IL RICHIAMO AI POTERI FORTI CHE “REMANO CONTRO” E’ UN CLASSICO ALIBI DELLA POLITICA ITALIANA
Non è vero, come asseriscono i calunniatori, che il governo dei tecnici sia noioso e funereo.
Da un po’ di tempo anzi ha preso a far ridere.
Prendete il premier, per gli amici Bin Loden, l’uomo che modestamente voleva “salvare l’Italia” e, già che c’era, pure di “cambiare gli italiani”.
L’altro ieri s’è molto lagnato perchè “il mio governo e io abbiamo sicuramente perso l’appoggio di quelli che gli osservatori ci attribuivano, colpevolizzandoci: i cosiddetti poteri forti. Non incontriamo i favori di un grande quotidiano e della Confindustria”.
Ma tu pensa: uno che è stato, nell’ordine, docente, rettore e presidente della Bocconi, consulente del governo De Mita, consigliere d’amministrazione di Fiat e Comit, commissario europeo al Mercato interno e poi alla Concorrenza, membro dei gruppi Bruegel, Bilderberg, Trilateral e Atlantic Council, advisor di Coca Cola, Goldman Sachs e Moody’s, editorialista del Corriere, e ora è senatore a vita, presidente del Consiglio e ministro del Tesoro, parla di poteri forti.
E non guardandosi allo specchio, ma cercando i colpevoli del fallimento del suo governo.
Così, oltre a suscitare l’ilarità generale, fa un altro passo verso il linguaggio dei politici dai quali doveva salvarci: quelli che qualunque cosa accada, anche un foruncolo o un’unghia incarnita, danno sempre la colpa ai “poteri forti”. Uno dei primi a evocarli — scrive Gian Antonio Stella — fu Rino Formica nel 1991, per squalificare i referendum di Segni che minacciavano la casta della Prima Repubblica: “La sinistra che appoggia i referendum rischia di lavorare per il Re di Prussia, ovvero per quei poteri forti che male han digerito l’affermarsi di grandi partiti popolari”.
Poi esplose Tangentopoli, e tutti i ladroni fecero a gara ad affibbiare al molisano Di Pietro oscure regìe di poteri forti italiani, ma anche angloamericani.
Craxi denunciò “manovre per dare al Paese una democrazia di facciata ancora più debole, di fronte ai poteri forti, di quelle latino-americane”. Il sindaco-cognato Pillitteri puntò il dito contro chi “sta prendendo in mano, forse gratis, Milano e l’Italia: una grande alleanza tra i poteri forti, come massoneria, Opus dei e grandi famiglie”.
Gli immancabili “poteri forti” divennero un alibi pràªt à porter per chiunque finisse nei guai: dal cardinal Giordano coinvolto in storie di usura, al ciclista Cipollini escluso dal Tour, ad Al Bano ostracizzato da Sanremo.
Nell’estate ’94, quando il neonato governo B. era già alla frutta perchè B. si faceva i cazzi suoi e Bossi lo stava mollando, il vicepremier Tatarella (An) strillò ai “poteri forti ostili al governo e abituati a strumentalizzare la sinistra” e frullò insieme “Confindustria, Mediobanca, Chiesa, massoneria, Csm, Consulta, servizi, Opus dei, gruppi industriali ed editoriali”, trascurando il fatto che B. era dentro quasi tutti.
Da sinistra partirono strali, ma due anni dopo D’Alema ripetè la tiritera (“I poteri forti non vogliono che la politica prenda forza, hanno un interesse strutturale a tenerla sotto pressione”): intanto rendeva omaggio a Mediaset e si inumidiva le slip al cospetto di Cuccia.
Fazio intercettato mentre tresca coi furbetti del quartierino? “Mi han bloccato i poteri forti”.
E Ricucci: “A me m’han rovinato perchè ho toccato i poteri forti”.
Persino Moggi, beccato a ordinare arbitri à la carte e a pilotare campionati, lacrima: “Ho agito così per non essere vittima dei poteri forti”.
Il tutto dalla tolda della Juventus, noto potere debole.
L’anno scorso Brunetta sente puzza di cadavere dalle parti del padrone e gioca d’anticipo: “Il nostro governo con la riforma della scuola e della giustizia s’è messo contro i poteri forti”.
Infatti di lì a poco spira, rimpiazzato dal nuovo campione dei poteri forti, Monti, che però se ne sente abbandonato dopo otto mesi appena. Guarda caso mentre il suo governo non ne azzecca più una.
Intendiamoci: i poteri forti esistono eccome, ma in bocca ai nostri politici assumono tutt’altro significato.
Che si traduce così: “Oddio, non mi sento tanto bene”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
LA MADRE: “COME TI HO FATTO METTERE IN REGIONE TI FACCIO ANCHE TOGLIERE”…IL FRATELLO MINORE: “PREFERISCI STARE IN MEZZO ALLE PUTTANE INVECE CHE STUDIARE, DEVI FINIRLA DI PRENDERE PER IL CULO LA LEGA E LA TUA FAMIGLIA”
“Tu sei presente solo dove ci sono auto di lusso e troioni di alto bordo, sei un bugiardo che ci vuole prendere tutti per il culo”. La sfuriata di Roberto Bossi al fratello Renzo è una delle fotografie della famiglia di Gemonio scattate da Oscar Morando, ex autista del Capo prima e del Trota poi, e riprodotte nel libro “Ero l’autista dei Bossi e mi hanno lasciato a piedi”, in libreria per Aliberti.
In 140 pagine Morando ripercorre in una sorta di diario l’anno trascorso assieme alla famiglia di Gemonio, dove si è trasferito da Tenerife su richiesta della Lega per seguire da vicino il Senatùr e poi il rampollo Renzo.
Ma il 29 gennaio 2011, ricostruisce nel libro Morando, il Trota rischia di perdere la successione: la madre Manuela Marrone e Rosi Mauro, “vere anime del partito”, sono deluse da Renzo e gli chiedono conto del suo impegno in Regione Lombardia e sul territorio di Brescia, dove è stato eletto.
La madre è perentoria: “Di buoni risultati non ne stai dando e come ti ho fatto mettere in Regione ti faccio anche togliere”.
Anche Rosi Mauro affonda: “O cambi registro o dobbiamo prendere dei provvedimenti”.
Ma è il fratello Roberto il più critico. “Preferisci stare in mezzo alle puttane piuttosto che studiare come sto facendo io… è ora che tu la finisca di prendere per il culo la Lega e la tua famiglia”.
Il giorno dopo, racconta Morando, ci sarà un altro incontro senza Renzo.
Rosi Mauro e Manuela Marrone chiedono a Roberto cosa vuole fare: “Qui dobbiamo capire se possiamo contare anche su di te, visto e considerato certi comportamenti di tuo fratello”.
Il passaggio di consegne non è avvenuto. Roberto al momento frequenta Agraria e studia, a differenza del fratello.
Nessuna finta laurea in Albania nè multe o macchine a spese del partito. Ma si è divertito a tirare gavettoni con candeggina contro un militante di Rifondazione comunista ed è stato condannato a pagare 1.400 euro.
Nulla rispetto alla vita che conduce Renzo raccontata nel libro.
Il Trota è “un ragazzino viziato”, “non è vero che studia quando può e che fa l’università : sono balle che vuol far credere a suo padre”, preferisce “donne e festini”.
Morando racconta di un viaggio a Bratislava dove in albergo Renzo trova ad accoglierlo in camera “una bella coniglietta locale”.
Mentre nella casa di Milano dove viveva il rampollo, scrive sempre l’ex autista, “spesso si facevano festini”.
Morando racconta di doverlo svegliare spesso e di trovarlo più volte in condizioni pietose.
“Ti ricordi le due ballerine spagnole di ieri?”, “una nottatona”.
Renzo si “sente una calamita per le donne ma sa di non essere una bellezza” però non spreca occasioni.
Le due fidanzate che si alterna in un anno non bastano e nella ricerca di compagnia nuova “finisce anche incastrato in una paparazzata con altre ragazze”.
Le foto finiranno sulle riviste di gossip, mentre la sua carriera politica sfumerà inesorabilmente.
“Viziato, pretese un’Audi A3”, “adorava i massaggi, discoteche, lusso”.
Morando deve essere l’ombra di Renzo, per “aiutarlo a diventare un uomo — gli dicono Rosi Mauro e Manuela Marrone — e per tenerlo lontano dai guai”.
Ma poi il Trota “si ribella e mi fa terra bruciata, mi ha fatto licenziare da Belsito e mi sono ritrovato in mezzo a una strada: ero il suo giocattolo e il giocattolo si era rotto”.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)