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ART 18: SUL WEB SCOPPIA ANCHE LA RIVOLTA DEGLI ELETTORI PDL CONTRO ALFANO

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

LA PAGINA DI FACEBOOK DEL SEGRETARIO INVASA DA CENTINAIA DI MESSAGGI DI PROTESTA PER AVER AVALLATO LA RIFORMA DEL LAVORO

Mentre il Pdl ufficialmente appoggia compatto la riforma del lavoro targata Fornero gli elettori del centrodestra si dividono.
Molti sono contrari e minacciano di non votare il segretario alle prossime elezioni.
La spaccatura emerge dove nessuno la riesce a nascondere e cioè in rete.
Il dissenso della base del partito si materializza in queste ore sulla bacheca Facebook di Angelino Alfano.
Il segretario del Pdl pubblica un post in cui difende a spada tratta le scelte del governo e si ritrova centinaia di messaggi di elettori che la pensano diversamente.
Con toni e parole diverse gli chiedono di cambiare strada prima che sia troppo tardi. La posta in ballo è il consenso alle prossime elezioni.
“Sull’articolo 18 — scrive Alfano — diciamo che si è trovato un buon punto di equilibrio sul quale non si deve arretrare in parlamento. (…) Con questa riforma l’Italia va avanti ed era giusto che andasse avanti perche’ si trovava indietro in tutte le classifiche europee e internazionali relative all’occupazione giovanile e femminile”.
In meno di due ore i commenti sono più di duecento.
E anche nei post successivi, che riguardano altri temi, è la riforma del lavoro al centro del dibattito che si fa incandescente.
Eccone degli estratti.
“Vergognati Alfano, l’Italia al voto ti punirà ”, scrive ad esempio Daniele che evidentemente il Pdl in passato lo ha votato.
Pietro Merli va dritto al cuore della questione che scodella così ad Alfano: “Angelino, hai visto i sondaggi? Non ti rendi conti che sostenendo Monti perdete?”.
Tra i post che invece apprezzano i contenuti della riforma e il sostegno pidiellino alcuni invitano a non fare prigionieri, perchè il fatto che gli statali siano stati esclusi dal provvedimento proprio non va giù: “Art.18, statali privilegiati.
Loro non sono licenziabili.
Se passa il Pdl scenderà  sotto del 20%”, vaticina Eliseo. “Io l’art. 18 l’avrei abolito solo per gli statali che timbrano il cartellino e vanno a fare la spesa”, rincara Davide.
E’ Giacomo che fissa nel suo post il punto di caduta del consenso   a destra in queste ore: “Se la possibilità  di licenziare non verrà  estesa anche ai dipendenti pubblici non voterò più nessun partito di centrodestra. Alfano insista che la riforma vada in questa direzione”.
Tra i delusi c’è chi chiede di fermare le bocce e fare un passo indietro. “Mi dispiace ma non credo che ciò che state per approvare sia il meglio possibile. Siamo ormai delusi da un partito che sembra sempre più sottomesso dalle proprie catene. Vi consiglio di aprire una discussione seria su ciò che ora rappresentate e in particolare chi rappresentate”.
Alla bacheca di Alfano si affacciano gli imprenditori scontenti cui va bene avere mano libera nei licenziamenti ma senza quel piccolo sovrapprezzo imposto dal governo per garantire ai licenziati ammortizzatori per affrontare la perdita del posto vecchio e la ricerca di uno nuovo.
Non le manda a dire Giacomo de Fazi: “Angelino noi medi imprenditori se abbiamo difficoltà  economiche dobbiamo “sovvenzionare” gli operai dai 15 ai 27 mesi, ma voi politici capite che così ci fate portare i libri in tribunale e fallire? Che le paghi il governo le mensilità  visto che ci sta strangolando di tasse! Attenzione così muore la piccola e media impresa: Basta! Se abbiamo un calo di commesse non siamo mica lieti di mandare a casa i nostri lavoratori saai? Ma prima di chiudere cerchiamo almeno di salvare il salvabile!”.
Insiste un altro imprenditore: “Pagare 27 mensilità  di buona uscita — posta tal Ridolfi — non è costo del’lavoro? Angelino! le imprese piccole sono rovinate, come spossiamo essere più competitivi sul mercato? Per noi piccole imprese era meglio prima”.

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LA MORAL SUASION DI NAPOLITANO RIAPRE LA PARTITA

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

MONTI: “POSSIBILI MODIFICHE ALLA CAMERA”…SCELTO LO STRUMENTO DELLA LEGGE DELEGA… TELEFONATA DI MONTI A BERSANI: “SAPETE CHE ABBIAMO SEMPRE RISPETTATO GLI IMPEGNI”

“Il testo può essere migliorato in Parlamento”. Dopo una lunga giornata di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd attendeva.
La riforma del lavoro non può essere considerata blindata.
Le Camere potranno intervenire senza però snaturarla.   Una linea che in serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga telefonata.
Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati, mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione “Porta a Porta”.
Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati. Di certo nessun decreto.
Lo strumento prescelto è quello della legge delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio dei ministri di stamattina proverà  ad approvare il disegno di legge con la formula “salve intese”.
Un modo per rassicurare i democratici, prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in Cina con la riforma già  approvata.
Una soluzione che il Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier, dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato.
Dopo le tensioni con il Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero.
Sui rischi determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le “opposte simbologie”.
Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la modifica dell’articolo 18 in una sorta di totem.
Preoccupazioni già  espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla necessità  di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle organizzazioni sindacali.
Non è stato un caso allora che da ieri la “moral suasion” del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo Chigi e con le forze politiche.
Contatti che hanno permesso a Napolitano di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità  e con la certezza che il provvedimento conterrà  anche alcune delle chiarificazioni richieste.
Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai vertici del Pdl.
L’idea del decreto non gli è stata prospettata da Monti ma sul ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con Prodi e con Berlusconi.
La sua posizione non è cambiata con Monti.
Anche perchè i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e sofferenza. Ma questa volta con il premier non c’è stato nemmeno bisogno di spiegare la sua eventuale opposizione.
Del resto il Presidente della Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi possa essere quella giusta.
A condizione che non si porti in Parlamento un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi.
Lo strappo della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte evidenziato che l’adesione della Camusso al modello tedesco non era mai stato esplicitato.
Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di “manutenzione” dell’articolo 18.
Eppure, nello stesso tempo, dal Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa confederazione dell’ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter della norma sui licenziamenti.
Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal capo della Fiom Landini.
Il voto contrario è stato giudicato il segno che anche a Corso d’Italia è ormai maturata la consapevolezza che non tutto può più rimanere come prima.
Il sistema tedesco, poi, non è comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello: capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando che i reintegri in Germania sono rari.
E che quasi tutti i casi più spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica.
La vera questione, sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l’enfatizzazione eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti.
Una linea che ha offerto la possibilità  agli avversari di trasformare quel nodo in un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le battaglie storiche del sindacato, ma non ha nemmeno dimenticato le sconfitte come quella sulla scala mobile.
Nell’incontro ristretto che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni.
Anche per questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità  manifestata in alcune occasioni da parte del Professore.
La questione sociale è un valore da difendere – lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente della Repubblica – ma non a costo dell’immobilismo.
Nello stesso tempo al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio.
Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha apprezzato la presa di distanza della Cgil dall’episodio che ha coinvolto l’altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del ministro Fornero.
Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per tendere la mano verso il Pd. “Voglio unire e non dividere”, spiega in queste ore.
Sa che il malessere dei democratici non può essere sottovalutato. È addolorato per il no della Camusso ma non intende nemmeno fare dietrofront sull’intera riforma.
A Bersani – ma anche a Fini e a Schifani – ha spiegato che proprio in Parlamento possono intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature “nella maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il governo”.
Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo.
Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa “non possono essere sottovalutate”.
E i primi segni di queste conseguenze sono già  emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha corretto in corsa la sua impostazione.
Un primo chiarimento, quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto.
Non solo con Bersani. Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due correnti diverse all’interno dei democratici: con D’Alema e con Fioroni.
E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un’ultima offerta per persuadere definitivamente il Pd.

Claudio Tito
(da “La Repubblica“)

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SONDAGGIO IPSOS COMUNALI GENOVA: DORIA 49,2%, MUSSO 20,1%, VINAI 12,4%, RIXI 6,5%, PUTTI 5,8%

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA A UN PASSO DAL TRAGUARDO, CROLLANO PDL E LEGA, MUSSO TRAINA LISTA CIVICA E TERZO POLO, BOOM DEI GRILLINI

Poche ore fa è uscito il nuovo sondaggio Ipsos per conto del Secolo XIX (1.800 interviste eseguite a inizio settimana).
Prima caratterizzazione: i genovesi paiono decisi ad andare a votare: il tasso di indecisi è inferiore rispetto al passato.
Seconda considerazione: gli elettori si fidano più delle persone che delle coalizioni politiche.

Veniamo ai risultati del sondaggio per quanto riguarda i candidati sindaci.
Marco Doria (centrosinistra), vincitore a sopresa delle primarie dove ha battuto sia il sindaco uscente Pd Marta Vincenzi che la senatrice Pd Roberta Pinotti, appoggiato da Sel, è dato al 49,2%, a un passo dal fatidico traguardo che gli permeterebbe di passare già  al primo turno.
Enrico Musso raccoglie il 20,1% dei consensi, espressione della somma della sua lista civica e del Terzo Polo.
Pierluigi Vinai (Pdl) è appena al 12,4% e prende meno dei voti del partito di Berlusconi (dato al 16,1%).
Edoardo Rixi arranca al 6,5%, anche lui meno del 7,2% accreditato alla Lega che già  rappresenta un crollo rispetto al 9,5% delle ultime regionali.
Avanza invece Paolo Putti (Cinquestelle) che arriva al 5,8%.
Tutti gli altri 10 candidati minori raccolgono messi insieme il 6%.

Veniamo ai risultati del partiti:
Centrosinistra: Pd 28,4% (tiene bene, aveva alle regionali del 2010 il 29,9%) Lista Doria 7,2% (una sorpresa, la Lista Burlando alle regionali 2010 aveva il 4,57%), Sinistra e libertà  6,7% (molto bene, aveva il 2,54% ), Italia dei Valori 5,0% (dimezza i voti, aveva il 9,51% ), Federazione della Sinistra 1,9% (dimezzata, aveva il 3,82%)
Centrodestra: Pdl 16,1% (dimezzato, aveva il 32% tra Pdl e Lista Biasotti alle regionali 2010)
Centro: Lista Musso 11,5% ( calcolo più complesso: Udc aveva il 4,17%, Fli era dato intorno all’1,5%, la lista civica di Musso può valere il 6%, come in passato, all’interno della lista unica di Musso)
Lega al 7,2% (crolla rispetto al 9,5% delle regionali 2010).

Ultime considerazioni: rapporto candidato-coalizione che lo sostiene.

Doria fa il pieno dei voti dei partiti della coalizione che lo sostiene: chi vota il parito di riferimento vota anche Doria.
Musso prende il 20,1%, mentre la sua lista unica l’11,5%, quasi 9 punti in   meno. E’ il candidato che sfruttta di più il voto disgiunto.
Vinai prende il 12,4% contro il 16,1% del Pdl e perde per strada un 4% di voti di pidiellini.
Rixi con il 6,5% non solo non traina la Lega ma perde persino voti rispetto al partito (dato al 7,2%).
Paolo Putti (Cinquestelle) infine è dato al 5,8% contro il 6,3% del suo Movimento.
Questo dicono i dati del sondaggio.

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ISPEZIONI: IL 61% DELLE AZIENDE SONO RISULTATE IRREGOLARI

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

I RISULTATI NEL 2011 DELLE INDAGINI DEGLI ISPETTORATI DEL LAVORO: INDIVIDUATI 278.268 LAVORATORI IRREGOLARI DI CUI IL 38% IN NERO

Sono 244.170 le aziende ispezionate nel 2011 dagli ispettori del ministero del Lavoro, dell’Inps, dall’Inail e dall’Enpals: il 61% è risultato irregolare (149.708).
Sono i dati che emergono dal Rapporto annuale sull’attività  di vigilanza in materia di lavoro e previdenziale per il 2011.
Sono stati individuati 278.268 lavoratori irregolari di cui il 38% in nero (105.279 unità  cui vanno aggiunti circa 13.000 lavoratori individuati dalla Guardia di Finanza, per un totale di 117.955).
Il numero dei lavoratori in nero è diminuito rispetto ai 151.000 lavoratori dello scorso anno e tale fenomeno, spiega il rapporto, è fondamentalmente riconducibile, da un lato, alla restrizione del campo di applicazione della normativa sanzionatoria (al solo lavoro subordinato) e dall’altro alla contrazione occupazionale che inevitabilmente incide anche sul sommerso e anche, al notevolissimo incremento che hanno avuto le forme contrattuali di lavoro flessibile, con particolare riferimento ad alcune Regioni del Nord.
Sono state irrogate 52.426 maxisanzioni per l’impiego di lavoratori in nero, con una flessione dell’8% rispetto al 2010. In particolare, in Campania sono stati trovati 7.223 lavoratori in nero, in Emilia Romagna 5.847 e in Lombardia 5.448.
Nel corso delle verifiche condotte sulle aziende sono stati adottati 8.564 provvedimenti di sospensione dell’attività  imprenditoriale, la quasi totalità  legata al riscontro di manodopera sommersa in misura superiore al 20% di quella presente sul luogo di lavoro e con solo 36 casi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e sicurezza.
Di questi 3.094 sono i provvedimenti adottati nel settore dei pubblici esercizi, 2.396 nell’edilizia e 1.196 nel commercio.

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L’ALTRA CASTA: LE TOGHE MULTISTIPENDIO

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

LA CASTA DEI MAGISTRATI: DOPPI INCARICHI, CONSULENZE, INDENNITA’ CHE SI ACCUMULANO, CONFLITTI DI INTERESSE

È davvero arrivata l’era della trasparenza. Il governo per la prima volta squarcia il velo dell’oscurità  e presenta in Parlamento i dati su stipendi e doppi incarichi, o terzi, o quarti, dei magistrati italiani.
Non soltanto gli ottomila della magistratura ordinaria, ma anche quelli in organico all’Avvocatura dello Stato, Tar, Corte dei Conti, Consiglio di Stato.
Nel mazzo c’è davvero di tutto.
Si va dal rigorosissimo Giuseppe Esposito, magistrato del Tar di Napoli, che partecipa a incontri con le scolaresche di Vico Equense e devolve gli 800 euro di compenso alla biblioteca scolastica, al caso ben diverso del consigliere di Stato Gabriele Carlotti che, oltre lo stipendio regolare, riceve dall’Autorità  per l’Energia 100 mila euro l’anno in quanto responsabile della direzione Affari giuridici.
Un’operazione di glasnost senza precedenti resa possibile da un emendamento del deputato Roberto Giachetti, Pd, che chiede di fissare paletti precisi sugli incarichi «fuori ruolo».
Già , perchè la miriade di doppi incarichi pone problemi etici, possibili conflitti di interessi, commistioni.
Ma anche economici. E su tutti sta per abbattersi la scure del tetto da 294 mila euro, pari al guadagno del presidente della Cassazione.
Alcuni numeri, innanzitutto.
Il ministro della Giustizia Paola Severino ha la radiografia dei magistrati ordinari: su 8.734 toghe, sono 227 quelle collocate fuori ruolo, pari al 2,6% del totale.
Nell’ultimo anno, poi, il Csm ha autorizzato 1423 incarichi a tempo parziale.
«Nella gran parte dei casi si tratta di incarichi di docenza». Perlopiù sono lezioni universitarie e i magistrati in questione incassano poche migliaia di euro.
Altro discorso (e altre cifre) quando il ministro Filippo Patroni Griffi consegna gli emolumenti dei 516 giudici della magistratura amministrativa, i 456 della contabile, i 360 dell’avvocatura dello Stato.
Interessante è la dinamica salariale di questi ultimi: incassano stipendi per 54 milioni di euro, da ultimo decurtati per le misure di solidarietà  a 53 milioni, più un’indennità  particolare detta «propina» che rappresenta altri 55 milioni di euro.
Per fare un solo caso esplicativo, il capo dell’ufficio, l’avvocato generale dello Stato, sua eccellenza Filippo Ignazio Caramazza, gode di un trattamento fondamentale di 289 mila euro a cui va aggiunta la «propina» di altri 324 mila euro.
Caramazza risulta avere un incarico extragiudiziale in quanto membro della commissione di accesso ai documenti amministrativi. Senza cifre.
Pierluigi Di Palma, vicesegretario generale della Difesa, giudice dell’Avvocatura di Stato che incassa 179 mila euro di trattamento fondamentale e 186 mila di «propina», ha ottenuto nel corso del 2011 anche 70 mila euro come consulente giuridico dell’Agenzia spaziale italiana.
Risulta essere anche presidente del collegio arbitrale per una vertenza tra Anas e Asfalti Sintex, ma non è indicato l’emolumento.
La categoria dei giudici amministrativi – provenienti da Tar e Consiglio di Stato – rappresenta la spina dorsale dei ministeri.
Sono moltissimi quelli che hanno il doppio incarico di giudice e di capoufficio legislativo o capogabinetto.
Il più noto è forse Filippo Patroni Griffi, presidente di sezione del Consiglio di Stato. In quanto ministro alla Pubblica amministrazione è colui che ha portato questi dati in Parlamento e doverosamente ha inserito anche i dati che lo riguardano.
Patroni Griffi comunica quindi di essere fuori ruolo dal momento della nomina nell’Esecutivo.
Da quella data guadagna 17 mila euro al mese in quanto ministro.
Ha appena esaurito anche l’incarico extragiudiziario di presidente del Consiglio arbitrale in una vertenza tra Fiat e Tav, percependo 76.950 euro netti.
Da questi elenchi emerge una raffica di doppi incarichi: Michele Buonauro cumula l’incarico di giudice del Tar con la consulenza giuridica all’Autorità  per le Comunicazioni e che per due giorni a settimana di impegno incassa 35 mila euro lordi; Paolo Carpentieri ottiene 60 mila lordi come capo dell’ufficio legislativo del ministero per i Beni culturali; Giuseppe Caruso prende 58 mila lordi in quanto membro della commissione di valutazione dell’impatto ambientale al ministero dell’Ambiente; il sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà  è fuori ruolo e incassa 25 mila euro netti annui dalle funzioni di segretario del Consiglio dei ministri; Claudio Contessa incassa 73 mila euro per l’ufficio legislativo del ministero del Lavoro; Roberto Garofoli ottiene 70 mila euro lordi in quanto capo di gabinetto del ministro per la Pubblica amministrazione. Di moltissimi poi lo stesso ministero non ha ancora i dati sugli emolumenti e si riserva di comunicarli.

Francesco Grignetti

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PRECARI PIU’ STABILI OPPURE NO?

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

DALL’APPRENDISTATO AL DIVIETO DI STAGE POST LAUREA, CHE COSA SUCCEDE DAVVERO CON LA RIFORMA

L’obiettivo della riforma, enunciato dal governo, è chiaro: rendere più dinamico il mercato del lavoro per favorire chi parte sfavorito, soprattutto i giovani prime vittime della crisi, e per eliminare via via il precariato.
Meno chiaro – perlomeno fino a quando sarà  messo nero su bianco il testo definitivo del provvedimento – è se gli strumenti individuati saranno in grado di raggiungerlo.
In sostanza il governo propone di superare la precarietà  con una diversa articolazione dei contratti di accesso al lavoro che in un primo tempo accentua la flessibilità  dell’occupazione e poi la stabilizza.
Il tutto accompagnato da un riordino delle varie tipologie contrattuali, indirizzato ad evitarne l’abuso e l’uso distorto.
E da una sorta di preambolo: l’eliminazione degli stage o dei tirocini impropri, svolti quando la formazione, compresi master o dottorati, è terminata.
Perchè come dice il ministro del Lavoro Elsa Fornero «il lavoro deve essere pagato».
Uno.
L’apprendistato, innanzitutto, diventa il canale privilegiato di avviamento al lavoro dei più giovani con la conferma dell’impianto della legge del settembre 2011 a cui vengono apportate alcune correzioni.
Il contratto di apprendista può essere offerto, sulla base di tre tipologie, a chi ha tra 15 e 25 (per la qualifica e il diploma professionale) e tra 18 e 29 anni per l’avvio al lavoro vero e proprio e può durare anche 3-5 anni, cioè al massimo fino ai 34 anni.
La legge che lascia alla contrattazione collettiva la disciplina nel dettaglio dell’apprendistato non prevede la durata minima che invece la riforma Fornero vuole introdurre, così come richiede una percentuale di stabilizzazione per mantenere la possibilità  di continuare ad assumere in apprendistato.
E’ previsto poi l’obbligo del tutor per l’apprendista e la possibilità  per il datore di lavoro di certificare la formazione.
Stesse regole per i contratti di inserimento, estendibili a chi ha superato i 29 anni e che viene da un lungo periodo di disoccupazione.
Due.
Le maggiori novità  riguardano però i contratti a tempo determinato che vengono in qualche modo scoraggiati attraverso l’aumento, pari all’1,4%, dei contributi che andrà  a finanziare la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Aspi).
Fatta eccezione per i contratti di sostituzione.
Ma c’è di più: tale maggiorazione potrà  essere recuperata in caso di assunzione a tempo indeterminato (premio di stabilizzazione).
Se invece il datore di lavoro vuole insistere sull’occupazione a scadenza, avrà  più difficoltà  a fare i rinnovi, perchè dovrà  far passare più tempo da un accordo ad un altro, senza contare che saranno anche allungati i tempi per l’impugnazione stragiudiziale del contratto.
Resta l’obbligo a non superare i 36 mesi, tre anni di lavoro a termine, se non si vuole far scattare automaticamente il tempo indeterminato.
Tre.
Anche per i contratti a progetto, o i vecchi co.co.co., ci saranno più paletti di prima. Innanzitutto il «progetto» dovrà  avere una definizione più stringente e dettagliata e non potrà  limitarsi a riproporre, come spesso avviene, l’oggetto sociale dell’azienda.
E poi se l’attività  del lavoratore a progetto finisce per essere sostanzialmente simile, per orario o per compiti svolti, a quella del dipendente allora scatta la presunzione del carattere subordinato della prestazione.
Viene poi eliminata la facoltà  di introdurre clausole individuali che consentano il recesso del datore di lavoro prima della scadenza del termine o comunque del completamento del progetto, anche in mancanza di una giusta causa, fermo l’obbligo di dare comunque il preavviso al collaboratore.
Infine viene introdotto un incremento dell’aliquota contributiva prevista a favore della gestione separata dell’Inps, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente.
Quattro.
Giro di vite anche alle collaborazioni o consulenze con partita Iva (solo nel 2011 ne sono state aperte ben 535 mila di cui quasi la metà  da parte di giovani) che spesso nascondono veri e propri abusi.
Con l’esclusione dei professionisti iscritti ad albi, viene riconosciuto il carattere continuativo e di natura subordinata, non autonoma od occasionale, della collaborazione se si prolunga complessivamente per più di sei mesi nell’arco di un anno, se il collaboratore ricava da essa più del 75% dei suoi compensi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività  imprenditoriale) e se l’attività  è svolta presso l’azienda committente.
Cinque.
Per il lavoro intermittente o a chiamata, che negli ultimi tempi ha fatto registrare una forte crescita, ma anche molti abusi, viene previsto l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa molto snella – basterebbe una telefonata – in occasione di ogni chiamata del lavoro.
Stesso obbligo, che secondo i sindacati non è sufficiente a contrastare le distorsioni, per il contratto di lavoro a tempo parziale.
La comunicazione in questo caso deve essere contestuale al preavviso da dare al lavoratore di ogni variazione di orario attuata in applicazione di clausole elastiche o flessibili nell’ambito del part-time verticale o misto.
Quanto poi all’associazione in partecipazione, il governo punta di fatto a cancellarla. Propone infatti di limitare a 5 il numero massimo degli associati di lavoro (con capitale o lavoro) così da lasciare operante l’istituto soltanto nelle piccole attività , oppure solo nell’ambito familiare.
Ma anche in questo caso l’associazione dovrà  essere ristretta ai legami di primo grado, cioè a genitori e figli.

Stefania Tamburello

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“ABOLITE I CONCORSI PER I MEDICI, VINCONO SEMPRE I RACCOMANDATI”: LA PROVOCAZIONE DEL PRESIDENTE DELL’ORDINE

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

“PREVALGONO LE LOGICHE CLIENTELARI E SI SELEZIONANO SOLTANTO I MEDICI CHE HANNO UN’AFFINITA’ ELETTIVA CON IL DIRETTORE GENERALE”

«I concorsi per i medici? Vanno aboliti. Perchè a vincerli sono molto spesso i raccomandati. Ma con i concorsi combinati non si fa una buona sanità ».
È una denuncia che farà  molto discutere quella lanciata da Roberto Carlo Rossi, il presidente dell’Ordine dei medici di Milano e provincia, da poco insediato ai vertici dell’organismo che rappresenta 25mila camici bianchi.
Rossi non ha difficoltà  a dire che «i concorsi rispondono spesso a logiche clientelari e la professionalità  passa in secondo piano».
«Purtroppo è risaputo che i concorsi sono diventati una farsa, ma nessuno ha il coraggio di uscire allo scoperto e dire le cose come stanno – ribadisce Rossi – ma visto che abbiamo toccato il fondo è meglio parlarne apertamente».
Nella prossima seduta del consiglio dell’Ordine, in programma per metà  aprile, fra i temi in discussione ci sarà  proprio la questione dell’abolizione dei concorsi per medici.
Con l’obiettivo di avviare un dibattito che, da Milano, si estenda a tutte le grandi città  e diventi una questione nazionale.
«È vero che non bisogna fare di ogni erba un fascio – precisa Rossi – ma ormai i concorsi ospedalieri sono sempre più mirati a selezionare medici che hanno una affinità  elettiva con il direttore generale. Succede al Nord come al Sud. Ma di questo passo si abbassa la qualità  della sanità , si penalizzano i medici capaci e non si dà  spazio alle giovani leve».
Però abolire i concorsi non basta per far valere la meritocrazia.
«Certo – ammette Rossi – perchè i direttori generali che già  oggi hanno, per legge, diritto all’ultima parola sui candidati, avrebbero un potere ancora maggiore».
La soluzione? «Rendere pubblici i curricula di un medico. Così chiunque può andare a verificare chi è stato nominato, che titoli ha, quanti interventi ha fatto. Tutte cose che oggi non è possibile fare».
Rossi squarcia il velo sul tema, caldissimo, dei concorsi farsa, scatenando già  le prime reazione nel mondo sanitario milanese.
«Ma non scherziamo. I concorsi sono una cosa seria e vanno fatti – dice Pasquale Cannatelli, il direttore generale del Niguarda, esponente ciellino – è interesse di chi dirige gli ospedali selezionare medici capaci, che sappiano fare il loro mestiere. La gente va a farsi curare dove i medici sono bravi».
Sì, ma le raccomandazioni non contano? «Beh, a parità  di merito una segnalazione aiuta. Ma i direttori generali hanno tutto l’interesse a formare squadre con un alto profilo professionale. Con i “medici ciucci” non si va da nessuna parte».
Di parere opposto Giuseppe Negreanu, chirurgo e rappresentante dei medici della Cgil del Niguarda.
«Lo sanno tutti che, da tempo, i concorsi non servono più a selezionare i migliori – spiega – e i medici sono così demoralizzati che spesso, pur avendo le carte in regola per partecipare a un concorso, non presentano neanche la domanda perchè tanto sanno che il vincitore è già  stato designato in anticipo, nonostante si facciano le classiche prove scritte e orali».
E aggiunge un medico, che preferisce mantenere l’anonimato: «La prova che i concorsi si fanno anche per selezione politica si vede passando in rassegna le nomine recenti fatte negli ospedali. Tra i prescelti e i direttori generali c’è quasi sempre un apparentamento politico».

Laura Asnaghi

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DA SIGMA TAU ALLA FINCANTIERI: LA LISTA DEI 135.000 POSTI DI LAVORO A RISCHIO

Marzo 23rd, 2012 Riccardo Fucile

I CASI RADDOPPIANO CON LE VERTENZE MENO NOTE… GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI CHIAMATI A FRONTEGGIARE 300 CRISI AZIENDALI

Ci sono le grandi crisi aziendali, quelle che emergono per il numero di persone coinvolte, per le proteste che fanno notizia, per le vertenze già  approdate – in cerca di mediazione – al ministero dello Sviluppo economico.
E poi c’è la miriade di piccole imprese che muore giorno per giorno, che licenzia un operaio alla volta e di cui nessuno parla.
La mappa dell’economia malata è vasta, varia e sempre più affollata.
Le crisi aziendali per le quali – visto l’impatto sulla produzione e sull’occupazione – è già  stato chiesto l’intervento del governo sono 300 e riguardano 300 mila lavoratori a rischio. Le più gravi, quelle che mettono in discussione la tenuta del territorio e per le quali si può parlare di rischio «sociale» sono 109 e riguardano oltre 135 mila dipendenti.
E’ questo il quadro con il quale faranno i conti i nuovi ammortizzatori sociali della riforma Fornero.
Molto dipenderà  dalla definizione della fase transitoria che porterà  a regime le nuove norme nel 2017, ma le dimensioni del fenomeno restano.
La crisi si può leggere per settori (dalla chimica, al siderurgico, al tessile), o per territori. Guardando ai marchi noti (dal turismo Valtur alla moda Belstaff) o seguendo sti

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