Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
NON CI SIAMO LIBERATI DI UN CONTABALLE PER CONSEGNARCI A UN AYATOLLAH
Quando saremo al potere, spiega Grillo in un’intervista a «Sette», i politici verranno giudicati da un tribunale di cittadini
incensurati estratti a sorte, che li condannerà ai lavori socialmente utili e alla restituzione del malloppo.
Vedo già formarsi una ola da Bolzano a Trapani.
Sorprende la moderazione del gabibbo barbuto: se avesse proposto di mozzare le mani ai ladri e la lingua agli ospiti dei talk show sarebbe stato portato in trionfo da tutti i sondaggi che chiedono agli italiani se preferiscono l’aumento della benzina o quello dello stipendio.
Le persone hanno fame di capri espiatori per calmare l’ansia. Fin troppo facile blandirle con il populismo.
Perciò merita rispetto la presa di distanza di Enrico Strabotti Bon, militante del movimento 5 Stelle sezione adulti: «La crisi ha ragioni più complesse. Magari potessimo ridurla a una vicenda di guardie e ladri. Ciò detto, chi ha commesso dei reati non la passerà liscia. Ma guai se a giudicarlo fossero i tribunali del popolo. Erano già poco democratici nella democratica Atene, dominati dall’emotività e dall’odio che si porta dietro altro odio. Giacobini, nazisti, stalinisti, talebani: non c’è epuratore che non li abbia usati per epurare, salvo esserne epurato a sua volta. Prima o poi, Beppe, quel tribunale giudicherebbe anche te. Il peggior Stato di diritto è meglio della migliore giustizia popolare».
Condivido Enrico Strabotti Bon.
Non foss’altro perchè me lo sono dovuto inventare.
Sempre in attesa che un seguace reale di Grillo trovi la forza di ricordargli che non ci siamo liberati di un contaballe per consegnarci a un ayatollah.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Maggio 31st, 2012 Riccardo Fucile
“PDL E PD SONO DIVENTATI POLVERE, NOI CI SIAMO LIMITATI A PUNTARE SU RAGAZZI GIOVANI E PULITI”
Per carità , non chiamateli grillini. «Non sono mica miei. Sono ragazzi formidabili. Sono persone. Gente che ci mette la faccia ».
E poi non pensate che del Movimento 5 Stelle lui sia il padrone. «Posso essere l’ispiratore. Il grande vecchio. Cosa devo dire? Io ci sono. Mi piace. Niente di più. Noi facciamo democrazia dal basso. Non li calo mica io, dall’alto».
Beppe Grillo si consegna a Gian Antonio Stella e nella lunghissima intervista su Sette, in uscita domani, spiega la strategia d’attacco della forza civica che ha monopolizzato la comunicazione giornalistica ad amministrative ancora in corso: «Erano tutti convinti che noi fossimo un pulviscolo al 2 o 3%. Ma noi vogliamo arrivare al 100%».
Ecco come.
Punto primo: la rivoluzione culturale.
«Noi vogliamo che cambi la società intera. Probabilmente saremo l’unica opposizione a un governo con dentro tutti. Banchieri, finanzieri, Confindustria, vecchi partiti, Montezemolo ».
E il bello, secondo il comico genovese, è che la strada l’hanno spianata il Pdl e il Pd: «Loro sono diventati polvere. Eravamo in progressione leggera. E questa accelerazione la dobbiamo a loro. Ragionano come ladri. Non hanno capito che noi non prenderemo un centesimo».
Ecco spiegato il successo elettorale: «Noi ci siamo limitati a fare entrare un sacco di ragazzi giovani e puliti. Che hanno dietro i più bravi consulenti della rete. Fiscalisti, urbanisti, geologi, esperti di bilanci. Tutta gente che si mette a disposizione gratuitamente. Con un entusiasmo che gli altri se lo sognano. Questo volontariato dei cittadini è meraviglioso. È un nuovo modo di vedere il mondo. Ogni persona darà un po’ del suo tempo agli altri. Quello che ho fatto anch’io».
Punto secondo: la demolizione del falso mito della volgarità .
«Sono un gentleman in confronto a tanti politici che in questi anni ne hanno dette di tutti i colori. Mi fa ridere che accusino me. E la gente lo sa. Io sono un Lord, in confronto. Sono Lord Brummel. E poi io non sono volgare, nella mia vita. È che la parola a volte deve essere forte, per esprimere un concetto».
Punto terzo: il protagonismo della squadra anzichè la preponderanza del leader.
«Stiamo riempiendo un vuoto con dei cittadini incensurati, entusiasti e pieni di buona volontà . Negli altri Paesi il vuoto viene riempito dalle camicie brune, noi portiamo in politica i boyscout. Ragazzi perbene. Laureati. Incensurati. Colti. Curiosi. Siamo l’ultima chance per l’Italia. Mi hanno dato del nazi-comunista. Ma vai a spasso! Sono trent’anni che dico la stessa cosa. Monotonamente. Sempre la stessa cosa. L’ambiente. La differenziata. I pannelli solari. Le macchine a idrogeno. Il risparmio energetico. Sono anni che faccio politica così. Cosa c’entra l’anti-politica? Io non sono anti-politico, sono contro i partiti».
Punto quarto: un’Italia senza segretari nazionali. «Noi vogliamo una iper-democrazia senza partiti con al centro i cittadini. Che votano».
Senza più alleanze: «In Parlamento ci saranno da una parte le banche, gli zombi, l’industria con le pezze al culo, e dall’altra ci saremo noi che vogliamo un mondo diverso».
Con una pubblica gogna per chi sgarra: «I responsabili saranno giudicati e dovranno restituire i soldi che hanno rubato. Come i mafiosi. Non processi. Ma un giudizio pubblico. Con cittadini estratti a sorte, incensurati, che diranno quali lavori socialmente utili far fare a questa gente che ha derubato il Paese».
E anche con una Costituzione leggermente modificata: «Il Parlamento deve avere l’obbligo di discutere delle leggi popolari che vengono presentate. E poi il referendum senza quorum». Ultimo punto, affidato ieri al suo blog: «Forse è il caso di nazionalizzare le banche. In pratica ognuno si riprende i suoi titoli. Torna a casa Lassie. Ogni titolo è bello a mamma sua».
A commentare le anticipazioni del Grillo-pensiero c’è soltanto il Pd, con Nico Stumpo: «Soffia sul fuoco della violenza per mettere altra sabbia negli ingranaggi della democrazia».
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
CHI FA IL PROPRIO DOVERE IN ITALIA RIMANE VITTIMA DEL KILLERAGGIO DEI POTERI FORTI.. UNO DEI MAGGIORI ESPERTI EUROPEI SUL CYBER CRIME E SULLE TRUFFE FISCALI MESSO ALLA PORTA DALLO STATO: “CANCELLATI 37 ANNI DI SACRIFICI”
Era un punto di riferimento, in Italia e non solo, per tutto ciò che riguarda le cyber-truffe
e le inchieste telematiche.
Ed è stato l’uomo che, con le sue indagini, ha fatto infliggere una mega multa da 98 miliardi a dieci società concessionarie del gioco d’azzardo di Stato, poi ridotta dalla Corte dei conti alla cifra comunque consistente di 2,5 miliardi. Ora il colonnello della Guardia di finanza Umberto Rapetto, 53 anni, ha annunciato le sue dimissioni su Twitter: “Chiedo scusa a tutti quelli che mi hanno dato fiducia, ma qualche minuto fa sono stato costretto a dare le dimissioni dalla GdF” scrive alle 9:44 del mattino del 29 maggio.
“Qualche modulo e una dozzina di firme sono bastati per cancellare 37 anni di sacrifici e di soddisfazioni e i tanti sogni al Gat GdF”, rincara la dose mezz’ora dopo.
Rapetto era stato il fondatore del Gat (Gruppo anti-crimine telematico), poi diventato Nucleo speciale frodi telematiche.
È il reparto che si occupa di contrastare le truffe via Internet, i criminali e gli attacchi informatici.
Giornalista pubblicista e autore di numerose pubblicazioni — era stato nominato Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana da Carlo Azeglio Ciampi — il colonnello era noto per numerose inchieste condotte con successo: dall’operazione “Macchianera” che portò alla luce centinaia di frodi nei confronti dell’Inps, alle indagini che avevano portato all’arresto di criminali informatici in grado di penetrare nel sistema di sicurezza del Pentagono.
A costargli il posto, però, potrebbe essere stata proprio l’inchiesta sulle slot machine non collegate alla rete telematica dello Stato.
E’ di ieri la notizia degli arresti domiciliari di Massimo Ponzellini: l’ex presidente di Bpm ha ricevuto la misura cautelare per un finanziamento sospetto proprio alla società di slot machine, Atlantis.
Le dimissioni arrivano dopo che, bocciata la sua promozione a generale, Rapetto viene rimosso dal Gat — dal prossimo luglio — e spedito a frequentare — da studente — un corso al Centro Studi della Difesa, struttura presso la quale insegnava da 15 anni.
Un’assurdità , che segue la bufera politica già sollevata quando venne decisa la sua rimozione sulla quale si erano concentrate ben nove interrogazioni parlamentari provenienti da pressochè tutto l’arco politico (e nelle quali veniva sottolineato la sua “professionalità specifica e riconosciuta a livello internazionale come esperto di lotta al crimine informatico”).
Il Comando generale delle Fiamme Gialle fece sapere che le sue indagini avevano “frequentemente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica soprattutto da un punto di vista mediatico” e che il suo allontanamento dal Gat non era “certamente una rimozione ma, al contrario, rientra nella normalità delle vicende che interessano tutti gli ufficiali della Guardia di finanza”.
Ieri, però, sono arrivate le dimissioni.
Con tanta amarezza. Rapetto, oltre che a Twitter, si è affidato anche a Facebook per esprimere la sua delusione: “Grazie a tutti per la solidarietà : il momento è difficile e indesiderato…”.
Evidentemente per lui l’aria era diventata irrespirabile.
Commento del ns. direttore
Questa vicenda rappresenta, sia per lo spessore riconosciuto al col. Rapetto a livello internazionale, sia per l’evidente azione punitiva nei suoi confronti, determinata dall’aver toccato interessi e clan miliardari degli “amici degli amici” (con ascendenti coinvolti in processi di ‘ndrangheta), una delle pagine più sporche della nostra Repubblica.
Uno sputtanamento del nostro Paese a livello planetario di cui parlerà la stampa internazionale, la quale avrà buon gioco a sostenere che in Italia chi fa il proprio dovere viene ridotto a “studente di corsi dove aveva insegnato per 15 anni” mentre gli evasori si vedono abbuonata la multa di 92 miliardi.
Con che credibilità Monti parla di lotta all’evasione e si congratula con la Guardia di Finanza?
Quale Guardia di Finanza?
Piccola considerazione sui partiti che parlano di legalità e merito: vi sono vicende in cui non basta un’interrogazione parlamentare, occorre occupare Camera e Senato a oltranza, fino all’intervento dei reparti mobili.
Per sgomberare l’Aula devono usare la violenza fisica, come hanno usato quella morale contro Rapetto.
Queste sono le battaglie che vanno condotte per coerenza con le proprie idee e coi nostri valori di riferimento.
Queste sono le battaglie che portano consensi, a costo di finire manganellati.
Fino a ottenere che qualcuno (e non Rapetto) prepari le valigie e venga accompagnato alla porta a calci nel culo.
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL GOVERNO PUNTA SULLE INFRASTRUTTURE PER LA CRESCITA MA, DALLA TORINO-LIONE AL BRENNERO, SI TRATTA QUASI SEMPRE DI INVESTIMENTI FERROVIARI DESTINATI AD ARRICCHIRE SOLO BANCHE E COSTRUTTORI
Il ministro Corrado Passera ha annunciato che, con l’intervento dei privati, si potrà arrivare a investimenti di 100 miliardi nei prossimi anni.
Tantissimi soldi, ma ricordano quelli per le “grandi opere” di Berlusconi, mai concretizzatisi. Tuttavia un certo numero di “grandi opere”, oltre la Torino-Lione, stanno per davvero per essere avviate dal governo Monti.
L’attenzione si è spesso concentrata sul tunnel della Val di Susa, ma è forte il rischio che questi altri investimenti possano rivelarsi, nel complesso, un affare anche peggiore per il Paese.
Alcune sono già finanziate in parte, altre hanno passato la cruciale soglia dell’approvazione del Cipe.
Si tratta del tunnel ferroviario del Brennero, della linea ferroviaria Milano-Genova (nota come “terzo valico”, essendocene già due, sottoutilizzati), la linea Alta velocità Treviglio-Brescia-Padova, le nuove linee ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Catania, che non sono ad alta velocità ma costano come se lo fossero, e il miglioramento della linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria (forse, tra queste, la più sensata).
Vi è anche un’intesa politica “bipartisan” per la nuova linea Av Venezia-Trieste, mentre non è chiaro al momento il destino del Ponte sullo Stretto di Messina.
Il costo totale preventivato supera i 27 miliardi di euro (e chissà poi il consuntivo).
Circa l’auspicato e generoso intervento dei privati, in questo settore in generale si tratta di “prestiti mascherati”, in cui i privati, forse anche a ragione, in realtà non rischiano nulla. L’esperienza dell’Alta velocità dovrebbe insegnare: la Commissione europea costrinse lo Stato a versare 11 miliardi “cash” alle Fs, perchè non riconobbe alcun reale rischio privato nell’operazione.
Ma la memoria è labile quando si tratta dei soldi dei contribuenti.
Quali caratteristiche hanno in comune le opere sopra elencate
Non sono stati resi pubblici i piani finanziari: cioè non è noto quanto sarà a carico dei contribuenti e quanto a carico degli utenti.
La cosa sembra inquietante in un periodo di grande scarsità di soldi pubblici. Non sono in generale note nemmeno analisi costi-benefici comparative di tali opere, per determinarne la priorità in funzione del benessere sociale che creano (o distruggono).
I finanziamenti non sono “blindati” fino a garantire il termine dell’opera.
La normativa recente che consente di realizzarle “per lotti costruttivi”, invece che “per lotti funzionali” rende possibili cantieri di durata infinita.
Sono tutte opere ferroviarie, ed è noto che la “disponibilità a pagare” degli utenti per la ferrovia è molto bassa, tanto che se si impongono tariffe che prevedano un recupero anche parziale dell’investimento, il traffico tende a scomparire, al contrario che per le autostrade.
Questo aspetto rende discutibile la scelta di privilegiare le ferrovie, quando i soldi sono così scarsi. In effetti, i benefici ambientali delle ferrovie sono indiscutibili.
Ma non è più così in caso di linee nuove: le emissioni “da cantiere” rendono il risultato ambientale molto dubbio.
Il contenuto occupazionale e anticiclico di tali opere appare modesto: si tratta di tecnologie “ad alta intensità di capitale” (in media, solo il 25% dei costi sono di lavoro).
Vediamo ora i pochi aspetti specifici che sono noti di alcune di queste opere.
La debolezza delle informazioni di cui si dispone è un problema politico in sè: investimenti pubblici di questa portata dovrebbero essere documentati in modo trasparente.
Sul “terzo valico” l’Ing. Mauro Moretti, ad di Fs, si è espresso più volte mettendone in dubbio la priorità , tanto da dover essere ripreso con una lettera al Sole 24 Ore dall’ex ministro Lunardi. L’analisi costi-benefici della linea Av Milano-Venezia, è stata dimostrata inconsistente su lavoce.info.
Per il tunnel del Brennero, gli austriaci da tempo esprimono dubbi sulle proprie disponibilità finanziarie.
Certo, se l’Italia costruisse la propria metà , vi sarebbero molti problemi per i treni, senza l’altra metà del tunnel. L’analisi costi-benefici, presentata da Fs per la linea Napoli-Bari, è stata dimostrata del tutto indifendibile, sempre su lavoce.info.
Anche in questo caso, nessuna smentita è pervenuta.
È una leggenda che le infrastrutture generino nel tempo la domanda che le giustifica: la linea di Alta velocità Milano-Torino, costata 8 miliardi e con una capacità di 330 treni/giorno, ne porta, dopo tre anni dall’entrata in servizio, appena 20.
Nè la realizzazione del collegamento Torino-Lione ne genererebbe molti di più: le stime ufficiali (ma quelle del progetto completo, non di quello attuale, molto più modesto) parlano di neanche 20 treni aggiuntivi.
Ma il problema maggiore non è la debolezza della domanda ferroviaria quanto i cantieri infiniti, consentiti dall’attuale normativa.
Per ragioni di consenso si rischia di avere moltissime opere non finite in tempi ragionevoli, con costi economici stratosferici.
Non sembra il momento di perseverare con queste logiche, proprie di una diversa fase politica ed economica.
Ma chi avrà il coraggio di dire di no a tanti “sogni nel cassetto” di politici, banche e costruttori locali, soprattutto in vicinanza di elezioni?
Marco Ponti
(professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano)
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL GURU DELLA COMUNICAZIONE, AL CENTRO DELLE POLEMICHE IN MERITO ALLA SUA INFLUENZA SU GRILLO, PARLA DEI SUOI RAPPORTI CON IL COMICO GENOVESE… TUTTO INIZIO’ NEL 2004: DA LI’ PARTIRONO IL BLOG, IL MEETUP E IL VDAY: “INSIEME ABBIAMO DEFINITO LE REGOLE, MA NON SONO MAI ENTRATO NELL’AMBITO DEI PROGRAMMI
“A chi si chiede chi c’è dietro Grillo o si riferisce a ‘un’oscura società di marketing’ voglio chiarire che non sono mai
stato ‘dietro’ a Beppe Grillo, ma al suo fianco”.
Gianroberto Casaleggio, ‘guru’ della comunicazione del blogger genovese a capo dell’agenzia per le ‘strategie di rete’ Casaleggio associati, scrive al Corriere della Sera per spiegare come sia nato e cresciuto il loro rapporto e quale sia il suo ruolo nel Movimento 5 Stelle, di cui è ‘cofondatore’.
Nelle ultime settimane, specie con la vittoria alle scorse amministrative e la polemica intorno al consigliere epurato in Emilia Romagna, Casaleggio è stato al centro delle polemiche perchè considerato l’ ‘eminenza grigia’ in grado di influenzare Grillo e di prendere decisioni sulle strategie politiche.
Nel 2003, spiega al quotidiano di via Solferino, ha deciso di lasciare Telecom e di aprire la sua agenzia di comunicazione in cui la Rete era protagonista.
“Internet — spiega — è un tema che mi appassiona e di cui mi occupo dalla metà degli anni 90″. Per questo ha cercato di “comprenderne le implicazioni sia nel contesto sociale che in quello politico che in quello della comunicazione” perchè fermamente convinto che “la Rete stia cambiando ogni aspetto della società e cerco di prevederne gli effetti”.
Abilità e passione che a Grillo non sono sfuggite.
“Tutto iniziò nel 2004″, quando il comico lesse uno dei suoi libri, “Il Web è morto, viva il Web”. Da lì la svolta: “Rintracciò il mio cellulare e mi chiamò. Lo incontrai alla fine di un suo spettacolo a Livorno e condividemmo gran parte delle idee”.
Poi la collaborazione tra i due si è fatta sempre più intensa: “Progettammo insieme il blog beppegrillo.it, proponemmo la rete dei Meetup (gruppi che si incontrano sul territorio grazie alla Rete), organizzammo insieme i Vday di Bologna e di Torino, l’evento Woodstock a 5 Stelle a Cesena e altri incontri nazionali, come a Milano dove, il 4 ottobre 2009, giorno di San Francesco, al teatro Smeraldo prese vita il MoVimento 5 Stelle”.
Chiarisce che dietro a Grillo non c’è “un’oscura società di marketing”, perchè lui è sempre stato al suo fianco.
Poi aggiunge di essere “in sostanza cofondatore” dei 5 Stelle, perchè con Grillo ha “scritto il ‘Non Statuto’, pietra angolare del MoVimento 5 Stelle prima che questo nascesse, insieme abbiamo definito le regole per la certificazione delle liste e organizzato la raccolta delle firme per l’iniziativa di legge popolare ‘Parlamento Pulito’ e le proposte referendarie sull’editoria con l’abolizione della legge Gasparri e dei finanziamenti pubblici”.
Casaleggio ha anche un ruolo attivo nella comunicazione dei “rappresentanti di liste che si candidavano alle elezioni amministrative” ma, rispondendo alle polemiche di chi lo ritiene il deus ex machina del movimento, chiarisce di non essere mai “entrato nell’ambito dei programmi delle liste, nè ho mai imposto alcunchè”.
Prende le distanze anche da chi lo accusa di essere vicino ai poteri forti, da Bilderberg alla Godman Sachs.
Ipotesi che da tempo circolano online, visto che nella Casaleggio associati c’è Enrico Sassoon, anche lui con un passato in Telecom, che oggi è Board Member dell’Aspen Institute Italia. Insomma, Casaleggio dice di non essere il “grande fratello” di Grillo in stile orwelliano, anche se ammette che “Grillo per me è come un fratello, un uomo per bene che da questa avventura ha tutto da perdere a livello personale”.
E conclude la sua lettera con il motto del più antico ordine cavalleresco inglese: “Honni soit qui mal y pense”.
Tradotto: “Si vergogni chi pensa male”.
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
SI PARLA DI OLTRE 2 MILIARDI DI DANNI E CIRCA 20.000 PERSONE RIMASTE SENZA LAVORO
Colpito mentre cominciava a rimettersi in piedi il sistema produttivo emiliano dovrà purtroppo rivedere drammaticamente in peggio un conto dei danni che aveva appena iniziato a delinearsi con un minimo di chiarezza.
Dopo la prima scossa la situazione era la seguente: danni fino a due miliardi di euro tra industria, agricoltura e commercio, un capannone su quattro crollato o inagibile e 14mila posti a rischio nelle province di Modena e Ferrara che contano complessivamente 45mila occupati.
Tutte queste cifre sono destinate a peggiorare ma per sapere in quale misura bisognerà attendere le prossime ore.
La Confindustria Modena parla però intanto di “una situazione molto peggiorata rispetto al primo terremoto” e di danni per l’industria a spanne almeno triplicati rispetto ai 500 milioni della scorsa settimana.
Il quadro più compromesso sembra essere quella del distretto biomedicale di Mirandola dove 5000 persone lavorano ad una produzione d’eccellenza che vale circa 800 milioni di euro l’anno.
Già la scorsa settimana, 9 aziende su 10 erano state costrette a fermarsi e oggi il presidente di Assobiomedica Stefano Raimondi ha affermato: ”I danni subiti dalle aziende biomedicali che si trovano nella zona interessata dal sisma sono considerevoli. Siamo preoccupati per i rifornimenti di prodotti ai pazienti per alcune patologie, in particolare la dialisi”.
Gravi difficoltà anche per la meccanica dove secondo l’assessorato al lavoro della Regione sono a rischio non meno di 5000 posti.
Le linee di montaggio dei big come Ferrari, o Lamborghini si sono fermate, almeno ad ora, solo per motivi precauzionali. Il cosiddetto sistema “just in time” prevede poche scorte in magazzino contando su forniture continue e puntuali. Basta che si inceppi un ingranaggio e un fornitore manchi una consegna e tutto il meccanismo si blocca. Rischia invece di veder vanificati i suoi sforzi il distretto della ceramica concentrato nell’area di Sassuolo.
Qui gran parte delle produzioni erano state rimesse in moto a tempo di record scongiurando la perdita di 1500 posti di lavoro temuta inizialmente.
Ora bisognerà probabilmente ricominciare tutto da capo.
Quanto all’agricoltura sono ancora negli occhi di molti le immagini delle 300 mila forme di parmigiano reggiano andate perse lo scorso 20 maggio a causa del crollo delle strutture che le ospitavano.
Le primissime stime sulle conseguenze del sisma odierno parlano di altre 500 mila forme perse.
La stima iniziale di 200 milioni di danni è cresciuta, dice Coldiretti, fino a mezzo miliardo di euro. Così come andrà alzato e di molto il conteggio delle perdite per l’intero settore agricolo sinora quantificate in un altro mezzo miliardo di euro.
Andranno purtroppo rifatti anche i calcoli dei danni subiti dalle imprese del commercio, del turismo e dei servizi che fino a ieri ammontavano a 300 milioni di euro con il 90% delle attività bloccate nelle zone più vicine all’epicentro.
L’impatto economico del nuovo disastro potrà ovviamente essere attenuato dalle contromisure che governo, enti locali e banche metteranno in campo.
Prima del sisma di questa mattina il governo aveva stanziato una prima tranche di aiuti da 50 milioni di euro e il rinvio di alcuni adempimenti fiscali.
Il sistema bancario aveva invece annunciato la sospensione di rate di mutui ipotecari per 800 milioni di euro e l’apertura di linee di credito a tassi agevolati per imprese e popolazione delle aree colpite.
Misure che sono state giudicate però ampiamente insufficienti da sindacati e organizzazioni imprenditoriali locali e che da questa mattina lo sono ancora di più.
Mauro Del Corno
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
DODICI FERMI NEI CONFRONTI DI ESPONENTI DEL CLAN NASONE…. GLI IMPRENDITORI CHE NON PAGAVANO AVEVANO I MEZZI DANNEGGIATI O SUBIVANO PESANTI INTIMIDAZIONI
I carabinieri li hanno sentiti pianificare le incursioni notturne, organizzare i danneggiamenti. Stabilire quali mezzi
dovevano saltare in aria e quali essere devastati a mazzate.
Per lavorare sui cantieri della Salerno-Reggio Calabria, dovevano pagare tutti.
E nella zona di Scilla-Villa San Giovanni, i soldi toccavano a loro. Il 3% dell’importo dell’appalto, e “non meno”, doveva andare ai “Nasone-Gaietti”.
Ora una decina di componenti della cosca sono finiti in manette su richiesta della Dda di Reggio Calabria, che ha deciso di affondare il colpo mentre la cosca era ancora pienamente operativa.
I carabinieri del Comando provinciale hanno notificato dodici “fermi” nei confronti di altrettante persone ritenute legate al clan degli scillesi.
Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e i pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, hanno firmato i provvedimenti nel tentativo di bloccare lo stillicidio di intimidazioni che negli ultimi mesi ha riguardato una serie di aziende impegnate nella fornitura di servizi e materiali o subappaltatori dell’A3 e non solo.
In questo senso, il boss Giuseppe Virgilio Nasone, e i suoi uomini erano determinati. Nonostante l’arresto di un picciotto della “famiglia” catturato nei mesi scorsi – quando si era presentato ad un imprenditore per chiedere una mazzetta da sei mila euro – il gruppo non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Anzi.
Le microspie dell’Arma li avevano sentiti ragionare: “Non è che le cose non si possono fare, basta stare attenti”.
Le cose da fare erano gli attentati. E di soldi ne arrivavano tanti dalle ditte intimorite.
Alcuni imprenditori pagavano per evitare che le attrezzature, in molti casi particolarmente costose, fossero danneggiate.
Altri per paura o per evitare che gli operai subissero ritorsioni anche violente.
“Dobbiamo fare come quelli di Gioia Tauro — dicevano — quelli che pagano sono apposto. Agli altri gli facciamo saltare i palazzi”.
L’inchiesta della Procura di Reggio Calabria ha preso il via dalla denuncia di un imprenditore che non si è voluto piegare.
Così, a marzo del 2011 è finito in carcere Giuseppe Fulco, cugino dei Nasone.
Gli inquirenti, incassato il risultato, tuttavia, non hanno mollato la presa ed hanno continuato ad ascoltare i suoi commenti in carcere.
Ed è durante i colloqui con la madre e la sorella che sono venuti fuori una serie di elementi che hanno consentito di ricostruire la rete di rapporti interni alla cosca.
Il clan infatti continuava a versargli “la mesata” ed a spartire con lui gli utili di altre estorsioni. Altre microspie e una serie di pedinamenti hanno fatto il resto, riuscendo a dare un volto ed un nome ad ogni componente del clan e a ricostruire i singoli episodi.
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO LA RICERCA, GERMANIA, GRAN BRETAGNA E SVIZZERA SONO LE METE SCELTE DAI GIOVANI ITALIANI… IL NOSTRO PAESE E’ INVECE POLO ATTRATTIVO PER LAVORATORI STRANIERI CON UNA FORMAZIONE MEDIO BASSA
Medici, avvocati e architetti in fuga all’estero per trovare lavoro.
Sono oltre 10 mila i professionisti che tra il 1997 e il 2010 si sono trasferiti stabilmente in altri paesi europei.
Circa 4mila persone vivono in Gran Bretagna, 1500 scelgono la Svizzera e poco più di 1000 persone optano per la Germania.
Lo conferma l’indagine del centro studi del Forum nazionale dei Giovani in collaborazione con il Cnel.
I lavoratori altamente qualificati che lasciano l’Italia sono medici (2640), insegnanti delle scuole superiori (1327), avvocati (596) e architetti (214).
Tuttavia il Belpaese è un polo di attrazione per chi arriva dall’estero.
Il saldo tra gli arrivi e le partenze è positivo per circa mille unità .
Tra il 2007 al 2010 sono arrivati in Italia professionisti rumeni (5125), spagnoli (1306) e tedeschi (1030).
In genere, la loro qualifica è medio-bassa: la maggior parte sono infermieri (6531).
Le difficoltà .
Per i lavoratori altamente qualificati lasciare il proprio paese non è una passeggiata. Secondo il Cnel, i principali ostacoli sono la libera circolazione in Europa, il riconoscimento dei titoli, l’omogeneità dei percorsi formativi.
I professionisti più agevolati nella mobilità Ue sono i medici e gli architetti.
Le maggiori difficoltà le incontrano psicologi e giornalisti; seguono notai, commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati.
Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) l’Italia risulta avere una regolamentazione tra le più complicate in Europa.
Peggio solo la Slovenia, la Turchia e il Lussemburgo.
Professionisti over 50.
Tra gli oltre 2 milioni di iscritti agli ordini professionali, appena il 9,4% ha meno di 30 anni.
Nell’indagine, un notaio su due ha più di 50 anni e quasi tre medici su quattro sono over 45.
Ci sono più giovani nella categoria dei giornalisti e degli avvocati: oltre il 60% ha meno di 45 anni.
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Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile
DODICI FERMI NEI CONFRONTI DI ESPONENTI DEL CLAN NASONE…. GLI IMPRENDITORI CHE NON PAGAVANO AVEVANO I MEZZI DANNEGGIATI O SUBIVANO PESANTI INTIMIDAZIONI
I carabinieri li hanno sentiti pianificare le incursioni notturne, organizzare i danneggiamenti. Stabilire quali mezzi
dovevano saltare in aria e quali essere devastati a mazzate.
Per lavorare sui cantieri della Salerno-Reggio Calabria, dovevano pagare tutti.
E nella zona di Scilla-Villa San Giovanni, i soldi toccavano a loro. Il 3% dell’importo dell’appalto, e “non meno”, doveva andare ai “Nasone-Gaietti”.
Ora una decina di componenti della cosca sono finiti in manette su richiesta della Dda di Reggio Calabria, che ha deciso di affondare il colpo mentre la cosca era ancora pienamente operativa.
I carabinieri del Comando provinciale hanno notificato dodici “fermi” nei confronti di altrettante persone ritenute legate al clan degli scillesi.
Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e i pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, hanno firmato i provvedimenti nel tentativo di bloccare lo stillicidio di intimidazioni che negli ultimi mesi ha riguardato una serie di aziende impegnate nella fornitura di servizi e materiali o subappaltatori dell’A3 e non solo.
In questo senso, il boss Giuseppe Virgilio Nasone, e i suoi uomini erano determinati. Nonostante l’arresto di un picciotto della “famiglia” catturato nei mesi scorsi – quando si era presentato ad un imprenditore per chiedere una mazzetta da sei mila euro – il gruppo non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Anzi.
Le microspie dell’Arma li avevano sentiti ragionare: “Non è che le cose non si possono fare, basta stare attenti”.
Le cose da fare erano gli attentati. E di soldi ne arrivavano tanti dalle ditte intimorite.
Alcuni imprenditori pagavano per evitare che le attrezzature, in molti casi particolarmente costose, fossero danneggiate.
Altri per paura o per evitare che gli operai subissero ritorsioni anche violente.
“Dobbiamo fare come quelli di Gioia Tauro — dicevano — quelli che pagano sono apposto. Agli altri gli facciamo saltare i palazzi”.
L’inchiesta della Procura di Reggio Calabria ha preso il via dalla denuncia di un imprenditore che non si è voluto piegare.
Così, a marzo del 2011 è finito in carcere Giuseppe Fulco, cugino dei Nasone.
Gli inquirenti, incassato il risultato, tuttavia, non hanno mollato la presa ed hanno continuato ad ascoltare i suoi commenti in carcere.
Ed è durante i colloqui con la madre e la sorella che sono venuti fuori una serie di elementi che hanno consentito di ricostruire la rete di rapporti interni alla cosca.
Il clan infatti continuava a versargli “la mesata” ed a spartire con lui gli utili di altre estorsioni. Altre microspie e una serie di pedinamenti hanno fatto il resto, riuscendo a dare un volto ed un nome ad ogni componente del clan e a ricostruire i singoli episodi.
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