Aprile 2nd, 2012 Riccardo Fucile
CONTRO L’ELIMINAZIONE DEI BENEFIT LA EX PRESIDENTE DELLA CAMERA ALZA I TONI: “LA LOTTA ALLA CASTA E’ UNA MODA DOVE CHI STA A CASA SEDUTO SI FA BELLO GIOCANDO A FARE IL GIUSTIZIERE”
Quei tagli non si devono fare, perchè non sono quelli che salvano i bilanci dello Stato.
Irene Pivetti, che già nei giorni scorsi aveva fatto la voce grossa parlando di “tagli forcaioli come nella Russia zarista, non ne vuole sapere dei tagli ai benefiti degli ex presidenti della Camera. Così, ha annunciato, farà ricorso.
“Non lo faccio io il ricorso — ha spiegato — Lo farà chi lavora per la mia segreteria. Non posso permettere di veder mettere gente in mezzo alla strada. Voglio salvare questi posti di lavoro e li salverò”.
“La lotta alla Casta — ha detto d’altronde — è una moda dove chi sta a casa seduto si fa bello facendo finta di fare il giustiziere”.
La Pivetti si è detta “indignata”.
”Sono giorni — sottolinea — che leggo menzogne su questa storia e su di me, ci sono persone che vengono messe sulla strada solo perchè qualcuno vuol farsi bello. Sono persone che guadagnano 600-800 o al massimo 1000 euro al mese, perchè qualcuno deve far finta che il bilancio dello Stato venga risanato così”.
Così ha suggerito “a queste persone di rivendicare per se stesse un diritto. Non è un ricorso contro la delibera, ma contro gli effetti della delibera. Per me non voglio nulla. Io non ho alcun benefit. Uso i mezzi pubblici, non ho auto di servizio, mi pago tutto. L’auto blu non l’ho mai usata. Avevo solo disponibilità di denaro pubblico per far lavorare della gente. Lei non l’avrebbe fatto? Potevo in teoria tenerli lì a giocare a carte tutto il tempo, mentre ne ho fatto un uso utile fondando una Onlus. Di queste persone lo Stato si deve fare carico. Chiedo che vengano stabilizzate e su questo non mi fermo”.
L’ex deputata del Carroccio non si sente una privilegiata: “Venitemi appresso una giornata e poi ditemi se sono una privilegiata. La lotta alla Casta è una moda dove chi sta a casa seduto si fa bello facendo finta di fare il giustiziere. Non ho particolare stima per i qualunquisti che individuano un bersaglio e ci sparano addosso senza informarsi”.
Irene Pivetti diventò presidente della Camera nel 1994 e lasciò nel 1996, quando cadde il primo governo Berlusconi, sostenuto dalla “sua” Lega Nord.
C’è da ammettere che la Pivetti è stata la più chiara nella sua battaglia contro i tagli ai benefit agli ex presidenti di Montecitorio.
Da una parte, infatti, Pierferdinando Casini — presidente dal 2001 al 2006 — aveva annunciato di rinunciare ai privilegi (dopo 6 anni), Luciano Violante — presidente dal 1996 al 2001 — gli aveva dato dell’esibizionista, mentre Fausto Bertinotti — presidente dal 2006 al 2008 — si era detto pronto ad “attenersi alle decisioni delle istituzioni”.
Le decisioni delle istituzioni: cioè a dire che i benefit sono validi per dieci anni a partire dalla prossima legislatura, nel caso in cui gli ex presidenti abbiano continuato a esercitare il mandato parlamentare nella sedicesima legislatura (in corso, come Casini) o nella quindicesima (la scorsa, quando erano deputati Violante e Bertinotti).
Discorso diverso, invece, per gli altri ex presidenti ancora in vita: Irene Pivetti, appunto, e Pietro Ingrao, presidente dal 1976 al 1979.
Alcuni giorni fa ha compiuto 97 anni, senza lamentarsi per i tagli.
In realtà un altro “blitz” di Francesco Barbato, il deputato dell’Italia dei Valori già noto per i suoi “scoop” telecamera al bavero della camicia, ha reso chiaro cosa voglia dire mantenere uffici e strutture legate agli ex presidenti della Camera.
Ha fatto un giro per i vari locali e ha raccontato tutto al Giornale.
Nella parte della Pivetti, ha raccontato, si è imbattuto in due segretarie che lavorano a tempo pieno, perchè lei va “per fare attività istituzionale”, d’altronde come “ex presidente riceve molti inviti e mail” e quindi le servono due uffici, uno dei quali inaccessibili perchè «abitazione privata».
Quelle strutture, spiega Barbato, “sono hotel cinque stelle, resort di lusso”, più che uffici.
Il parlamentare propone di usare questi spazi, circa 200 metri quadri “con mobili d’epoca e statue classiche”, “per fare gli uffici dei deputati normali.
Ora, invece, noi stiamo in palazzi che la Camera affitta, a peso d’oro, da una società ”
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 2nd, 2012 Riccardo Fucile
QUANTO POSSEDUTO DAGLI ITALIANI DIPENDE SEMPRE PIU’ DAL PATRIMONIO ACCUMULATO IN PASSATO E SEMPRE MENO DAL REDDITO
L’Italia è il Paese dove i dieci Paperoni posseggono una ricchezza che vale tutta insieme quella
di altri tre milioni di italiani più poveri.
Un divario molto più ampio di quello della distribuzione del reddito.
Un fenomeno presto spiegato: l’Italia è ancora piuttosto ricca, ma la ricchezza degli italiani è composta sempre di più dal patrimonio accumulato in passato e sempre meno dal reddito.
Ad analizzare la ricchezza nazionale è uno studio di Giovanni D’Alessio, del servizio studi di Banca d’Italia, in un rapporto pubblicato negli Occasional papers diffusi da Palazzo Koch.
Negli ultimi anni, secondo Bankitalia, si è invertita la distribuzione della ricchezza tra le classi di età : oggi al contrario che in passato gli anziani sono più ricchi dei giovani che non riescono ad accumulare.
Se da un lato i dati evidenziano l’esistenza di un conflitto generazionale in termini di redditi, il livello di diseguaglianza è comparabile, secondo D’Alessio, a quello di altri Paesi europei.
Il reddito da capitale.
Il rapporto tra la ricchezza e il reddito è all’incirca raddoppiato negli ultimi decenni, ma è aumentato altrettanto anche il ruolo dei redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro. Questo significa che sta assumendo un ruolo via via crescente tra le risorse economiche che definiscono la condizione di benessere di un individuo.
Le tasse sulla ricchezza.
Lo studio sottolinea che è “notevole” che in Italia “il carico fiscale sulla ricchezza all’inizio degli anni Duemila fosse tra i più bassi d’Europa e che, al netto dei condoni, sia diminuito sensibilmente nel corso del decennio”.
Da qui “l’inversione di questa tendenza occorsa con il decreto di fine 2011 è apparsa opportuna”.
“Mitigare con più diritti”.
Come mitigare le disuguaglianze? Il rapporto di Bankitalia traccia alcune linee che seguono in particolare politiche che assicurino “alcuni diritti fondamentali”.
Per esempio la scuola pubblica, “erogando un servizio a tutti, tende a ridurre la disuguaglianza tra i cittadini in termini di conoscenze e di abilità , presupposto di una quota rilevante di quella in termini di ricchezza”.
Ma anche politiche per adeguare il livello dei servizi pubblici del Mezzogiorno al resto del Paese. Infine la disuguaglianza che caratterizza i giovani: “Non può che essere affrontata sul terreno da cui trae origine, cioè con interventi sul mercato del lavoro e sul welfare”.
Disuguaglianze maggiori a quelle del reddito.
Le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza non sono aderenti con gli squilibri tra fasce di reddito.
Stando alle cifre del rapporto, infatti, il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede oltre il 40 per cento dell’intero ammontare di ricchezza netta, mentre il 10 per cento delle famiglie a più alto reddito riceve invece solo il 27 per cento del reddito complessivo.
Un aspetto che Bankitalia spiega innanzitutto con le differenze dovute al diverso stadio del ciclo di vita di ognuno.
Per il reddito l’evoluzione segue l’età : prima cresce e poi cala con il pensionamento.
Per la ricchezza l’andamento è più marcato: i valori aumentano rapidamente per i giovani e per la “mezza età ”, ma crollano per gli anziani.
Lo squilibrio nella ricchezza riflette infatti le preferenze dei soggetti del differimento nel tempo dei consumi che possono spingere le persone ad essere più o meno impazienti (e quindi privilegiando il consumo rispetto al risparmio).
Ma può influire anche la presenza e il numero dei figli può infine influire sulla ricchezza per poi lasciare un’eredità .
O ancora, tra le cause, lo studio elenca esperienze familiari particolari, come spese per problemi di salute, esperienze di disoccupazione e altro.
“Il peso crescente della finanza”.
La disuguaglianza, nel lungo periodo, sembra essersi ridotta negli anni Ottanta, crescente negli anni Novanta e di nuovo in calo nel Duemila.
In particolare il divario cresce anche per il ”peso crescente che sul finire del secolo assumono le attività finanziarie”: “Un incremento nei prezzi delle azioni tende ad accrescere i livelli di disuguaglianza perchè i più ricchi tendono a possedere queste attività ”.
La ricchezza e i ceti.
In vent’anni (dal 1987 al 2008) a pagare il prezzo maggiore sono state le famiglie di operai che hanno registrato una caduta nei livelli di ricchezza media, un calo del 15 per cento.
Perdono qualcosa anche le famiglie dei liberi professionisti e degli imprenditori, ma in quantità molto minore.
La categoria che invece mette a segno un miglioramento dei livelli medi di ricchezza è quella dei pensionati.
La ricchezza e le fasce d’età .
A perdere sono stati negli stessi vent’anni anche i giovani: nel 1987 erano su livelli medi non lontani dal resto della popolazione, mentre a partire dal 2000 queste famiglie “vedono peggiorare decisamente la loro condizione” si legge nello studio.
Il contrario è successo per gli anziani: in questo periodo hanno visto migliorare la loro posizione.
Le classi intermedie (dai 30 ai 50 e dai 50 ai 65 anni seguono il trend delle relative fasce d’età più estreme).
Quanto conta la famiglia.
Uno dei fattori principali che contribuisce a spiegare le origini della ricchezza, continua il rapporto di Bankitalia, sono le eredità e i doni che questi ricevono dalla famiglia di origine. Secondo alcuni dati del 2002 valgono tra il 30 e il 55 per cento.
“Ricchezza uguale capacità contributiva”.
Perchè è così importante misurare la ricchezza lo spiega lo stesso studio di Bankitalia: “La ricchezza, insieme ai redditi e ai consumi, è uno degli aggregati sui quali lo Stato misura la capacità contributiva dei cittadini. Conoscerne l’ammontare e come si distribuisce tra i vari gruppi di popolazione è dunque essenziale per misurare in che modo si distribuisce, o potrebbe distribuirsi, il carico fiscale”.
Ricchi 7 volte di più rispetto al 1965.
La ricchezza netta delle famiglie in Italia ha registrato una crescita considerevole negli ultimi decenni, spiega il rapporto.
Nel 2009 la ricchezza complessiva delle famiglie era pari a circa 8588 miliardi di euro, oltre 7 volte e mezzo rispetto al valore del 1965 (fatti salvi i valori del 2009).
La crescita è stata quindi del 4,7 per cento all’anno.
Una crescita leggermente inferiore l’ha fatta registrare il dato pro capite: nel 2009 è stato di 143mila euro contro i 21700 euro del 1965 (la cifra è sempre proporzionata ai valori di oggi).
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 2nd, 2012 Riccardo Fucile
IN ITALIA NON SI DIMETTONO NEANCHE SE VENGONO COLTI CON LE MANI NEL SACCO
Alla fine ha dovuto cedere.
Il presidente della repubblica ungherese Pal Schmitt ha rassegnato le sue dimissioni, dopo essere finito al centro di accuse sul fatto che la sua tesi di dottorato risulterebbe per l’80 per cento copiata.
Il capo dello stato ha annunciato il suo passo lunedì in Parlamento, dopo che domenica aveva affermato di non voler lasciare il suo incarico ritenendo di avere la «coscienza pulita».
Aveva, invece, attaccato il Senato accademico dell’Università Semmelweis, la sua Alma Mater, che la scorsa settimana ha riconosciuto che la tesi di dottorato dell’ex olimpionico di scherma era per la gran parte frutto di un copia-e-incolla di citazioni di uno studioso bulgaro e uno tedesco.
«In base alla Costituzione, il presidente deve rappresentare l’unità della nazione ungherese. Io, purtroppo, sono diventato un simbolo di divisione. Sento che è mio compito lasciare l’incarico», ha affermato il capo dello stato magiaro di fronte al Parlamento.
Da settimane Pal Schmitt era sotto i riflettori.
L’opposizione ha ripetutamente chiesto le dimissioni di questo stretto alleato del discusso primo ministro Viktor Orban.
Alla fine della scorsa settimana, lo stesso premier era parso separare la sua posizione da quella di Schmitt, sottolineando che eventuali dimissioni dovevano essere frutto di una scelta personale.
La vicenda parte venti anni fa, nel 1992, quando l’ex olimpionico di scherma ottenne il suo dottorato di ricerca con una tesi sui programmi olimpici.
Il settimanale Hvg rivelò che l’80 per cento della tesi sarebbe una ricopiatura di uno studio del ricercatore bulgaro Nikolai Georgiev e, in alcuni parti, del tedesco Klaus Heineman.
Su 215 pagine, solo 18 si potrebbero dire certamente farina del sacco di Schmitt. Diciassette 17 pagine, invece, verrebbero da una ricerca di Klaus Heineman.
Il resto dallo studioso bulgaro.
Sia la figlia di Georgiev che Heineman hanno smentito la versione di Schmitt, per cui quelle citazioni sarebbero venute da lavori comuni: mai l’attuale presidente avrebbe collaborato con loro.
Dopo la rivelazione, l’Università Semmelweis ha creato una commissione ad hoc che, pur prendendo atto del fatto che gran parte dello studio di Schmitt era fatto di citazioni non riportate in bibliografia, ha concluso che il plagio non vi sarebbe stato. Conclusione, questa, rovesciata il 29 marzo dal Senato accademico dell’Ateneo, che invece ha strappato il titolo di dottore di ricerca al presidente.
Il quale, dal canto suo, domenica ha detto alla radio pubblica Kossuth che la decisione del Senato accademico non sarebbe legittima in base alle normative attuali.
La vicenda di Schmitt ha un parallelo in Germania, dove, lo scorso anno il ministro della Difesa Karl-Theodor zu Guttenberg si dovette dimettere per una vicenda analoga.
Pensando a questo caso, la scorsa settimana anche l’Economist scrisse, con sarcasmo, che in un altro paese «il presidente starebbe in questo momento scrivendo la lettera di dimissioni o cercando una lettera da copiare».
Alla fine le dimissioni sono venute.
A voce.
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Aprile 2nd, 2012 Riccardo Fucile
CORRENTI IN LIBERA USCITA: MOLTE VOGLIONO EMARGINARE LA COMPONENTE EX AN
Dall’Emilia Romagna alla Lombardia, dal Veneto alla Liguria, nascono correnti mascherate da
circoli culturali ispirati a Forza Italia. Anche nel nome.
Una situazione diventata quasi insostenibile e che rischia di portare a una scissione
Tutti rassegnati nell’aver perso faccia e credibilità . Tanto vale ripartire dal 1994, quando Gianfranco Fini e An, appena ripulita dalle acque termali di Fiuggi, erano solo un alleato.
E’ con questo spirito che nascono i circoli culturali Forza Tutto.
Forza Emilia Romagna, Forza Veneto, Forza Lecco. Anche Forza Imperia e Trentino Alto Adige.
Chiamarli dissidenti e fautori del ritorno al passato forse è poco: è evidente che gli animatori dei nuovi circoli sono in polemica con l’anima del Pdl che fa riferimento ad An, ma anche con loro stessi.
O meglio, con il segretario voluto da Silvio Berlusconi, Angelino Alfano. Che si trova a gestire un partito in frantumi.
Un po’ perchè la gestione della crisi economica e dell’affaire Ruby e Minetti ha minato la credibilità del partito che prometteva buongoverno, ma anche e soprattutto perchè Alfano non è ritenuto all’altezza di gestire la strada che porta al dopo-Berlusconi.
Una guerriglia che ha fatto dimenticare a tutti che il 27 marzo sarebbe stato anche il compleanno del centrodestra, ma nessuno se l’è ricordato.
Tanto da scatenare un botta e risposta tra le due anime del Pdl, gli orfani di Fini e quelli di Berlusconi.
Un partito sull’orlo della balcanizzazione, che cerca di rinascere senza padri da rimpiangere.
A fare da apripista è stata Forza Lecco, nata tra le file dei promotori della libertà di Michela Brambilla,ufficialmente insofferenti all’influenza esercitata da An e dai colleghi di partito cresciuti all’ombra dell’Msi.
Poi sono arrivati Forza Verona e Forza Monza, mentre la berlusconiana Michaela Biancofiore avrebbe già registrato Forza Alto Adige e Forza Trentino.
Ora tocca all Emilia Romagna, dove la deputata modenese Isabella Bertolini si dice intenzionata a creare un marchio simile anche nella sua regione. Si chiamerà Forza Emilia Romagna, e servirà a catalizzare il malcontento interno al partito di via dell’Umiltà . E potrebbe presto evolversi in una lista autonoma.
La stessa che a novembre fu tra i primi a mettere in dubbio la fiducia all’allora premier Silvio Berlusconi, e che qualche mese fa ha gettato il Pdl modenese nella bufera avanzando il sospetto di infiltrazioni mafiose sul boom dei tesseramenti, sfodera così l’ultima arma contro gli eterni nemici provenienti da An.
Una mossa fatta anche in vista di un possibile cambio di guida al timone.
Il partito si sta avvicinando all’appuntamento elettorale in un clima più teso che mai. A poco è servito l’arrivo a Modena di Denis Verdini, incaricato dall’ex guardasigilli Alfano di vigilare sulla legalità delle operazioni di tesseramento e si rasserenare gli animi.
Le armi non sono state deposte e l’iniziativa della parlamentare modenese ha l’aspetto di una nuova dichiarazione di guerra, lanciata dagli azzurri della prima ora ai compagni di partito.
Bersaglio anche il coordinatore regionale Filippo Berselli. “Io ho fatto una denuncia e lui ha chiesto la mie dimissioni — si è sfogata la deputata sulla stampa locale — . Il Pdl regionale non funziona bene, e lui come coordinatore è inadeguato”.
Da qui l’idea di replicare in Emilia Romagna l’idea di Lecco, dando vita a una associazione fotocopia. “Un rifugio per chi non ha un passato nel Msi o nella Dc — la definisce Bertolini ai giornali — E non escludo che in futuro possa trasformarsi in una nuova lista autonoma, da presentare alle elezioni del 2013”.
Severa la replica del senatore Berselli. “Se si tratta di una corrente, una fondazione o un’associazione interna ai confini del Pdl — ha commentato — non ho niente in contrario. È bene che in un partito ci sia spazio per la discussione e per il dissenso. Ma se invece si tratta di una lista alternativa allora è bene che vada via dal partito. Perchè il Pdl non è una caserma ma nemmeno un casino”.
La convivenza tra fazioni è difficile ovunque.
Lungo lo stivale infatti altri gruppi di frondisti si stanno organizzando per seguire l’esempio di Lecco.
In Toscana, ad esempio, il berlusconiano Roberto Tortoli sta già lavorando alla creazione di Forza Toscana. “È ora di tornare allo spirito del ’94, altrimenti della politica non mi interessa più niente” ha detto l’ex coordinatore della Toscana.
Mentre in Friuli Venezia Giulia Il popolo di Gorizia è andato ad allungare la lista dei movimenti che vorrebbero fare un salto indietro, per recuperare quel sentimento che animò i berlusconiani prima del predellino.
Secondo Giancarlo Galan, uomo forte di Forza italia ed ex ministro ai Beni culturali, la creazione di costole autonome dentro il partito era prevedibile: “Quanto accaduto a Verona dimostra che io avevo visto giusto tanto tempo fa, quando dicevo che era necessario tornare assolutamente allo spirito del ’94” ha commentato, aggiungendo di non aver dato nessun beneplacito al progetto veneto.
In un partito lacerato e alle prese con litigi e antiche contese, il nervosismo è palpabile.
Anche ai piani alti, dai quali sono già partiti richiami all’ordine. “È indispensabile presentarsi alle elezioni con il nostro simbolo” ha dichiarato alla stampa il capogruppo alla camera Fabrizio Cicchitto. Mentre il segretario Alfano avverte: “Abbiamo un simbolo che rappresenta la nostra bandiera, e come tale va rispettato”.
Rispetto, che vorrebbe dire anche celebrazione.
Ma che c’era un compleanno da festeggiare, la nascita del centrodestra, appunto, lo ha dimenticato anche Alfano.
Ma, signoificativo anche, che nessuno, dopo la gaffe, si sia indignato più di tanto. Uno dei pochi è stato Giorgio Stracquadanio, deputato Pdl, vicinissimo a Berlusconi, che ha deciso di non partecipare alla festa di ieri per i 60 anni del Secolo d’Italia, l’organo degli ex An, proprio in polemica con la dimenticanza di celebrare prima ancora il centrodestra: “Non considero, infatti, accettabile che il Pdl, il nostro partito, mentre ha organizzato una manifestazione nazionale per l’anniversario della nascita di un suo giornale, abbia pressochè dimenticato di ricordare con almeno altrettanto impegno il diciottesimo anniversario del 27 marzo, data che costituisce il momento fondativo del centrodestra italiano e che ha inciso nella storia della nazione ben di più del pur nobilissimo quotidiano”.
Una dichiarazione che la dice lunga su quello che accade nel Pdl.
Come la dice lunga la replica, affidata alla penna del deputato Carlo Nola: “Le parole dell’amico Stracquadanio stonano fortemente con quanto avvenuto a Milano dove, rappresentanti del Pdl, ex Fi ed ex An, si sono incontrati non solo per ricordare i 60 anni del Secolo d’Italia, ma anche per ribadire ancora una volta come siano tutti quanti, senza distinzione di sorta, impegnati nel partito affinchè questo diventi sempre più forte.
L’intera classe dirigente proveniente da Alleanza Nazionale — aggiunge Nola — ha ribadito con forza la sua ferma volontà di continuare a investire nel Popolo della Libertà . Forse le parole di Stracquadanio indirizzate agli ex An, una sorta di ‘parlare a nuora perche’ suocera intenda’, sono l’ennesimo tentativo di strumentalizzazione che alcuni fanno per giustificare in realtà motivi di insoddisfazione personale. Attacchi quindi — conclude il deputato del Pdl — che andrebbero diretti altrove”.
Questo è il clima.
E la frattura sembra lontana dal ricomporsi, almeno per adesso.
Emiliano Liuzzi e Giulia Zaccariello
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 2nd, 2012 Riccardo Fucile
IN VENETO RUTELLI CON LA LEGA, IN EMILIA DILIBERTO CON I FINIANI, A CANTU’ STORACE CON BOSSI, A TARANTO IDV CON UDC
Cavalli alati, scimmie parlanti, gatti che abbaiano…
Bisognerebbe, forse, girare un remake dei Nuovi mostri e ambientarlo nella politica, se Scola avesse voglia.
Perchè questo dà l’impressione di essere l’Italia che si appresta a un turno importante di elezioni amministrative.
Dicono «un cantiere», in realtà : un laboratorio di esperimenti transgenici su esseri animati.
Raramente vista una sequela così incredibile di alleanze contraddittorie, apparentamenti incredibili, matrimoni tra cani e gatti.
A Parma, è l’ultima, un folto gruppo di dirigenti di Fli, guidati dal coordinatore provinciale (Antonio Rozzi) ha appena scelto che sosterrà il candidato sindaco del Pd (Vincenzo Bernazzoli), e la lista civica che fa parte del centrosinistra.
Lamentano che il centrodestra è ancora troppo legato alla giunta Vignali, che fu sfrattato dalle inchieste.
Nulla di strano allearsi con il centrosinistra se nella coalizione che sostiene il Pd non ci fossero anche i comunisti italiani e Diliberto, fresco di fotografia assieme alla sventurata con la maglietta «Fornero al cimitero».
Chissà come i “compagni” della Federazione della sinistra avranno preso questa alleanza.
Ma non c’è solo Fini con Diliberto; c’è Rutelli che si smarca da Casini e va con la Lega.
Accade nella sfida cruciale di Verona, dove Flavio Tosi sarà sostenuto dall’Api.
La spiegazione di Rutelli è stata che «Tosi ha dimostrato di essere un buon sindaco, Verona è bene amministrata, anche perchè quando di recente il presidente Napolitano ha fatto visita alla città , il sindaco lo ha accolto con le insegne civiche esposte», non quelle padane…
All’Aquila però capita tutto il contrario: l’Api sta con Cialente, sempre il sindaco uscente questa pare la stella polare – ma di centrosinistra.
Tutto normale, per carità .
Ma alcune alleanze dell’ultima ora colpiscono, tragicomiche è dire poco.
Nel fascicolo sulla Lega va segnata questa chicca: a Cantù, città brianzola non piccola (quarantamila abitanti, quasi quanto Mantova), e molto tremontiana, la Lega indovinate con chi s’è messa?
Con La Destra di Storace e Buontempo. Bossi in un’altra era aveva dettato la linea, «mai coi fascisti»?
Via, è tutto superato. Il candidato sindaco della Lega (il deputato Molteni) va a braccetto col fiduciario locale di Storace, l’ex Epurator.
Gli uni vogliono la Padania, gli altri, come in un loro volantino, «l’italico suolo patrio».
Il tutto benedetto dal grande sponsor del leghista locale, sempre lui: Roberto Maroni.
Si tratta di veri e propri esperimenti sul genoma umano, qualcosa su cui le commissioni di bioetica forse avrebbero da ridire.
E stavolta si moltiplicano anche a causa della totale instabilità e miseria del quadro politico nazionale.
Ma è a Taranto che quasi si sfiora la commedia.
L’ultima è che l’Udc abbandona ogni pregiudiziale anti-comunisti e va col mirabolante e già altrove cantato Ippazio Stefano: un sindaco che si professa comunista, allievo e tuttora seguace di Enrico Berlinguer, ma stavolta è stato mollato sia da Rifondazione che dai comunisti italiani, mentre invece è sostenuto dall’Idv.
Dov’è certo molto naturale l’unione tra casiniani e dipietristi.
Jacopo Iacoboni
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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