Maggio 24th, 2012 Riccardo Fucile
“L’AUTOCANDIDATURA DI TAVOLAZZI E’ UNA SCELTA INCOMPATIBILE”… REPLICA L’INTERESSATO: “ME L’HA CHIESTO IL SINDACO PIZZAROTTI”… NEL MOVIMENTO REGNA GIA’ IL CAOS
“Mi meraviglio che Tavolazzi si ripresenti ancora sulla scena per spaccare il Movimento 5 Stelle e che trovi pure il consenso di un consigliere dell’Emilia Romagna”.
Chiusi i festeggiamenti per il successo elettorale, che ha consegnato al candidato cinque stelle Federico Pizzarotti le chiavi della città di Parma, nel Movimento riemergono le vecchie divergenze.
È ancora una volta un post di Beppe Grillo a scatenare la bufera, il blogger genovese, intervenendo sulla nomina del direttore generale del comune, scrive: “Ho saputo soltanto ieri sera della auto candidatura (appoggiata da un consigliere del Movimento dell’Emilia Romagna) di Valentino Tavolazzi di Progetto per Ferrara a cui è stato inibito l’uso congiunto del suo simbolo con quello del Movimento 5 Stelle qualche mese fa — e aggiunge — Ovviamente è una scelta impossibile, incompatibile e ingestibile politicamente”.
L’ex-comico e fondatore del Movimento continua poi lanciando l’avviso pubblico di selezione.
“La Rete non deve lasciare soli i sindaci del Movimento 5 Stelle. Tutto è avvenuto molto in fretta e c’è la necessità di ricoprire ruoli operativi. A Parma abbiamo bisogno di aiuto. Cerchiamo una persona con esperienza della gestione della macchina comunale per la carica di direttore generale al più presto. Incensurata, non legata ai partiti, di provata competenza”.
Chi interessato, conclude, può mandare il curriculum direttamente al sito del comico genovese, selezionando la mascherina “Aiuto per Parma”.
Poi la bordata contro il consigliere ferrarese, già allontanato dal Movimento a marzo, sempre per decisione di Grillo. “Mi meraviglio che Tavolazzi si ripresenti ancora sulla scena per spaccare il Movimento 5 Stelle e che trovi pure il consenso di un consigliere dell’Emilia Romagna”.
Ma Valentino Tavolazzi, chiamato in causa, smentisce ogni ipotesi di autocandidatura.
Prima lo fa su Facebook, facendo capire attraverso di non essersi mai proposto per quel ruolo: “Stiamo scherzando? Siamo alle comiche. Dovete chiedere a Federico Pizzarotti”.
E poi dà la sua versione dei fatti. “Non è vero che mi sono autocandidato. È stato Federico Pizzarotti in persona, qualche giorno fa, a chiedermelo. Anche lui ovviamente ora si sta domandando l’utilità di questo post, che arreca più danno che vantaggio al Movimento”.
Del resto, dice, il curriculum sarebbe adatto. “Quando me l’ha chiesto ho dato la mia disponibilità — continua — perchè ho già ricoperto quel ruolo, quindi avrei i requisiti giusti. Ma la scelta non è mia. La decisione riguarda esclusivamente il sindaco. Lui per legge ha il diritto e il dovere di scegliere il direttore generale”.
Per ora il neosindaco di Parma non si esprime.
Da ore si trova in una stanza del Comune con alcuni consiglieri, e rifiuta le chiamate dei giornalisti. Ma una mezza conferma Tavolazzi la trova nella replica dal consigliere dell’Emilia Romagna Giovanni Favia, al quale Grillo sembra fare riferimento nel post. “Per le informazioni che ho io Valentino Tavolazzi non si è mai auto candidato come direttore generale del comune di Parma — scrive su Facebook — Nè tantomeno è stato appoggiato dai consiglieri regionali dell’Emilia Romagna, il cui ruolo non è quello di appoggiare o spingere candidature in perfetto stile partito, ma di vigilare che Parma non venga penalizzata nei trasferimenti di risorse regionali”.
E poi rincara: “Prego chi ha fornito questa falsa informazione allo staff del blog di dichiararsi e chiedere scusa. Ed allo staff di verificare prima le informazioni che pubblica”.
Riemerge così, a 72 ore dalla vittoria del ballottaggio e alla vigilia della prova di governo più importante del Movimento 5 stelle, la questione delle espulsioni.
Ritorna a galla riportando con sè anche vecchi veleni, sospetti e mal di pancia.
Con una squadra ancora da formare e un comune tutto da disegnare, la prima grana per il sindaco di Parma Federico Pizzarotti è tutta interna.
Sì, perchè l’intervento di Grillo non solo ha riacceso tra gli attivisti il dibattito sul ruolo e le ingerenze di Grillo. Ma rischia anche di allungare la distanza tra gli eletti del Movimento e il loro ispiratore.
Tavolazzi era stato messo alla porta a inizio marzo, per aver partecipato a una due giorni organizzata a Rimini da alcuni attivisti.
La decisione era stata comunicata da Grillo sempre attraverso un post online, dividendo attivisti ed eletti tra pro e contro epurazione.
E se alcuni avevano accettato senza fiatare scegliendo di prendere le parti del fondatore del Movimento, altri avevano storto il naso, lamentando un’assenza di democrazia interna.
I sospetti e i malumori erano rimasti poi sottotraccia durante l’intera campagna campagna elettorale, alla quale peraltro Tavolazzi, nonostante il divieto di usare il simbolo, ha sempre partecipato.
“Se a Comacchio ci sono una lista e un sindaco è anche merito nostro (mio e del gruppo di Cento, ndr). Abbiamo lavorato per più di un anno. Noi stiamo continuando a fare quello che facevamo prima che Grillo decidesse di levarci il simbolo. E lo faremo ancora per molto perchè crediamo in questo Movimento”.
Giulia Zaccariello e Silvia Bia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 24th, 2012 Riccardo Fucile
“ABBIAMO I PIZZAROTTI E LI EMARGINIAMO”… REGNA L’INCERTEZZA SUL NOME DI BERSANI CANDIDATO PREMIER… IL PARTITO IN MEZZO AL GUADO TRA REPUBBLICA FINITA E QUELLA NON ANCORA COMINCIATA
A metà strada fra l’orgoglio di bandiera e lo spavento. Fra la soddisfazione di aver vinto nella stragrande maggioranza dei comuni (persino Monza, persino Como, persino Crema) e la certezza di aver vinto male.
Con la metà degli italiani astenuti, con un milione di voti in meno rispetto all’ultima volta e gli iscritti dimezzati, con un avversario politico dissolto, il Pdl e la Lega che non ci sono più.
E con l’onda della sfiducia che sale, ormai gigantesca, e che fra Cinque Stelle si incarna in volti e in nomi fino a ieri sconosciuti: Pizzarotti, chi è mai costui? Alvise Maniero di anni 26, nuovo sindaco di Mira già feudo del Pci?
Ma il Pd non ce l’aveva un Pizzarotti, un Maniero?
Nel giorno in cui la Camera vota la legge che riduce il finanziamento ai partiti, boccone amaro ma dati i tempi necessario, i deputati del Pd si muovono nel cortile di Montecitorio in mezzo al guado tra la Repubblica finita e quella non ancora cominciata.
Amara e mesta la sensazione, dice il capogruppo Dario Franceschini reduce dal voto di drastica austerity, “di fare la cosa giusta ma inutile”.
Perchè il disamore per chi ha condotto i giochi della politica fino ad oggi accomuna “chi ha combattuto Berlusconi e chi lo ha assecondato senza più neppure distinguere il tesoriere che compra diamanti da quello che paga i manifesti elettorali al suo partito”.
E allora il vuoto attorno cresce e cresce fino ad alimentare la fastidiosa sensazione che il Pd sia un luogo, come dicono coloro che conoscono solo questo linguaggio, “contendibile”.
Che sia un mezzo di trasporto ancora buono ma privo di una dirigenza all’altezza del compito che l’aspetta. Bersani? Forse, ma forse anche no.
Chi altro allora? E attraverso quali metodi di selezione? Perchè il tempo è poco, se si vota fra dieci mesi, dice ancora Franceschini, “a settembre al massimo il nome del candidato premier deve essere sul tavolo” e ad oggi il candidato del Pd è Bersani, il segretario.
Ma i giovani scalpitano, e non solo loro.
Renzi è pronto per primarie che pretende, Civati ha una sua proposta e “Prossima Italia” – un sito, un libro, un progetto – al varo. I “giovani turchi” di Rifare l’Italia (che hanno in antipatia sia l’uno che l’altro) promettono “un grande evento a metà luglio a Milano”, annuncia Stefano Fassina che ci lavora con Matteo Orfini, Andrea Orlando, Gianni Cuperlo.
Walter Veltroni commemora Falcone e pensa a un listone civico da affiancare a quello del Pd, in Transatlantico mormorano che persino D’Alema si sia infine convinto che senza un rinnovamento visibile la prospettiva dell’alleanza al Centro sia poca cosa e del resto è proprio Fassina, l’ortodosso Fassina a dire “basta pensare a Casini, il “patto di sindacato” che governa il partito deve lasciare campo alla realtà che si muove là fuori. Quello di cui abbiamo bisogno, oggi, è di premere sul governo perchè siano rinegoziati con l’Unione europea gli obiettivi di crescita. Anche noi, come la Spagna, dobbiamo ottenere una deroga, spostare in avanti gli obiettivi economici e nel frattempo lavorare a valorizzare i tanti bravissimi dirigenti che abbiamo sul territorio”.
Il “patto di sindacato” sarebbe la non belligeranza fra Veltroni e D’Alema.
Tra i bravissimi dirigenti, Fassina lo elenca fra gli altri, il sindaco dimissionario di Siena, Franco Ceccuzzi, appena caduto 2 sotto i colpi dell’epocale battaglia fra Ds e Margherita all’ombra del Monte dei Paschi, una storia esemplare che intreccia politica ed economia e che si combatte in queste ore nel silenzio quasi assoluto della dirigenza nazionale del partito.
Di storie esemplari, nel Pd, la stagione è colma.
Prendiamo Parma, non si può non partire da lì.
Parma dove Bersani dice: “Abbiamo non vinto”.
La storia della sconfitta di Parma, a volerla raccontare tutta, comincia 15 anni fa quando a Mario Tommasini, amatissimo psichiatra basagliano, la dirigenza del partito preferì un candidato più ortodosso e affidabile, che perse.
È la regola del cursus honorum, ferrea fin dagli anni del Pci, alla quale ancora adesso è difficile sfuggire. Parti dalla Provincia, passi dal Comune, approdi in Parlamento.
A Parma Vincenzo Bernazzoli, presidente della Provincia a fine carriera, era il candidato Pd alle primarie.
Le ha vinte, ed ha perso le elezioni.
Pizzarotti, il candidato Cinque stelle, ha vinto facendo campagna contro il termovalorizzatore che Bernazzoli considerava invece inevitabile.
È vero che l’elettorato di centrodestra ha votato Cinque Stelle ma questo non toglie senso al risultato, semmai lo aggiunge.
Ascoltiamo cosa dice Laura Puppato, oggi capogruppo Pd nel Veneto, che qualche anno fa, giovane ambientalista, strappò alla destra il comune di Montebelluna proprio con una campagna contro il termovalorizzatore.
“Qui dal Veneto è chiarissimo: gli elettori della Lega e del Pdl non hanno più come riferimento Bossi e Berlusconi. Ne cercano un altro. Aderire alla proposta di Grillo è per molti naturale, una sorta di continuità ideale: consente loro di non ammettere di aver sbagliato in passato, di dire che destra e sinistra sono uguali e che appoggiano il nuovo. Mettono tutti sullo stesso piano, la “vecchia politica”, e aderiscono ad una proposta che, sotto il profilo del populismo e della demagogia, è in continuità con le loro scelte trascorse.
Il Pd vince contro il centrodestra ma perde contro chi si propone come “nuovo”: questo è quel che ci dice il risultato elettorale.
Da Genova a Parma, perchè anche la vittoria di Genova è una vittoria a metà .
Quindi mi pare chiaro che la risposta debba essere questa: rinnovare la classe dirigente, che non vuol dire azzerarla, ma rimettere al centro tutte le persone piene di entusiasmo e di capacità che, per paura del confronto con l’opacità di certi profili promossi per logiche interne alle carriere di partito, sono state fino ad oggi confinate ai margini”.
Cioè a dire: nel Partito democratico le persone ci sono, di Pizzarotti il Pd è pieno.
Solo che stanno di lato, per non fare ombra ai funzionari affidabili.
Quelli che vincono magari le primarie col sostegno dell’apparato e la disciplina dell’elettorato, ma poi perdono le elezioni.
Marta Meo, una giovane dirigente del Veneto che – delusa – si è ultimamente fatta da parte pur restando in direzione Pd, aggiunge che “il sindaco di Mira, Alvise Maniero, se fossimo un partito accogliente sarebbe stato uno di noi. E invece no, perchè io capisco che dobbiamo giustamente sostenere questo governo e dunque non possiamo fare quella politica radicale oggi molto richiesta, ma dovremo pur dire al nostro elettorato come la pensiamo sulle cose, dobbiamo pur dire dei sì e dei no. Sul lavoro, sulle tasse, sui diritti civili, sull’ambiente e sulle grandi opere. Sono questi i temi: i “no questo e no quello” hanno trovato humus e si sono rivolti altrove perchè non abbiamo saputo gestire, coinvolgere, dare un posto a preoccupazioni che non sono anti-sviluppo, o almeno non solo: sono legittime paure per la salute per l’ambiente in cui viviamo, per il mondo che abitiamo. I giovani sono lì, giustamente”.
Pippo Civati scrive oggi sul suo blog: “Ripeto ormai da anni, perfettamente inascoltato: che bisogna attaccare la Lega (non farle pesanti ammiccamenti), che il Terzo Polo esiste solo nei politicismi di Palazzo e che si deve interpretare il voto al M5S prima che, superando una certa soglia, diventi una forza alternativa al centrosinistra (che poi, come corollario, ci conduca tutti alla sconfitta alle elezioni politiche). Che il Nord non lo rappresenta più nessuno e il Sud si è auto-organizzato intorno a formule di difficile comprensione non appena si supera il Volturno. Che si vede una certa sclerotizzazione al Centro, nel senso geografico del termine: e un drappo pietoso copra Siena e le sue ricchezze perdute”.
Siena, la prossima frontiera. Gli antichi responsabili del disastro Monte dei Paschi oggi tacciono. Tace il segretario, impegnato piuttosto a disegnare in relativa solitudine un percorso di galleggiamento fino alla prossima formazione delle liste per le politiche.
Vasco Errani e Migliavacca i suoi consiglieri. Errani, al terzo mandato. Migliavacca, custode delle alchimie e dei dosaggi numerici. Salvatore Caronna, europarlamentare, è stato segretario regionale emiliano del Pd.
Li conosce bene entrambi. “Accontentarsi di come sono andate le cose non va bene – dice – Nessuno è entusiasta. La scomparsa del Pdl e la crescita della protesta mettono in pericolo la tenuta stessa del sistema paese. Dobbiamo andare ad elezioni con una nuova legge elettorale. E’ dirimente. Bisogna mettere la riforma elettorale come condizione per il sostegno a questo governo”.
Se no? Perchè non è detto che ci si riesca a fare questa riforma. Anzi. “Se no non esiste. Non è un problema che si risolva attraverso le primarie, questo. Le primarie i candidati perdenti le hanno vinte a Parma come a Palermo. Non si risolve un problema di identità con le primarie. Siamo a un cambio d’epoca, siamo davanti a un vuoto. Qualcuno presto lo riempirà . Il centrodestra, Berlusconi, troverà un nome facendolo uscire dai sondaggi, ci metterà i milioni, sembrerà nuovo. Qualcun altro arriverà . A sinistra bisogna dare una fisionomia alla proposta che vogliamo fare. Subito. Non con un altro giro di giostra fra capi e capetti, no. Con una legge elettorale. Il tempo è scaduto. Il maquillage non serve”.
Il maquillage, qualunque cosa sia, non serve.
Il tempo è scaduto.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica”)
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Maggio 24th, 2012 Riccardo Fucile
CICCHITTO FUORI DI SE’: “NON CI FACCIAMO SCIOGLIERE DAI GIORNALI”… L’EX PREMIER DIVISO TRA “GRILLINI” E MODERATI
Il Berlusconi che parla con la nomenklatura del Pdl smentisce il Berlusconi che consulta l’antimontiana Daniela Santanchè, pasionaria delle liste civiche e similgrilline a destra.
L’apocalisse elettorale che ha sconquassato il fu Pdl consegna un teatrino tragicomico e lunare. Merito del solito Cavaliere Zelig, che dice sì a tutti i suoi interlocutori.
Nei giorni pari fa il grillino, in quelli dispari sogna la confederazione dei moderati e dà udienza a Beppe Pisanu. Un vortice caotico.
E così ieri è ritornato ecumenico e un po’ democristiano davanti al sinedrio del partito, convocato ovviamente a casa sua, cioè a Palazzo Grazioli.
Due ore lunghissime che assomigliano quasi a un processo al Capo, imputato di aver fatto trapelare voci di azzeramento o spacchettamento del fu Pdl.
La sintesi della riunione è in una sequenza di due telefonate che Fabrizio Cicchitto inizia a fare alle cinque e mezza del pomeriggio nel cortile di Montecitorio, seduto su una panchina.
Il capogruppo del Pdl alla Camera ha tre giornali piegati sulle ginocchia (Il Fatto, L’Unità e La Repubblica).
Al primo interlocutore, al cellulare, confida: “Noi non ci facciamo sciogliere da Sallusti e dalla sua Ninfa Egeria. Al vertice abbiamo parlato con estrema durezza. Glielo abbiamo detto: il Pdl è Alfano, questo partito perderà pure ma almeno c’è. Noi dobbiamo lavorare per una confederazione dei moderati, anche perchè Casini non ha preso un cazzo dalle urne. Alfano si sta giocando la pelle”.
Cicchitto si agita quando nomina il direttore del Giornale e Daniela Santanchè, definita come la Ninfa Egeria che fece innamorare il secondo re di Roma, Numa Pompilio.
Magari ne nasce un nuovo soprannome per Sallusti: Pompilio Sallusti.
Il capogruppo integra: “Noi non ci facciamo sciogliere dai giornali”.
Il riferimento è anche a Libero di Maurizio Belpietro che ieri ha titolato così una lettera aperta ai vertici del Pdl: “Dimettetevi tutti”.
Nel corso del sinedrio del Pdl, il desaparecido Sandro Bondi ha preso malissimo l’invito e ha presentato delle dimissioni polemiche e amare.
Toccati nel profondo, sia Berlusconi sia Alfano le hanno respinte. Per Bondi dimettersi non è mai facile: anche quando se ne andò dal ministero della Cultura gli toccò aspettare controvoglia un po’ di mesi.
Seconda telefonata di Cicchitto, stavolta sulla reazione di B. nella riunione.
Dall’altro lato, l’interlocutore è Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1: “Lui ovviamente ha negato tutta la storia delle liste civiche. Forse ha capito che con la sua lista della Repubblica di Salò e delle mignotte non va oltre il 9 per cento”.
Il sarcasmo del capogruppo del Pdl, giudicato da Berlusconi il peggiore in tv del Pdl, è feroce e paragona le manovre dell’ultimo Cavaliere a quelle del Duce repubblichino.
Con tanto di Sodoma e Gomorra, citazione pasoliniana. Fine dello show al cellulare, al culmine di un’altra giornata di tormenti per il fu Pdl.
Dopo il vertice, B. vola Bruxelles per un appuntamento del Ppe ed è categorico: “Escludo una mia ricandidatura a premier”.
Ossia l’esatto contrario di quanto hanno ascoltato lunedì sera ad Arcore alcuni commensali riuniti a cena.
Qual è la verità ? Alfano stesso parla di “pozzi avvelenati” dall’interno del Pdl, accusando la Santanchè.
Ormai la guerra nel partito dell’amore è senza quartiere e la nomenklatura freme per il parricidio: relegare B. a padre nobile e offrire il suo scalpo a Casini e Montezemolo.
Il Cavaliere si presta a recitare questa parte, apre a Montezemolo ma un riflesso grillino gli scappa.
Gli chiedono: “Ha fatto i complimenti a Grillo?”. Risposta: “No, non ci ho pensato, però magari glieli faccio i complimenti. Anche Grillo è figlio di questo momento, dell’antipolitica e quindi è una bolla che deve dare un segnale a tutti coloro che fanno invece politica e che sono in campo con gli attuali partiti”.
È l’immagine di un anziano leader al crepuscolo che non sa che cosa fare.
Copiare l’antipolitica di Grillo o inseguire il riformismo di Montezemolo? Parlare con Dini e Pisanu o ascoltare i grillini?
L’ultimo consigliere di B. lo ha svelato ieri il Giornale.
È un trentenne che si è candidato a sindaco di Monza e ha preso il 5 per cento. Si chiama Paolo Piffer. I due si sono incontrati domenica ad Arcore.
Piffer ha detto a B.: “Lei non capisce nulla di politica”. Ieri ha aggiunto: “Lui è rimasto affascinato dal modo di gestire la situazione, ed è stata una tentazione troppo forte quella di poterlo criticare. Appena ho visto che c’era la possibilità , l’ho fatto. Gli ho detto che gente come Lupi, la Minetti, Capezzone non vanno bene”.
Poi lunedì B. ha incontrato la Santanchè e l’ha incoraggiata nel suo progetto civico dell’anti-politica, che potrebbe sfociare anche in una rete di liste a tema.
Tipo quella animalista della Brambilla (ieri Martino ha detto: “Preferisco gli animali all’animalismo”).
Infine, il Cavaliere è arrivato a Roma e ha smentito se stesso, rassicurando Alfano.
Deve essere stato decisivo l’intervento di Fedele Confalonieri, supremo guardiano di Mediaset e del conflitto d’interessi, che ha partecipato al sinedrio del Pdl.
A Confalonieri il movimentismo di B. non piace, non foss’altro che ribalterebbe il tavolo di una tranquilla fuoriuscita dal berlusconismo con ampie garanzie sulla roba e sui processi.
Oggi è giovedì e B. potrebbe tornare a fare il grillino.
Chissà . Dipende dai consigli che gli danno.
E a Roma, a contare molto, è la fedelissima Mariarosaria Rossi, punto di riferimento a Palazzo Grazioli.
Magari ripensa a Forza Gnocca.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 24th, 2012 Riccardo Fucile
IL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DELLA SCIENZA ALBANESE SOSPENDE LE IMMATRICOLAZIONI PER UN ANNO
«Come sempre serve un occidentale per migliorare le cose in Albania». Il commento, sui giornali locali e sui forum online, va per la maggiore.
E accompagna la decisione del governo di Sali Berisha di sospendere, per almeno un anno, la licenza all’università privata «Kristal».
La stessa che ha dato a Renzo Bossi la laurea triennale in Gestione aziendale. Gli inquirenti di Tirana che indagano sul documento rilasciato al «Trota» – dopo aver sfogliato registri e certificati – non hanno dubbi: «Quella laurea è stata comprata».
Per di più «da una persona che non sapeva la lingua locale», «non si era ancora diplomato in Italia» e che in Albania non ci ha mai messo piede.
Cosa, quest’ultima, che il figlio del Senatur stesso ha ammesso alcuni giorni fa.
Scrive il comunicato del governo che gli studenti non potranno immatricolarsi alla «Kristal» nell’anno accademico 2012-2013 in entrambi i livelli: triennale e specialistica.
Non solo.
Durante la sospensione l’università verrà sottoposta ogni tre mesi a verifiche dal ministero dell’Istruzione e della Scienza.
Il gruppo dovrà stabilire, controllo dopo controllo, se sono stati soddisfatti tutti i requisiti richiesti.
Quali siano, però, questi requisiti non è stato ancora rivelato.
«Abbiamo riscontrato delle irregolarità », ha spiegato Edlira Late, capo di gabinetto del ministero. E ha aggiunto che alla fine della «quarantena», l’ateneo dovrà di nuovo fare domanda per l’accreditamento. E solo se riuscirà a superare il test potrà tornare di nuovo a immatricolare e a insegnare.
La direzione del «Kristal» ha deciso di non commentare.
Ricorda soltanto «la piena collaborazione con gli inquirenti».
La voce che circola a Tirana è che è solo l’inizio di un «giro di vite» sugli istituti privati, una sessantina in tutto per tre milioni di abitanti.
Entro il prossimo mese il ministero pubblicherà un dossier sulle università dove si annunciano molte penalizzazioni.
Negli ultimi giorni, poi, sono stati effettuati controlli sulle lauree rilasciate dal 2008 soprattutto ai cittadini stranieri.
Un modo, fanno sapere dal ministero, «per cercare di capire quanto sia esteso il fenomeno dei diplomi comprati per 8-12 mila euro». Di italiani iscritti nelle università private dell’Albania ce ne sarebbero almeno una cinquantina.
Le nubi, in realtà , si addensano anche sul dicastero stesso.
Nora Malaj, viceministro dell’Istruzione, risulta essere – come scrive nel curriculum pubblicato sul sito ufficiale – «direttore del dipartimento di Psicologia e Sociologia» proprio dell’Università «Kristal».
Lei ha poi smentito.
Ma il documento, ancora oggi, non è stato corretto.
Leonard Berberi
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 24th, 2012 Riccardo Fucile
IL KILLER NON HA ANCORA UN NOME E LA VANA CACCIA AL MOSTRO INIZIA A CREARE TENSIONE
“Subito hanno detto che il mostro si trovava qui, a Sant’Elia. Quando dovevano ascoltare quel poveraccio, sono venuti a prelevarlo con elicotteri e pattuglie a non finire. Bastavano due agenti in borghese. Ci sentiamo offesi”.
Non hanno peli sulla lingua le donne sull’uscio del negozio della frutta.
Non hanno neppure pazienza. “Che lo prendessero sì, senza alimentare, però, i sospetti su di noi”.
Sant’Elia, uno dei quartieri più difficili di Brindisi, alla periferia della città . Erbacce al posto delle aiuole, lunghe file di palazzoni dai muri scorticati, un passato da far west del contrabbando. I residenti si sentono additati da quando, lunedì pomeriggio, C.S. è stato condotto in procura per essere ascoltato e, per un giorno, è diventato il killer della strage all’istituto Morvillo Falcone
In realtà , non è neppure indagato.
Ma la sua abitazione presa d’assalto da persone con voglia di vendetta è una scena che qui non dimenticheranno facilmente.
E’ la cappa del sospetto, più della paura, a schiacciare adesso gli umori della città . In molti sono sicuri che l’attentatore della scuola di Melissa Bassi venga da fuori, non può essere uno di loro.
La diffusione dei fotogrammi del video che è nelle mani degli inquirenti, tuttavia, sta foraggiando un clima da caccia alle streghe.
E le conseguenze sono profondamente rischiose. “Che lo pubblicassero per intero, che lo facessero vedere in volto questo criminale, così sappiamo dove andare a prenderlo”. Dietro il suo bancone, il barista della zona è certo di quello che dice.
Ha una figlia di quattordici anni, racconta, e da genitore non può convivere con l’incertezza di non vederla ritornare “per mano di un pazzo, forse uno delle Brigate Rosse“.
Qui ognuno ha la sua pista investigativa. Tutti, però, si aspettavano che il caso venisse risolto nel giro di 24, massimo 48 ore.
Anche per questo, Brindisi è ancora attonita, confusa, impaurita. Spaesata.
E’ come se avesse ancora nelle orecchie quel tonfo sordo dell’esplosione di sabato mattina. Un momento eterno, un rumore senza fine. E l’attesa corrode i nervi.
“Quelli hanno già detto che, se lo trovano prima loro, se lo mangiano a morsi. Ma davvero nelle loro mani stiamo?”.
“Quelli” sono quelli della mala locale, del clan legato ai fratelli Brandi.
E’ direttamente dal carcere che avrebbero fatto sapere di aver sguinzagliato i propri uomini per vendicare l’attentato.
Un altro passo falso, un altro nome che incautamente viene fuori e potrebbe verificarsi l’irreparabile. Sta accadendo, infatti, ciò che il procuratore della Dda di Lecce, Cataldo Motta, temeva: con queste dichiarazioni, la Sacra Corona Unita finirà con l’alimentare il proprio consenso sociale, sostituendosi, nella percezione dei cittadini, allo Stato come organo di giustizia sommaria.
La rabbia che ancora vive sottopelle in città , infatti, sta tornando a far rimarcare le differenze tra ieri e oggi.
E quanto accaduto sabato mattina è diventato il parametro per giudicare tutto il presente e il passato di Brindisi.
“Paradossalmente, ci si sentiva più sicuri al culmine della guerra di mafia, tra il 1992 e il 1993. Trovavi il morto per terra, ma sapevi che la lotta era tra di loro. Ora, invece, il bersaglio può essere chiunque”.
Ilario D’Amato è uno dei sindacalisti della Ugl. La sede del sindacato è a pochi metri dal Morvillo.
E’ in fila, assieme ai colleghi, nella fiaccolata organizzata, nel pomeriggio di mercoledì, in memoria di Melissa. Ci sono ragazzi. Ci sono soprattutto genitori. “Partecipiamo anche per sentirci più sereni”, dice uno di loro.
Il rito collettivo è diventato un modo per esorcizzare la paura e i sospetti, per risentirsi comunità .
“La rincorsa al mostro sta diventando deleteria — continua un operatore ecologico — Hai il terrore di uscire di casa, di trovartelo accanto e non sapere. Ma hai anche l’angoscia che si indichi di nuovo la persona sbagliata e poi amen. Stavolta, ‘quelli’ lo farebbero fuori”.
Non si pronuncia quasi mai il loro nome, ma “quelli” sono sempre loro, i boss della Scu che hanno parlato e che ogni tanto resuscitano da dietro le sbarre, irrompendo nella vita dei brindisini come in un dèjà vu.
“Non siamo terra di mafia, la primavera da noi è arrivata parecchi anni fa ed è costata la vita a due finanzieri impiegati nella lotta al contrabbando — rimarca Riccardo Carone, uno dei papà con figli al seguito presenti al corteo — Certo, non ci sentivamo tranquilli neppure prima. Più volte ci siamo svegliati di notte per il boato delle saracinesche che il racket ha fatto saltare in aria. Ma lo stillicidio, adesso, sta nel vedere gli inquirenti brancolare nel buio”.
E’ nella confusione, nel ricorrersi esasperato di notizie e di smentite, che sale la tensione.
Una parte di Brindisi convive fiduciosa con i duecento uomini inviati da Roma per risalire all’attentatore.
Ma ogni pomeriggio c’è qualcuno che torna al chiosco dei panini, dietro al quale sarebbe stato azionato il telecomando per far saltare in aria il gruppo di ragazze in arrivo da Mesagne.
In attesa di risposte, infatti, ognuno le cerca da sè. In attesa di giustizia, però, ognuno rischia di cercare anche un capro espiatorio.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 24th, 2012 Riccardo Fucile
UN UOMO MESSO ALLA PORTA DAL PRESIDE AVVERTI’: “VE LA FARO’ PAGARE”… LA PAURA FA CALARE LE PRESENZE IN CLASSE, SENZA ESITO LE VERIFICHE SULLA PISTA DELLA VENDETTA CONTRO UN PENTITO
“Ve la farò pagare”. La minaccia era stata rivolta alla scuola Morvillo Falcone il 28 aprile scorso da un uomo ancora senza nome i cui tratti somatici sono compatibili con l’attentatore di sabato. Quel giorno l’uomo voleva entrare dentro la scuola e parlare con il preside, ma sarebbe stato allontanato.
Di qui la minaccia pronunciata alla presenza di molti, testimoni, forse solo uno sfogo, ma che riletto all’indomani dell’esplosione costata la vita a Melissa ha fatto scattare le indagini della polizia.
Un episodio tutto da verificare, ma non il solo ad avere instradato gli inquirenti sulla pista della scuola. Qualcuno ha voluto vendicarsi per un presunto torto subito?
Al vaglio, in particolare, ci sarebbero le posizioni di alcuni ex insegnanti di materie tecniche della Morvillo Falcone e delle classi di altre scuole che si trovano nello stesso complesso.
Nei giorni scorsi polizia e carabinieri hanno acquisito gli elenchi di tutti gli insegnanti che negli ultimi anni hanno lavorato in quelle aule.
Ipotesi, allo stato, ma sulle quali si stanno concentrando gli sforzi delle centinaia di uomini, compresi gli agenti dei servizi segreti, che stanno setacciando il territorio alla ricerca del colpevole.
Secondo gli investigatori, qualcuno dentro la scuola sa qualcosa che ancora non ha detto “forse per non compromettere il buon nome dell’istituto” dice un inquirente.
L’episodio di quell’uomo ancora senza nome che avrebbe lanciato quella minaccia il 28 aprile scorso (“Ve la farò pagare”) non è stato infatti raccontato da docenti o altro personale dell’istituto Morvillo Falcone ma è arrivata agli investigatori attraverso altre strade.
Ma se dentro la scuola bersaglio dell’attentato si respira un clima pesante, la paura sembra ormai avere contagiato anche le altre scuole di Brindisi, che vengono presidiate da polizia e carabinieri sia all’entrata che alla fine delle lezioni.
Nelle scuole medie ed elementari della città si registra dall’inizio della settimana un calo di presenze. Evidentemente molti genitori temono che il mostro ancora libero possa colpire nuovamente.
È un’indagine difficile. La traccia del video aveva fatto sperare in una rapida conclusione delle ricerche. Ma non è stato così: dunque nessuna ipotesi viene tralasciata, inclusa quella che porta al crimine organizzato.
Nei giorni scorsi è stato ascoltato anche il papà di Selene (una delle studentesse ferite, ancora in ospedale a causa delle ustioni gravissime riportate in tutto il corpo).
Si chiama Vincenzo Greco e il primo luglio del 2010 fu ferito gravemente in un agguato durante una festa patronale a Mesagne. Suo fratello, Antonio, è diventato collaboratore di giustizia.
È la pista secondo la quale l’attentato potrebbe essere stato una vendetta contro la famiglia del pentito.
Ma lui, Vincenzo Greco, dice di non crederci proprio: “State sbagliando strada. La Sacra Corona Unita non fa queste cose, non ammazza ragazzi. E sia io che mia figlia, non siamo mai stati preoccupati. Selene va a viene tranquillamente, ha le chiavi di casa e rientra anche tardi. Se qualcuno avesse voluto farle del male non avrebbe avuto nessuna difficoltà . Nessuno mi ha mai minacciato o intimidito. Chi ha messo quella bomba non appartiene alla criminalità organizzata”.
Chiunque esso sia, gli inquirenti sono certi che sarà arrestato.
Ne è convinto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitato che a Palermo, per il ventennale della strage Falcone, ha detto che gli assassini di Melissa “avranno la risposta che si meritano: la pagheranno e saranno assicurati alla giustizia”
Giuliano Foschini e Francesco Viviano
(da “La Repubblica“)
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