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COSA CONTIENE LA CARTELLINA “FAMILY” SEQUESTRATA A BELSITO: DALLE MULTE AL DENTISTA FINO ALLA POLIZZA CASA DI BOSSI. E SALTA FUORI CHE GIRARDELLI, IN ODORE DI ‘NDRANGHETA ERA UN ISCRITTO “MILITANTE” DELLA LEGA

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

DAI DIVIETI DI SOSTA AGLI ECCESSI DI VELOCITA’ DEL TROTA FINO ALLA CLINICA DEI VIP E ALL’ISTITUTO DI CURA PER ERIDANIO…IN UNA TELEFONATA BELSITO SPIEGAVA: “SULLA TANZANIA BOSSI E TREMONTI SONO D’ACCORDO”

Le multe di Renzo, le visite mediche di Eridano Sirio, il dentista di Umberto, la polizza di casa Bossi.
Sono alcuni dei documenti contenuti nella cartellina sequestrata dalla cassaforte della Camera dell’ex tesoriere Francesco Belsito sulla quale si trovava la scritta in grassetto “The Family”.
La Procura di Milano chiederà  alla Lega fatture e “pezze giustificative” degli ultimi 5 anni, vale a dire dell’ultimo periodo della gestione di Maurizio Balocchi, oltre che tutto ciò che ha amministrato Francesco Belsito.
I pm di Milano hanno consegnato infatti al tesoriere Stefano Stefani un ordine di esibizione per accedere a tutta la documentazione relativa ai bilanci e alle spese degli ultimi anni.
Gli inquirenti stanno effettuando anche una sorta di “mappatura” dei conti del partito — relativi alle sedi “centrali” che sono più di una decina — per passarli “al setaccio”.
Dalle carte, peraltro, emerge anche una telefonata di Belsito che, intercettato, parla con la moglie e la informa “sull’esito della cena avuta con Umberto Bossi — scrivono gli uomini della Dia della Procura di Reggio Calabria — il quale si era dichiarato pronto a difenderlo”.
L’incontro tra Bossi e Belsito era finalizzato a chiarire la vicenda degli investimento che la Lega aveva fatto all’estero.
Oggi intanto la guardia di finanza ha acquisito documentazione dal Sindacato Padano: il Sinpa sarebbe stato destinatario di una parte dei soldi pubblici per centinaia di migliaia di euro, che secondo l’accusa sarebbero stati prelevati dalle casse del Carroccio.
Le multe.
Una parte consistente della documentazione — depositata oggi agli atti del Tribunale del Riesame di Napoli e trasmessa anche al procuratore regionale della Corte dei Conti — è rappresentata dalle multe contestate a Renzo Bossi. Ecco, a titolo di esempio, alcuni contenuti dei documenti della cartella.
Il 18 ottobre 2010 la polizia municipale di Bologna contesta una multa a Renzo Bossi rilevando con il sistema Sirio una violazione alle norme del codice della strada.
A penna sulla multa è aggiunta l’annotazione “FESTA LEGA NORD BOLOGNA” e la somma pagata (78 + 88,80 = 166,80).
Un altro verbale riguarda un’infrazione avvenuta il 28 settembre 2010 e rilevata dalla polizia municipale di Modena per aver violato il divieto di accesso nel centro storico.
Anche qui ci sono annotazioni: “DOTT PANINI ROSI MAURO ANGELO ALESSANDRI” e poi MODENA E 74,00 + 91,00 = 165,00.
La polizia municipale di Milano il 15 novembre 2010 contesta al Trota una multa per sosta sul marciapiede in viale Campania.
L’appunto scritto a mano è : 78,00 + 92,00 = 170,00.
C’è poi una notifica di un verbale della polizia stradale di Rovigo, con decurtazione di punti sulla patente, per un’infrazione riguardante i limiti di velocità  sull’autostrada Bologna-Padova (l’annotazione è: FESTA LEGA NORD FERRARA).
Il Trota non “sfugge” neppure alla polizia stradale di Vicenza l’11 ottobre 2010 sull’autostrada Torino-Trieste, nè a quella di Padova l’11 settembre 2010 (qui c’è l’annotazione FESTA LEGA NORD FERRARA).
Le spese mediche.
Una parte dei documenti è rappresentata da fatture e bonifici per spese mediche.
C’è, tra l’altro, un bonifico di 9901,62 euro partito dal conto della Lega alla filiale di Roma del Banco di Napoli a favore degli istituti di ricovero e cura dove è stato operato Eridano Sirio Bossi, figlio del leader della Lega.
Nel fascicolo ci sono anche le fatture e la documentazione emessa dalla clinica.
Tra i documenti vi è anche la fattura emessa dal dentista del Senatur per un importo di 1500 euro.
C’è pure una cartellina chiamata “Umberto” dove si trovano documenti relativi a bonifici ed estratti conto bancari di Umberto Bossi e della moglie, oltre alla rendicontazione di spese mediche, come quelle del dentista.
Le fatture della clinica dei vip.
Quanto alla documentazione di istituti medici domani Panorama pubblicherà  un articolo secondo il quale “le fatture mediche intestate a Renzo Bossi e pagate dalla Lega Nord sono state emesse dalla clinica di fiducia dei Bossi, un istituto di cura per vip a Lonate Pozzolo”.
Il settimanale sottolinea che il titolare dell’istituto di cura del paese in provincia di Varese è “Fabrizio Iseni, intimo del cerchio magico e finanziatore della scuola Bosina”, fondata dalla moglie di Umberto Bossi.
Anzi, fra i leghisti varesini — riporta Panorama – sarebbe proprio definito il badante del Trota. Iseni è indicato come l’organizzatore dell’edizione che si è svolta in Italia nel 2009 del mondiale di calcio delle nazioni non riconosciute vinto dalla Padania, di cui Renzo era team manager.
E nel 2011 erano insieme al giro ciclistico della Padania e hanno promosso “insieme la cooperazione e gli investimenti italiani in Costa d’Avorio, il paese africano di cui Iseni (che vanta una sfilza di onorificenze) è console onorario a Milano”.
La polizza per la villa di Gemonio.
Tra i documenti sequestrati è spuntato anche un bonifico da 779,38 euro per il pagamento della polizza sulla casa di Bossi diretto a una compagnia assicurativa e che ha come ordinante la Lega Nord.
E’ un fax con conferma di pagamento che partì dalla segreteria particolare di Belsito, all’epoca sottosegretario del governo Berlusconi.
Tra le carte si trova prima una richiesta di pagamento da parte della compagnia assicurativa datata 10 dicembre 2010 con una richiesta di conferma dell’avvenuto bonifico.
Segue il bonifico datato 20 dicembre, per un importo di 779,38 euro, fatto presso la Banca Popolare di Vicenza su un contro del Banco di Desio e Brianza: qui è indicato come ordinante la Lega Nord.
Infine, il 22 dicembre viene inoltrata via fax alla compagnia assicurativa la conferma di pagamento, che parte dalla segreteria particolare del sottosegretario alla presidenza del Consiglio del Ministri, Belsito.
Belsito e la carta del Presidente.
Il tesoriere della Lega, per gestire le spese della Lega (che della Lega non sarebbero), è uso adoperare la carta intestata della presidenza del Consiglio. All’epoca Belsito era infatti sottosegretario a Palazzo Chigi.
Lo fa anche, per esempio, per trasmettere a un consulente l’elenco delle multe contestate a Renzo Bossi.
Nella cartellina è stata trovata anche una missiva che la collaboratrice di Belsito, Tiziana Vivian, trasmette al dottor Marabiso, che in un altro documento ora agli atti degli investigatori risulta consulente del lavoro e revisore contabile.
“Come d’accordi con il sottosegretario Belsito, si inviano i documenti allegati”, scrive Vivian il 14 luglio dello scorso anno.
C’è poi il solito “elenco multe da pagare” ovvero quattro verbali di contravvenzioni elevate dai vigili urbani di Bologna, Modena e Milano per un totale di 674,53 euro.
L’assegno e le tasse del capo.
Un assegno del Banco di Napoli da 2mila euro firmato da Belsito in qualità  di segretario amministrativo del Carroccio e, nella stessa data, il 17 luglio 2010, presso la stessa banca, il pagamento di alcune tasse a carico di Umberto Bossi per un ammontare di circa 1.300 euro.
La Tanzania: “Bossi e Tremonti sono d’accordo”.
“Sia Bossi che Tremonti erano d’accordo sul fatto che la Lega Nord, con l’operazione, avesse voluto diversificare i loro risparmi”.
A scriverlo è la Dia di Reggio Calabria che sintetizza ciò che Belsito ha detto in una telefonata con l’imprenditore Bonet, riferendosi agli investimenti in Tanzania dopo che la notizia era uscita sulla stampa.
Belsito, prosegue l’informativa della Dia “aggiungeva che gli importi bonificati erano riportati in bilancio anche perchè, con il 2009 e il 2010, il movimento politico aveva chiuso con un attivo di 16,5 milioni di euro.
Belsito concludeva dicendo che Bossi gli aveva fatto divieto di rilasciare interviste e l’indomani avrebbe visto Paolo Scala (che curò l’operazione in Tanzania, ndr) per cui invitava Bonet a essere presente all’incontro”.
L’email di Bonet: “I soldi sono tornati dall’Africa”.
Il 17 febbraio scorso Bonet invia una mail a Lubiana Restaini, dipendente del Comune di Cori (Latina) e distaccata al Parlamento, ritenuta vicina a Roberto Castelli, nella quale viene ricostruita la vicenda degli investimenti della Lega in Tanzania.
La mail è contenuta nel rapporto della Dia alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
“Cara Lubiana, aggiornandoti dello stato dell’arte in merito ai fondi Tanzania, ti informo che: 1) la tranche da 4,5 ml di euro è rientrata senza spese e commissioni già  la settimana scorsa. 2) abbiamo ricevuto le ufficiali richieste dei tre consiglieri di amministrazione, come definito, per provvedere a chiudere anche la seconda tranche da 1,2 milioni di euro.
Ci sono giunte solo per email e formalizzeremo recapito di destinazione ufficiale. Tuttavia in questa documentazione non si fa cenno alla nostra posizione, nè tanto meno a ristorno di anticipi erogati a Belsito.
Pertanto suggerisco di riconoscere la collaborazione di Bonet e di Scala alla miglior risoluzione dell’equivoco, riconoscendo la buona fede e la disponibilità  prestata senza alcun tornaconto personale nè beneficio alcuno, questo dovrebbe essere espresso almeno in lettera accompagnatoria al suddetto materiale.
Ho verificato che l’anticipo prestato a Belsito di 200.000 euro risulta documentato, lecito e dimostrabile come evento realmente accaduto e senza ripercussioni fiscali.
Questo mi fu richiesto da Belsito per anticipare le valute di maturazione dell’operazione della prima tranche del 23 dicembre.
Mi resi disponibile ad erogarli in contanti per 100.000 euro la settimana 52 e il saldo la settimana 1 del 2012. Per sua ammissione successiva ai fatti del 9 gennaio sono serviti per Bossi. Essendo denaro mio personale vorrei poterli trattenere dalla restituzione dell’ultima tranche oppure riaverli da Belsito in modo contestuale. Commissioni e spese bancarie anche in questo caso non sono dovute. Buona giornata”.
Belsito referente per l’accordo Fincantieri-Polare.
Secondo la Dia di Reggio Calabria, il cui rapporto sta alla base dell’inchiesta della Dda reggina, ritiene che Francesco Belsito fosse “il referente politico per un possibile accordo economico tra la Fincantieri e la Polare del valore di circa cento milioni di euro”.
L’accordo tra la Fincantieri e la Polare, società  dell’imprenditore veneto Stefano Bonet, poi non è stato concluso.
Agli atti c’è l’intercettazione di una telefonata del 9 dicembre 2011 tra Bonet e Belsito.
“Bonet — sintetizza la Dia — lamentava che l’ufficio legale di Fincantieri gli aveva mandato una bozza di contratto che nulla aveva a che vedere con il modello Polare e che con quella tipologia avrebbe acquisito un risultato economico pari a 300 mila euro l’anno mentre con il loro modello avrebbe avuto garantito un risultato di 30 milioni. Belsito invitava Bonet a mandare indietro il documento con le dovute modifiche”.
Girardelli era un iscritto.
Infine la figura di Romolo Girardelli, genovese, 52 anni, detto “l’ammiraglio”, sotto inchiesta per riciclaggio in favore della ‘ndrangheta insieme a Belsito e già  nel 2002 indagato dalla Procura calabrese per presunti legami con “elementi di primissimo piano della cosca De Stefano”.
Panorama domani scrive che Girardelli, insieme con il figlio e altri parenti, è entrato nella Lega insieme a Belsito, quindi svariati anni fa.
Prima è stato iscritto alla sezione genovese di Ponente, poi a quella di Levante.
E del movimento è diventato militante.
Assicura di avere fatto attività  sul territorio.
”Nessuno mi ha mai allontanato, anche perchè non vi era motivo per farlo” dice Girardelli a Panorama.
Ha incrociato i vertici leghisti? “Ho conosciuto l’ex tesoriere Maurizio Balocchi e sono stato due o tre volte a Milano, nella sede della Lega nord, per trovare Belsito”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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RENZO BOSSI SI CONSOLA CON UNA LIQUIDAZIONE DI 40.000 EURO

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

IN BASE ALLA LEGGE REGIONALE DEL 1995 AI CONSIGLIERI CESSATI IN CORSO DI LEGISLATURA SPETTA UNA INDENNITA’ DI FINE MANDATO

Renzo Bossi lascia il suo posto al Pirellone.
Dimissioni ben pagate, a dire il vero: per due anni da consigliere lombardo si porta a casa una indennità  da 40mila euro.
Niente male per uno che, secondo suo papà  Umberto, “da due mesi era stufo di stare in Regione”.
Lui, il Trota, parla di una decisione che dà  l’esempio e dice: “Sono stato costretto a dimostrare ogni giorno che le oltre 12mila preferenze prese sul territorio erano frutto del mio lavoro e non del nepotismo becero”.
Il suo lavoro da politico, però, si interrompe prima del previsto.
Renzo ha deciso così, dopo lo scandalo dei soldi pubblici girati dall’ex tesoriere Francesco Belsito agli esponenti del Carroccio: tre anni prima del termine della legislatura, se ne va.
Ma all’indennità  di fine mandato ha diritto lo stesso.
Lo stabilisce l’articolo 3 della legge regionale numero 12 del 20 marzo 1995: “Ai consiglieri cessati in corso di legislatura, a quelli non rieletti, o che non si ripresentino candidati, nonchè ai loro aventi causa in caso di decesso, spetta una indennità  di fine mandato nella misura dell’ultima indennità  annuale di funzione lorda percepita per ogni legislatura; nel caso di frazione della medesima il conteggio è determinato proporzionalmente”.
Tradotto: se fosse rimasto al Pirellone tutti e cinque gli anni, Bossi junior si sarebbe intascato una liquidazione da 102mila euro.
Di anni sui banchi della Lega ne ha invece passati due: gli euro che gli spettano sono quindi poco più 40mila.
E fa niente se si è dimesso in anticipo.
Qualcosa se ne andrà  via con le tasse.
Ma il Trota non si può certo lamentare, fare il consigliere gli ha fruttato bene: ci sono anche gli oltre 9mila euro guadagnati ogni mese, tra indennità  di funzione, rimborsi e diarie, al netto delle ritenute fiscali e dei contributi per indennità  di fine mandato e vitalizio.
E poi c’è quella parte del finanziamento pubblico ai partiti che, secondo le inchieste giudiziarie, finiva in tasca sua, come i 130mila euro per la laurea in un’università  di Londra.
E poi le auto, un’Audi A6 e una Smart.
Senza tralasciare quelle manciate di 50 euro che di volta in volta gli metteva in mano l’autista, perchè potesse pagarsi la benzina e qualche altra piccola spesuccia.
A Franco Nicoli Cristiani, l’ex vice presidente del Consiglio regionale finito in carcere con l’accusa di aver preso tangenti, i 340mila euro di indennità  di fine mandato sono stati congelati. Ma sui 40mila euro di Renzo Bossi non si può fare nulla.
“Questi sono soldi già  accantonati — spiega Alessandro Alfieri, consigliere regionale e vicesegretario lombardo del Pd — sta a lui prenderli o non prenderli. Certo, davanti alle intercettazioni allucinanti che sono uscite, se li rifiutasse, darebbe un segnale importante per recuperare un pizzico di credibilità ”.
Secondo Chiara Cremonesi, capogruppo di Sel, “Renzo Bossi sta diventando il capro espiatorio di un Consiglio pieno di indagati. C’è anche l’indennità  che Nicole Minetti continua a percepire. E a fine mandato lei si troverà  una liquidazione ancora maggiore di quella di Bossi”.
Qualche mese fa era stata proposta in Aula l’abolizione dell’indennità  di fine mandato e del vitalizio cui i consiglieri hanno diritto compiuti i 60 anni.
Alla fine però, con l’approvazione della legge regionale numero 21 del 13 dicembre 2011, i tagli sono stati rinviati alla prossima legislatura: così si è salvata anche la buonuscita del Trota.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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POLITICA, SOLDI E AUTO BLU: LA VITA SOGNATA DAI FIGLI E QUELLA VISSUTA DAL SENATUR

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

IN FONDO SE LUI MENTI’ SU LAUREA E IMPIEGO, PERCHE’ SGOBBARE?

Troppo comodo, scaricare sui figli.
Sia chiaro, i viziatissimi «bravi ragazzi» di Umberto Bossi, con quella passione per le auto di lusso, i telefonini ultimo modello, le pollastrelle di coscia lunga, i soldi facili, se li meritano tutti i moccoli lanciati su di loro dagli italiani che faticano ad arrivare a fine mese e più ancora dai militanti leghisti che si tassano per comprare i gazebo e sono messi in croce in questi giorni dalle battutine feroci dei compaesani.
Deve essere insopportabile, per tanti volontari che vanno gratis ad arrostire polenta e salsicce (o addirittura il toro allo spiedo: maschio sapore celtico) alle sagre padane, vedere nei video dell’ex-autista la sfrontata naturalezza con cui il Trota afferra e si mette in tasca quelle banconote da cinquanta euro che a loro costano ore di lavoro in fabbrica o sui campi.
O sapere che i soldi dei rimborsi elettorali al partito, soldi dei leghisti e di tutti i cittadini italiani, sono stati usati per affittare le Porsche di Renzo, tappare i debiti seminati da Riccardo o rifare un naso nuovo a Sirio Eridano.
Ma sarebbe davvero troppo comodo, per chi vuole fare sul serio pulizia dentro il partito, scaricare tutto addosso a quei «monelli».
Alla larga dai tormentoni sociologici, per carità , ma mettetevi al posto loro.
Tirati su dentro un «cerchio magico», sono cresciuti come rampolli di una strana dinastia vedendo che la «Pravdania» pubblicava sei paginate d’untuoso omaggio per il genetliaco di papà  («Sono più di venti anni che in questo giorno porgo i miei auguri al nostro amato Segretario…», scriveva con nord-coreano trasporto Giuseppe Leoni) e ne dedicava una intera al compleanno di Roberto Libertà : «Che fortuna avere 12 anni e festeggiarli in cima al Monte Paterno!».
Per non dire di quell’altra che celebrava mesi fa una gara automobilistica del figlio di primo letto sul circuito del Mugello: «Weekend a tutto gas per Riccardo Bossi».
Di qua assistevano alle sfuriate paterne (arricchite da corna, sventolio del dito medio, rutti e pernacchie) contro i lavativi e i «magna magna» e tutti quelli che vivevano «alle spalle dello Stato coi soldi del Nord» e di là  vedevano mamma Manuela, pensionata baby dal 1996 quando aveva appena 42 anni, incassare per l’istituto «privato» Bosina («Scuola Libera dei Popoli Padani») contributi di soldi pubblici e leghisti (cioè ancora pubblici dati i rimborsi elettorali) così sostanziosi che Nadia Dagrada, la segretaria del Senatur, detterà  a verbale: «Ho appreso da Belsito che nel 2010-2011 gli era stato chiesto da Manuela Marrone di accantonare, per cassa, una cifra di sostegno per la Bosina pari a circa 900 mila o un milione di euro».
Di qua sentivano il papà  declamare che lui sta «dalla parte del popolo che si alza per andare a lavorare alle quattro di mattina», di là  lo vedevano a quell’ora semmai andare a letto.
E leggevano nella sua stessa autobiografia «Vento del Nord» scritta con Daniele Vimercati («L’ho letta tre o quattro volte… È un libro che mi piace rileggere spesso», raccontò Riccardo al Corriere ) che di fatto, tranne 10 mesi all’Aci, lui non aveva lavorato mai.
Di qua ascoltavano lo statista di famiglia tuonare in tivù contro «Roma ladrona» e «i politici di professione», di là  gli vedevano accumulare legislature su legislature al Senato, alla Camera, all’Europarlamento.
Di qua si bevevano le sue battute da intellettuale da osteria («È una battaglia tra espressionisti e impressionisti: noi siamo Picasso e gli altri dei muratorelli ignoranti»), di là  apprendevano dai ritratti giornalistici e dalle interviste della prima «signora Bossi» Gigliola Guidali o della zia Angela («Ha detto che sono buona solo a far bistecche! Lui! Ah, se le ricorda bene le mie bistecche, lui! Perchè per anni solo quelle ha mangiato, quel mantegnù . Che se non mangiava le mie bistecche, caro il mio Umberto… Ooh! Stiamo parlando di uno che ha organizzato tre feste di laurea senza essersi mai laureato») che il padre era stato uno studente discolo quanto Lucignolo, che aveva lasciato per noia l’istituto tecnico per periti chimici a 15 anni per diplomarsi («La prima tappa della mia marcia di avvicinamento alla cultura fu la scuola Radio Elettra di Torino, un corso per corrispondenza») quando era già  sulla trentina.
Cosa potevano capire quei figli dell’importanza della scuola, della cultura, della laurea, scoprendo che il padre si era fatto la prima tessera di partito alla sezione del Pci di Verghera di Samarate scrivendo alla voce professione «medico»?
Che si era candidato alle sue prime elezioni facendosi presentare dal settimanale il Mondo come «Umberto Bossi, un dentista di quarantadue anni di Varese»?
Che si era definito nella sua stessa autobiografia un «esperto di elettronica applicata in sala operatoria»?
Se ce l’aveva fatta lui, dopo avere imbrogliato la prima moglie spacciandosi a lungo per medico (testimonianza della donna: «Dovetti chiedere di essere ricevuta dal rettore. E lì, in quella stanza austera, un tabulato mi rivelò quello che sospettavo: mio marito non si era mai laureato, alla sua fantomatica laurea mancavano ben undici esami») perchè mai non potevano sognare anche loro, i figli, di vedersi spalancare davanti una strada di auto blu, folle in delirio, richieste di autografi, stipendi extralusso, segretarie premurose, titoloni nei tiggì, salamelecchi parlamentari, collaboratori e sodali in adorazione perenne?
Perchè mai studiare e cercare una propria strada nella vita e magari sgobbare duro per farsi una laurea in architettura o in biologia se era tutto lì, tutto facile, tutto a portata di mano grazie alla politica?
Certo, non tenevano conto che quel padre capace di dire tutto e il contrario di tutto (memorabili le retromarce non solo sul Berlusconi «mafioso» ma sulla Lega baluardo della cristianità  dopo aver mandato a dire al Papa: «Oè, Vaticano: la Padania non ha interesse a cambiar religione, ma l’indipendenza non è in vendita. T’è capi’?») aveva anche uno straordinario fiuto politico e una capacità  formidabile di parlare con il «suo» popolo.
Ma come potevano capirlo, loro?

Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)

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LA PROCURA DI REGGIO EMILIA INDAGA QUATTRO ESPONENTI DELLA LEGA

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

SEGRETATI I NOMI DELLE PERSONE COINVOLTE….CONFERMATO L’INTRECCIO CON L’ATTIVITA’ CHE GLI INQUIRENTI STANNO FACENDO A MILANO

Dopo quelle di Milano, Napoli, Reggio Calabria, Genova e Bologna, anche la procura di Reggio Emilia ha aperto un’inchiesta sui conti della Lega Nord.
La notizia circolava già  ieri, ma oggi è arrivata la conferma dal procuratore capo Giorgio Grandinetti, che ha iscritto nel registro degli indagati almeno quattro esponenti del Carroccio.
Ancora sconosciuta la loro identità , ma non è escluso che tra loro ci siano anche persone non di Reggio Emilia.
Il procuratore non esclude che dalle indagini reggiane possano uscire anche intrecci con l’attività  della procura bolognese o milanese, ma per il momento smentisce nel modo più categorico che ci siano collegamenti con la ‘ndrangheta, come ipotizzato a Milano.
Ieri il pm aveva incontrato Marco Lusetti, ex vicesindaco di Guastalla ed ex vicesegretario della Lega Nord Emilia, espulso dal partito nel luglio del 2010.
Pochi giorni fa l’ex numero due aveva dichiarato ai giornali locali di aver sempre nutrito forti dubbi sui bilanci del partito in Emilia e su quello del gruppo del consiglio regionale.
Lusetti, che per qualche giorno preferisce restare in silenzio, avrebbe già  consegnato ai magistrati atti e documenti che testimonierebbero irregolarità  della gestione dei fondi del Carroccio.
L’inchiesta di Reggio Emilia va così ad aggiungersi a quella aperta ieri a Bologna, dove la procura ha intenzione di fare luce sull’amministrazione della casse del Carroccio emiliano.
Per ora si tratta di un fascicolo conoscitivo, senza indagati nè ipotesi di reato, che si incentra sulle recenti dichiarazioni dell’ex tesoriera della Lega Nord bolognese cacciata dal partito nel 2009, Carla Rusticelli, che ha parlato di pagamenti in nero e bilanci falsi.
Nei prossimi giorni la donna verrà  sentita dai magistrati di piazza Trento Trieste .
E non solo lei.
Saranno convocati in procura altri due ex del Carroccio emiliano: Alberto Veronesi, candidato alle elezioni amministrative regionali del 2010 e Alberto Maragoli, ex revisore dei conti.
E non si esclude che venga sentito anche l’ex candidato sindaco a Bologna, eletto in Comune e Regione, il maroniano Manes Bernardini.
Come sicuramente sarà  ascoltato Angelo Alessandri, colui che teneva i conti e sul quale i compagni di partito, in questi giorni convulsi, puntano il dito.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LO STRANO AFFARE DI CALDEROLI E I 300.000 EURO DEL PARTITO “PRESTATI” A UN CEMENTIFICIO

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

DA UNA INTERCETTAZIONE E’ EMERSA UNA ANOMALA INTERMEDIAZIONE CON SOLDI USCITI DALLE CASSE DELLA LEGA E POI RESTITUITI

Un’intermediazione per un finanziamento da 300 mila euro a un cementificio della Bergamasca con i soldi del rimborso elettorale della Lega.
Denaro che poi sarebbe stato restituito.
È lo strano «affare» in cui sarebbe coinvolto il senatore e «triumviro» Roberto Calderoli così come emerge dalle relazioni dei carabinieri del Noe e su cui gli inquirenti stanno indagando per capire meglio di cosa si tratti.
Si chiede a un certo punto il pirotecnico tesoriere della Lega: «…E invece quelli di Cald, (ndv Calderoli) come faccio? …come li giustifico quelli?!».
La segretaria Nadia Dagrada, con il solito linguaggio spiccio, prova a tranquillizzarlo: «Ma quello è un…nella cosa che c’hai, quello non è un grosso problema!…Nell’arco dell’anno non è un problema quello, è un problema tutto il resto!».
Già , tutto il resto.
Come ad esempio i 6 milioni di euro finiti in un fondo della Tanzania e prontamente tornati in Italia. Perchè?
Perchè sembra che la banca del Paese africano, la Fbme Bank, che si presenta come un vero e proprio istituto off-shore nata come succursale della banca federale libanese, con sedi alle Cayman, Cipro e rappresentanza a Mosca, sentendo puzza di bruciato intorno a quella massa di denaro arrivata tramite un conto personale dell’imprenditore-faccendiere Stefano Bonet, avrebbe deciso di rimandare al mittente i quattrini.
Piccola lezione di moralità  dalla Tanzania all’Italia?
La verità  è che quando l’investimento venne effettuato, qualcuno spifferò subito la storia ai giornali e per una banca del genere la sovraesposizione mediatica è sempre un pessimo affare, così i funzionari preferirono rifiutare l’investimento e restituire il malloppo.
Soldi rientrati, dunque.
Anche se non tutti: 350 mila euro, ufficialmente della Lega, sarebbero rimasti impigliati nel fondo cipriota gestito dall’avvocato Paolo Scala.
Per quale motivo?
È quanto stanno tentando di capire i pm.
Così come la storia di altri 50 mila euro che Piergiorgio Stiffoni avrebbe chiesto al «nano» (in realtà  40mila) su pressione, ha raccontato, dell’allora segretario trevigiano Gianantonio Da Re alle prese con affitti arretrati delle sede provinciale.
Il quale però lo ha smentito: «A Stiffoni non ho mai chiesto niente. Quando avevo bisogno di soldi per il partito convocavo il consiglio. Di quei 40mila euro non so niente, queste cose le seguiva il nostro tesoriere».
Insomma, ogni volta che si mette il naso nei bilanci del Carroccio, saltano fuori sorprese e pasticci.
Gli inquirenti stanno verificando l’esistenza di ulteriori fondi neri e di conti magari non direttamente intestati al partito ma gestiti da Belsito in nome e per conto della Lega.
E non è escluso che quando l’inchiesta sarà  finita, Parlamento e Senato possano costituirsi parte civile per ottenere la restituzione dei rimborsi elettorali non dovuti. Per ora, si è saputo, non ci sono nuovi iscritti sul registro degli indagati anche se è chiaro che si tratta soltanto di tempo: è ovvio che nel momento in cui verrà  provata la «consapevolezza» dei vari personaggi tirati in ballo nell’allegra gestione dei soldi pubblici destinati al Carroccio, l’iscrizione per concorso in appropriazione indebita (nel migliore dei casi) sarà  inevitabile.
È il caso ad esempio del “Trota”, ovvero di Renzo Bossi, il figlio del Senatur che ieri si è dimesso ufficialmente dal Consiglio regionale lombardo.
Il filmato in cui lo si vede arraffare senza troppi problemi i soldi destinati all’autista o in generale alle spese di partito per rifornire il proprio portafoglio, non lascia spazio a molte interpretazioni.
Per giunta ieri, l’autista Alessandro Marmello, autore del filmato, è stato interrogato come testimone per circa un’ora in Procura.
I magistrati hanno voluto sapere il motivo di un’iniziativa così singolare e in un certo senso «puntuale», visto che la registrazione, realizzata cinque mesi fa, dunque nel pieno delle indagine svolte in gran segreto dai carabinieri, sembra fosse pronta da un paio di settimane.
Ma Marmello, si è giustificato raccontando che, visto l’andazzo nella Lega e la disinvoltura del «Trota» nel trattare denaro altrui, aveva pensato bene di premunirsi «a futura memoria».
Marmello ha spiegato che bastava portare in via Bellerio delle ricevute e poteva incassare in contanti: mille euro per volta e quasi tutte le settimane.
La questione adesso è: ma quanti altri autisti avevano il compito di rifornire in contanti i loro illustri passeggeri?

Paolo Colonnello
(da “La Stampa”)

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MARONI SFILA IN PROCURA USO TELECAMERE E GONZI PADANI. “VOGLIAMO SAPERE LA VERITA'”: BASTAVA CHE SI INFORMASSE, VISTO CHE DA 20 ANNI STA NEL CARROCCIO

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

IL BARBARO TRASOGNANTE ANNUNCIA: “SIAMO PRONTI A COLLABORARE E SE CI CHIEDERANNO DOCUMENTI LI CONSEGNEREMO”… TRANQUILLO, VENGONO A PRENDERLI DA SOLI

L’ex ministro dell’interno, Roberto Maroni, si è presentato in procura a Milano per un colloquio con il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i pm Paolo Filippini e Roberto Pellicano, titolari dell’inchiesta sulla presunta truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali della Lega Nord e sulla presunta appropriazione indebita ai danni della stessa Lega.
Insieme a Maroni, sono arrivati al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano anche Stefano Stefani, il nuovo tesoriere del carroccio che ha preso il posto del Francesco Belsito (che ha presentato le dimissioni dopo essere stato indagato) e il sindaco di varese, Attilio Fontana.
A sollecitare il confronto, che si svolge nell’ufficio di Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo di milano, sarebbe stato – secondo quanto si è potuto apprendere da qualificate fonti leghiste – lo stesso Maroni per offrire collaborazione agli inquirenti nelle indagini come ha detto brevemente lo stesso ex ministro.
A conclusione dell’incontro con i pm, Maroni ha detto ai giornalisti di essere “a completa disposizione della magistratura” e che “se la procura ci chiederà  dei documenti siamo pronti a fornirli. Non vogliamo nascondere nulla – ha aggiunto – vogliamo garantire la piena e leale collaborazione della Lega. Arrivare alla vertà  e accertare tutte le responsabilità  è nel nostro interesse. Ringraziamo i magistrati per questa visita, che è avvenuta su nostra richiesta”.
Risulta evidente la strumentalità  della mossa di Maroni: dimostrare, telecamere al seguito, che lui rappresenta la “Lega pulita”. Ma visto che è da 20 anni che frequenta le segrete stanze di via Bellerio ed è stato anche ministro degli Interni forse avrebbe fatto meglio ad andarci prima in tribunale a denunciare quello che non andava e di cui cui non poteva non sapere in termini generali.
La collaborazione andava offerta allora, non ora.
Quando è scoppiato il caso dei fondi dirottati in Tanzania, dov’era Maroni?
Perchè non si è dimesso per protesta?
Se non fosse intervenuta la magistratura sarebbe forse stato ancora zitto?

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L’APPARTAMENTO EREDITATO DAL SENATUR: DOVEVA ANDARE AL PARTITO, MA BOSSI SI E’ TENUTO I SOLDI

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

UNA MILITANTE DONO’ LA SUA CASA AL SENATUR “IN QUANTO SEGRETARIO” DEL PARTITO…VENDUTA A FEBBRAIO PER 480.000 EURO, BOSSI SI E’ TENUTO I SOLDI IN QUANTO NON RISULTA DICHIARATA ALLA CAMERA…NELLO STESSO PERIODO LA MOGLIE MANUELA HA ACQUISTATO UNA CASCINA A GEMONIO PER IL FIGLIO

Metti un’anziana militante leghista.
Metti che la signora, prima di morire, disponga nel testamento che una casa di sua proprietà  vada “all’on. Umberto Bossi, quale segretario della Lega Nord…”.
Aggiungi che Bossi decide poi di vendere la casa.
Ora: al di là  del rispetto della volontà  indicata dalla ottuagenaria fan del Carroccio   –   e cioè che il bene lasciato finisca effettivamente al movimento   –   si apre un’altra questione.
Decidendo, come ha poi fatto, di vendere l’appartamento, il capo padano avrebbe l’obbligo di versare il denaro ricavato alla Lega, e di comunicare la compravendita alla Camera dei Deputati.
Se questo non accade, e non è accaduto, oltre a un problema morale se ne pone anche uno legale e amministrativo: posto che Bossi ha violato la normativa parlamentare, dovrebbe pagare una sanzione pari a una cifra che varia da due a sei volte il valore della casa (480mila euro).
La storia ha un inizio ma forse non ancora una fine.
L’inizio è datato 20 agosto 2003.
All’epoca Caterina Trufelli, classe 1931, pasionaria leghista da Cicognara di Viadana (Mantova), è ancora in salute. Il Tribunale di Milano ha risolto in suo favore un’accesa disputa familiare per la proprietà  di un appartamento di via Mugello 6 a Milano.
La casa è al sesto piano di un palazzo inizio secolo in zona viale Umbria: 250 metri quadrati, quattro stanze, cucina, bagno, ripostiglio e balconcini, cantina, solaio
Rendita catastale, 958,03 euro.
Nel suo nuovo testamento olografo – ufficializzato il 20/8/2003 – scrive: “Io sottoscritta Caterina Trufelli, nel pieno possesso delle mie facoltà  mentali revoco ogni mio precedente testamento e nomino erede universale l’onorevole Umberto Bossi, quale segretario della Lega Nord, nato a Cassano Magnago (VA) il 19/9/1941…” La Trufelli muore il 10 maggio 2010.
Il suo ultimo scritto è un addio con “desiderata” degni della miglior militante leghista: vuole che le sue ceneri vengano cosparse nel “dio Po”, e, non potendo dare la casa in lascito nè alla sorella (non c’è più) nè al nipote (con cui ha rotto), decide che il beneficiario sarà  il partito verde nella figura del segretario Bossi.
Che fa il Senatùr con la casa di via Mugello?
La gira nella disponibilità  della Lega come prevede la normativa sulle “erogazioni liberali”?
Oppure: la vende e versa i soldi nelle casse del partito? Macchè.
Bossi la vende, sì, ma si tiene i soldi.
Il 1 febbraio l’appartamento viene acquistato da Angela Torazzi, “non coniugata”, alla cifra di 480mila euro (pagati con assegni non trasferibili e circolari).
L’Agenzia del Territorio registra accettazione e compravendita.
Secondo le norme parlamentari, il capo leghista è tenuto a comunicare il tutto alla Camera. Cosa che non fa.
E dunque, si macchia di una doppia leggerezza.
La prima è una violazione dei regolamenti parlamentari (qualunque atto che riguardi finanziamenti politici al partito deve essere denunciato; la sanzione amministrativa prevista consiste in un cifra che varia da due a sei volte il valore del bene).
La seconda è che è venuto meno ai suoi doveri verso il Carroccio: il termine previsto per i versamenti sotto forma di erogazione volontaria liberale è 60 giorni.
Non risulta che Bossi abbia provveduto ad alcun versamento.
Il bilancio ufficiale dei partiti, va detto, si chiude il 30 giugno, ma è prassi della Lega, come di altri, presentare gli stessi rendiconti alla Camera assieme alle “dichiarazioni congiunte”, il cui termine è scaduto il 31 marzo.
Tra le operazioni immobiliari sulle quali i magistrati stanno facendo luce c’è l’acquisto di una cascina a Brenta, vicino a Gemonio, intestata a Manuela Marrone, moglie di Bossi, e regalata a Roberto Libertà , altro rampollo di casa.
La first sciura leghista l’ha acquistata il 24 giugno 2011 da una signora milanese residente nel Varesotto con atto firmato a Cesano Boscone, nello studio di un notaio di fiducia.
Niente mutuo, sconosciuto il valore della transazione.
E se la cascina fosse stata acquistata col denaro proveniente dal lascito dell’anziana militante leghista?
È la domanda a cui i magistrati cercheranno di dare una risposta.

Paolo Berizzi
(da “la Repubblica“)

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BELSITO AL SECOLO XIX: “IN LEGA TANTI SAPEVANO, NON HO MAI FATTO NULLA DA SOLO”

Aprile 11th, 2012 Riccardo Fucile

LO SFOGO DELL’EX TESORIERE: “SONO STATO UN BUON AMMINISTRATORE”

“Io non ho mai fatto nulla da solo.In tanti nella Lega sapevano, avevano il controllo di tutti i miei atti. E, per la mia parte, so di aver sempre amministrato correttamente”
Belsito non ritiene che parlare, spiegare anche pubblicamente, potrebbe essere utile in questo momento per chiarire la sua posizione?
E si figuri se non avrei voglia di parlare, di spiegare tutto. Ma c’è un’inchiesta, c’è il lavoro delle procure. Io ho l’ordine di non aprire bocca, di non parlare di nulla che riguardi le indagini. Prima vogliamo vedere le carte, io e i miei legali. Poi, a quel punto qualcosa dirò.
Ai suoi avvocati ha anche detto: parlare in questo momento non ha senso, tanto tutti pensano che io sia colpevole dei mali peggiori di questo Paese
E’ così, per tutti Belsito è il diavolo. In questo momento mi tengo la croce e la porto. Nel frattempo preparo la mia difesa.
Ma quando porterà  le carte davanti ai magistrati ritiene che questa rivelerà  una realtà  diversa da quella ricostruita dalle inchieste?
Spero mi daranno atto di essere stato un buon amministratore
Ci sono però altre circostanze, altre distorsioni su cui le procure hanno acceso i riflettori..
Sto raccogliendo tutti i documenti. E allora apparirà  chiaro che “distorsioni” non ve ne sono e che la realtà  è molto più lineare e meno sospetta   di quel che adesso può apparire.

Marco Menduni
(da “Il Secolo XIX”)

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