Destra di Popolo.net

LE PRIMARIE AVVELENATE DI PALERMO: BORSELLINO FAVORITA, OUTSIDER IN RIMONTA

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

FERRANDELLI E FARAONE DIVIDONO IL PD… MINACCE ALLA BORSELLINO: “RITA RISCHIA LA VITA”….DI PIETRO: “E’ ORA DI DARE UNA MANO A BERSANI”

“Sono quattro anni che ci penso e ora ci credo: io farò il sindaco di Palermo. È venuto il momento. Mi vede? Mi vede come sono carico, determinato, forte e già  sicuro dei consensi che avrò? Scriva il mio nome: Fabrizio Ferrandelli”.
I 311 gazebo di Palermo aspettano ansiosi di ospitare la più cruenta lotta fratricida tra i piccoli ma inferociti ras del Partito democratico siciliano.
Si chiamano primarie, ma è una battaglia di sangue.
Col coltello tra le mani attendono di affettare il partito, ciascuno con la propria particina in scena e la propria piccola speranza da tutelare.
Le primarie, queste maledette, potrebbero dare al centrosinistra un esito da perfetto “cetriolo” che il bookmaker Antonio Di Pietro scruta nella riflessione telefonica con un finto Vendola, sparring partner in una trasmissione radiofonica burlona.
Il Pd – unito a Sel e all’Italia dei Valori – ha deciso di indicare Rita Borsellino a futuro sindaco della città .
Temporali in vista: “Paradossalmente in questo momento dobbiamo cercare di dare una mano al segretario del Pd, perchè lo stanno sfasciando in due. Se si rompe il Pd, boh, non so come andrà  a finire. Vediamo cosa succede a Palermo… non vorrei che quello che è uscito da me vada a vincere e a noi che abbiamo appoggiato la Borsellino…”.
Fine della telefonata.
Nella straordinaria fauna dipietresca è infatti sbucato il giovane Ferrandelli, 31 anni, capogruppo al Comune, che ha disubbidito sia a Leoluca Orlando che al leader nazionale decidendo di avanzare in solitudine contro la signora simbolo dell’antimafia, figura illustre e mite di una città  senza più riferimenti.
Ferrandelli viene parcheggiato fuori dal partito ma nonostante tutto ottiene l’appoggio di due big siciliani del Pd, Cracolici e Lumia, che insieme sostengono lui, essenza dell’antipolitica, e il governo Lombardo.
L’opposto allo stato puro.
Nella corsa si è aggiunto Davide Faraone, e fanno tre candidati.
Con Lombardo anch’egli ma contro Cracolici e contro soprattutto Borsellino e Bersani.
Intitola alla rottamazione del vecchio la sua calata in gioco. Fa riferimento al sindaco di Firenze Renzi, che infatti atterra a Palermo a onorare Davide, suo amico.
Trova in Giorgio Gori uno spin doctor d’eccezione, regista di una campagna elettorale che darà  comunque frutti.
Quarto nome in lizza, quello di un’altra donna, la ginecologa Antonella Monastra, impegnata nelle periferie, testimone agguerrita della sinistra senza rappresentanza.
Quattro nomi per una poltrona.
Le cose semplici si sono complicate per strada e la vittoria della Borsellino, finora comunque favorita dal pronostico ufficiale, è divenuta più precaria, più esposta alle correnti velenose dei circoli politici che hanno consumato ogni credito con la città .
Veleno a cubetti, sparso sulle teste di ciascuno come cenere.
E presagi cattivi: una telefonata anonima, ricevuta ieri alla sede del Pd, annunciava l’imminente omicidio della candidata.
E sembra non sortire gli effetti benefici previsti la vicinanza di Leoluca Orlando, per tutti in città  ancora “sinnacorlando”, che fa fatica a procedere al travaso della simpatia popolare di cui ancora gode in non modica quantità .
Palermo – già  piena di sole – è assente e inerme.
“Persino il malgoverno è andato in tilt.
Finora si auto-rigenerava, in un disegno almeno coerente di conservazione del potere. Nemmeno questo è rimasto”, dice la sociologa Laura Azzolini.
Piegata dai debiti, circa 200 milioni di euro, e dal fuoco di una crisi sociale allarmante che in primavera strariperà  nelle piazze quando 1800 lavoratori comunali precari chiederanno lo stipendio, Palermo si nasconde.
Assiste ma non partecipa alla gara per trovare un altro sindaco, dopo che il precedente, Diego Cammarata, ha scelto di togliere anzitempo le tende e fuggire via.
Il centrodestra ha dilapidato un capitale di voti colossale, lasciando agli avversari solo le mura del municipio, divenuto una fabbrica di nulla facenza, sbandata e senza speranza.
Palermo non investe più un euro nella manutenzione, nell’assistenza sociale, nella scuola. Spende i suoi soldi per pagare gli stipendi.
Per asili e scuole la spesa dal 2006 è caduta del 16 per cento: 132 euro procapite contro i 320 di Milano e i 290 di Torino.
Una città  dalla quale pure gli autori del malgoverno sembrano dissolti, coperti da una cortina fumogena nell’attesa di tempi migliori.
Il Terzo polo, per dirne una, dovrebbe candidare un avvocato, ex campione di kick boxing, Vincenzo Costa.
Il suo programma è misericordioso: “Voglio liberare Palermo dal peccato e dai peccatori. Sono, come dire, un problem solver”.
Davanti a questo deserto il Pd si è diviso, frantumando le sue legioni e anche le speranze di chi, fino a ieri dall’altra parte, vorrebbe cambiare aria.
“Non si capisce ancora con chi si debba parlare – dice Carlo Vizzini, ex di Berlusconi – il partito è immobile, nell’attesa di vedere come andrà  a finire con la Borsellino”.
La mite signora è ferma sul punto: “Non sono abituata a fare pronostici, ma sento la forza di un consenso vasto. Il mio programma è chiaro e soprattutto chiari sono gli amici e chiarissimi i nemici”.

Antonello Caporale
(da “La Repubblica”)

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PRIMARIE PALERMO: LA CORSA A QUATTRO CHE DIVIDE TUTTI

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

SI INASPRISCONO TONI E ACCUSE TRA I CANDIDATI, TRE DI AREA PD

“Il candidato della società  civile? Ovviamente sono io, gli altri sono imposti dalle segreterie di partito”.
A due giorni dalle primarie del centrosinistra a Palermo è questo il leit motiv.
Dopo due rinvii, qualche contrasto e parecchie polemiche, le consultazioni preliminari del capoluogo siciliano si sono guadagnate sul campo l’appellativo di “primarie al veleno”.
E visto che il Pd appoggia ben tre candidati, le possibilità  per il partito di Pier Luigi Bersani di rivivere la delusione e il fallimento di Genova non sono campate in aria.
A Palermo sono quattro i pretendenti ai blocchi di partenza, tutti convinti di essere esclusiva espressione dell’onda arancione di Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris.
Candidata di sicura espressione della società  civile è Antonella Monastra, ginecologa sostenuta da alcuni movimenti cittadini, che per la sua campagna elettorale ha deciso di pubblicare on line il bilancio di spese e donazioni.
“In periodi del genere il massimo tetto di spesa per questo grado di campagna elettorale non può superare i 10mila euro”.
Del titolo di “sindaco arancione” si fregia Davide Faraone, trentacinquenne consigliere regionale del Pd, supportato dal rottamatore Matteo Renzi e dallo spin doctor Giorgio Gori, che per sostenerlo sono venuti più volte a Palermo.
Tra un giro in bici per le vie della città  e una partitella a calcetto con il sindaco di Firenze, Faraone ha basato la sua campagna elettorale su semplicità  e chiarezza.
Fino a dire agli elettori che “tutto non si può fare e bisogna essere onesti con i cittadini”. Dai suoi manifesti garantisce un immediato stop al traffico, lavoro semplice e strade pulite.
Vicinanza alla società  civile è naturalmente riconosciuta anche a Rita Borsellino, protagonista della battaglia (persa per un soffio) contro Totò Cuffaro nel 2006, e ora proposta alle primarie proprio da Bersani.
Ad accompagnarla in lunghe passeggiate elettorali (a piedi o in autobus) c’è Leoluca Orlando, che per sostenerla ha sbattuto fuori dall’Idv il quarto candidato alle primarie, il trentenne Fabrizio Ferrandelli.
Il giovane consigliere comunale non ha comunque ritirato la sua candidatura: “A chiedermelo — sostiene — è stata la società  civile, da cui provengo a differenza degli altri”.
Dopo la cacciata dall’Idv, Ferrandelli ha incassato un appoggio trasversale che va dagli eurodeputati Sonia Alfano e Rosario Crocetta, e arriva fino ai dirigenti regionali del Pd Giuseppe Lumia, Antonello Cracolici e Totò Cardinale, registi della discussa alleanza con il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo all’Ars.
Un appoggio ingombrante quello su cui può contare Ferrandelli che infatti ha subito suscitato le stilettate degli altri candidati.
Il rottamatore Faraone non ha perso un attimo per andare all’attacco: “Cracolici e Lumia usano Ferrandelli per prevalere su Bersani, Di Pietro e Vendola. In combutta con il presidente della regione siciliana, Raffaele Lombardo, appoggiano Ferrandelli, facendosi un baffo delle indicazioni del segretario nazionale del partito in cui militano. Ferrandelli è un candidato paracadutato da Palazzo d’Orleans (la sede della presidenza regionale)”.
L’ex consigliere comunale di Idv ha immediatamente risposto per le rime: “Faraone appoggia Lombardo all’Ars insieme al Pd, tra i candidati alle primarie io sono l’unico a non conoscere Lombardo”.
Se da una parte i giovani Faraone e Ferrandelli non perdono occasione per farsi i dispetti a vicenda, riescono però a marciare compatti quando c’è da attaccare Rita Borsellino. ”Ho le prove che il Pd ha pagato i manifesti della Borsellino- ha detto Faraone inaugurando le primarie al veleno — Bersani ha smesso di fare il segretario ed è sceso in campo a sostenere un candidato, sia economicamente che politicamente. È inaccettabile, Io non gli ho chiesto nè un euro, nè di sostenermi, anche perchè ogni volta che sostiene qualcuno il suo candidato perde le primarie. Il Pd siciliano fa ancora più schifo di quello che fa nel resto del paese”.
Stima per la sorella del giudice assassinato era stata espressa invece da Ferrandelli che però ha subito ammesso di avere dei dubbi sulla sua resistenza fisica: “Palermo non può avere un sindaco come la Borsellino, qui il lavoro da fare sarà  durissimo, troppo per una persona di 67 anni”.
Dal canto suo la Borsellino ha abbozzato un sorriso pacifico rifiutando di replicare alle accuse: “Non mi piace la rissa e non dovrebbe fare parte di una manifestazione democratica come dovrebbero essere le primarie. Per quanto riguarda l’età  dico solo che sono coetanea di Pisapia”.
Nel frattempo a soffiare sul fuoco delle polemiche ha contribuito anche Antonio Di Pietro, vittima di uno scherzo ideato da una trasmissione radiofonica.
“Adesso dobbiamo vedere che succede domenica a Palermo — si è lasciato sfuggire il leader di Idv pensando di parlare al telefono con Nichi Vendola — Non vorrei che paradossalmente quello che è uscito da me va a vincere e noi che abbiamo sostenuto la Borsellino…”.
Quello “uscito da lui” è Fabrizio Ferrandelli che, facendo i dovuti scongiuri, ha risposto piccato al suo ex leader : “Di Pietro mi conosce benissimo, il suo modo di parlare fa capire benissimo quasi sono le condizioni di libertà  nel mio ex partito. A questo punto spero che le sue parole mi siano di buon auspicio”.
E mentre Faraone annuncia di non voler più partecipare a incontri con gli altri candidati delle primarie “perchè sono solo controfigure”, a Palermo c’è già  chi ipotizza come i veleni possano continuare anche dopo il voto del 4 marzo: qualcuno tra gli sconfitti infatti potrebbe comunque candidarsi sindaco.
Un’ipotesi che decreterebbe il fallimento definitivo delle primarie a Palermo.
Ma che già  da ora potrebbe avere una motivazione facilmente prevedibile: a chiedere la candidatura forzata dello sconfitto sarebbe ovviamente la società  civile.
Resta solo da capire quante società  civili esistano a Palermo.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’APPELLO DI 360 ESPERTI: “MONTI RIPENSI ALLA TAV, LA PEGGIORE INFRASTRUTTURA POSSIBILE”

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

SONO DOCENTI, RICERCATORI E PROFESSIONISTI CHE CHIEDONO AL GOVERNO DI TENERE CONTO DEI RISULTATI SCIENTIFICI EMERSI SULL’ALTA VELOCITA’ IN VAL SUSA: BENEFICI ECONOMICI INCERTI, COSTI ELEVATISSIMI E PESANTE IMPATTO AMBIENTALE

Il 9 febbraio scorso 360 docenti universitari, ricercatori e professionisti hanno inviato al professor Monti un appello che sollecita ancora una volta, dopo quello inascoltato inviato al presidente Napolitano nel luglio 2011, l’applicazione del metodo scientifico all’oggettiva valutazione degli scenari che — secondo i proponenti — motiverebbero l’opera.
Attualmente si viaggia già  in Tgv da Milano a Parigi sulla linea esistente via tunnel del Frejus, incluse le fermate Torino e Lyon, separate da poco più di tre ore e mezza di viaggio.
La nuova linea con tunnel di 57 chilometri appare sempre più anacronistica e priva di priorità : un’opera con tempi di realizzazione ultradecennali, del tutto rigida sul piano degli adattamenti alla rapidissima evoluzione sociale — generata dalla onnipresente penetrazione delle tecnologie informatiche — ed economica in tempo di crisi e contrazione strutturale dei consumi.
Detto in altro modo, mentre cablare l’Italia con la banda larga è un progetto che presenta innumerevoli vantaggi in tutti i settori della vita quotidiana e professionale, quel tunnel serve a una e una sola cosa: farci passare delle merci e forse dei passeggeri che un domani potrebbero non esserci e che già  oggi dispongono di valide alternative.
Se si sbaglia, è un lavoro buttato, oltre ai danni ambientali locali.
Recenti studi suggeriscono al professor Monti di considerare attentamente la scelta di lanciarsi in un cantiere così ambiguo: una ricerca di Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, del Politecnico di Milano, di cui è comparsa notizia su il Sole 24 Ore del 31 gennaio scorso, svela la grave sofferenza economica delle linee Av italiane; un’analisi di Bent Flyvbjerg della Said Business School dell’Università  di Oxford, pubblicata nel 2009 sulla Oxford Review of Economic Policy, ha esaminato il caso di 258 grandi infrastrutture trasportistiche in 20 nazioni, dimostrando che le previsioni dei costi sono regolarmente sottovalutate e le stime dei benefici regolarmente sopravvalutate, al punto che il titolo del paper è “la sopravvivenza del meno adatto, perchè la peggior infrastruttura è quella che viene costruita”.
Dal punto di vista energetico e delle emissioni, lo sbandierato minor consumo e inquinamento del treno rispetto alla gomma viene messo in dubbio nel caso del gigantismo ferroviario in tunnel dal lavoro di Westin e Kageson del Royal Institute of Technology di Stoccolma, comparso a inizio 2012 sulla rivista Transportation Research.
Insomma, quando un’opera serve, come un acquedotto o una fognatura, non ci sono dubbi sulla sua utilità  e si cerca di realizzarla nel modo migliore e senza sprechi.
Nel caso del Tav Torino-Lione, per non tacere poi la Napoli-Bari e il terzo valico di Genova, il carico di incertezze, dubbi, contraddizioni e scarsa trasparenza è così elevato, a fronte di costi spaventosi, che non vi dovrebbero essere indugi da parte della pubblica amministrazione a mettere tutto in un cassetto e chiudere la pratica.
Se poi in futuro le condizioni economiche e sociali richiederanno queste opere, si potrà  sempre realizzarle, invece quelli che nel presente risulterebbero solo inutili buchi nella roccia e nella pubblica finanza, una volta fatti, sarebbero irreversibili e nessun tribunale potrà  dopo risanare i danni.
Facciamo tesoro della vicenda Eternit.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’AIUTINO DEL PD A SILVIO: VIA IL REATO DI CONCUSSIONE

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

COSI’ IL CAVALIERE SI SALVA AL PROCESSO RUBY… E VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI

Il Pd propone di abrogare il reato di concussione per trasformarlo in corruzione o estorsione: il primo, clamoroso effetto, si avvertirebbe a Milano, dove al processo-Ruby, Silvio Berlusconi verrebbe immediatamente prosciolto per il capo d’accusa ritenuto più solido.
Se il reato non esiste più Berlusconi non può essere processato come concussore, quella telefonata alla Questura, in cui l’ex primo ministro accreditava la minorenne marocchina come nipote di Mubarak, processualmente diventa quasi irrilevante.
Quasi, perchè al massimo a Berlusconi potrebbe essere contestato l’abuso di ufficio, di gran lunga meno grave della concussione.
L’abuso è punito con 3 anni, la concussione con 12.
Nel processo Berlusconi dovrebbe, a questo punto, affrontare solo l’accusa di prostituzione minorile, fattispecie di reato molto più difficile da provare.
Insomma la telefonata rischiava di inchiodarlo, la cancellazione del reato lo salva. Proscioglimento quindi, perchè il reato è caduto e quello nuovo non esisteva al momento del fatto.
L’emendamento (dove si propone la cancellazione del reato) del Pd al ddl anticorruzione viene visto come un punto di partenza per un’intesa complessiva per la riforma.
In effetti tra concussione e corruzione ci sono diverse punti di contatto: anche da un punto di vista etimologico il termine deriva da concussus, participio passato di concutere, in italiano “estorcere”.
L’obiettivo dichiarato dai proponenti Pd è di “rendere più netti i contorni dei comportamenti corruttivi rispetto a situazioni in cui la vittima subisce pressioni, minacce, anche indirette, o violenza da parte del pubblico ufficiale che abusa delle sue funzioni”.
Obiettivo posto anche richiesto da Ocse e Consiglio d’Europa per contrastare più efficacemente la corruzione internazionale: spesso, infatti, il concusso è considerato “vittima” e quindi non è punibile. In generale il ddl anticorruzione su cui si discute prevede un inasprimento delle pene per i reati di corruzione e un conseguente aumento degli anni necessari alla prescrizione.
Tuttavia, il significato politico di questa cancellazione rischia di apparire pesantemente ingigantito in termini di patto innaturale o inciucio che dir si voglia.
Il “salvataggio” del premier al processo e la concomitante apertura di dialogo in tema di larghe intese è difficile farli derubricare a semplici coincidenze.
Non passa inosservato, per esempio, come sul Sole 24 Ore di venerdì 2 marzo, la notizia della cancellazione del reato sia posta accanto al rilancio in tema di grandi intese (Pdl, Pd e Terzo Polo alleati nel 2013) compiuto dallo stesso Berlusconi. “Possibili se c’è accordo con il Pd sulle riforme” ha spiegato Silvio Berlusconi.
Cosa dice l’art. 317 che si vuole abrogare?
“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità  e dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità , è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”.
In effetti, l’accusa della procura di Milano verteva proprio sull’induzione, contestata a Berlusconi, nei confronti del funzionario di Polizia, a fornire prestazioni non dovute. Indurre nel senso di persuadere abusando di poteri fuori dai casi o al di là  dei limiti stabiliti dalla legge.
(da “Blitz quotidiano”)

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PREMIER E BICAMERALISMO, SETTIMANA LUNGA E PARLAMENTARI PIU’ GIOVANI: LE BASI DELL’INTESA

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

PRIMO ACCORDO TRA PDL, PD E TERZO POLO SU UN TESTO DI DIECI ARTICOLI… DIVISIONE DI COMPETENZE TRA CAMERA E SENATO… POTERE   DI REVOCA DEI MINISTRI E SFIDUCIA COSTRUTTIVA

L’ultimo punto, discusso fra tramezzini e caffè, riguarda il Senato federale o Camera delle Regioni. È stato lasciato da parte, a decantare.
Ma il documento delle riforme è pronto: dieci articoli, a cui ieri Luciano Violante, Ferdinando Adornato, Gaetano Quagliariello e Italo Bocchino hanno dato il via libera e che consegneranno ai leader di Pdl, Pd e Udc Alfano, Bersani e Casini.
Alcune modifiche rispetto alla bozza precedente (ma non sul numero dei parlamentari che saranno tagliati sempre a 500 deputati e 250 senatori); una road map sui tempi (tra giugno e agosto la prima lettura delle riforme, e a settembre la legge elettorale in Parlamento); e una novità  nel segno del ringiovanimento della politica.
Sarà  possibile essere eletti alla Camera a 21 anni e a 35 anni al Senato (attualmente gli articoli 56 e 58 della Costituzione prevedono a 25 e 40 anni).
Tuttavia sono l’accelerazione delle leggi e l’equilibrio tra i poteri del premier e il Parlamento a rappresentare l’ossatura del documento.
“L’intesa è un miracolo e ora non si può fallire”, commenta Adornato.
Rincara Violante: “Gli strumenti istituzionali sono altrettanto importanti che quelli finanziari perchè danno i mezzi per affrontare i problemi”.
Inoltre, al giro di boa è il regolamento del Senato, una specie di rivoluzione con l’obbligo di settimana lunga (a cui sarà  legata la diaria) e tempi certi anche per le leggi d’iniziativa popolare, tipo quelle di Beppe Grillo.
Superato il bicameralismo.
È prevista una divisione per materia (alla Camera quelle che l’articolo 117 della Carta assegna attualmente allo Stato e al Senato le competenze regionali).
Nei casi dubbi saranno i presidenti dei due rami del Parlamento, d’intesa tra loro, a decidere quale Camera comincia l’iter.
L’altra ha potere di richiamo (chiesto da 1/3 dei componenti), però ha l’obbligo di approvazione entro 15 giorni, altrimenti varrà  come unica la prima lettura.
Sfuggono a questa regola, e quindi prevedono la doppia lettura, le riforme costituzionali, le leggi di bilancio, le leggi comunitarie e i trattati internazionali.
Poteri dei premier
Oltre all’indicazione dei ministri, poi nominati dal capo dello Stato, ha anche il potere di revoca. Con questa riforma, Berlusconi avrebbe potuto dare il benservito a Tremonti.
Sfiducia costruttiva
Non sarà  in seduta comune (idem la fiducia, come era stato precedentemente ipotizzato), però introduce il meccanismo in vigore nel sistema costituzionale tedesco: consente che il governo possa cadere solo se ne nasce un altro. Violante osserva: “È il modo per favorire governi di legislatura”.
Tempi certi
Considerato un deterrente al ricorso alla fiducia e ai decreti sono i tempi certi dei disegni di legge del governo. I “tecnici” preferiscono non chiamarlo “potere d’agenda” dell’esecutivo, però comporta delle dead-line per l’approvazione. Saranno i regolamenti parlamentari ad articolare forme e date.
Senato, nuove regole
Fuorisacco rispetto al documento delle riforme, c’è il nuovo regolamento del Senato messo a punto da Luigi Zanda (Pd) e Quagliariello (Pdl) che il presidente Schifani vuole per giovedì prossimo alla discussione della giunta.
Praticamente la prima riforma istituzionale condivisa che già  a fine mese Palazzo Madama dovrebbe approvare.
In primo luogo, impedirà  che nascano neo gruppi parlamentari che gli elettori non hanno mai votato.
Pur rispettando il “cambio di casacca”, poichè costituzionalmente il parlamentare non ha vincolo di mandato, chi non sta più bene con i suoi, se ne va nel misto.
Stop ai “pianisti”, anche qui come alla Camera è probabile che Schifani decida per il sistema di voto con le impronte digitali.
Così come per la diaria, che potrebbe essere legata non solo alla presenza in aula bensì anche a quelle nelle commissioni e comunque queste saranno convocate in modo che “non siano sovrapponibili” ai lavori dell’aula.
È la “settimana lunga”, non come ora che si lavora da martedì a giovedì.
Nella fase istruttoria si è attinto alla bozza di Enzo Bianco.
Di certo è sulla legge elettorale che lo scontro si fa aspro.
D’accordo gli sherpa hanno deciso che se ne riparla, dopo.

Giovanna Casadio
(da “la Repubblica“)

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BRONZI DI RIACE: TRE ANNI DA PRECARI

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

TRASFERITI PER EVITARE PRESTITI, SONO RIMASTI NELL’ANDRONE DEL CONSIGLIO REGIONALE, IN ATTESA DEL NUOVO MUSEO

Se finisce come con la vecchia cartolina che celebrava il ponte di Messina, stiamo freschi: addio ponte, resta solo la cartolina. –
Anche i Bronzi di Riace hanno avuto la loro cartolina celebrativa: per i 150 anni dell’Unità .
Ma sono ancora sdraiati nell’androne del Consiglio regionale perchè il «loro» museo, che doveva essere riaperto il 17 marzo 2011, è ancora chiuso.
Mancano i soldi e l’impresa se ne è andata.
Il governatore Giuseppe Scopelliti ha diffuso un comunicato rasserenante.
Titolo: «Finalmente saranno completati i lavori del Museo Nazionale della Magna Grecia». Esordio: «Abbiamo reperito, in un gioco di squadra con il Governo Nazionale, i fondi necessari per ultimare i lavori…».
Due righe sotto, il ritocco: «il Cipe valuterà  nei prossimi giorni l’assegnazione di 6 milioni di euro che si aggiungeranno ai 5 milioni già  previsti dalla Regione…»
Cosa vuol dire «valuterà »?
Cosa vuol dire «previsti»? Ci sono o non ci sono, i soldi?
In riva allo Stretto non è che si fidino più molto degli impegni.
La stessa sovrintendente Simonetta Bonomi, una padovana che ha seguito passo passo il restauro dell’edificio progettato dall’architetto del Duce Marcello Piacentini, dopo tante delusioni è scettica quanto San Tommaso: «Spero che stavolta sia vero. Dopo avere visto tanti rinvii, però, insomma…».
Ma cominciamo dall’inizio.
Quelle che diversi studiosi considerano come Salvatore Settis «le più belle statue greche di bronzo del mondo, al punto che neppure al museo di Atene c’è niente di simile», sono da tempo al centro di un dibattito che ha assunto spesso i toni di uno scontro frontale.
Di qua chi li considera un patrimonio dell’umanità  appartenente allo Stato italiano (il più brusco è Vittorio Sgarbi: «Sono di tutti, mica dei reggini!») e dunque da mettere a disposizione con le cautele del caso di una platea più vasta di visitatori («È inutile lasciarli lì, sotto la polvere», si è avventurato a dire il direttore generale del ministero Mario Resca) di là  i calabresi che, davanti alla sola ipotesi che il «loro» Bronzi potessero essere spostati, per esempio alla Maddalena per il G8 come avrebbe voluto Silvio Berlusconi, si sentono rizzare i capelli in testa: «Giù le mani!»
Fatto sta che dopo essere stati visti, ammirati, venerati a Firenze e a Roma da un milione di visitatori subito dopo il restauro che li aveva restituiti alla loro solenne bellezza dopo il fortunoso recupero di due sub nel mare di Riace (il soprintendente toscano fu costretto a un appello tv per arginare le folle giacchè il personale era «sottoposto a turni di lavoro massacranti in condizioni disumane») i due «wonderful bronzes» sono stati via via un po’ dimenticati.
Troppo «lontana» Reggio Calabria, troppo scarsi e scadenti i collegamenti aerei e ferroviari, troppo caotica e pericolosa l’autostrada Salerno-Reggio ingombra di cantieri che non si chiudono mai.
Fatto sta che, come scoprì Antonietta Catanese sul Quotidiano , in tutto il 2008 le due statue avevano avuto 130 mila visitatori di cui solo 50.085 a pagamento: un terzo dello zoo di Pistoia. Numero calato ulteriormente nel 2009, chiuso alla vigilia di Natale con il trasferimento dei due guerrieri a palazzo Campanella, sede del «Consiglio» calabrese.
Era sembrata quella, alla Bonomi, la soluzione giusta: no a prestiti al Louvre, a Roma o Napoli e men che meno a Palazzo Chigi per una passarella internazionale.
Meglio l’offerta dell’allora presidente dell’assemblea regionale, Giuseppe Bova: allestire nel grande androne di palazzo Campanella una sala dalla parete di vetro dietro la quale i due Bronzi, sdraiati come pazienti ricoverati all’ospedale, fossero insieme sottoposti a un check-up ed esposti per il tempo strettamente necessario, un anno, alle visite dei turisti.
Il check-up è andato bene: nonostante alcune micro-fratture e i danni provocati, spiega la sovrintendente, «dall’aria di Reggio Calabria, che tiene insieme il salso del mare, lo smog del traffico automobilistico e certe polveri dell’Etna», i magnifici guerrieri sono in forma.
Ciò che è andato male è il restauro dell’edificio che avrebbe dovuto essere completato in tempi strettissimi così da riaprire come dicevamo, alla presenza forse di Napolitano, il 17 marzo 2011, 150° della proclamazione dell’Unità .
Sulle prime, sembrò andare tutto benissimo.
Traslocati i dipendenti in 7 appartamenti sparsi per la città , trasferiti i Bronzi e il resto della splendida collezione a palazzo Campanella (il meglio) e in un deposito, l’impresa incaricata di ristrutturare il palazzo e consolidarlo con tutte le garanzie antisismiche, la Cobar, lavorò a ritmo forsennato.
Fino a 250 operai, geometri, manovali, capi mastri, trafficavano febbrili per mesi per tre turni al giorno, notti comprese, spesso anche il sabato e la domenica, a costo di pagare astronomici straordinari.
Pareva fatta.
Pareva che stavolta la maledizione del Sud incapace di rispettare i tempi fosse sconfitta. Poi, di colpo, finirono i soldi. Dice qualche (altissima) linguaccia ministeriale che «è successo quel che succede sempre: rincari, rincari, rincari».
Dice la Bonomi che no, su consiglio degli esperti convocati proprio per evitare errori, «sono state via via aggiunte opere non previste.
La bellissima copertura di vetro del cortile interno, la climatizzazione speciale che offra alle statue la massima garanzia, la camera dove i visitatori dovranno fermarsi un minuto per essere igienizzati prima di entrare nella stanza…».
Fatto sta che i quasi 18 milioni di euro iniziali sono finiti, l’impresa si è trovata in rosso per 6 milioni e a un certo punto, visto che i soldi non arrivavano, ha piantato lì tutto e se n’è andata. Risultato: mentre i Bronzi continuavano ad essere sfruttati come simbolo della Calabria anche con uno spot tivù contestatissimo dal «Quotidiano di Calabria» e poi dal «Corriere della Calabria» e da intellettuali calabresi come Settis o Battista Sangineto (che se la prese con l’«uso» delle statue per la reclame della Renault, come marchio di uova e addirittura per un fumetto porno) la riapertura del museo è stata via via spostata.
Prima a maggio 2011 e poi in autunno e poi al 2012 e via così.
Al punto che, per chiudere il cantiere e preparare l’allestimento con quei 5 milioni promessi dalla Regione, se anche i soldi arrivassero davvero domani mattina (auguri!) come pare sia stato promesso anche dal ministro Fabrizio Barca, la stessa sovrintendente ammette che per aprir le porte al primo visitatore ci vorrebbero «almeno sei mesi».
Per capirci: minimo minimo si va all’autunno.
Anniversario del francobollo che celebrava la riapertura.
E a questo punto, quali che siano le responsabilità  (la Regione, il ministero, il governo…) si torna al tema: possibile che non si riesca mai a rispettare i tempi?
Valeva la pena, per rispetto dei timori calabresi d’uno «scippo», di tenere per tre lunghi, interminabili anni quelle due statue che sarebbero venerate non solo a Roma o a Napoli ma al Louvre e all’Ermitage di San Pietroburgo, al British Museum e al Metropolitan di New York, sdraiate nell’androne del consiglio regionale calabrese?

Sergio Rizzo – Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere   della Sera“)

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“RICICLAGGIO IN OLIMPIADI E TAV”: ‘NDRANGHETA IN PIEMONTE, CONFISCHE PER DIECI MILIONI

Marzo 3rd, 2012 Riccardo Fucile

LA DIA METTE I SIGILLI A IMMOBILI PER RICICLAGGIO DEI PROFITTI DEL NARCOTRAFFICO…OTTENUTE COMMESSE PER GRANDI OPERE: GIOCHI INVERNALI, TAV, PORTO DI IMPERIA

Sorveglianza speciale e confisca milionaria per la ‘ndrangheta imprenditrice in Piemonte, Lombardia e Calabria.
La Direzione investigativa antimafia di Torino ha posto i sigilli su terreni, ville, abitazioni, locali adibiti ad esercizi commerciali, fabbricati in provincia di Torino, Cuneo, Asti, Milano (Legnano) e in Calabria (Caulonia e Riace) e contanti (un tesoretto di 150 mila euro) per un valore superiore ai 10 milioni di euro.
I beni confiscati sono riconducibili a Ilario D’Agostino e Francesco Cardillo, secondo gli inquirenti esponenti della ‘ndrangheta incaricati di riciclare negli appalti e nel settore immobiliare i soldi sporchi del narcotrafficante calabrese Antonio Spagnolo, boss di Ciminà .
Nell’ottobre 2009, alla data del loro arresto nell’ambito dell’operazione Pioneer, in cui è stata sequestrata la società  Ediltava, “cassaforte” del gruppo, il Procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli ha parlato della “più importante operazione antiriciclaggio mai realizzata in Piemonte”.
Secondo le ricostruzioni della Dia, il gruppo è riuscito a riciclare milioni di euro anche in importanti commesse pubbliche inserite tra le opere realizzate per le Olimpiadi invernali di Torino 2006, la Tav e il porto di Imperia.
La “lavatrice” era azionata attraverso il lavoro nero e un sistema di false fatturazioni: gli operai, per la stragrande maggioranza calabresi legati alle famiglie della ‘ndrangheta, venivano prima assunti regolarmente e poi licenziati perchè continuassero a lavorare in nero, mentre le fatture “gonfiate” venivano emesse all’interno di un reticolo che metteva in relazione le società  paravento del gruppo con altre società  satellite.
Un modello complesso che richiedeva la consulenza di un colletto bianco, il commercialista Giuseppe Pontoriero, che imputato con Cardillo e D’Agostino nel processo Pioneer, per i fatti relativi alla confisca odierna, ha scelto la via del patteggiamento.
I beni confiscati sono riconducibili alle società  Ediltava srl, Italia costruzioni srl e Domus Immobiliare srl, tutte facenti capo a Ilario D’agostino e al nipote, Cardillo, considerato una “consapevole” spalla degli affari imprenditoriali e immobiliari dello zio.
Ma chi è l’imprenditore D’agostino, capace in Piemonte di penetrare gli appalti “blindati” delle Olimpiadi invernali?
Ilario D’agostino, attualmente in carcere con l’accusa di associazione mafiosa in seguito a Minotauro, la maxi operazione contro la ‘ndrangheta del giugno scorso, già  arrestato (e assolto) nel 1988 in Calabria per sequestro di persona, violenza privata, lesioni personali e detenzione illegale di armi, indagato dalla Procura di Torino per narcotraffico nel 1994 (poi archiviato), ha intrattenuto comprovati rapporti con il boss calabrese Rocco Lopresti, deus ex machina dell’edilizia in Val di Susa e all’origine dello scioglimento del Comune di Bardonecchia nel 1995 per condizionamento mafioso.
Condannato nel 2002 dalla Corte d’Appello di Torino alla pena di tre anni e 4 mesi di reclusione per l’importazione di 250 chilogrammi di hashish dalla Spagna, è stato rinviato a giudizio per riciclaggio, aggravato dal favoreggiamento alla ‘ndrangheta, insieme al nipote Francesco Cardillo e al commercialista Pontoriero.
Secondo gli inquirenti D’Agostino coltiva numerosi legami con esponenti dalla ‘ndrangheta, a partire da Antonio Spagnolo, boss di Ciminà , di cui secondo le ricostruzioni degli inquirenti è incaricato di riciclare il denaro. Ma anche con Bruno Polito, Pietro Guarnieri, Nicola Polito, Pasqualino Marando, Cosimo Salerno, Peppe Aquino e soprattutto Cosimo Barranca, uno dei capi riconosciuti della ‘ndrangheta milanese.
Secondo il pentito Rocco Varacalli «è il contabile di Antonio Spagnolo, è affiliato alla ‘ndrangheta di Ciminà  ed è un imprenditore edile». Le sue imprese servirebbero «per far girare e riciclare i soldi di Spagnolo e coprirne il lavoro sporco».
“Questa confisca arriva dopo un lungo dibattimento — spiega il procuratore aggiunto Alberto Perduca — dimostrazione che le misure di prevenzione hanno oggi valore ed efficacia come strumento per colpire i patrimoni di origine sospetta, posseduti da persone socialmente pericolose e fortemente sospettate di appartenere a sodalizi criminali. La Procura di Torino si è attrezzata con un pool apposito. Nel 2011″, continua Perduca, “sono state presentate 25 proposte di prevenzione, di cui la metà  per misure patrimoniali, con un sostanziale incremento rispetto al passato. Destinato ad aumentare ulteriormente”.

argomento: mafia, olimpiadi, Politica | Commenta »

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