Giugno 12th, 2012 Riccardo Fucile L’EX TESORIERE PARLA DI “ESITO ATTESO”, IL PDL LASCERA’ LIBERTA’ DI COSCIENZA, PD E LEGA FAVOREVOLI ALL’ARRESTO…MA SE 20 SENATORI CHIEDESSERO IL VOTO SEGRETO POTREBBERO ESSERCI SORPRESE
Svolta nel caso Lusi . La Giunta per le autorizzazioni del Senato ha dato il via libera
all’arresto dell’ex tesoriere della Margherita.
Tredici senatori hanno votato per l’arresto richiesto dalla procura di Roma, quattro i contrari e due non hanno partecipato.
Il responso dell’organo parlamentare passa ora al vaglio dell’aula di Palazzo Madama per la decisione finale.
Da quanto emerso prima del voto, sinistra e Lega hanno votato per l’arresto, mentre il Pdl si è spaccato e ha lasciato libertà di voto.
La Procura, riferiscono fonti parlamentari, aveva inviato solo una parte delle carte richieste in Giunta per le autorizzazioni a procedere.
Il commento di Lusi: “Era un esito atteso. Non mi aspettavo che la Giunta votasse contro l’arresto”. E annuncia: “Interverrò in Aula”.
Follini, Pd, relatore in aula.
“Sarò io il relatore in aula, mi farò io carico di questa proposta”. Cosi il presidente della Giunta per le Immunità del Senato, Marco Follini (Pd), al termine della riunione dell’organo parlamentare che ha votato a favore dell’arresto nei confronti di Luigi Lusi.
Ai cronisti che gli chiedono sui tempi dell’assemblea il democratico non ha dubbi: “Deciderà la conferenza dei capigruppo, per me anche oggi pomeriggio”.
Divisioni nel Pdl.
Il Popolo delle Libertà è diviso sulla richiesta di voto segreto. Sul punto il relatore in giunta, Giuseppe Saro e il capogruppo Alberto Balboni dicono cose molto diverse.
Com’è noto, il voto segreto va chiesto da almeno venti senatori.
“Immagino che ci sarà un’iniziativa per la richiesta del voto segreto – spiega Saro – ma non sono in grado di dare una risposta su chi lo farà “.
Balboni esclude invece che il Pdl possa chiederlo. “Chiedere noi il voto segreto? Assolutamente no”, dice senza mezzi termini Balboni.
E Gasparri e Quagliariello, annunciano che i senatori del Pdl voterenno, in Aula, “in base alla libera coscienza personale”.
L’assemblea della Margherita.
Dopo mesi di rinvii, dovuti all’inchiesta sul caso Lusi e sulla necessità di far verificare i conti da una società esterna, l’assemblea della Margherita si riunirà sabato a Roma per discutere ed approvare il bilancio di chiusura e decidere che cosa fare sui soldi del partito, ormai estinto, rimasti in cassa.
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Giugno 12th, 2012 Riccardo Fucile CONTINUA A SALIRE IL NUMERO DELLE AZIENDE CHE NON MANTENGONO I PROPRI IMPEGNI DI PAGAMENTO, SOPRATTUTTO AL SUD E NEL SETTORE COSTRUZIONI
Soldi non ce ne sono. E quando gli affari non vanno bene, le imprese lasciano che i propri assegni vadano in protesto. Con buona pace dei creditori.
Secondo i rilevamenti del Cerved, è proseguito anche nei primi tre mesi del 2012 il peggioramento delle condizioni economiche-finanziarie delle imprese italiane. I dati sui protesti e ritardi nei pagamenti parlano di una situazione particolarmente allarmante nelle regioni del Mezzogiorno e tra le imprese operanti nel settore delle costruzioni.
Nei primi tre mesi dell’anno si contano oltre 21 mila società cui è stato protestato almeno un assegno o una cambiale, +8,1% rispetto allo stesso periodo del 2011.
“Il dato è il secondo valore più alto di un singolo trimestre dall’inizio della crisi del 2008 – ha sottolinea Stefano Matalucci, direttore marketing di Cerved group – ed è accompagnato da un aumento dei protesti tra le imprese individuali: si contano infatti quasi 47.000 Imprenditori con almeno un protesto, in crescita del 3,2% rispetto al primo trimestre 2011”.
Le difficoltà osservate per il complesso delle società non individuali non risparmiano nessun settore, ma la situazione più critica la vive il comparto dell’edilizia, settore in cui l’1,5% delle società operative sono state protestate nel primo trimestre dell’anno.
Il fenomeno, per altro, risulta in crescita con tassi a due cifre rispetto allo stesso periodo del 2011 (+12,5%).
Il terziario invece è il settore dove si conta il maggior numero di soggetti protestati: 11.500 aziende, pari allo 0,8% di tutte quelle operative, con un aumento del +8,3% sull’anno precedente.
Gli andamenti territoriali hanno evidenziato una frattura tra nord, in cui la situazione è negativa ma abbastanza stabile (+0,9% nel nord ovest e -1,9% nel nord est), e il centro-sud, dove si osserva un ulteriore peggioramento.
Nei primi tre mesi del 2012 i protesti sono infatti aumentati con tassi a due cifre sia nel mezzogiorno, +13,5%, sia nel centro, +10,6%.
La diffusione del fenomeno ha raggiunto livelli particolarmente preoccupanti in Calabria dove l’1,9% delle imprese operative ha avuto almeno un titolo protestato nel primo trimestre del 2012 (l’1,4% del mezzogiorno).
“Il peggioramento del fenomeno dei protesti nelle regioni meridionali è accompagnato da un ulteriore aumento dei tempi di liquidazione delle fatture – ha proseguito Matalucci – l’attesa per i pagamenti delle società meridionali è passata da 90,4 giorni dell’ultimo trimestre 2011 a 92,9 dei primi tre mesi 2012, con un’accresciuta diffusione dei ritardi gravi che vede il 10,5% delle stesse saldare le fatture con oltre due mesi di ritardo”.
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Giugno 12th, 2012 Riccardo Fucile PER I CONSULENTI DEL LAVORO 390.000 UNITA’ E’ UN DATO AFFIDABILE E PURE PER DIFETTO…UN SALTO COSI’ AMPIO AVRA’ CONSEGUENZE POLITICHE
Non è solo una questione di numeri. O quasi. 
Il passaggio dai 65 mila esodati «certificati» ai 390 mila «probabili» è un salto talmente ampio che avrà conseguenze politiche e contabili clamorose. Quanto costerebbe allo Stato un allargamento così vasto del “recinto” degli esodati?
Questa è la domanda che quasi tutti si sono posti appena è diventato pubblico il contenuto della Relazione inviata dall’Inps al ministero del Lavoro. «Se alla platea dei 390 mila potenziali esodati saranno applicati gli stessi criteri dei 65 mila finora riconosciuti, lo Stato dovrà sostenere una spesa non inferiore a 12 miliardi nei prossimi due anni – afferma Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dei Consulenti del lavoro -.
Naturalmente si tratta di una cifra che serve a coprire i 325 mila esodati emersi dal calcolo dell’Inps. La riforma Fornero ha ritardato il trattamento pensionistico dei lavoratori di circa 2 anni in media. Applicando un calcolo empirico, perchè le variabili sono molte anche in base al sesso, si va da 1 anno per le donne fino a 7 anni per gli uomini, raggiungiamo la cifra di 12 miliardi che ci appare un dato molto affidabile seppur calcolato per difetto».
Sei miliardi all’anno nei prossimi due anni è una cifra enorme che segna una differenza davvero marcata rispetto alle previsioni.
«Il calcolo fatto dal ministero non ha tenuto conto delle fonti ufficiali – spiega Calderone – noi consulenti del lavoro, qualche mese fa avevamo detto che 65 mila esodati ci sembravano davvero troppo pochi e che la cifra di 300 mila era l’unica che ci sembrava verosimile. I calcoli Inps, se confermati, dicono che siamo stati persino prudenti. Il flusso della cassa integrazione e della mobilità ci forniva dei parametri chiari: la cifra di 65 mila non poteva essere reale».
Ma la questione non si ferma solo a cifre e costi.
Questi numeri riaprono le ostilità (mai del tutto sopite) tra il ministro Fornero e la Cgil: «È finita la stagione dei balletti di cifre – attacca Vera Lamonica, segretario confederale Cgil – fare chiarezza è un dovere di tutti. Anche queste mezze smentite e passi indietro servono solo a complicare tutto. Adesso l’Inps ci dica i numeri che ha fornito al governo. Non si gioca sul futuro delle persone. Del resto, questo finale era già scritto: da mesi ripetiamo che i numeri forniti dal ministero del Lavoro non potevano essere veritieri. Il sospetto fondato è che il governo sia partito dalla cifra di risorse a sua disposizione e che in base a quella abbia calcolato il numero di esodati che poteva permettersi. E invece adesso bisognerà rifare il conto alla rovescia: individuato il numero degli aventi diritto, calcoliamo quanti soldi sono necessari a coprire le necessità di queste persone».
I fondi necessari però rischiano di essere davvero tanti (pari a qualche manovra finanziaria), forse persino fuori dalla portata delle casse statali. «Questo è il risultato di una riforma previdenziale condotta con superficialità – continua Lamonica -, si è agito con troppa fretta, senza gradualità , senza transazioni, saltando passaggi di concertazione che sempre le riforme di questa portata hanno avuto. Adesso noi non accettiamo spacchettamenti. Bisogna ricostruire il quadro del diritto e poi parleremo di risorse».
Il punto è che con questi nuovi numeri rischia di saltare il banco.
Per tutti.
Isidoro Trovato
(da “Il Corriere della Sera”)
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Giugno 12th, 2012 Riccardo Fucile “ERANO CONTRARI AL CODICE DELLA STRADA” HA SPIEGATO IL SINDACO… “SIMBOLO DI UN MARCHIAMENTO CHE NULLA HA A VEDERE CON LA VERA CONOSCENZA DEL DIALETTO”
A Lecco il sindaco Virginio Brivio nei giorni scorsi ha fatto togliere i cartelli in dialetto che campeggiavano alle porte della città .
Così nell’arco di poche ore Lecch è tornata ad essere semplicemente Lecco. “Ho dato indicazione di toglierli perchè erano contrari al codice della strada”, ha spiegato il sindaco in consiglio comunale: “Quei cartelli oltretutto erano simboli di marchiamento che non hanno nulla a che vedere con la vera conoscenza del dialetto o la volontà di far conoscere la storia e le tradizioni della città tramite la toponomastica — si legge sul quotidiano La Provincia di Lecco, che riporta le parole pronunciate del sindaco in consiglio -. Era solo esibizione e non conoscenza storica, si doveva far rispettare la norma e l’abbiamo fatto”.
I cartelli con la scritta “Lecch” erano posizionati a ogni ingresso della città da almeno 10 anni, dai tempi in cui la Lecco era amministrata dal sindaco del Carroccio Lorenzo Bodega (poi approdato in parlamento).
Ed in effetti i cartelli in dialetto (o in lingua locale, come preferiscono definirli i più convinti sostenitori) sono una delle cifre delle amministrazioni comunali leghiste.
Per tanto tempo sono stati usati come un vero e proprio baluardo di padanità .
Così negli anni Bergamo è diventata Bèrghem, ai cartelli di Busto Arsizio sono stati affiancati quelli di Bà¼sti Grandi, la stessa cosa è successa anche in altre città lombarde come Varese, Como o Brescia, senza contare le decine di piccoli paesi che hanno deciso di calcare la stessa strada.
Alle posizioni di Brivio, sindaco di centrosinistra (che nel 2010 ha battuto Roberto Castelli alle elezioni amministrative), ha replicato la capogruppo leghista in consiglio comunale Cinzia Bettega: “Se il sindaco ha ragione, in base al Codice della Strada città come Bergamo e Brescia sono tutte fuori legge. Oppure a Lecco vige un Codice diverso dal resto dell’Italia?!”.
Forse esiste semplicemente un sindaco leghista che delle leggi nazionali se ne fotte.
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Giugno 12th, 2012 Riccardo Fucile GAS ESILARANTE DI MONTELEONE: “NON POTEVAMO RISCHIARE LA NOSTRA’ IDENTITA’ POLITICO- CULTURALE”… MA QUALE? QUELLA DI ACCHIAPPAPOLTRONE O DI CITATI NELLE INTERCETTAZIONI DI ESPONENTI DELLA ‘NDRANGHETA?
“Musso perde i pezzi, gli Udc vanno da soli” titola stamane il maggiore quotidiano ligure. 
Il Secolo XIX raccoglie l’amarezza del sen. Enrico Musso: “L’Udc ha usato la nostra lista civica come un bus, da cui è scesa dopo aver ottimizzato il consenso e aver piazzato i propri uomini in Comune e nei municipi”.
L’Udc che a Genova è da anni intorno al 3%: se si fosse presentato da solo avrebbe ottenuto al massimo un consigliere comunale, mimetizzandosi nella lista civica di Musso alla fine, concentrando le preferenze, ne ha ottenuti due (si dice in attesa del terzo, rimasto per ora con Musso).
Un gioco tanto evidente che solo degli sprovveduti avrebbero potuto avallare, come da noi denunciato in tempi non sospetti. Se l’Udc voleva appoggiare Musso poteva essere fatto accomodare tra i partiti fiancheggiatori e il suo 3% sarebbe stato cosi ben evidente. Se invece non gli fosse andata bene questa soluzione poteva andare con Doria, tanto per loro cambia poco, visto che in Regione stanno al governo con la giunta di sinistra.
Nei castelli inglesi ci sono gli acchiappafantasmi, in Liguria gli acchiappapoltrone, è risaputo. C’è chi usa la croce e chi lo scudocrociato.
Ma a far incavolare Musso è stata anche la forma della scissione: nessuno gli ha comunicato nulla, lo ha saputo in consiglio comunale dal presidente che avvisava della costituzione del gruppo Udc.
Fa morire dal ridere poi la “nobile” motivazione dei transfughi: “Non potevamo rischiare di perdere la nostra identità politico-culturale e di confonderci all’interno di un gruppo molto personalistico, dominato da Musso e da sua sorella. La nostra anima cattolica si è ribellata dopo l’adesione di Musso alla costituente liberale”.
Chissà come mai questo dramma dello spirito non sia stato percepito prima delle elezioni, quando l’Udc locale ha preteso dodici candidati in lista.
Per non dire che la loro decisione è stata presa domenica sera mentre la costituente liberale è nata lunedi, quindi il nesso non regge. Senza contare che, chi come noi ricorda Musso da ragazzo, sa benissimo che è stato liberale da sempre, chissà che sorpresa…
Più grave che il segretario regionale dell’Udc Monteleone parli di “avallo nazionale” alla sua scelta opportunistica. E’ una chiamata in correità per Casini che non ne uscirebbe certo meglio di lui.
Piccola nota per Futuro e Libertà locale: un partito coerente non avrebbe mai accettato di confondere i propri candidati con quelli proposti da chi è citato in intercettazioni di capi della ‘ndrangheta come candidato da far votare.
Meglio soli che male accompagnati.
Con buona pace dei valori dello spirito.
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