che, denunciano Gregorio Fontana, Pippo Fallica e Antonio Leone in Ufficio di presidenza, “sono del tutto fuori dal core business della Camera dei deputati: se ormai tagli bisogna operare, allora lo si faccia cominciando da ciò che esula dall’attività parlamentare in senso stretto”.
Sebbene, fanno notare dalla Presidenza, spese per conferenze e mostre sono ridotte rispetto agli anni passati.
Come pure quelle per l’acquisto (ormai quasi nullo) di opere d’arte, si tratta però di mantenere e conservare le tante di cui comunque il Palazzo dispone.
Spese postali
Seicentomila euro per i francobolli
Nell’era del web 2.0 e dei social network, in cui tutto viaggia quanto meno via mail, adesso anche per posta elettronica certificata, succede che a Montecitorio anche per questo 2012 600 mila euro per le “spese postali”.
Ovvero, per inviare documenti da questo ramo del Parlamento ad altre amministrazioni dello Stato.
Ma scorrendo le voci “anacronistiche” finite ieri sotto i riflettori dell’Ufficio di presidenza, ci si imbatte anche nei 50 mila euro per “spedizioni”.
Se è per questo, il questore Antonio Mazzocchi ha aperto il caso “defibrillatori”. Ne sono stati piazzati a Montecitorio, a Palazzo Marini e a San Macuto.
“Ma può utilizzarlo solo il personale medico che ha sede alla Camera: con rischio che quando serve altrove nessuno potrà mettere in funzione le macchine”.
Spreco di carta
Per la stampa degli atti 7 milioni 150mila euro
Dai deputati che ieri hanno puntato l’indice contro le spese ormai da archiviare, viene additato come il vero “bubbone”.
Anche se ogni documento è ormai reperibile sul sito della Camera, qualsiasi atto parlamentare, ordine del giorno, emendamento, ddl, interrogazione o interpellanza viene stampato su carta. Risultato (sul piano finanziario): i 7 milioni 150 mila euro che verranno spesi quest’anno per i “servizi di stampa degli atti parlamentari”.
Da sommare al milione 210 mila euro l’anno per l’analogo capitolo dei “servizi vari di stampa”.
Il risultato sotto il profilo ambientale, in termini di spreco di carta, lo si può intuire – fa notare il deputato Fallica – “osservando gli enormi carrelli con i quali i commessi trasportano quintali di documenti”.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
“LA MIA DECISIONE HA DECORRENZA IMMEDIATA, HO SOLO SERVITO IL PARLAMENTO”…I PRIVILEGI RIGUARDANO ANCHE VIOLANTE E BERTINOTTI, MENTRE SONO TAGLIATI FUORI INGRAO E LA PIVETTI
“Ho avuto l’onore di servire la Camera dal 2001 al 2006, rinuncio con effetto immediato a questi benefici”. Firmato: Pier Ferdinando Casini.
Il leader centrista annuncia il suo no dopo che l’ufficio di presidenza di Montecitorio ha stabilito che gli ex presidenti della Camera potranno godere dei benefit, relativi alla carica ricoperta, per 10 anni, dalla fine del mandato, e non più a vita.
L’unica eccezione è stata fatta per gli ex presidenti eletti deputati nella scorsa o nell’attuale legislatura per i quali i 10 anni decorreranno a partire dalla fine di questa legislatura.
Dei cinque ex presidenti ancora in vita, quindi, solo Luciano Violante e Fausto Bertinotti (e lo stesso Casini) potranno continuare a godere dei benefit per altri 10 anni, mentre Pietro Ingrao e Irene Pivetti li perderanno alla fine di questa legislatura. Un privilegio di cui Casini ha deciso di fare a meno: ” Ho preso atto delle decisioni assunte ieri, a maggioranza – scrive il leader dell’Udc in una lettera a Gianfranco Fini – dall’Ufficio di Presidenza in relazione allo status degli ex presidenti. Ringrazio lei ed i colleghi, ma le comunico che non intendo avvalermi della delibera e rinuncio, con effetto immediato, ad ogni attribuzione e benefit connessi a questo status”.
Il Senato, poche settimane fa, era stato più rigoroso e aveva dato lo stop dopo dieci anni dalla cessazione dall’incarico. Senza alcuna eccezione.
A Montecitorio, invece, la strada scelta è stata diversa.
E la cosa ha provocato la spaccatura dell’ufficio di Presidenza.
Il provvedimento è passato ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato.
Anche il vicepresidente Lupi (Pdl) ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale.
Le reazioni.
“E’ un bene che Casini rinunci da subito ai suoi privilegi di ex presidente della Camera che una pessima decisione presa ieri gli avrebbe assicurato – dice Antonio Borghesi, vicepresidente dell’Italia dei Valori alla Camera – Ci attendiamo ora che uomini di sinistra come Bertinotti e Violante facciano altrettanto e che Fini dichiari fin d’ora di rinunciarvi al termine del mandato”.
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
A LECCE “DESTRA DI BASE” SCONFIGGE IN TRIBUNALE L’ON LISI: DOPO QUATTRO ANNI RESA GIUSTIZIA AD ADRIANO NAPOLI, REO DI AVER VOLUTO TUTELARE I VALORI DI RIFERIMENTO DELLA DESTRA SALENTINA
Uno scontro lungo quattro anni, che affonda le radici nella storia recente della destra salentina.
O forse no, dipende dalle interpretazioni.
A scrivere la parola fine sulla lunga querelle, tutta interna all’ex partito di Alleanza Nazionale, che vedeva contrapposti Ugo Lisi ad Adriano Napoli è stato il Tribunale di Maglie.
Il deputato del Pdl e il presidente dei circoli Destra di Base erano arrivati alla diatriba legale per una vicenda nata nel 2008.
Qualche mese prima della fusione di An e Forza Italia dentro al Pdl, secondo la ricostruzione del responsabile di Destra di Base, nel partito salentino di Fini si era aperta e scatenata una guerra interna senza esclusione di colpi sulla gestione di questo passaggio politico delicato, tra chi come Lisi era favorevole a questa evoluzione e chi, come Napoli, all’epoca vicepresidente provinciale di An), si dichiarava contrario.
Secondo quest’ultimo, infatti, in gioco c’era la dignità della componente An, sacrificata nel nuovo contenitore berlusconiano: l’ex vicepresidente del partito finiano rinfacciava a Lisi di non impegnarsi a tutelare la rappresentanza della destra nel Pdl, ma di essersi principalmente adagiato sulla preoccupazione della propria rielezione alla Camera come deputato.
In quel periodo, Destra di base aveva aperto un blog per dare voce ai propri simpatizzanti, dove le critiche a Lisi non si lesinavano, tanto che il deputato di An, mal sopportando questo crescente malumore, presentò una querela contro gli amministratori dello stesso, colpendo Adriano Napoli, in qualità di responsabile di DdB e Maurizio Gennarino, come autore dello spazio web.
Lisi nella denuncia-querela accusava il blog e i suoi responsabili di non aver cancellato le parole “bamboccione, incompetente ed ignorante” pubblicate in alcuni commenti anonimi che lui riteneva offensivi per la sua dignità di deputato e di uomo.
In seguito alla querela, fu revocata a Napoli la carica di vicepresidente provinciale di An.
Napoli racconta che Lisi per sostenere le proprie accuse abbia prodotto centinaia di pagine, attivando la Digos e tenendo impegnati uomini e mezzi dello Stato sulla vicenda.
Il deputato si era, quindi, costituito parte civile per le offese che riteneva di aver ricevuto dalla pubblicazione di quelle frasi, richiedendo agli esponenti di Destra di Base un risarcimento danni di 50mila euro.
La sentenza, presso il Tribunale di Maglie ha dato però ragione a DdB, dichiarando Napoli e Gennarino innocenti con formula piena.
(da “Lecce-Prima.it“)
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