ROBERTO SAVIANO DIVIDE IL PD… LO SCRITTORE POTREBBE FARE DA GARANTE AL PROGETTO
“C’è ben poco da dire. E sinceramente, per quanto mi sforzi, davvero non comprendo le ragioni della levata di scudi a cui assistiamo in queste ore, da parte di alcuni dirigenti del Pd: una lista patrocinata da Saviano, ma non solo da lui, sarebbe il valore aggiunto che può decidere queste elezioni”.
Eugenio Scalfari non sorride.
È molto serio, forse anche preoccupato per una polemica che considera priva di fondamento, se non addirittura autoreferenziale e politicista.
Sta di fatto che lui l’idea della “lista Saviano” l’ha avuta per primo, o raccontata per primo (il che non fa molta differenza) due mesi fa, quando aveva ipotizzato quello che in queste ore si sta realizzando.
Ieri, sul Corriere, Maria Teresa Meli ha raccontato che Pier Luigi Bersani ha deciso di concedere l’apparentamento a questa lista.
Il segretario democratico le ha definite illazioni. E Saviano ha smentito con molta nettezza l’ipotesi di una propria candidatura, ma non ha escluso l’idea di un ruolo di patrocinio a un progetto che prende corpo intorno a Libertà e Giustizia, e a una parte di volti vicini al Gruppo L’Espresso.
Ecco perchè il grande patriarca del giornalismo italiano continua a indicare la rotta che ritiene più giusta al popolo della sinistra.
Direttore, è stata una profezia scalfariana o cosa?
No, guardi, solo un semplice auspicio dettato dal buonsenso. Io quando vedo dirigenti del Pd, peraltro giovani, che si affrettano a mettere le mani avanti, resto interdetto.
Mi spieghi cosa non la convince.
Civati e Fassina dicono che così il Pd rischia di diventare una Bad Company. Guardi, la battuta è senza dubbio immaginifica, ma io non la capisco. I dirigenti del Pd vogliono vincere? Bene, dovrebbero essere contenti che professionisti, giornalisti, esponenti della società civile possano impegnarsi in una lista che allarga il campo del centrosinistra.
Provo a prendere le parti del diavolo. Il loro ragionamento è: ma se queste persone hanno idee simili al Pd perchè non si candidano con il Pd?
Ripeto, per chi conosce la storia della sinistra italiana non c’è nulla di nuovo. Ai tempi di Togliatti c’era la consuetudine dei compagni di strada, vicini al partito, ma sciolti dai vincoli disciplinari degli iscritti. Poi venne la felice intuizione di Berlinguer che diede statuto e consistenza parlamentare alla figura degli indipendenti di sinistra, garantendo l’elezione a una pattuglia di intellettuali e professori di sicuro valore… Era il 1976. Negli anni arrivarono laici come Rodotà¡, economisti come Spaventa, cattolici del dissenso come Raniero La Valle…
Però venivano eletti nelle liste e con il simbolo del Pci…
Sono passati quarant’anni! Era prima della caduta del muro e c’era, se mi consenti il termine, quel popà³ di partito alle spalle.
Sta dicendo che quello potrebbe tornare ad essere un modello di relazione con intellettuali esterni al Pd?
Perchè no? Nel 2011, posso aspettarmi dal Pd un tasso di elasticità non superiore, ma almeno pari a quello degli anni ’70? Bersani fa bene ad aprire.
Mi faccia un esempio.
Dico un nome, non un nome a caso, di valore indiscusso, proprio come quello di Rodotà .
Certo.
Ebbene, un uomo come Rodotà , animato da indubbio spirito di servizio, sarebbe forse disponibile a candidarsi in una lista del tipo che abbiamo ipotizzato. Mi sento di escludere in maniera pressochè certa che potrebbe accettare di correre sotto il simbolo del Pd.
Lei però ha dato anche un’altra spiegazione…
È vero: io credo, per esempio, che in un paese come questo, una lista che affermi il valore della legalità sarebbe un punto di forza per la coalizione.
E il ruolo del Pd?
Il Pd è, e resta, il cardine della coalizione: affiancato, però, da una o più liste che nulla tolgono, casomai molto aggiungono al suo patrimonio di uomini e di idee.
Quindi anche una lista patrocinata — per esempio — dalla Fiom, in questo quadro, potrebbe essere l’ala “sinistra”, e Saviano l’ala “destra”?
Potrebbe in linea teorica, ma con un dubbio, e a patto di sottoscrivere una condizione preliminare.
Partiamo dal dubbio.
Per me in realtà è una certezza: un sindacato non è un partito. Il suo mestiere è occuparsi di contratti, non promuovere o influenzare formazioni politiche. Nemmeno di porre condizioni programmatiche o ultimatum.
Nulla impedisce però che singoli dirigenti possano candidarsi o che il sindacato possa chiedere riforme che ritiene indispensabili.
Oh certo: ma prima si devono dimettere dal sindacato. E poi scatta quella che considero la condizione preliminare.
Quale?
Il perno della politica del Pd, in questi mesi, è stato il sostegno al governo Monti.
E allora?
Si può fare parte di questa coalizione se si sostiene il governo Monti e il suo operato. Landini e i suoi sono pronti a sottoscrivere questa condizione?
Hanno già¡ posto come condizione di rivedere la riforma previdenziale Fornero per i lavoratori usuranti e di restaurare l’articolo 18.
Questo li pone fuori dalla coalizione riformista, e li mette al pari di Grillo, che chiede di cancellare le banche.
C’è una pregiudiziale Monti, secondo lei, che deve essere applicata nel centrosinistra?
Vede, il sindaco di Parma deve negoziare il debito con le banche, e il leader del suo movimento inneggia alla loro demolizione. Basterebbe questo per dimostrare che la demagogia, soprattutto in questo momento ha le gambe corte.
Luca Telese blog
ARRIVA LA CARICA DELLE LISTE CIVICHE: OLTRE A GRILLO E MONTEZEMOLO, FIORISCONO LE SIGLE PRONTE AD APPROFITTARE DEL TRACOLLO DELLA POLTICA TRADIZIONALE
.La Terza Repubblica sarà l’Apocalisse dei partiti?
L’ultimo, devastante sondaggio dell’Ipsos a Ballarò ha fornito dati eloquenti.
Il 55 per cento del campione considera esaurita la spinta propulsiva dei “partiti tradizionali”, anche se dovessero presentare le fatidiche “facce nuove”.
Per quanto riguarda poi il prossimo inquilino di Palazzo Chigi, il 31 per cento vorrebbe “un nuovo rappresentante della società civile”.
Monti e il resto si trovano ben sotto: appena il 14 per cento per l’attuale premier, mentre i segretari dei due partiti maggiori, Pd e Pdl, assommano addirittura il 18 per cento: 10 per Bersani e 8 per Alfano.
Un disastro accentuato dalla crescita continua del Movimento 5 Stelle: 19,8 per cento a fronte del 25,6 del Pd e del 16,8 del Pdl.
Per tentare di arginare il boom del grillismo (che ha di fatto già ribaltato il tavolo dell’inciucio o della Grande Coalizione), anche nei partiti è cominciata la rincorsa alle liste civiche, antica idea di Paolo Flores d’Arcais, direttore di Micromega.
La scorsa settimana, il dibattito ha quasi distrutto quel che resta del Pdl: la nomenklatura ex forzista ed ex An contro lo spacchettamento a favore di una rete di liste capeggiata da Daniela Santanchè.
E lo stesso Berlusconi ha ammesso pubblicamente l’ipotesi di un centrodestra civico.
Adesso è il turno del Pd sotto schiaffo del giornale-partito di Repubblica.
L’idea di una lista Saviano voluta da De Benedetti, Scalfari e Mauro sta causando una rivolta tra i democrat.
Ieri lo stesso Saviano ha smentito una sua candidatura ma non il progetto.
Il centro, poi. Tra il tecnico Passera e l’eterno indeciso Montezemolo (ieri ha smentito come Saviano: no alla candidatura ma sì alle liste) passa il futuro dei moderati, che disperatamente Berlusconi vorrebbe riunire in una confederazione
Tutto però dipenderà dal nuovo sistema elettorale, se cambierà .
E non è escluso che anche il Porcellum veda in campo coalizioni fatte soprattutto di liste civiche.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
“CHIUNQUE VENGA PERCEPITO COME NON SCHIERATO FA PAURA E VIENE DELEGITTIMATO”
Sarà davvero Roberto Saviano l’«anti-Grillo»? Se ne parla da giorni ormai, si raccontano bizantine strategie per arginare il pericolo rappresentato dall’esplosione del comico genovese in quello che un tempo era un elettorato al massimo condiviso con la sinistra radicale.
Cambiano gli equilibri, però, e cambiano gli schemi.
Il quotidiano «Repubblica» ha avanzato l’ipotesi di una «lista per la legalità ». Il Pd si sarebbe quindi messo allo studio di alcune idee per non essere tagliato fuori dal processo in corso nella sua zona di campo.
E quindi porta aperta alle liste civiche, guidate da intellettuali non da politici, ma in ogni caso apparentate con il Pd come ad esempio Roberto Saviano o Gustavo Zagrebelsky o Concita De Gregorio.
Che cosa di vero ci sia dietro queste ipotesi lo si saprà nei prossimi giorni quando il segretario del Pd Pierluigi Bersani annuncerà ufficialmente la nuova fase.
Ma nel Pd si è già iniziato a litigare: le liste civiche come finora sono state descritte convincono pochi.
E lui, l’anti-grillo, la speranza di arginare l’ascesa dei grillini ha smentito il suo coinvolgimento diretto nelle liste: «Mi capita spesso di leggere articoli che danno per certa la mia candidatura politica. Non è importante in quale ruolo e in quale partito, la cosa certa è, che dicono, sto per candidarmi. Ovviamente è falso. È dal 2006 che, mentendo, annunciano la mia candidatura. Chi fa disinformazione, quando terminò “Vieniviaconme”, dava per certa la mia candidatura. E ora che è finito “Quello che (non) ho”, spuntano notizie dello stesso tenore», spiega in un’articolo per il prossimo numero del settimanale «l’Espresso».
«Il punto è che per queste persone, chiunque non venga percepito come schierato, fa paura e va delegittimato.
Il messaggio implicito è: «Questo qui fa di tutto per ottenere consensi, perchè il suo scopo è fare politica», avverte Saviano.
Insomma nessun «anti-Grillo», sembrerebbe, in realtà Saviano smentisce la guida delle liste civiche ma conferma il suo impegno nella battaglia della futura Italia politica: «Il mio mestiere è quello di scrivere, ma non rinuncio alla possibilità di costruire un nuovo percorso in questo Paese. Ridare dignità alle parole della politica è invece la premessa alla rinascita. Ripartire dalle parole significa costruire prassi diverse. Perchè le parole sono azione».
Insomma Saviano ci sarà . La formula verrà decisa in seguito.
Quanto valga in termini elettorali l’autore di «Gomorra» in questo momento è difficile dirlo.
Nicola Piepoli sostiene che il suo impatto può essere «alto».
Dopo le amministrative il quadro dei voti è diviso in due parti, più o meno equivalenti: da un lato i partiti tradizionali, dall’altro Grillo.
«La fetta che ora è occupata da Grillo – spiega Piepoli – è uno spazio vuoto e la natura odia il vuoto. E’ naturale che venga occupato da altre persone. Si divideranno quel 50%. Se ipotizziamo anche una candidatura di Montezemolo e di Passera il valore di Saviano si attesta tra il 12 e il 13% da un punto di vista statistico».
Flavia Amabile
SPACCATURA TRA I LEADER EUROPEI DI FRONTE A OBAMA IN TELE-CONFERENZA…LA CANCELLIERA: “LA GERMANIA NON REGALERA’ SOLDI ALLE BANCHE SPAGNOLE”…MONTI: “BERLINO RIFLETTA SUBITO”
“No, la Germania non regalerà soldi alle banche spagnole”. Per tre volte Barack Obama, Mario Monti e Francois Hollande vanno alla carica. Per tre volte Angela Merkel dice di no.
In inglese e, per non sbagliare, in tedesco. La Cancelliera è irremovibile.
E così alla teleconferenza dell’altro ieri pomeriggio l’Europa clamorosamente si spacca.
Per la prima volta davanti a Obama. Qualcosa che gli europei volevano evitare. Come testimonia un’altra teleconferenza. Quella del 17 maggio, quando Monti, Merkel, Cameron e Hollande in partenza per il G8 di Camp David decisero che almeno di fronte agli altri grandi si sarebbero dovuti mostrare compatti.
Poi le beghe su come rilanciare la crescita per risolvere la crisi le avrebbero risolte tra loro, al rientro in Europa. Compito già arduo (e in alto mare) da portare a termine entro il summit Ue del 28 giugno (ieri confermata per il 22 la riunione preparatoria a Roma tra i leader di Italia, Francia, Germania e Spagna) sul quale poi si sono innestati i bubboni di Grecia e Spagna.
Ma è l’urgenza della bomba iberica a rendere evidenti le spaccature.
Il tempo stringe, dopo Bankia potrebbero saltare altri colossi del credito di Madrid.
E l’Europa deve tenersi pronta a intervenire per evitare la disintegrazione della sua moneta che metterebbe fine ai discorsi su Grecia, crescita, futura governance e quant’altro.
Le contromisure da mettere in campo le ha illustrate mercoledì il presidente della Commissione europea Josè Barroso.
La costruzione di un’Unione bancaria con un sistema di supervisione unico a livello Ue, una garanzia europea dei depositi bancari e l’intervento diretto del fondo salva-stati europeo (l’Efsf che si trasformerà nel più potente Esm) nel salvataggio delle banche.
Con il terzo pilastro da anticipare, da mettere subito in campo modificando lo statuto dell’Efsf per tenere in piedi la baracca, per evitare l’immediato tracollo dell’euro e avere il tempo di mettere in piedi quel “Fondo di risoluzione” per gli istituti di credito che Bruxelles proporrà a breve, forse già mercoledì prossimo.
È su questo sfondo che va vissuta la video-telefonata di mercoledì. Obama (spaventato che la crisi dell’euro contagi gli Usa e comprometta la sua rielezione) apre sostenendo l’Unione bancaria e l’intervento diretto del fondo salva-Stati per le banche spagnole. Monti e Hollande (che preferisce ancora parlare in francese) sono sulla stessa linea.
La Merkel no. “La Germania è contraria a un intervento diretto dell’Efsf, non vogliamo che il fondo, che opera con soldi dei governi, spenda milioni in cambio di collaterali di banche già cotte. Non vedo perchè dovremmo possedere pezzi di banche fallite”.
A poco sono servite le insistenze dell’agguerrito terzetto.
Monti ha cercato di convincere la Cancelliera rassicurandola (frase ripetuta ieri in pubblico) sul fatto che l’Italia è “contraria a cambiare lo statuto della Bce”.
Dunque, ha ragionato, se l’Eurotower non avrà più poteri almeno “ci vuole la Banking Union e l’intervento dell’Efsf”.
E ancora, i tre hanno fatto notare che se la Spagna, come vuole la Germania, prima prenderà i soldi del fondo salva-Stati e poi salverà le banche si rischia un effetto domino dei mercati.
“Non solo il suo debito pubblico crescerà aumentando la sfiducia degli investitori, ma i mercati considereranno Madrid parzialmente insolvente e lo spread andrà alle stelle rendendo tutto ancora più pericoloso”.
Posizioni che ognuno dei tre ha ripetuto in tre diversi round della conferenza.
Alle quali la Cancelliera ha puntualmente detto di no, deludendo chi sperava che l’aggravarsi della situazione l’avrebbe spinta a più miti consigli.
Ma il pressing non si arresta.
I quattro, recita il comunicato della Casa Bianca, hanno deciso di “continuare a consultarsi da vicino” in vista del G20 di Los Cabos, Messico, del 18 giugno.
E non è un caso che ieri Monti abbia detto che la Germania “deve riflettere profondamente e rapidamente” su come bloccare il contagio della crisi riferendosi all’Efsf e alla crescita.
Bruxelles intanto andrà avanti: forse già mercoledì presenterà il Fondo di risoluzione per le banche, un salvadanaio salva-banche che dovrà essere riempito dagli stessi istituti per assicurarsi dai rischi futuri visto che gli stati non hanno più soldi per salvarli.
Ma anche su questo – il fondo comunque non farebbe in tempo a risolvere la crisi iberica – ci sono opposizioni.
Della Gran Bretagna di Cameron, contraria anche alle regole di supervisione europea ripugnanti per la City, e delle stesse banche, che dicono di non avere risorse da mettere nel fondo. Gli europei hanno poche settimane per trovare la quadra.
Alberto D’Argenio
(da “la Repubblica“)