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GENOVA AL BALLOTTAGGIO, L’ULTIMA SFIDA TRA GLI OPPOSTI

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

IL VENDOLIANO DORIA CONTRO IL LIBERALE MUSSO AL BALLOTTAGGIO CON UN PO’ DI NERVOSISMO A SINISTRA, DOPO IL SUCCESSO DEI GRILLINI… QUALCHE PROBLEMA NELL’IDV, MENTRE IL PDL SI DIVIDE: VINAI PREFERISCE DORIA, BIASOTTI INDICA MUSSO

E anche il marchese Doria scoprì gli attacchi personali.
Negli ultimi giorni di campagna elettorale per sapere chi governerà  la Superba il candidato del centrosinistra ha accusato, come sempre, i tagli praticati dal governo.
Ma ha calcato la mano sul fatto che il governo “è sostenuto dal senatore Enrico Musso“. Eppure non ci dovrebbe essere partita.
Gli ultimi sondaggi che circolano danno lo sfidante sostenuto dalla sua lista civica e dal Terzo Polo molto al di sotto di Marco Doria, 64 a 36 circa.
Ma il nervosismo è montato, in questo periodo di ballottaggio, dopo il terremoto causato dal Movimento Cinque Stelle, che ha avuto come epicentro la zona d’origine del candidato sindaco Paolo Putti, il quartiere di Murta, dove addirittura arrivò in testa al primo turno.
I grillini, dal canto loro, hanno una posizione solida.
Al ballottaggio, si va al mare, dato che, come dicono i manifesti di Doria “hanno dato sole”.
Oppure, se proprio non si può fare a meno delle urne, scrivere “Movimento 5 Stelle” sulla scheda. In ogni caso, nella riunione di mercoledì scorso nella sede genovese del Movimento si è parlato di ambiente, di difesa dei parchi pubblici e della salvaguardia dalla chiusura dell’unico istituto agrario di Genova.
Ma di ballottaggio neanche l’ombra. Il movimento resta saldo nei suoi intendimenti: i due candidati sono espressione di poteri forti contrapposti, seppur persone degne e perbene.
E che sulle Grandi Opere, chi più chi meno, sono tutti favorevoli in linea di massima. Non c’è solo questo.
Anche sul fronte interno ci sono i primi problemi.
Stefano Anzalone, assessore allo sport uscente della giunta di Marta Vincenzi e primo degli eletti dell’Italia dei Valori, ha subito chiesto per il suo partito due assessorati nella prossima giunta, facendo venire di nuovo a galla tutti i malumori del partito di Di Pietro che non partecipò alle primarie e minacciò più volte lo strappo con la coalizione.
Tanto che nelle elezioni per i singoli municipi, in Val Polcevera l’Idv ha presentato un candidato che ha raggiunto il 7,61%.
Antonio Di Pietro, pochi giorni dopo la vittoria di Marco Doria alle primarie aveva detto “prima di sposarci, vogliamo conoscere meglio il fidanzato”.
Anche a costo di contrarre un matrimonio d’interesse, a quanto pare.
Infine, le poche buone carte di Enrico Musso. Si è già  scritto del suo carisma, del suo essersi posto come candidato di rottura con i partiti, anche con quelli che lo sostengono, come l’Udc, che ha presentato i candidati nella lista civica (eleggendo, in caso che Doria sieda a Palazzo Tursi, 3 consiglieri su 4).
Marco Doria ha sempre rimarcato la sua totale diversità  da Musso, sul piano politico. E quest’ultimo non ha certo rifiutato, anzi.
Per Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni e membro della Fondazione Oltremare, questo è un caso più unico che raro: “In queste elezioni si scontrano due opposte visioni economiche, diversamente da altre volte quando i due blocchi di sinistra e destra dicevano più o meno le stesse cose, sia pur con toni diversi”.
E aggiunge: “Tanto per cominciare, Doria crede che la spesa pubblica sia intoccabile e che si debbano reperire risorse per mantenere l’apparato così com’è. Mentre per Musso è la pressione fiscale a dover essere mantenuta invariata e a tagliare invece le spese”.
Cominciando dall’occupazione: “Doria vuole tenere legati le attuali imprese a Genova con qualunque mezzo e ad ogni costo, Musso invece si preoccupa di creare le condizioni favorevoli per gli imprenditori di domani”, passando per la dismissione degli immobili pubblici: “Per una famiglia in stato di bisogno è meglio una casa popolare fatiscente e con pochi servizi oppure un assegno per pagar loro la sistemazione presso un privato?” e finendo con una delle opere della discordia, il Terzo Valico ferroviario: “Certo, se fossi il ministro dell’economia, non so se una simile spesa sia davvero giustificata dal flusso delle merci attuale. Ma da sindaco di Genova non avrei alcun dubbio a sostenere la necessità  dell’Opera”.
Una visione autenticamente liberale contro una statalista, dunque.
Nella città  più vecchia d’Italia, uno dei principali erogatori di buste paga è l’Inps.
L’esito quindi, sembrerebbe scontato.
E il centrodestra rimasto fuori dai giochi? Va in ordine sparso.
Il Pdl, per bocca dell’ex governatore ligure Sandro Biasotti ha deciso di sostenere Musso mentre l’ex candidato sindaco Pierluigi Vinai ha detto di sentirsi “umanamente più vicino a Doria” e si è autodefinito un “keynesiano”.
Tutto il contrario della Lega: all’inizio Rixi aveva dichiarato il suo appoggio a Musso e successivamente è stato smentito da un comunicato del partito che invece invitava elettori e militanti all’astensione.
In ogni caso Rixi alla fine ha notificato ai genovesi che andrà  in montagna: con buona pace di tutti.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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PER BOSSI IL DAY AFTER NEL DRAMMA, “PIANGE E PENSA AL RITIRO”: SE PENSASSE A RESTITUIRE I SOLDI NON SAREBBE MEGLIO?

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

POCA SOLIDARIETA’ PER IL LEADER A VIA BELLERIO, FINO A IERI SERVI OGGI CASCANO DAL PERO… SALVINI: “LA LEGA PRESCINDE DAI NOMI”… MARONI, BONTA’ SUA: “CHI VORRA’ POTRA’ CANDIDARSI AI CONGRESSI”

Raccontano che così non l’hanno mai visto. “A mezzogiorno l’ha chiamato uno dei triumviri ed è scoppiato a piangere… E’ distrutto”.
Il tono di voce del dirigente maroniano, uno di quelli già  incasellati nell’organigramma della rifondazione leghista, si incrina nel descrivere lo stato psicologico di Bossi versione day after.
Anche un segno di rispetto, oltre all’onore delle armi. “In venticinque anni l’Umberto non è mai stato così giù. E’ finito nell’angolo, ha intorno terra bruciata e, fuor di retorica, stavolta non so se e come riuscirà  a reagire”.
La valanga che si è staccata e che sta trascinando a valle la famiglia di Gemonio si ingrossa ogni giorno, ogni ora.
Sotto c’è lui, il druido padano tradito e ferito, il vecchio capo che adesso – sotto i colpi dall’inchiesta giudiziaria che si è abbattuta non più solo su cerchi e cerchietti ma anche su figli e famigli e sull’uomo simbolo – è talmente piegato da non sapere nemmeno come racimolare le forze per “trattare la resa” all’interno della Lega.
Lo vorrebbero presidente. Così prevede il patto con Maroni – ma l’ex ministro ha chiarito ieri che non ci saranno candidati calati dall’alto, e che “chiunque potrà  candidarsi ai congressi” – tuttavia il Bossi attuale non riesce a pensare al futuro.
E’ sotto choc, e forse non solo lui.
Ieri in pochi hanno avuto cuore e coraggio di affacciarsi nell’ufficio in via Bellerio, una specie di bunker.
Qualcuno, però, lo ha raggiunto al telefono e ne ha raccolto lo sfogo da fine impero. “Basta, mi faccio da parte. Andate avanti voi…”.
Il Senatur non ha trattenuto la commozione quando uno dei triumviri ai quali ha affidato il traghettamento della Lega lo ha chiamato per sentire come stava. “Ciao Umberto… “. “Sto male, malissimo…”, ha tagliato corto prima di esplodere in un pianto liberatorio.
Nel pomeriggio si è lasciato andare anche con un amico che non sentiva da tempo e che lo ha trovato avvilito (lui ha usato un altro termine).
Il Senatur, dunque, alza bandiera bianca? Resa, cessate il fuoco o fine delle ostilità ?
I legologhi più attenti dicono che a pensare che questa volta sia come tutte le altre, si commette un grave errore.
In effetti basta ascoltare le parole di Matteo Salvini, pasdaran maroniano, per capire l’aria che tira nel Carroccio. “Bossi ci ha portato fino a qua, detto questo la Lega va avanti e prescinde dai nomi”.
Anche senza Bossi, insomma. Il quale a questo punto lo sa benissimo.
Non è un caso che trentasei ore dopo l’arrivo dei nuovi avvisi di garanzia, il leader leghista non abbia ancora aperto bocca.
Incapace persino di abbaiare alla luna, come aveva fatto quasi sempre.
E i complotti, e Roma ladrona, e il centralismo che “ci odia”, e la giustizia a orologeria, e i magistrati carogne, vecchio adagio berlusconiano.
“Non può più farlo – ragiona ancora il dirigente padano – sarebbe un’uscita dissennata anche per uno imprevedibile come lui”.
Fino a ieri c’era la fila per incrociare Bossi in Bellerio; adesso parlamentari e dirigenti – al di là  delle assemblee del consiglio federale – si tengono prudentemente alla larga.
Il clima si misura anche dalle dichiarazioni. Sciroppose quelle a caldo dell’altro giorno. Tra affetto e solidarietà . Ma ieri a esternare sono stati solo i pochi bossiani ortodossi rimasti.
Perchè scompaginato il cerchio magico, il clan Bossi, quello dei famigli, può contare sostanzialmente soltanto sulla strenua resistenza di due “anelli”: Manuela Marrone e Marco Reguzzoni.
Oltre a una Rosy Mauro ridimensionata ma che continua a essere vicina alla famiglia caduta politicamente in disgrazia.
Da quando ha dovuto lasciare il posto a Gianpaolo Dozzo, Reguzzoni, ex capogruppo alla Camera e un tempo “cocco” di casa Bossi, è praticamente scomparso dalla scena. In parlamento si vede sempre meno, idem alle iniziative sul territorio.
I maligni dicono che si stia molto spendendo nel tentativo di convincere Bossi a non mollare, a resistere a tutto, anche alle sportellate giudiziarie.
Reguzzoni e Manuela, i due consigliori che cercano di tenere in vita artificialmente il Bossi politico.
Un’impresa sempre più ardua.
Forse è l’ultimo atto della cruenta guerra tra bande che, prima e durante le inchieste della Procura, ha ridotto la Lega a un partito sull’orlo del precipizio.

Paolo Berizzi
(da “la Repubblica“)

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LEGA: AL TROTA RIMBORSI PER “CONTO STUDIO”; BELSITO AVEVA CARTA BIANCA DAL 2007

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

E’ QUANTO EMERGE DAGLI ATTI DELL’INCHIESTA… BELSITO AVREBBE INVESTITO ALMENO 9 MILIONI DI EURO IN VALUTA ESTERA NEL 2011 E FORSE POTEVA CONTARE SULLA COMPLICITA’ DI UN FUNZIONARIO DELLA BANCA ALETTI, POI ALLONTANATO

L’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito, indagato da tre procure e da ieri a Milano anche in concorso con Umberto Bossi e i figli Renzo e Riccardo, aveva carta bianca della Banca Aletti a Genova dall’aprile 2007.
E’ quanto emerge dagli atti dell’inchiesta condotta dalla procura lombarda sulla contabilità  del Carroccio.
Dalla documentazione emerge che “Belsito ha operato seguendo la medesima prassi del suo predecessore per il quale non esisteva un documento della Lega che ne limitasse i poteri”.
In banca Aletti vi era una delega a favore dell’amministratore poi espulso a firma onorevole Maurizio Balocchi del 16 aprile 2007 e una procura generale oltre ad una procura su deposito titoli del 7 agosto 2008, riferita sia a Balocchi che a Belsito con firme disgiunte.
Per questo banca Aletti in passato non ha insistito a richiedere la formalizzazione dei limiti e dei poteri.
“Di fatto Belsito — si legge ancora nella documentazione — ha svolto una operatività  senza limiti di importo avvalendosi di una sua autocertificazione dell’aprile 2011 nella quale si dice che il segretario amministrativo ha ad oggi poteri senza limite di importo per l’apertura e la gestione di conti correnti e deposito titoli bancari e postali nonchè richieste di fidejussioni sul territorio dell’Unione Europea”.
Già  nel 2009 banca Aletti aveva chiesto alla Lega la delega rilasciata al segretario amministrativo.
Ma solo il 9 marzo 2012 Belsito presentò alla banca un estratto notarile del febbraio 2010 di nomina del signor Belsito stesso al quale era concessa la facoltà  di firma disgiunta per ogni operazione di spesa che non superi l’importo di 50 mila euro.
In piena crisi dell’euro l’ex buttafuori genovese decise di diversificare i suoi investimenti per il partito e non farli più in euro, bensì in valuta straniera.
“A partire dal novembre-dicembre 2011 — si legge in uno dei documenti relativi alla conti della Lega — in piena crisi della zona euro, Belsito ha drasticamente cambiato le modalità  di investimento alleggerendo la componente euro per circa 9 milioni, verso investimenti in certificati di deposito a breve scadenza in dollari australiani, corone norvegesi e dollari americani. Banca Aletti — è scritto ancora nel documenti — ha sempre proposto alle Lega investimenti estremamente prudenti e conservativi in linea col profilo del cliente.
Il rischio paese ha portato nell’ultimo periodo il cliente verso posizioni sempre piu’ orientate a investimenti con l’estero”.
A un certo punto, Belsito cambia decisamente rotta: “Banca Aletti ha cercato di diversificare tali investimenti cercando di seguire la volontà  del cliente finchè lo stesso ha deciso di agire direttamente sui mercati esteri (Tanzania e Cipro) senza usare piu’ la consulenza della banca”.
Investimenti ”in dollari australiani e Usa” e, come si sapeva, “in corone norvegesi”. Ma anche in sicav   (ovvero società  di investimento a capitale variabile, ndr) e pictet liquidity.
Dagli atti dell’inchiesta che ha travolto il partito leghista emerge anche il 16 dicembre 2009 e il 7 aprile 2010 Renzo Bossi fu beneficiario di due bonifici, rispettivamente di 1.000 e 3.000 euro, da parte di Belsito.
Con questi due versamenti furono coperte gli addebiti della carta di credito del Trota con questa motivazione “conto studio-rimborso spese”.
Emerge anche il figlio del Senatur, che si è dimesso dalla carica di consigliere regionale a causa dello scandalo,   ha un conto presso la banca Popolare di Novara, filiale di Genova, che al 16 aprile 2012 presentava un saldo di 32,79 euro.
Un conto “immobilizzato da più di un anno” e movimentato “movimentato da addebiti per utilizzo di carta di credito, a volte con generazione di debordi coperti mediante bonifico”.
Proprio a causa di “anomalie” emerse nei rapporti con la Lega, un funzionario di una filiale genovese della Banca Aletti, venne allontanato dall’istituto di credito.
“Allo stato attuale — si legge nella documentazione delal banca agli atti dell’inchiesta — pur essendo la situazione esterna in continua evoluzione, emergono anomalie definibili come non conformità  operative”.
Il funzionario, “presso cui sono incardinati rapporti della Lega Nord e di Francesco Belsito” sarebbe stato negligente “per quanto attiene la carente raccolta dei poteri di firma” attribuiti all’ex tesoriere del Carroccio.
E così il 23 aprile 2012 “al funzionario che gestiva i rapporti con Belsito è stato notificato da Banca Aletti un provvedimento di allontanamento temporaneo dai servizi con riserva di formulazione di contestazioni disciplinari”.

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LE COMICHE NON SONO ANCORA FINITE: ORA ANCHE BORGHEZIO FA FINTA DI CANDIDARSI ALLA SEGRETERIA DELLA LEGA

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

PER COPRIRE LE FRANGE INDIPENDENTISTE E FARLE RIMANERE NEL CARROCCIO, DI FRONTE ALLA SVOLTA MODERATA DI MARONI, SPUNTA LA “QUALIFICATA” CANDIDATURA DEL VATE DEL GESTO DELL’OMBRELLO

Roberto Maroni segretario federale nel nuovo corso del Carroccio? “Quando Bossi decide per la Lega, non ne sbaglia mai mezza e anche questa è buona”.
Risponde così, Mario Borghezio, ai giornalisti che gli chiedono della corsa dell’ex ministro dell’Interno alla guida del partito. “Tutte le figure emerse in questi anni nella Lega — aggiunge — mi pare abbiano dato ottima prova di sè. Tutti abbiamo imparato da Bossi — rimarca l’europarlamentare leghista — da Maroni in giù. Se non c’è o viene trascurata la prospettiva indipendentista, qualcuno dovrà  pur alzarne la bandiera. Se non c’è nessuno meglio di me, allora lo faccio io. E state certi che non siamo pochi nel movimento”.
E Borghezio si candida.
L’europarlamentare leghista rientra da Bruxelles e arriva in transatlantico, alla Camera dei deputati, per “ricompattare” gli uomini del Carroccio attorno al capo alle prese con avvisi di garanzia per lo scandalo dell’utilizzo dei soldi dei rimborsi elettorali per le spese personali dei ragazzi.
Borghezio difende a spada tratta il Senatur, indagato per aver firmato il rendiconto, e assicura di essere pronto a scendere in campo, al congresso federale che eleggerà  il nuovo segretario, se le istanze indipendentiste-autonomiste dovessero essere messe in secondo piano nel nuovo corso del Carroccio.
Lo statuto della Lega, ricorda, parla chiaro: cita la prospettiva indipendentista all’articolo 1. Critico su Maroni? chiedono i giornalisti. “Quando decide sulla Lega Bossi non ne sbaglia mai mezza — replica secco — ma l’esperienza indipendentista si deve far sentire. Starò a guardare… Non sono preoccupato ma sto a vedere. E senza questa garanzia scendo in campo, ove i candidati alla segreteria non dessero garanzie ampie”.
“Mi sembra evidente” dice Borghezio a chi gli chiede se nella Lega siano stati commessi degli errori.
Un esempio su tutti? “L’ex segretario amministrativo”, Francesco Belsito, “guardandolo qualche perplessità  avrei dovuto averla. Dunque ho sbagliato anch’io. E quando si commettono degli errori tutti devono assumersi le responsabilità ”.
Come Maroni, un altro che bazzica in Lega da venti anni e fa finta di non essersi mai accorto di una mazza.

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CASA BOSSI, CHE NOIA CHE BARBA: PERSINO GLI ALIMENTI ALL’EX MOGLIE DI RICCARDO FURONO PAGATI CON I SOLDI DELLA LEGA

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

AGLI ATTI UN BONIFICO EFFETTUATO DA BELSITO A MARUSKA ABBATE, EX CONSORTE DEL PRIMO FIGLIO DEL SENATUR

Gli alimenti all’ex moglie dI Riccardo Bossi? Pagava la Lega.
Un’altra “voce di spesa” a carico del partito, dunque, che si aggiunge alle somme sborsate per titoli di studio, contravvenzioni stradali, viaggi e visite mediche dei familiari del Senatùr.
L’hanno individuata i carabinieri del Noe di Roma scavando tra i documenti sequestrati nell’ambito del filone napoletano dell’indagine.
I militari, coordinati dai pm Francesco Curcio, Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, hanno trovato una cartellina sulla quale l’ex tesoriere Francesco Belsito aveva indicato, sul frontespizio, l’intestazione “alimenti”.
All’interno, secondo la ricostruzione investigativa, riferimenti al bonifico che Riccardo Bossi era tenuto a versare alla ex Maruska Abbate dopo la fine del matrimonio.
Tra maggio e ottobre 2011, dalle casse della Lega sarebbero stati prelevati 4.800 euro. I carabinieri guidati dal colonnello Sergio De Caprio, hanno allegato agli atti anche la ricevuta di un pagamento effettuato da Belsito presso l’agenzia di Montecitorio del Banco di Napoli e ritenuta un primo riscontro a quanto indicato nella cartellina.
È cominciato tutto la mattina del 3 aprile, con le perquisizioni in via Bellerio.
La prima a parlare di soldi della Lega utilizzati a scopo familiare e per spese riconducibili anche a Riccardo Bossi era stata la segretaria amministrativa del partito, Nadia Dagrada, sentita come teste dal pm Woodcock e dal pm di Milano Paolo Filippini.
Dagrada aveva individuato come «l’inizio della fine» la malattia di Umberto Bossi.
E aveva aggiunto: «Si è cominciato con il primo errore consistito nel fare un contratto di consulenza a Bruxelles a Riccardo Bossi. Dopo di che si sono cominciate a pagare, sempre con i soldi del finanziamento pubblico, una serie di spese a vantaggio di Riccardo e degli altri familiari dell’onorevole Bossi».
Dagrada aveva detto di aver saputo da Belsito di pagamenti «con soldi della Lega di cartelle esattoriali e conti vari di Riccardo Bossi». Gli accertamenti ora vanno avanti sull’asse Milano-Napoli-Reggio Calabria.
Il pool coordinato dal procuratore aggiunto Francesco Greco sta prendendo in considerazione l’ipotesi di interrogare Belsito, indagato a Napoli con l’ipotesi di riciclaggio per le operazioni finanziarie dell’imprenditore veneto Stefano Bonet.
Una data però non è stata ancora individuata, anche perchè preme l’intensa attività  istruttoria legata a Finmeccanica e alla truffa e corruzione internazionale contestate a Valter Lavitola.

Dario del Porto e Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)

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IL BALZELLO DELLE PROVINCE SULL’ASSICURAZIONE AUTO: TASSA AL MASSIMO IN DUE CASI SU TRE

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

SARANNO ANCHE ENTI INUTILI E DA TAGLIARE, MA METTONO ANCORA MANO AL PRELIEVO FISCALE SUI PREMI PAGATI DAGLI AUTOMOBILISTI…   BEN 77 SU 110 HANNO ALZATO LA TASSA AL 16%

Nell’attesa che quello che viene promesso da più parti trovi alla fine una traduzione nella pratica — cioè che vengano abolite — le Province assestano l’ultimo colpo nel prelievo fiscale sui premi delle Rc auto alzandolo fino al tetto massimo del 16%.
Sono quelle stesse Province che in molti vorrebbero abolire giudicandole superflue e che ci costano ogni anno 2,3 miliardi di euro in spese di funzionamento.
Dal 2011 è stata loro attribuita la possibilità  di agire sull’aliquota base del 12,5% alzandola o abbassandola del 3,5%.
Facile indovinare com’è andata a finire.
Le Province che hanno ridotto l’aliquota si contano sulle dita di una mano, quelle che l’hanno portata al massimo consentito sono ormai 77 su 110.
Trentasei avevano già  provveduto nel 2011 mentre altre quarantuno si apprestano a farlo quest’anno.
L’aliquota sull’Rc auto è ormai al top in quasi tutti i grandi centri a cominciare da Milano, Torino, Genova e Bologna e continuando al Sud con Bari, Lecce, Napoli e Palermo.
Fanno eccezione Roma dove è rimasta ferma al 12,5% e soprattutto Firenze che ha abbassato il prelievo all’11%.
Tra le pochissime altre amministrazioni provinciali virtuose menzione d’onore per Aosta (aliquota abbassata del 3,5% al 9%) Bolzano (-3%) e Trento (-3%).
Tradotto in moneta sonante questo significa che ad esempio su un premio netto da 1000 euro un automobilista di Milano, Bologna o Palermo pagherà  35 euro in più di tasse (da 125 a 160 euro).
Se il costo netto della polizza è di 1500 euro l’aggravio sale invece a 52 euro.
Come in molti altri casi, dalle aliquote Irpef a quelle Imu, il giochetto è sempre lo stesso.
Da un lato lo Stato taglia i trasferimenti (senza però ridurre la tassazione a livello centrale), dall’altro attribuisce agli enti locali la possibilità  di rifarsi manovrando aliquote e balzelli. Nel mezzo, i cittadini.
Negli ultimi tre anni le Province hanno dovuto far fronte a tagli da 1,5 miliardi di euro e una sforbiciata analoga è prevista da qui al 2014.
Lo stesso è accaduto ai Comuni che nonostante la compartecipazione al gettito Imu sono ben lontani dal compensare i mancati trasferimenti e che nei prossimi tre anni vedranno sparire almeno altri 3 miliardi.
Secondo Gianluigi Bizioli che insegna diritto tributario all’Università  di Bergamo, “è inevitabile che gli enti locali, se non vogliono ridurre i servizi, cerchino risorse dove e come possono”.
I tagli sono effettivamente pesanti e le razionalizzazioni di spesa, quando possibili, richiedono comunque tempi lunghi che non consentono di far fronte nell’immediato ai minori introiti.
“D’altro canto — continua Bizioli — in una fase di crisi è inevitabile che lo Stato centrale dreni quante più risorse possibili per far fronte all’emergenza”. “Inutile sperare nel federalismo — conclude Bizioli — la riforma conteneva una buon principio, quello dei costi standard (ossia la calibrazione delle spese, specie quella sanitaria, sul livello delle regioni più virtuose) ma ormai giace nel dimenticatoio e lì resterà  almeno finchè la fase più acuta della crisi non sarà  superata”.
Rimane il fatto che nel caso specifico dell’Rc auto il fisco provinciale va a colpire una voce di spesa che negli ultimi anni ha già  aumentato sensibilmente il suo peso sui bilanci familiari.
Le associazioni dei consumatori stimano che negli ultimi dieci anni il costo per assicurare l’ auto sia in pratica raddoppiato e che solo nell’ultimo biennio l’aumento sia stato del 30%.
Senza contare che molte Province hanno alzato anche le imposte per le iscrizioni e le annotazioni sul Pra, il Pubblico registro automobilistico.
Per gli abitanti del Mezzogiorno poi la beffa è in molti casi doppia.
Quasi ovunque subiscono il prelievo massimo da parte della Provincia e per di più l’aliquota si calcola su premi sensibilmente più alti rispetto al Centro-Nord.
Secondo il portale Supermoney che consente di confrontare le offerte di diversi operatori, il costo medio di una polizza per chi non ha fatto incidenti negli ultimi 5 anni è di 1.456 euro al Sud contro i 920 euro del Nord.
Questo sebbene il tasso di incidentalità  del Mezzogiorno sia ormai più basso rispetto a quello delle altre aree del paese.

Mauro Del Corno
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CAMPIDOGLIO, LA RIVOLTA DEI CONSIGLIERI COMUNALI CONTRO I VIAGGI IN ECONOMIA

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO COMUNALE INVITA ALL’AUSTERITA’ NELLE SPESE, I POLITICI RIBATTONO: E’ UMILIANTE, NOI LAVORIAMO 18 ORE AL GIORNO

Non è solo il contenimento della spesa: per i consiglieri comunali «si fa presente che il segretario generale (Liborio Iudicello, ndr) ha evidenziato la necessità  di prestare massima attenzione non solo ai profili finalizzati al contenimento della spesa ma anche e soprattutto ai profili di legittimità  della missione, a prescindere dal fatto che comportino o meno un costo per l’amministrazione».
Con i consiglieri municipali, Iudicello è parecchio più esplicito: scrive a tutti i diciannove parlamentini e mette nero su bianco che a proposito dei rimborsi chilometrici, le spese di viaggio, gli «indebiti aggravi nonchè i connessi profili di responsabilità , che, peraltro, nelle circostanze ricostruite (in questa sede citate solo a titolo esemplificativo) hanno assunto un autonomo rilievo penale…».
Agli uffici, invia un messaggio chiarissimo: «Ove da tali verifiche dovessero risultare anomalie non giustificabili non si procederà  ad alcun rimborso (…) e nel caso emergessero profili di responsabilità , anche solo omissivi» gli uffici «provvederanno senza indugio a produrre apposita denuncia ai competenti organi dell’autorità  giudiziaria».
Il motivo è semplice: molti consiglieri hanno la residenza in altre regioni, e ottengono dal Campidoglio il rimborso del carburante.
Parecchio caro, a guardare alcune determinazioni: solo per fare un esempio, in IV Municipio un consigliere ha chiesto 23 mila euro di rimborsi.
In III Municipio invece, dopo il tetto fissato ai rimborsi per i datori di lavoro, c’è chi cambia residenza e adesso chiede quello chilometrico.
In aula Giulio Cesare, alle undici e trenta del mattino, quella lettera del segretario generale non la prendono bene: Federico Mollicone, Pdl, getta la giacca sullo scranno e urla che «è umiliante, noi lavoriamo diciotto ore al giorno, non può umiliarci così», Dario Nanni del Pd annuncia un’interrogazione per «sapere chi abbia sforato, visto che io con i soldi del Comune non sono mai andato neanche a Tor Bella Monaca».
Il segretario generale taglia «missioni», «spese di rappresentanza» e invita i consiglieri a «viaggiare in economy in aereo, in seconda in treno, e in alberghi a tre stelle».
E viaggiare sarà  possibile «solo nel caso in cui da ciò derivi un rilevante ritorno concreto in termini economici per Roma».
Mollicone critica l’operato del segretario generale: «Lui è un tecnico e noi eletti dal popolo, non può trattarci come suoi impiegati, e questo non ha niente a che vedere con la casta. Anzi, gli uffici ci dicono che al suo stipendio di 250 mila euro, si aggiunge l’attività  di notaio del Campidoglio…».
Marco Siclari, Pdl, scuote la testa: «Faccio tutto con i miei soldi, niente telefono nè auto, e non arrivo a 1.400 euro al mese».
Fabrizio Panecaldo, del Pd, non si scompone: «Per noi abituati alle precedenti Giunte questa attenzione alla spesa è normale. Poi: come può chi ha la delega al turismo viaggiare con la certezza di firmare un contratto e garantire un incasso a Roma?». «Unica eccezione» prevista nella lettera per le missioni dei consiglieri «quelle collegate in maniera esclusiva e inderogabile alle esigenze del sindaco».

Alessandro Capponi
(da “Il Corriere della Sera“)

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LA SFIDA DI PARMA CHE POTREBBE PORTARE UN GRILLINO AL GOVERNO DELLA CITTA’ INTERESSA I MEDIA INTERNAZIONALI

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

I 50.000 ASTENUTI DEL PRIMO TURNO SARANNO L’AGO DELLA BILANCIA NEL BALLOTTAGGIO TRA BERNAZZOLI E PIZZAROTTI

E’ arrivato Le Monde per capire se il “grillino” Federico Pizzarotti (che si è preso 15 giorni di ferie dalla banca dove lavora per organizzare il ballottaggio) è un Hollande di provincia.
E’ arrivato il New York Times e lunedì addirittura si vocifera di un collegamento della Cnn da piazza Garibaldi.
La provincia, si sa, è sorniona e un pò ci gode ad essere sulla ribalta. A parlare di una sua unicità , vera o presunta.
E allora ricorda ai tanti microfoni, alla selva di telecamere, che questo ex ducato ha la vocazione al laboratorio: primi nella rossa Emilia a chiudere la stagione dei sindaci di centrosinistra e ad aprire quella del civismo berlusconiano con l’elezione a primo cittadino di Elvio Ubaldi.
Correva l’anno 1998 e l'”anarchico” del Pci Mario Tommasini, con una sua lista, mandò in soffitta la nomenklatura che voleva riconfermare in municipio il notaio Stefano Lavagetto del Pds.
Se poi le lancette si spostano ben   più indietro nel tempo ecco la Parma delle barricate, ribelle, popolare e imprevedibile, che ferma, l’unica, le squadracce di Balbo.
Primi, ahinoi, negli scandali tra urbanistca e politica nel lontano 1976 con tutti i partiti più grandi dentro.
Primi, ahinoi, nei debiti con un macigno di 600 milioni di esposizione tra Comune società  partecipate. Un rosso che alimentò la rabbia della folla contro il palazzo inquisito.
Era la notte di San Giovanni di un anno fa e all’alba scattarono le manette. Una vera e propria retata di dirigenti in Comune. E da allora tutto ha iniziato nuovamente a cambiare.
Per mesi gli indignati sotto il municipio, la Giunta di centro destra barricata nel corso dei Consigli comunali.
Un logoramento fino a settembre quando l’ex sindaco Pietro Vignali getta la spugna e in città  si apre la gestione commissariale.
Al primo turno è stato il Movimento 5 Stelle a intercettare più di ogni altro il voto di chi, sdegnato dalla casta e dalle ruberie, vuole cambiare.
Un mix tra l’antipolitica del leader Grillo e temi più concreti calati sulla città  che ha fatto centro: quasi 20% al primo turno.
E Parma è di nuovo sulla ribalta. “Caput mundi, la nostra Stalingrado”, dice Grillo. E’ Pizzarotti a sfidare il candidati del Pd Vincenzo Bernazzoli. Il “ritorno al futuro” di Ubaldi, l’altro designato al ballottaggio, non si avvera.
Il Pdl sprofonda al 4,7% dal 24% forse porterà  in aula un consigliere comunale di minoranza.
Una stagione politica di centrodestra durata 14 anni si chiude. Ma i fari sono tutti per lui: Pizzarotti.
La facevano tutti più facile.
Ed ora – come fosse nei palchi e nei loggioni del teatro Regio – la città  assiste all’inedita lotta tra Davide e Golia.
Tra Bernazzoli, presidente in carica dell’Amministrazione provinciale (non si è dimesso dall’incarico) contro Pizzarotti, bancario esperto di informatica.
Da duecento a trecento mila euro di spese elettorali per il primo, 6mila il secondo. Comitato elettorale in centro più sedi di partito il Pd, rintracciabili sul web i grillini. Di un paesino del Parmense e quindi non votante Bernazzoli, parmigiano ma a Reggio Emilia per lavoro Pizzarotti. 34 mila voti l’esponente del centro sinistra al primo turno e 17mila lo sfidante: 39,7% contro il 19,47.
Ma la vera incognita del secondo turno, e potenziale asso nella manica dei 5Stelle, sono i 50 mila astenuti, il 36 per cento che non è andato alle urne: il primo partito della città .
Domenica e lunedì la differenza potrebbero farla loro se decidessero di “impugnare” la scheda elettorale.
Bernazzoli, nella sua coalizione, ha già  messo insieme ex finiani e vendoliani e pare avere già  rastrellato dove possibile.
L’altro candidato strizza l’occhio a chi, stufo della politica, al primo turno non ha votato.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali dei vertici locali del Pdl, in molti prevedono un appoggio dei pidiellini a Grillo con la speranza di rientrare in gioco a dispetto delle urne.
Cosa che sarebbe loro preclusa definitivamente in caso di vittoria del centrosinistra. Dai due quartieri generali concordano: affluenza bassa favorito Bernazzoli, affluenza alta tutto è possibile.
Bernazzoli ha vinto senza trionfare le primarie.
Forti i mal di pancia interni al Pd dove molti avrebbero visto di buon occhio la candidatura dell’ex capogruppo in Consiglio comunale Giorgio Pagliari nell’ennesima riproduzione delle mai sopite frizioni tra post Pci e post Dc.
Altri ancora avrebbero voluto un nome meno di apparato e più di rottura, espressione della società  civile.
Intanto l’esponente democratico incrocia le dita dopo che la senatrice Albertina Soliani fu sconfitta nel 2007 e l’assessore regionale Alfredo Peri, già  sindaco di Collecchio, fece il bis nel 2007.
Dice che in caso di vittoria in Giunta chiamerà  assessori in base alle specifiche competenze.
Garantisce esperienza e conoscenza della macchina amministrativa e ricorda che a giugno potrebbero mancare i soldi per pagare i 1300 dipendenti comunali.
Serve una persona in grado di trattare con le banche, dice. Pizzarotti sceglierà  gli eventuali assessori tramite curricula da inviare on line e afferma: “Non mi consulterò con Grillo di cui non ho neppure il cellulare”.
Nella Parma capitale del made in Italy alimentare, i poteri forti questa volta non si schierano esplicitamente.
Pesa lo scotto di avere designato, nel 2007, con voto palese, la discesa in campo di Vignali, allora figlioccio politico di Ubaldi, in quel patto tra politica e grandi opere, appaltate ai costruttori locali, che pareva non dovesse mai finire.
Poi la crisi, la bolla immobiliare e i debiti hanno presentato il conto.
Da venerdì sera sarà  silenzio elettorale.
Stasera ci sarà  da ridere con Gene Gnocchi, amico di Bernazzoli, chiamato a chiudere la campagna elettorale.
Domani sera tocca a Grillo che torna per l’investitura finale.
Battute e risate per tutti, almeno fino a lunedì pomeriggio.
Chi sarà  “l’erede” di Maria Luigia? Il delfino di Bersani o quello di Beppe Grillo.
Su questo interrogativo anche da fuori Italia guardano Parma.

Antonio Mascolo e Francesco Nani
(da “Il Fatto Quotidiano”)

argomento: Grillo, PD, Politica | Commenta »

LA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA? LA PIU’ VECCHIA D’EUROPA, ETA’ MEDIA 59 ANNI

Maggio 18th, 2012 Riccardo Fucile

NELLE SCUOLE L’ETA’ PIU’ ELEVATA…L’ALLARME DI COLDIRETTI: ANDRANNO IN PENSIONE PRIMA DI SCONFIGGERE LA CRISI

La classe dirigente italiana impegnata nelle politica, nell’economia e nella pubblica amministrazione ha una età  media di 59 anni, la più alta tra tutti i Paesi Europei (guarda).
È quanto emerge dal primo report sull’età  media della classe dirigente italiana nel tempo della crisi, presentato nel corso dell’Assemblea dei giovani della Coldiretti e realizzato in collaborazione con l’Università  della Calabria.
«La maggioranza della classe dirigente attuale andrà  probabilmente in pensione prima che la crisi sia superata, anche se si tiene conto della riforma del Ministro del Lavoro Elsa Fornero», ha ironizzato il delegato nazionale dei giovani della Coldiretti Vittorio Sangiorgio nel sottolineare che «la disoccupazione giovanile record non è solo un problema familiare e sociale, ma provoca anche un invecchiamento della classe dirigente italiana che deve affrontare la crisi con il Paese che sta rinunciando a energie e risorse fondamentali per la crescita».
A conquistare il triste primato dell’anzianità  nel momento economicamente più difficile per l’Italia dal dopoguerra sono – sottolinea la Coldiretti – le banche che hanno una età  media degli amministratori delegati e dei presidenti di circa 67 anni, pari addirittura a quella dei Vescovi italiani in carica.
Nelle istituzioni, tra i parlamentari l’età  media dei senatori è di 57 anni e quella dei deputati 54. Ancora più alta è l’età  media dei ministri del Governo guidato da Mario Monti: 64 anni.
Nelle ultime 3 legislature sono stati eletti soltanto 2 under 30 su circa 2500 deputati, anche se il peso dei 25-29enni è pari a circa il 28 per cento della popolazione eleggibile (con più di 25 anni).
Attualmente – precisa la Coldiretti – solo un deputato su 630 ha meno di 30 anni e appena 47 sono quelli under 40 mentre quelli over 60 anni sono 157.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha 69 anni e i ministri più giovani, Renato Balduzzi e Filippo Patroni Griffi, hanno 57 anni. In Gran Bretagna David Cameron è diventato primo ministro a 43 anni, Tony Blair a 44, John Major a 47 e Gordon Brown a solo poco più di 50.
Il problema della burocrazia è forse quello che più colpisce cittadini e imprese che lamentano spesso la disattenzione nei confronti delle nuove tecnologie che potrebbero portare più efficienza o snellimento delle procedure.
Forse non è un caso che – sostiene la Coldiretti – l’età  media dei direttori generali della pubblica amministrazione è di 57 anni mentre, se si guarda alle aziende partecipate statali, l’età  media – precisa la Coldiretti – sale a ben 61 anni.
La situazione migliora nelle imprese private, anche se rimane drammatico il confronto con l’estero: l’età  media degli amministratori delegati delle aziende quotate in Borsa a Milano è di 53 anni.
A preoccupare particolarmente – continua la Coldiretti – è il mondo della formazione con i professori universitari italiani che hanno una media di 63 anni, i più anziani del mondo industrializzato.
Un quarto dei professori che ha più di 60 anni contro poco più del 10 per cento in Francia e Spagna e l’8 per cento in Gran Bretagna.
Sono solo 3 su 16 mila circa i professori ordinari con meno di 35 anni e appena 78 quelli under 40, pari ad un peso dello 0,5 per cento.

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