Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
PER LA SERIE “NON C’E’ LIMITE AL PEGGIO”: IL CLAN DI AVERSA COLPISCE ANCORA….IL MARCHIO REGISTRATO COME PROPRIETA’ DI MARINIELLO INVECE CHE DEL MOVIMENTO GIOVANILE
Il 14 gennaio 2011 l’ufficio italiano brevetti e marchi riceve la registrazione di un marchio.
Non sembra una notizia importante, visto che sono migliaia i marchi e loghi registrati ogni anno.
Ma non si tratta un marchio qualunque.
Si tratta del logo di Generazione Futuro, movimento giovanile di Futuro e Libertà .
E a registrarlo non è l’associazione ma il coordinatore nazionale Gianmario Mariniello. Il giovane aversano, fedelissimo di Italo Bocchino, ha dunque registrato a suo nome il marchio di un movimento politico, riservando per sè la proprietà di un logo che dovrebbe appartenere al giovanile finiano e non a un singolo individuo.
Una prassi non consueta per un partito politico, soprattutto se si considera che Generazione Futuro sottosta a regole democratiche in quanto a scelta dei suoi rappresentanti.
Cosa succederà quando, prima o poi, Gianmario Mariniello non sarà più il coordinatore nazionale di GF? A chi andrà il logo?
Mariniello userà la proprietà del marchio per esercitare pressioni sul movimento?
Tutte domande lecite, e un po’ maliziose, per una questione che è tutt’altro che secondaria.
Basti pensare alle voci insistenti sulla proprietà del simbolo della Lega Nord che apparterebbe a Umberto Bossi e alle conseguenti implicazioni politica della cosa.
Fa riflettere, poi, la lunghissima lista di beni e servizi per cui Mariniello ha registrato il simbolo: portachiavi, fermasoldi, fermacravatta, medaglie, monete, spille, ciondoli, orologi, giornali, libri, riviste, opuscoli, bandiere di carta, francobolli, astucci, agende, biglietti da visita, volantini, fazzoletti di carta, portapenne, calendari, quaderni, matite, biro, gomme, sottobicchieri, adesivi, poster, gagliardetti in carta, borse, ombrelli, cartelle, zaini, aste per bandiere, foulard (in stoffa e in seta, per i più chic tra i giovani finiani), cappelli, ciabatte, magliette, pubblicità , consulenza aziendale, pubbliche relazioni, organizzazione e pianificazione di manifestazioni sportive aventi per scopo il trattenimento; servizi connessi con la realizzazione di attività sportive e lo sviluppo dello sport; affitto di attrezzature per proiezioni cinematografiche ed accessori relativi; studi cinematografici; cinema; servizi per le produzioni di pellicole cinematografiche e la produzione di programmi radiofonici e televisivi; programmazione di spedizioni scientifiche; organizzazione di rally e corse; servizi resi da un istituto educativo, vale a dire: scuole per l’insegnamento della storia, disegno, lingue, recitazione; servizi resi da associazioni culturali e di trasmissione di pellicole cinematografiche; un’attività consistente nello studio e nella stesura di testi e di musiche per programmi televisivi, radiofonici e per film; un’attività consistente nella preparazione di sceneggiature di programmi televisivi, radiofonici, di pellicole cinematografiche e di programmi destinati ad essere trasmessi anche via satellite; servizi resi da produttori, direttori e scrittori nell’ambito della produzione radio e televisiva e di pellicole cinematografiche; produzioni circensi; un’attività consistente nell’educazione di individui, anche mediante corsi di formazione politica; un’attività rivolta a favore e per conto di terzi, nel settore dei divertimenti e degli spettacoli; divertimenti; spettacoli; pubblicazione di libri.
E poi, solo in fondo all’elenco: servizi personali e sociali resi a terzi, da un partito politico per la promozione della vita sociale ed economica della nazione.
Circa un anno fa, Paolo Bracalini su Il Giornale aveva polemizzato con lo stesso Mariniello in merito alla società Ita2020 Srl, con sede ad Aversa, esclusivista per l’utilizzo dei marchi finiani e produttrice di gadget poi venduti ai circoli locali di Generazione Futuro e Generazione Italia (la corrente bocchiniana di Fli).
Il titolare di Ita2020 Srl è Dino Carratù, altro giovane collaboratore di Italo Bocchino e vicinissimo allo stesso Mariniello.
Proprietà e utilizzo commerciale del marchio, dunque, sono roba privata di Gianmario Mariniello.
Niente di illegale, per carità , ma è quantomeno questione di opportunità .
E per il giovane e rampante bocchiniano non è proprio il miglior periodo.
Da qualche settimana le fibrillazioni interne a Generazione Futuro sono diventate vere e proprie faide, con un corposo gruppo di giovani finiani che stanno dando battaglia negli organi del movimento per far fuori il coordinatore nazionale, accusato di essere accentratore e dispotico.
Proprio negli ultimi giorni è nata Zero+, un’associazione politica trasversale creata proprio dai frondisti finiani, a cominciare dall’intera classe dirigente giovanile lombarda, che ha abbandonato in massa Generazione Futuro dopo un braccio di ferro con il coordinatore, condito da insulti reciproci sui social network.
Forse l’atteggiamento di Mariniello deriva proprio dalla sicurezza che il marchio di Generazione Futuro è roba sua e nessun congresso democratico potrà mai levarglielo.
Certo è che scoprire della registrazione personale di un marchio politico non farà altro che acuire gli scontri tra i giovani di Futuro e Libertà .
Anche perchè, ci dice un frondista che preferisce rimanere anonimo, “al legale rappresentante del movimento dovrebbe andare come è ovvio la titolarità del simbolo, non certo la proprietà in prima persona. Ma non sono stupito: Mariniello si è sempre comportato da padre-padrone, avallato da Italo Bocchino”.
Nubi nere si addensano sui cieli finiani, peraltro non certo sereni negli ultimi tempi.
E i giovani, che non vogliono essere meno dei loro mentori e protettori adulti, si stanno adeguando.
A colpi di marchi registrati, beninteso, perchè la politica è marketing e merchandising, anche per il partito meno berlusconiano del momento.
Domenico Naso
(da “Il Fatto Quotidiano”)
Il commento del ns. direttore
Il documento che pubblichiamo parla chiaro: per la prima volta in Italia viene registrato il marchio di un movimento politico giovanile come proprietà del suo segretario in carica che dovrebbe invece esserne il rappresentante legale “in quanto segretario temporaneo”.
In caso venisse sostituito da un congresso tale titolarità dovrebbe infatti passare al nuovo segretario.
Ma Mariniello va oltre: non registra valori ideali, ma beni e servizi, tutti a chiari fini commerciali.
Uno ci sembra particolarmente adatto alla circostanza: la produzione circense, assumendo ormai la sua gestione il profilo di uno sgangherato Circo Barnum.
Proviamo a porre un’altra domanda: chi ha la titolarità invece del simbolo di Futuro e Libertà ?
Dalla risposta forse si potrebbe comprendere perchè il partito è “prigioniero politico” di un gruppo interno, lo stesso che ha sfasciato il Fli ligure per voler e “dover” difendere chi ha ricevuto in sede attenzionati dalla Dia pluricondannati.
Soggetti che vanno a cena con imprenditori già chiacchierati che hanno concesso la sede di Fli a Genova in comodato d’uso gratuito e che, colpiti da mandato di cattura internazionale, sono attualmente in attesa di estradizione in Italia.
Sembra di vivere in un film, ma è tutto vero e provato: forse per questo Mariniello ha registrato il marchio prevedendo anche la “produzione cinematografica”.
Per girare un film poliziesco non gli mancherebbero di certo consumati attori e avvincenti scene d’azione.
Come i viaggi lampo Roma-Ponente Ligure con i quali qualcuno faceva visita notturna a un parlamentare del Pdl.
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
COSE DA FARE ED ERRORI DA EVITARE
«Avvezza la popolazione di Reggio e della provincia alle scosse di tremuoti, sembra ad ognuno che avrebbe dovuto pensare ad un modo onde formare le case in guisa che le parti avessero la massima coesione e il minimo peso. Or qui si vedeva precisamente il contrario…».
Sono trascorsi oltre due secoli da quel 1783 in cui la Commissione Accademica napoletana stese quel rapporto denunciando che in Calabria, nonostante tanti terremoti, si continuava a costruire senza alcun criterio.
E altri due secoli erano già passati allora dalla catastrofe di Ferrara del 1570-1574 e dal progetto della prima casa antisismica disegnato da Pirro Ligorio.
Eppure, gran parte delle polemiche di oggi ruota intorno alla scelta di non cancellare la cerimonia del 2 Giugno, scelta difesa da Giorgio Napolitano con una motivazione sensata: «Non possiamo piangerci addosso, dobbiamo dare messaggi di fiducia».
Ogni dissenso, si capisce, è legittimo.
Ma l’esaltazione online di Arnaldo Forlani, benedetto per avere lui sì sospeso la celebrazione dopo il terremoto in Friuli, è così pelosa e strumentale da gettare un’ombra perfino sulle migliori buone intenzioni.
E rischia di fare chiasso mettendo in secondo piano il tema vero: non ne possiamo più di piangere i lutti causati da «fatalità » talvolta imprevedibili (non sempre: talvolta), ma i cui danni vengono moltiplicati da un vuoto inaccettabile nella cultura della prevenzione.
Che dei ladri possano rubare un chilometro di fili di rame isolando l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia nei giorni della crisi sismica in Emilia manda il sangue alla testa.
Ma lì siamo nell’ambito della criminalità più stolta.
Molto più gravi sono le responsabilità di chi negli anni si è opposto a ogni irrigidimento (norme più facili ma rigide) sulla sicurezza.
Nella convinzione che non valesse la pena di infastidire i cittadini e le aziende, obbligati a spendere di più senza essere mai stati informati dei rischi che correvano.
Un errore suicida.
Per decenni, finchè la natura non tornava a ricordare con nuove distruzioni come le catastrofi del passato possano ripetersi, la grande maggioranza degli amministratori nazionali e locali ha preferito costantemente derubricare i rischi sismici, geologici, ambientali di questo e quel territorio piuttosto che affrontare la realtà .
C’è un saggio («La classificazione e la normativa sismica italiana dal 1909 al 1984» di autori vari) che spiega tutto: la mappa delle aree pericolose è stata composta di scossa in scossa.
Con l’aggiunta via via di Messina e Reggio nel 1908, di Avezzano e della Marsica nel 1915, del Riminese nel 1916, della Val Tiberina nel 1917, del Mugello nel 1919, della Garfagnana nel 1920 e avanti così…
Come se lo Stato si rassegnasse a riconoscere man mano, quando era ormai impossibile continuare a negarlo, ciò che non solo gli studiosi ma i vecchi abitanti dei luoghi sapevano. E questo processo, con il rattoppo continuo delle mappe delle zone a rischio, è proseguito fino ai nostri giorni.
Senza che mai venisse definita una mappa finale che non fosse una pura accumulazione di variegate mappe precedenti.
È una seccatura, finchè non crollano il campanile, le case e i capannoni, accettare la definizione di area sismica più o meno esposta al pericolo.
È più facile scacciare il pensiero confidando nella buona sorte.
Valga per tutti il manifesto affisso nel 2010 a Ischia, dove chi ricorda il terremoto di Casamicciola del 1883 è considerato nemico del turismo: «Sulla scheda elettorale scrivi: voto abusivo».
E come dimenticare l’ospedale di Agrigento costruito con materiali di scarsa qualità senza rispettare le regole?
La scuola di San Giuliano di Puglia o la Casa dello studente dell’Aquila collassate perchè erano state tirate su in modo scriteriato?
La polemica contro Bassolino del sindaco di San Sebastiano al Vesuvio furente perchè il «Piano casa» della destra con le sue abolizioni di lacci e lacciuoli non era esteso alla «zona rossa» sotto il vulcano per la quale invocava «almeno di realizzare i sottotetti a copertura degli immobili esistenti»?
O ancora quel comma dello stesso «Piano casa» che prevedeva, prima di essere abolito la mattina stessa del terremoto abruzzese, «semplificazioni in materia antisismica » che fissavano solo «modalità di controllo successivo anche come metodi a campione»?
È come se decine di disastri non ci avessero insegnato niente.
Spiega lo studio «Societal landslide and flood risk in Italy» pubblicato nel 2010 sul «Natural Hazard and Earth System Sciences» da Salvati, Bianchi, Rossi e Guzzetti e ripreso da Silvio Casucci e Paolo Liberatore del «Cles», che «nel corso degli ultimi 60 anni circa (1950-2008) sono stati rilevati in Italia rispettivamente 967 eventi franosi e 613 eventi alluvionali » con danni alla popolazione.
In media, ogni frana «ha causato oltre 4 fatalities (morti e dispersi), mentre un’alluvione circa 2».
Facciamo due conti? Oltre cinquemila morti.
Più quelli causati dai terremoti e da altri disastri naturali che la studiosa Emanuela Guidoboni (cui è stato chiesto finalmente dalle autorità fino a ieri sorde come mai avesse scritto l’anno scorso il libro «Terremoti a Ferrara e nel suo territorio: un rischio sottovalutato ») ha calcolato in almeno 200 mila dall’unità d’Italia ad oggi.
Quanto ai danni patrimoniali, prendiamo i dati (per qualcuno sottostimati) di un rapporto della Protezione civile del settembre 2010: «I terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro (a prezzi 2005), che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale. (…) Attualizzando tale valore, si ottiene un valore orientativo complessivo dei danni causati da eventi sismici in Italia pari a circa 147 miliardi e, di conseguenza, un valore medio annuo pari a 3.672 milioni di euro ».
Una montagna di soldi.
Soprattutto se messi a confronto con quanto stimò un giorno Guido Bertolaso: «Per mettere in sicurezza tutto il nostro Paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro».
Quante vite, quanti strazi, quante rovine ci saremmo risparmiati affrontando la vera grande emergenza di questo Paese, e cioè uscire dalla cultura dell’emergenza?
Certo, la mazzata di questi giorni colpisce duro un Paese già in difficoltà .
La storia del Friuli, che seppe reagire al terremoto del 1976 e non si lasciò demoralizzare e ricostruì le fabbriche e insieme, mattone su mattone, il duomo di Venzone e tutti i centri storici devastati, è però di luminoso incoraggiamento. I friulani non si limitarono a rimettere a posto le pietre delle chiese e far ripartire i macchinari delle fabbriche.
Approfittarono della catastrofe per darsi nuove regole nell’edilizia, far rivivere i centri storici, rilanciare le loro imprese, allargare la loro economia. E chissà che un giorno non possiamo ricordare il dolore di queste settimane come punto di partenza di una rinascita.
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
TASSA DI DUE CENTESIMI AL LITRO PER IL SISMA IN EMILIA, MA LO STATO INCASSA ANCORA PER IL FRIULI, IL VAJONT E L’ABISSINIA
Due centesimi di euro al litro possono non sembrare una gran cifra, ma l’accisa relativa al terremoto che ha colpito martedì l’Emilia Romagna tra il 20 e il 29 maggio va ad aggiungersi a una lunga serie di imposte sulla fabbricazione e vendita del carburante che datano indietro anche di trent’anni. O Settanta.
QUANT’È IL PESO SUL DISTRIBUTORE
La tassa per la ricostruzione del modenese e del ferrarese si somma, infatti, a quelle di altri sismi e catastrofi.
Già a febbraio, prima quindi della recente emergenza, il Senato si era trovato a discutere numerose mozioni riguardanti proprio le accise dei carburanti nelle zone di confine.
Una delle mozioni chiedeva al governo di porre in atto agevolazioni per i residenti nelle zone di confine, che preferivano andare all’estero a rifornirsi piuttosto che pagare imposte e Iva (perchè un’accisa è anche soggetta a Iva) fino al 65-67 per cento del valore del carburante.
Ed elencava nel dettagli i balzelli che affliggono le pompe.
GUERRE COLONIALI E ALLUVIONI
Le tasse sul carburante sono, denunciava la mozione 558, pari a due terzi del totale, e buona parte di esse sono legate a eventi straordinari del passato divenuti poi introiti ordinari: la guerra di Abissinia in epoca coloniale (1935) e le missioni delle truppe italiane in Bosnia e in Libano (1996) tra i finanziamenti straordinari dell’esercito, e la crisi del canale di Suez del 1956 tra gli eventi strettamente legati al mondo petrolifero.
Ma anche eventi drammatici della storia italiana: il disastro del Vajont (1963); l’alluvione di Firenze (1966); gli aiuti legati ai terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980).
Con l’eccezione poco consolatoria delle missioni all’estero, si tratta di eventi di oltre trent’anni fa, con un picco ai 77 anni della guerra d’Africa, ben più anziana della Repubblica.
Queste accise hanno un peso diretto di circa 25 centesimi al litro, e vanno sommate al decreto Salva Italia dello scorso anno (9,9 centesimi) e a imposte regionali come quelle legittimamente inserite, per esempio, da Liguria e Toscana per coprire i costi delle alluvioni di novembre 2011. Più specificamente, lo scorso anno le tasse sul carburante sono aumentate quattro volte: con il fondo per lo spettacolo (0,92 centesimi in due aumenti successivi), con la guerra in Libia (4 centesimi), con la già citata alluvione di Genova e delle Cinque Terre (0,89 centesimi) e appunto con il Salva Italia.
Maria Strada
(da “Il Corriere della Sera”)
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
IN GIOCO LA SCELTA DEL SUCCESSORE… VECCHIA GUARDIA CONTRO BERTONIANI
In gioco, come è di tutta evidenza, ci sono gli equilibri più delicati del Vaticano.
E lo scontro che si va consumando dietro il Portone di Bronzo riguarda la posta più alta che ci possa essere: la scelta del prossimo Papa.
Così la leggono, almeno, gli analisti più fini.
Secondo una lettura condivisa anche dall’«intelligence» italiana, è in corso una guerra di posizione tra almeno due schieramenti l’un contro l’altro armati.
Da una parte la vecchia guardia, la diplomazia della prestigiosa scuola di piazza della Minerva (Sodano, Sandri).
Dall’altra il nuovo che avanza: Bertone e i suoi fedelissimi (Versaldi, Calcagno, Coccopalmerio, Bertello).
Che le munizioni siano documenti segreti che finiscono ai media, poco conta.
Resta il fatto che i vertici della Santa Sede stanno smottando, una casella alla volta.
Tutti gli «infedeli» debbono essere cacciati, nessuno deve rimanere in sella.
Prima il segretario generale del Governatorato, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò.
Poi il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi.
Non è un mistero che nel mirino dei «corvi» ci sia ora il segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Ieri il Pontefice ha esternato pubblica fiducia verso i suoi più «stretti collaboratori» proprio per puntellare la posizione del suo braccio destro.
E’ la gestione bertoniana, però, che avrebbe scatenato la faida dentro la Curia vaticana. Un passo, in particolare.
La nomina da parte del Papa di 22 nuovi cardinali nel concistoro del 18 febbraio.
Erano mesi che se ne parlava nei corridoi del Vaticano. Ma quando si sono conosciuti i nomi, alla corrente ostile a Bertone è parso chiaro che gli equilibri nel Sacro Collegio stavano cambiando perchè molti dei nuovi cardinali erano italiani e molti quelli considerati di osservanza bertoniana.
E così un intellettuale cattolico che parla chiaro come lo storico Alberto Melloni spiegava fuori dai denti: «Ormai lo hanno capito anche i sassi, è dentro il cuore del potere curiale che si addensa il grosso delle tensioni e delle insoddisfazioni».
Certo, nel collegio cardinalizio la componente italiana è molto forte, ma da che mondo è mondo i cardinali non hanno mai votato guardando alla bandiera.
Gli italiani hanno perso il conclave nel ’78 e nel 2005 non perchè fossero pochi ma perchè erano divisi.
La maggioranza nel prossimo conclave, dunque, è la vera posta in gioco. Ovvero gli equilibri tra le diverse cordate.
Il tutto in vista di una scadenza che è nella natura delle cose, considerando che Benedetto XVI ha compiuto 85 anni.
L’accenno di ieri all’adempimento del suo ministero conferma che Benedetto XVI non ha la benchè minima intenzione di dimettersi.
Una proposta che il direttore del «Foglio» Giuliano Ferrara, tra gli altri, è tornato a prospettare in questi giorni. «Elucubrazioni giornalistiche», l’ha liquidata il portavoce vaticano Federico Lombardi.
Lo stesso Ratzinger, peraltro, non aveva escluso l’ipotesi di dimettersi, nel libro-intervista «Luce del mondo», qualora non fosse più in grado di guidare la Chiesa per impossibilità fisica, psicologica o spirituale, ma aveva precisato che un comandante non lascia la nave nei momenti di difficoltà .
Intanto si annuncia ormai un nuovo concistoro, che si dovrebbe tenere a dicembre e che qualcuno Oltretevere chiama «di risarcimento» perchè dovrebbe ristabilire gli equilibri destabilizzati dall’ultima infornata di porporati.
Anche gli episcopati nazionali manifestano malumore per la sproporzione tra capidicastero premiati con la berretta cardinalizia e Chiese locali sottorappresentate nel Sacro collegio.
La tempistica della fughe di documenti fa pensare ad un piano predefinito, ma resta da vederne gli effetti.
Quanto la «guerra dei veleni» all’interno della Curia romana può accrescere o diminuire le chance di ascesa al Soglio di Pietro di un candidato italiano dopo due pontefici stranieri?
Uno scenario sotto osservazione dell’«intelligence» soprattutto da quando un papabile italiano (l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola) è in pole position per la successione. «Il Papa non è fuori dalla disputa, alla fine farà giustizia ed emergerà chiaramente chi avrà vinto e chi avrà perso in questa contesa», assicura un cardinale «mediano» tra le due fazioni in lotta.
La commissione cardinalizia non fa sconti, tiene «audizioni» con monsignori e porporati, riferisce personalmente al Pontefice ciò che di più grave emerge.
L’attenzione è focalizzata in particolare su un cardinale di Curia di lungo corso.
«I cardinali rispondono al Papa, se ci sono problemi seri che riguardano un cardinale sicuramente dev’essere coinvolto – spiega padre Lombardi -. Non può dipendere dal capo della Gendarmeria o dal magistrato inquirente se interrogare o meno un cardinale».
La commissione d’inchiesta raccoglie testimonianze e informazioni su Vatileaks, ma è tutt’altro che risolta anche la partita-Ior.
Nel «direttorio» della banca del Papa, i cardinali Nicora e Tauran hanno chiesto chiarimenti sulla sfiducia a Gotti Tedeschi. «Non poteva restare presidente: faceva scenate in consiglio e trattava male gli altri componenti laici del board», spiega un banchiere vicino a Bertone.
Se l’orizzonte ultimo è il conclave, la tappa intermedia è la segreteria di Stato.
A dicembre Bertone compie 78 anni e il Papa potrebbe sostituirlo per pacificare la Curia. A seconda se al suo posto andrà il ministro degli Esteri Mamberti (continuità ) o Sandri (cambio di direzione) si capirà quale fazione ha avuto la meglio.
Giacomo Galeazzi e Francesco Grignetti
(da “la Repubblica”)
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
E’ QUANTO EMERGE DALLE STATISTICHE SULLE DICHIARAZIONI PUBBLICATE NEL 2011… IL REDDITO MEDIO DEI TASSISTI E’ SOTTO I 15.000 EURO, AI PRIMI POSTI FARMACIE (109.000) E NOTAI (318.200)
Al primo posto ci sono i notai, all’ultimo i dipendenti degli istituti bellezza e i sarti.
I fornai dichiarano più dei gioiellieri e gli autonomi in media solo 27.300 euro l’anno. E’ quanto risulta dalle statistiche sulle dichiarazioni pubblicate dal Dipartimento delle finanze del 2011 sull’anno di imposta 2010 da cui emerge la classifica dei redditi nei principali studi di settore, da quelli mini dei tassisti o dai venditori di automobili fino a quelli di farmacisti e medici.
Il reddito medio dichiarato è risultato pari a 27.300 euro per le persone fisiche (+3,1% rispetto al 2009), 37.500 per le società di persone (+4.3%) e 31.600 per le società di capitali ed enti (+19,7%).
Per quanto riguarda l’attenzione sull’attività esercitata, il reddito medio più elevato si è registrato nel settore delle attività professionali (49.500 euro) seguito dal settore dei servizi (26.900 euro), dal settore delle attività manifatturiere (29.200 euro), mentre il più basso si è registrato nel commercio (20.400 euro).
Ultimi per gettito i lavoratori degli istituti di bellezza con 6.500 euro annui. Seguono i sarti con 8.200 euro, poi i negozi di abbigliamento e scarpe a quota 8.600 euro e le tintorie e lavanderie con 9.700 euro.
Superano i diecimila i negozi di giocattoli (10.700) le profumerie con 11.500 e i pellicciai con 12.200.
Salendo nella classifica ci sono parrucchieri (12.600), fiorai (12.700) e pescherie (13.300).
Chi lavora nei servizi della ristorazione dichiara in media (14.300), alberghi e affittacamere 14.700, 14.800 gli autosaloni e i taxi 14.800.
Gli stabilimenti balneari si fermano a 15.400 euro e sono superano di poco bar e gelaterie con 16.800 euro.
Giù nella classifica i gioiellieri (17.000) che dichiarano cento euro in meno dei negozi di alimentari (17.100) e seguono macellerie (17.300), pasticceri (18.900), imbianchini e muratori a 22.900.
I meccanici sono a 24.700 e i fornai (25.100) precedono di quattro mila euro gli architetti (29.600).
Salendo in classifica ci sono invece sale da gioco e biliardo (55.300), avvocati (57.600), commercialisti e contabili (61.300). E ai primi tre gli studi medici (69.800), farmacie (109.700) e notai (318.200).
Sono circa 5,122 milioni i contribuenti che nel 2011 hanno presentato la dichiarazione Iva per l’anno d’imposta 2010, con un calo (-1%) rispetto all’anno precedente, dovuto principalmente alla mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti in “regime dei minimi”, la cui adesione nel 2010 è in crescita del 14,4% rispetto all’anno precedente.
E i contribuenti con volume d’affari oltre 7 milioni di euro (circa lo 0,85% del totale, prevalentemente società di capitali) detengono circa il 66% del totale.
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
“LA CRIMINALITA’ ECONOMICA STRANGOLA L’ITALIA, SERVONO NUOVI STRUMENTI”… IL RESPONSABILE DEL DIPARTIMENTO CHE A MILANO PERSEGUE I REATI FINANZIARI INVOCA LA REINTRODUZIONE DEL FALSO IN BILANCIO E DEL REATO DI AUTORICICLAGGIO
Nuove norme per battere i criminali economici quelli che possono non lasciare tracce perchè mancano gli strumenti giuridici per inseguirli e catturarli.
“La criminalità economica sta strangolando l’Italia”riflette il procuratore aggiunto alla Procura di Milano, Francesco Greco, nel corso della presentazione del Protocollo Quadro Nazionale tra ministero dell’Interno ed Enel, che ricorda come l’Italia non abbia un il reato di autoriciclaggio: un’assenza dal codice penale che il nostro paese divide con “Cina e Tanzania, e non è un caso, non ce l’hanno, ce l’ha anche il Vaticano”.
Per Greco è impossibile andare avanti così”.
L’aumento della criminalità economica, rileva l’ex pm di Mani Pulite, “è impressionante mediamente del 35% con punte del 400% per i reati fiscali e di bancarotta”.
Del resto sono si può dimenticare e il responsabile del dipartimento che persegue i reati finanziari non lo fa “i 60 miliardi di danni dovuti alla corruzione”, i soldi portati all’estero, l’evasione fiscale, “tutte risorse sottratte alla crescita”.
Un ragionamento che porta il magistrato ad argomentare che “la criminalità economica è il problema principale della crescita zero in Italia”.
E per combattere questa piovra bisogna reintrodurre il reato di falso in bilancio.
“Si tratta di una cartina al tornasole della volontà di combattere la criminalità economica — osserva il pubblico ministero — .Penso che il falso in bilancio, che è stato abolito nel 2002, sia una norma cardine e che non ci possiamo permettere di non avere. I problemi del falso in bilancio e dei fondi neri — spiega — sono problemi strutturali in Italia e qualche riflessione andrebbe fatta e il Parlamento dovrebbe adottare una normativa più seria ma non mi sembra ancora il tempo”.
Altro punto sul quale lavorare, soprattutto per le imprese che danno lavori in subappalto, è “l’obbligatorietà della tracciabilità dei pagamenti”.
“Siamo di fronte a fenomeni nuovi e pertanto abbiamo bisogno di nuovi strumenti” continua Greco che si auspica che in “Parlamento si riesca a modificare queste cose. Lo sappiamo. Lo dicono tutti. Il problema della criminalità economica sta strangolando l’Italia. La corruzione, il riciclaggio, l’evasione fiscale sono risorse sottratte allo sviluppo del Paese. Ci vuole una grande assunzione di responsabilità ”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
PER SCIOGLIERE LA RISERVA SARA’ DECISIVA LA LEGGE ELETTORALE CON CUI SI ANDRA’ AL VOTO…DIALOGO APERTO SIA CON IL MONDO IMPRENDITORIALE CHE CON QUELLO ACCADEMICO
Si trincerano dietro i “no comment”, “non c’è ancora nulla di deciso”, “non facciamo futurologia”, “scendiamo in campo solamente se ci sono le condizioni per farlo”: a quanto pare il silenzio è d’oro, almeno per i potenziali uomini di Luca Cordero di Montezemolo che, sempre con molti forse, potrebbe correre con una sua lista alle politiche del 2013.
La prognosi dovrebbe essere sciolta in tempo per la convention del 14 luglio, forse in ossequio alla flebile apertura (l’unica, peraltro) espressa da Montezemolo alla proposta del modello presidenziale a doppio turno alla francese lanciata da Silvio Berlusconi.
Che permetterebbe ai leader in lizza di guardare alle alleanze nella seconda fase delle elezioni.
Sì, perchè sul futuro politico (o sulla sua rinuncia) di mister Ferrari, dirimente sarà la legge elettorale con cui si andrà al voto.
E forse proprio in attesa dei futuri esiti delle riforme istituzionali, l’ultima parola del leader in pectore potrebbe essere inviata a subito dopo l’estate.
Nel frattempo, però, l’associazione Italiafutura prova a tessere la propria tela, seppure in ordine sparso.
A cominciare dal quel nucleo fondante che pure aveva preso le distanze dal movimento dove i ripetuti stop and go di Montezemolo, ma che ora potrebbe tornare a trovare interessante un’iniziativa volutamente sganciata da vecchi partiti politici: e se lo storico Miguel Gotor ha già fatto sapere di avere orizzonti diversi (e interni al Pd) da quelli che lo avevano portato a entrare nel comitato direttivo di Italiafutura, diverso pare essere l’esito per l’economista ex veltroniana Irene Tinagli che, insieme con l’altro outsider proveniente dalla London School of Economics Marco Simoni, pare pronta a tornare a un impegno diretto nel costruendo movimento politico, sin qui nelle mani dell’ex dalemiano Andrea Romano, l’economista (pure lui ex dalemiano) Nicola Rossi e il manager Carlo Calenda.
Molti i legami con la stagione confindustriale di Montezemolo, a cominciare dal coordinatore nazionale Federico Vecchioni, all’epoca presidente di Confagricoltura e che qualcuno lo scorso anno voleva in predicato al ministero dell’Agricoltura nell’era Monti. Invece, dopo aver fatto decollare la filiale toscana di Italiafutura, lo scorso dicembre Montezemolo gli ha affidato l’incarico di sovrintendere allo sviluppo della rete di associazioni regionali su tutto il territorio nazionale.
Dodici già sono operative, ma l’obiettivo è quello di raggiungere una ventina per luglio, in modo da coprire tutte le regioni.
La strategia ovunque, è quella di aprire un dialogo non solamente con il mondo imprenditoriale, ma anche con quello accademico, sullo schema di quanto fatto nel ’93 da Berlusconi: fuori la politica, dentro la società civile.
Operazione che però ha avuto un suo appeal a Nord, ma meno a Sud.
Così, in Lombardia emerge il nome di Sergio Scalpelli, ex assessore della giunta Albertini e che dovrebbe avere un ruolo strategico da ideologo, insieme con quello di Alessandro Cè, ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia, ex deputato della Lega Nord ma, soprattutto, collegato all’associazione “Verso Nord” fondata dal filosofo ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari.
Sul versante emiliano, invece, si cercano ancora soluzioni, ma forti della presenza in Romagna di una sede a Faenza, guidata da Massimo Bucci, già presidente regionale di Confindustria, quando a Roma sedeva Montezemolo.
Recentissima, infine, la soluzione per la Liguria dove Italiafutura è stata affidata al costituzionalista bocconiano Lorenzo Cuocolo.
Tra lui e Luca Cordero sarebbe stato amore a prima vista.
Non così facile, invece, il radicamento a Sud. Tranne che in Puglia, dove a coordinare i lavori è lo stesso Nicola Rossi.
Anche se autorevoli rappresentanti dei palazzi romani, raccontano di un meeting a Bari “animato da anziane vecchie glorie confindustriali e da un paio di consiglieri regionali di centrodestra con qualche problema giudiziario”.
La stessa fonte, assicura che sul piano nazionale, come su quello locale, sarebbero in molti che, prevedendo l’imminente estinzione del vecchio ceto politico, sarebbero pronti a traslocare armi e bagagli verso il nuovo che avanza, ovvero colui che Carlo Donat Cattin soleva chiamare “Libera e bella” in omaggio alla sua chioma fluente.
Difficile capire quali siano le reali intenzioni di Montezemolo che vuole mantenere il vantaggio garantitogli da un ottimo 24% indicato dai sondaggi, a patto che non si mischi con i vecchi partiti (da cui i fraintendimenti con Pier Ferdinando Casini e Berlusconi), quanto dal Governo (rendendo molto poco probabili le pur ventilate candidature di Corrado passera e Andrea Riccardi che non hanno mai nascosto la propria simpatia per il potenziale leader).
In Parlamento, però, una pattuglia di sostenitori del “partito dei carini”, già c’è, rappresentata alla Camera dai transfughi del centrodestra Giustina Destro, Fabio Gava e Roberto Antonione che dialogano con quell’area del Pdl delusa dall’abbandono del campo liberale, rappresentata da deputati come Giorgio Stracquadanio e Isabella Bertolini.
Una prova generale dell’italfuturismo d’aula c’è già stata in occasione dell’approvazione della legge sul finanziamento pubblico, quando i ribelli del Pdl hanno fatto propria la proposta depositata al Senato proprio da Nicola Rossi, per la totale abolizione del finanziamento.
Proposta che andava in direzione diametralmente opposta a quella del Pdl. Ma sarebbe proprio a Palazzo Madama il nocciolo duro dei parlamentari che strizzano l’occhio a Montezemolo: Rossi avrebbe dalla sua sia il democratico Marco Follini sia l’ex margheritina ora nell’Api Emanuela Baio Dossi.
E c’è chi garantisce che Nicola Rossi abbia dalla sua, già i dieci nomi utili a formare un gruppo autonomo.
Forse, visto che quel che manca è il partito.
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
LA SCELTA PER ARGINARE IL FENOMENO GRILLO… IL LEADER PD PRONTO A CANDIDARSI A PREMIER, MA RENZI E GLI ULIVISTI CHIEDONO LE PRIMARIE
Chi pensava che Bersani sarebbe rimasto fermo, ad attendere gli eventi, si è sbagliato, e di grosso.
Il segretario ha annusato l’aria, e, visti i pericoli che potevano incombere, ha deciso di agire.
Al leader del Pd non è sfuggito il fatto che ormai anche dentro casa qualche cosa si stava muovendo. Nella pax bersaniana, firmata ormai quasi due mesi fa, si stava per aprire una piccola crepa.
Già , perchè se alla fine Walter Veltroni scalpita e Massimo D’Alema continua a pensare che anticipare le elezioni sia la migliore soluzione possibile, entrambi hanno comunque siglato quell’armistizio e, almeno per il momento, non intendono romperlo. Il rischio non veniva – e non viene – dai big del partito ma dall’asse che si è creato tra gli ulivisti e il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Parisi e i suoi hanno deciso di chiedere ufficialmente le primarie in Direzione.
Erano pronti a farlo martedì scorso, torneranno alla carica lunedì.
LE PRIMARIE
A questo drappello si è unito un altro gruppo, capeggiato dal consigliere regionale lombardo Giuseppe Civati, che, nonostante i dissapori con il sindaco di Firenze, ritiene, al pari di Renzi, che le primarie siano indispensabili per ridare credibilità al Pd.
L’ordine del giorno per chiedere di tornare a utilizzare questo strumento di consultazione era pronto per martedì. La Direzione è poi slittata, causa terremoto, però la questione verrà affrontata nella prossima puntata, lunedì.
Bersani pensa di cogliere alla sprovvista i suoi avversari interni e di rilanciare l’immagine del Pd all’esterno con una mossa a sorpresa.
Quale? Si tratta di quella grande iniziativa che era stata preannunciata e che molti credevano si limitasse alla controproposta da opporre a Berlusconi in termini di riforma istituzionale. Non è così: il segretario sta scaldando i motori per un’uscita in grande stile che riguarda non solo il suo partito, ma il centrosinistra tutto.
Certo, lo slittamento della Direzione, un «atto dovuto» come lo definiscono gli stessi bersaniani, rischia di attenuare l’effetto sorpresa e di far cambiare i piani al segretario, magari facendo passare qualche giorno ancora, dopo la Direzione.
Per il grande annuncio. Ma la linea ormai è stata decisa e il leader del Pd non ha intenzione di discostarsi dal tracciato.
PREMIERSHIP
L’idea, per dirla in poche parole, è quella di annunciare la propria candidatura alla premiership e di dire di sì alla presentazione di una lista civica che affianchi il partito alle prossime elezioni.
Le due cose insieme dovrebbero servire ad arginare l’astensionismo e il fenomeno Grillo, oltre che a tagliare le unghie agli avversari interni.
La lista civica che dovrebbe coinvolgere un personaggio di grande carisma come Roberto Saviano.
Qualche bersaniano ha alzato il sopracciglio, venendo a sapere le intenzioni del capo. E dicono che anche D’Alema mal digerisca la cosa.
Ma è anche vero che questo è l’unico modo per fronteggiare la richiesta delle primarie. Renzi non ha mai fatto mistero con nessuno che, in caso di una sua candidatura alla premiership, andrebbe avanti come un treno.
«Il mio programma–ha spiegato il sindaco di Firenze a qualche amico–è quello di rinnovare. E quindi basta deroghe sui mandati: io proporrò che persone come D’Alema e Veltroni non si presentino. Il rinnovamento o lo si fa sul serio o non lo si fa per niente».
E, com’era ovvio, questa confidenza è giunta anche alle orecchie dei diretti interessati. La contromossa di Bersani è l’unico strumento con cui sparigliare e silenziare (se non archiviare) le primarie.
Un’operazione gattopardesca secondo Renzi e gli ulivisti.
Un’operazione salvezza, se la si guarda dall’altra parte.
Maria Teresa Meli
(da “Il Corriere della Sera“)
ECCO LA SMENTITA DI ROBERTO SAVIANO
Passano poche ore e lo scrittore, nella sua rubrica in edicola sull’Espresso di domani, smentisce le voci di un impegno in politica. “Chi diffonde queste informazioni ha paura di chi non viene percepito come schierato e vuole delegittimarmi. Mi capita spesso di leggere articoli che danno per certa la mia candidatura politica. Non è importante in quale ruolo e in quale partito, la cosa certa è, che dicono, “sto per candidarmi”. Ovviamente è falso. E’ dal 2006 che, mentendo, annunciano la mia candidatura. Chi fa disinformazione, quando terminò “Vieniviaconme”, dava per certa la mia candidatura. E ora che è finito “Quello che (non) ho “, spuntano notizie dello stesso tenore.
Il punto è che per queste persone, chiunque non venga percepito come schierato, fa paura e va delegittimato.
Il messaggio implicito è: “Questo qui fa di tutto per ottenere consensi, perchè il suo scopo è fare politica”. Il mio mestiere è quello di scrivere, ma non rinuncio alla possibilità di costruire un nuovo percorso in questo paese. Ridare dignità alle parole della politica è invece la premessa alla rinascita. Ripartire dalle parole significa costruire prassi diverse. Perchè le parole sono azione”.
(da “la Repubblica“)
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
A GENOVA NEL MIRINO FINISCE IL BILANCIO INTERNO E LA TRACCIABILITA’ DEI VERSAMENTI: A CHI E’ INTESTATO IL CONTO? … NEL TIGULLIO RIUNIONI SEGRETATE E ADESIONI DI RICICLATI A VOLONTA’
Ebbene sì, Beppe Grillo non vuole proprio affrontare i problemi.
Così ciò che era di facile soluzione negli anni passati è diventato, con il tempo. sempre più complesso da risolvere.
A Savona il M5S si è ripreso. Dopo le timidezze iniziali, nella scorsa campagna elettorale trovano, via via, coraggio e, una volta entrati nel Consiglio Comunale, hanno dimostrato di saper affrontare seriamente le questioni ed anche la forza di denunciare certe pratiche sia pubblicamente, sia alla Procura.
Nel savonese però non c’è solo Savona…
Ad Andora, con l’attuale amministrazione guidata da un sindaco PD, con un vice del PDL, dove le infiltrazioni mafiose nei lavori pubblici sono state pesanti, così come quelle di faccendieri e speculatori di ogni specie, il nascente M5S vede alla sua “guida” uno dei principali cementificatori del territorio.
Alle “stelle” si aggiungono quindi le betoniere!
Ad Albenga, con l’amministrazione guidata dalla Lega, dove le imprese della ‘ndrangheta trovano sempre accondiscendenza nelle deliberazioni dell’Ente (così come quando era il PD, nel passato ciclo amministrativo, a guidare il Comune), alla costruzione del M5S si mettono all’opera riciclati della politica e qualche massone.
Nell’imperiese abbiamo il caso di Bordighera, dove a promuovere il M5S vi è uno dei politici locali di vecchia data (già conosciuto anche con il sopranome di “Mille Tessere”), nonchè massone ufficiale, che era stato anche tra i sostenitori della prima amministrazione Bosio (la prima su cui la Commissione di Accesso ha evidenziato esservi già i condizionamenti della ‘ndrangheta).
Ora si è aggiunto “il caso” Imperia.
Qui il M5S che si candida a gestire la cosa pubblica nel nome delle regole e della correttezza, si è visto sciogliere la riunione dai Carabinieri, perchè pur volendo candidarsi alla gestione del Comune, non hanno saputo manco organizzare un’assemblea pubblica (non hanno dato avviso dell’incontro ed avevano occupato uno spazio privato senza chiederne la concessione).
A Genova, oltre a quanto avevamo già scritto e documentato i problemi si moltiplicano…
Il Secolo XIX di oggi (30 maggio 2012) pubblica un articolo in cui evidenzia un fatto estremamente grave… e verificando i fatti esposti (attraverso proprio quanto pubblicato direttamente dal M5S genovese sulla propria piattaforma ufficiale) si ha conferma della fondatezza di quanto scritto dal quotidiano ligure.
Ecco qui l’articolo integrale:
Il caso – Il documento pubblicato sul web: nessuna tracciabilit�
MA A GENOVA IL BILANCIO DI CINQUE STELLE NON APPLICA LE REGOLE SUL FINANZIAMENTO
Ancora una volta è la rete a montare le accuse e le teorie che accusano il movimento grillino genovese. Nel mirino è il documento di Bilancio dei 5 Stelle pubblicato su internet: secondo una prima analisi, il file non rispetta — o meglio — non applica la legge sul finanziamento dei partiti.
Per una verifica della situazione il Secolo XIX ha provato ieri a contattare i portavoce del movimento, ma nè il candidato sindaco Paolo Putti nè il primo degli eletti Mauro Muscarà hanno risposto al telefono.
La sostanza dell’accusa è questa: primo punto, sono diversi i nomi del committente della compagna elettorale e quelli sia degli intestatari dei conti correnti sia del numero identificativo di PostePay.
Secondo punto: il bilancio è composto per poste di entrata e uscita dirette unicamente a persone fisiche.
Quindi: non esiste tracciabilità dei fondi in entrata (c’è solo il nome di chi incassa) nè dei fondi in uscita: il pagamento di una serie di affitti o di una serie di forniture (fino a 4 mila euro mensili la voce più consistente) non è “giustificato” da una fattura ma dal nominativo del socio che ha provveduto al pagamento.
Insomma, delle due l’una: o il bilancio pubblicato su internet è unicamente a uso e consumo della comunicazione o — se è il documento autentico — non risponde alla normativa sul finanziamento dei partiti politici.
Non basta. Verificando quanto riportato, salta agli occhi un altro, ulteriore, particolare.
Il M5S avrebbe aperto un conto su “Pay Pal”.
Questo conto risulta intestato a “Movimento 5 Stelle Genova”.
Non è un conto “personale” quindi… ma PayPal per aprire un conto non personale (di un associazione, ente o soggetto di altra natura) richiede esplicitamente il codice fiscale o partita iva, nonchè i documenti ufficiali del soggetto collettivo intestatario del conto, nonchè la sede legale ed i dati del responsabile legale.
Ora non risulta — anche stando a quanto ripete sempre Beppe Grillo — che i M5S locali abbiano un codice fiscale, una partita iva, una sede legale, così come non risulta siano costituiti in struttura formale con un responsabile legale.
Quindi quel conto a chi è intestato?
Nel levante di Genova, nel Tigullio, sempre come evidenzia il Secolo XIX con un altro articolo, ci si ritrova nuovamente ad un nascente M5S molto particolare…
Il Movimento di Grillo che fa della trasparenza un cavallo di battaglia e che vorrebbe alle riunioni dei Comuni e delle Regioni la web cam pronta ad immortalare facce e interventi, non vuole però che si sappia chi partecipa alle loro riunioni, cosa viene detto e non vuole nemmeno che vengano pubblicate foto dei loro incontri, se non quella del loro portavoce, Attilio Martino Mello, che è l’unica che autorizzano a pubblicare.
Se andiamo a vedere, una Loggia massonica ha più trasparenza, si potrebbe dire…
Detto questo, cosa ci raccontano i cronisti sui grillini del Tigullio, su chi risulta nel meetup del nascente M5S?
Questo: “Alcuni arrivano dalle recenti elezioni amministrative di Chiavari. Sono Alessandro Monti (già capogruppo consiliare di Partecip@ttiva e consigliere più votato della lista) che scrive: «Da anni mi impegno per una alternativa alla politica dei partiti nazionali che guardano al nostro territorio sempre in modo speculativo»; Corrado Sanguineti (altro candidato consigliere del movimento civico Partecip@ttiva); Barbara Polimeni (candidato consigliere di “Lista Piombo – Chiavari nel cuore” che, per sgomberare il campo da qualsiasi dubbio, commenta: «Uscita da poco da esperienza elettorale che mi ha nauseata»). Noti sono anche Giansandro Rosasco, portavoce del comitato pro tunnel Rapallo/val Fontanabuona; Giovanni Traversaro, architetto di Sestri Levante, città nella quale, come ricorda lui stesso, ha «ricoperto la carica di consigliere e sindaco», eletto «con un programma all’insegna del rinnovamento, tuttora valido»; Diego Marchiolè, consigliere comunale di Carasco, Comune del quale alle ultime elezioni amministrative si è candidato sindaco.”
Ecco… mentre Grillo evita di affrontare i problemi, il M5S, in Liguria, se lo sono già mangiato… e quando forse darà un cenno di risposta se lo saranno già digerito!
(da “CASA DELLA LEGALITA“)
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