Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile IN VENETO IL CARROCCIO CROLLA ALL’11%, I CINQUESTELLE OLTRE IL 26%
Movimento 5 Stelle al 26% nell’indice di fiducia dei cittadini del Nord Est; Lega mestamente all’11% nella sua regione vetrina, dietro Idv (19%), Pd (17%), Sel (13%), Udc e Pdl (12%).
A fidarsi del movimento di Grillo sono soprattutto «uomini di età 25-44 anni, scolarità medio-alta, di professione impiegati, imprenditori, liberi professionisti e disoccupati», insomma tipico ceto medio leghista.
Per ora il clamoroso tsunami è solo un sondaggio curato da Demos per «il Gazzettino» ma chi frequenta il Veneto ci ritrova il malessere di una terra sedotta e abbandonata dal forzaleghismo di governo, forte della leadership regionale di Luca Zaia e, a Verona, di Flavio Tosi, il sindaco padano più famoso d’Italia.
Qualcuno già lo chiama «grilleghismo»: il travaso di consensi dall’ex partito sindacato di territorio, infarinatosi al mulino romano, al M5S col vento in poppa.
Nonostante il governo Monti stia tartassando i ceti produttivi, la Lega all’opposizione crolla nei sondaggi a vantaggio dei grillini, in Veneto più che altrove.
Perchè?
Secondo Demos, per il 44% degli intervistati è proprio la protesta «anti casta» e «anti partiti» il segreto del successo 5 Stelle.
Parola d’ordine simile a quando il Carroccio nacque 25 anni fa.
Solo che nel mazzo da spazzare via questa volta è finita anche la Lega in discredito. «In Veneto il partito è dilaniato», ammette un consigliere regionale del Carroccio. «Domenica i sindaci bossiani, Gianpaolo Gobbo in testa, hanno disertato il No Imu Day».
Lo stesso Tosi è diventato segretario regionale col 57% dei consensi.
Il nuovo corso maroniano nasce debole, crescono le nostalgie leghiste anti lombarde mentre Zaia se ne resta sottocoperta.
Sulla guerra interna s’innesta la crisi politica del partito.
«La gente non la beve più, troppe promesse mancate», tagliano corto dalla Confartigianato regionale.
Lo confermano i sondaggi (4,6% dato nazionale) e gli ultimi voti: il mese scorso a Conegliano la Lega è crollata dal 36,9% del 2010 al 5,6% mentre confrontando Provinciali 2011 su Regionali 2010 ha perso nella culla trevigiana 20 punti (dal 48,5 al 29,5%) e 90mila elettori.
«I nostri associati vogliono risposte concrete sui ritardi di pagamento, le banche che non danno fidi, la disoccupazione», continuano dalla Confartigianato.
E che fa il Carroccio? «Organizza manifestazioni No Imu, ma il giorno dopo, archiviata la propaganda, i suoi sindaci alzano come tutti le addizionali. Il focus è l’economia, non la demagogia…».
L’altro ieri il presidente degli industriali vicentini, Giuseppe Zigliotto, ha persino giustificato la fuga delle imprese.
L’elenco delle doglianze è vecchio di 20 anni: tra queste una «spesa pubblica su cui bisogna intervenire con il machete, non con le forbicine… ».
Risultato: il blocco dei produttori in crisi, cuore dell’elettorato padano, dopo anni è orfano di rappresentanza.
«A sinistra non votiamo, di Monti siamo scettici, non resta che parcheggiarci su Grillo, in attesa che succeda qualcosa…», riassume un importante imprenditore.
Proprio in Veneto il M5S ha eletto i primi 2 sindaci: Roberto Castiglion a Sarego e Alvise Maniero a Mira.
Ma anche dove non ha vinto, come a Verona, ha quasi triplicato i voti sul 2010.
A Belluno li ha più che raddoppiati.
Federico de Lucia del Cise di Roberto D’Alimonte, ha analizzato le tendenze elettorali delle ultime 4 tornate nei 5 comuni in cui i grillini sono andati al ballottaggio.
«Anche negli scorsi anni — scrive – il Pdl era progressivamente calato, ma le perdite erano compensate dalla crescita della Lega», esplosa in tre anni dal 3% al 15%.
Oggi è diverso. «Non solo il Pdl è sceso sotto il 10%» ma il Carroccio «è tornato con rapidità impressionante ai livelli di 5 anni fa».
A sfruttare «questa decomposizione è soprattutto l’incredibile crescita di Grillo, che triplica in 2 anni i voti dal 6 al 19%».
Maroni tutto questo lo sa bene, soffre la concorrenza, e in rete si becca con Grillo. «L’Imu l’ha voluta la Lega. Maroni è un barbaro sognante. Infatti sogna sempre di prenderci per il cu… », provoca il comico su Twitter.
«I suoi insulti mi fanno sorridere», replica l’ex ministro su Facebook.
«Sulla Lega dice le solite falsità , forse è incaz… perchè noi parliamo di cose concrete (Imu, esodati) mentre i suoi grillini a Parma sono ancora impegnati a spartirsi le poltrone… ».
Ecco un antipasto delle Politiche 2013, quando arriverà il redde rationem…
Marco Alfieri
(da “La Stampa“)
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile DECINE DI MILIONI DI EURO DELLA QUOTA IRPEF CHE I CITTADINI DESTINANO ALLA RICERCA E ALLE ONLUS NON SONO MAI STATE RIPARTITE TRA LE ASSOCIAZIONI CHE ORA PROTESTANO PER I LORO FONDI, SENZA CHE IL MINISTERO FORNISCA RISPOSTE
Quest’anno il tuo cinque per mille lo hai destinato allo Stato italiano: che ti piaccia oppure no. 
La quota dell’Irpef che i cittadini possono donare ad associazioni senza scopo di lucro, alla ricerca o ai Comuni ha infatti subito una misteriosa decurtazione di circa 80 milioni di euro, poco meno di un quinto della torta complessiva.
Di più, questa riduzione e le sue motivazioni non sono mai state comunicate in via ufficiale, ma l’ammanco si scopre solo spulciando gli elenchi dei beneficiari del 5 per mille del 2010, l’ultimo anno di cui sono state da poco ripartite le quote.
La scoperta della riduzione, portata alla luce da un articolo del Sole 24 Ore, ha mandato su tutte le furie le associazioni del Terzo settore, che in pochi giorni hanno organizzato una petizione ed una raccolta firme per chiedere spiegazioni al Governo.
Spiegazioni che, nonostante il calibro dei nomi coinvolti e ad alcune settimane dall’inizio della protesta, non sono ancora arrivate.
“Ad oggi abbiamo ripetutamente contattato il Ministero delle Economia che ha affermato di avere sott’occhio la situazione ma di non avere invece risposte. La ragioneria dello Stato si è trincerata dietro un no comment”, spiega Stefano Arduni, caporedattore del settimanale Vita che ha lanciato la petizione.
“Sono fondi che il contribuente destina direttamente alle associazioni e lo Stato dovrebbe fare solo da tramite: è una beffa per tutti i cittadini”.
Controllando i documenti ufficiali, diffusi dall’Agenzia delle Entrate, si scopre che i conti proprio non tornano.
Nel 2010 i fondi distribuiti sono passati a circa 375 milioni di euro complessivi, un calo netto dai 412 milioni del 2009 e dai 397 milioni del 2008.
Colpa della crisi che ha fatto crollare le entrate? Niente affatto.
Il gettito Irpef del 2010 è stato di poco superiore a quello del 2009 e quindi il calo di circa 50 milioni non trova giustificazioni fiscali e si scontra anzi con un aumento costante delle firme nel 5 per mille, passate dalle 14,6 milioni del 2008 alle 15,8 milioni del 2010.
Si arriva così al paradosso che se una onlus ha conquistato più firme rispetto all’anno passato ottiene comunque meno fondi.
L’Associazione per la ricerca contro il cancro ad esempio ha ottenuto nel 2009 quasi 38 milioni di euro grazie a circa 874mila firme.
Nel 2010, nonostante 926mila firme, i fondi incassati sono scesi a poco più di 33 milioni di euro.
Discorso simile per il Wwf, che nel 2009 ha raccolto oltre un milione e centomila euro grazie a 34mila firme e nel 2010 ha portato le firme a 36mila e si è vista ridurre le donazioni a poco più di un milione di euro.
“Se queste riduzioni pesano per le associazioni e le istituzioni più grandi, minano ancora più seriamente il lavoro di quelle piccole e locali”, continua Arduini, “Pensate a una onlus che si occupa del trasporto dei disabili in una città di provincia: una riduzione del 20% dei fondi significa dover lasciare a terra un quinto degli assistiti”.
La raccolte firme promossa da Vita, e a cui hanno aderito Emergency, Save the Children, il Wwf, Medici senza Frontiere e oltre 2.500 tra cittadini ed associazioni, ha scaturito anche due iniziative parlamentari. Il deputato del Pd Andrea Sarubbi ha presentato un’interrogazione alla Commissione affari sociali alla Camera, mentre la collega del gruppo Misto Chiara Moroni ha presentato un’interrogazione al Ministro dell’Economia.
Entrambe le richieste non hanno ad oggi ottenuto alcuna risposta.
Il 2012 si conferma così un anno nero per i rapporti tra Terzo settore e Stato italiano.
Oltre al giallo del 5 per mille infatti, le decisioni del Governo Berlusconi e di quello Monti avevano già azzerato i fondi dell’otto per mille statale da destinare a progetti delle onlus.
I centocinquanta milioni raccolti dallo Stato con l’otto per mille e che, per legge, dovrebbero finanziare interventi umanitari e culturali, sono finiti in edilizia carceraria e aerei della protezione civile.
Magra consolazione, ma almeno quelli si sa dove sono finiti.
Mauro Munafò
(da “‘Espresso”)
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile A PAROLE VOGLIONO IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI, POI LEGA E PDL RIMANDANO LA PRATICA… RICOSTRUITA L’ALLEANZA DEI PATACCARI SULLA DIFESA DELLE POLTRONE
L’Aula del Senato ha accantonato l’articolo 1 del ddl di riforma costituzionale sul taglio del numero dei deputati.
La richiesta è venuta dalla Lega che, con Bricolo e con l’ok del Pdl, ha proposto di affrontare prima le modifiche del Senato e dunque anche gli emendamenti con cui il Carroccio chiede il Senato federale.
Il presidente del Senato Renato Schifani ha però subito voluto chiarire: «Questo non significa che non si torni sull’articolo 1 relativo alla riduzione del numero dei parlamentari. Ne è responsabile la presidenza. Si tratta- dice Schifani- di un accantonamento tecnico, non di merito».
«Rinviare la votazione sulla riduzione del numero dei parlamentari è una decisione gravissima ed è un peccato che considerazioni di bieca politichetta entrino nel dibattito sulla modifica della nostra Carta Costituzionale».
Così il vicepresidente dei senatori del Pd Luigi Zanda è intervenuto nell’Aula del Senato nel corso del dibattito sulle riforme Costituzionali.
«Il rischio -ha affermato- è di mandare al macero un accordo importante, frutto del clima nato intorno alla maggioranza che sostiene il governo Monti e basato sul principio che le grandi regole del gioco, della nostra democrazia, si cambiano insieme, solo a larghissima maggioranza».
«È evidente che se passa il Senato federale, rassegnerò le mie dimissioni da relatore del ddl di riforma della Costituzione – ha annunciato ai giornalisti a Palazzo Madama, il relatore del ddl Carlo Vizzini -. Anche perchè si tratta di uno degli emendamenti respinti ad ampia maggioranza in commissione».
Insomma la solita patacca leghista, con la complicità del Pdl: col 4% di consensi, se si presentano da soli è già tanto che mettano insieme dieci deputati, figurarsi tagliarli pure.
Il nuovo corso di Maroni è iniziato in nome della difesa della poltrona.
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile NEL 2011 UN MILIONE DI PERSONE SONO FUGGITE DA FAME, POVERTA’ O GUERRA NEI LORO PAESI… SECONDO IL RAPPORTO DELL’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFIUGIATI, L’ITALIA OSPITA UN DECIMO DELLE PERSONE CHE VENGONO ACCOLTE IN GERMANIA E CONTINUA A NON RISPETTARE LE NORME INTERNAZIONALI
Mai così tanti rifugiati dall’inizio del secolo. 
E l’attuale governo italiano dice Barbara Boldirni, portavoce Unhcr , “non ha preso le distanze dalla pratica dei respingimenti dopo la condanna della Corte Europea per i diritti umani”.
Nel 2011 sono state 800mila le persone costrette ad abbandonare il proprio Paese.
Il numero più alto dal 2000.
Dal rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), che fornisce la mappatura delle migrazioni forzate provocate dalle crisi umanitarie in tutto il globo, emergono dati sconfrotanti.
“Il 2011 ha visto sofferenze di dimensioni memorabili”, ha detto l’Alto commissario Antonio Guterres, “Il fatto che così tante vite siano state sconvolte in un periodo di tempo così breve implica enormi costi personali per tutti coloro che ne sono stati colpiti. Possiamo solo essere grati del fatto che nella maggior parte dei casi il sistema internazionale atto a proteggere queste persone sia rimasto saldo e che le frontiere siano rimaste aperte. Questi sono tempi difficili”.
Tra nuove e vecchie crisi, alla fine del 2011, in tutto il mondo vi erano in totale 42,5 milioni di persone tra rifugiati (15,2 milioni), sfollati interni (26,4 milioni) o persone in attesa di una risposta in merito alla loro domanda d’asilo (895.000).
La cifra complessiva è però inferiore all’anno precedente quando i migranti forzati erano 43,7 milioni.
Questo calo può essere spiegato con l’alto numero di sfollati rientrati nelle proprie case, 3,2 milioni, la cifra più alta da oltre un decennio.
E dopo un calo costante iniziato nel 2004 anche i rimpatri volontari dei rifugiati hanno fatto registrare un incremento: sono stati 530mila, più del doppio rispetto ai dodici mesi precedenti, ma ancora la terza cifra più bassa degli ultimi dieci anni.
A livello globale le tendenze più preoccupanti emergono proprio se si confrontano i dati del 2011 con quelli dell’ultimo decennio: nell’Africa sub-sahariana, per esempio, il numero dei rifugiati aveva fatto registrate un calo costante dal 2001 al 2009.
Negli ultimi due anni c’è stata invece un’inversione di tendenza.
Alla fine del 2011 nella regione i rifugiati erano 2,7 milioni, circa mezzo milione in più rispetto all’inizio dell’anno.
A questo fenomeno hanno contribuito inizialmente le violenze politiche in Costa d’Avorio, seguite dal conflitto in Libia e da altre crisi in Sudan e Somalia.
Complessivamente l’Afghanistan si conferma il Paese d’origine del maggior numero di rifugiati (2,7 milioni), seguito da Iraq (1,4 milioni), Somalia (1,1 milioni), Sudan (500.000) e Repubblica Democratica del Congo (491.000).
Contrariamente a quanto si possa pensare la maggior parte dei rifugiati trova ospitalità nei Paesi in via di sviluppo, con le 48 nazioni più povere del mondo che garantiscono accoglienza a 2.3 milioni di rifugiati.
Questo soprattutto perchè la stragrande maggioranza cerca rifugio nei Paesi limitrofi.
Su tutti spicca il Pakistan che accoglie 1,7 milioni di rifugiati. Iran e Siria completano il podio. Tra i Paesi industrializzati il primo Paese è la Germania, dove hanno trovato ospitalità 571mila rifugiati.
L’Italia accoglie in totale 58mila rifugiati, meno di uno ogni mille abitanti contro un rapporto di sette a mille fatto registrare in Germania o di tre, quattro a mille in Francia, Paesi Bassi e Regno Unito.
Nel 2011, per effetto della Primavera araba, le domande d’asilo sono state oltre 34mila, con un incremento del 240 per cento rispetto all’anno precedente.
“Nel 2010 sono state presentate 10mila domande di asilo, ben al di sotto della media Europea”, spiega Boldrini “era un effetto delle politiche restrittive e dei respingimenti nel mar Mediterraneo, la via dell’asilo. Nello stesso anno la Francia ha ricevuto 44mila domande. Questo nonostante da noi ci si sia spesso lamentati dello scarso impegno europeo. Lo scorso anno i numeri sono tornati in linea con quelli del resto d’Europa. Bisogna tuttavia sottolineare — continua — come la Francia abbia ricevuto nello stesso periodo 52mila domande e la Germania, 45mila.
“Nei primi mesi del 2012 gli arrivi — spiega Boldrini — sono stati invece circa duemila. Si ha però notizia di molte persone, soprattutto somali ed eritrei, in attesa di poter partire, ma impossibilitati a farlo e bloccati sull’altra sponda del mare. Ci sono state anche differenze nell’atteggiamento dell’attuale governo confrontato con quello precendente? Abbiamo assistito a un cambio nel linguaggio e nel modo di affrontare la questione nel discorso pubblico”, conclude la portavoce dell’Unhcr “tuttavia l’attuale esecutivo non ha preso le distanze dalla pratica dei respingimenti dopo la condanna della Corte europea per i diritti umani. E Lampedusa continua a essere dichiarata porto non sicuro, misura altamente discriminatoria perchè riservata ai soli migranti. Inoltre tale provvedimento indebolisce l’intero sistema dei salvataggi in mare. Non essendo infatti più prevista la possibilità di attraccare a Lampedusa, l’effettiva capacità di soccorrere della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza viene compromessa dalla distanza necessaria per raggiungere Porto Empedocle, il che comporta almeno 7-8 ore aggiuntive di navigazione.”
Andrea Pira
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile POTREBBERO ESSERE USATI PER COMPENSARE IL PESO DELLA SPESA PER IL DEBITO… MA IL COMMISSARIO UE RITIENE CHE NON RISOLVA LE CAUSE STRUTTURALI E LA GERMANIA PONE CONDIZIONI
L’Italia non ha bisogno di un salvataggio, sul modello di Grecia, Irlanda o Portogallo, ma con gli altri europei sta discutendo la possibilità di usare le risorse del fondo salvastati per acquistare i titoli dei paesi in difficoltà e quindi abbassare il costo dei loro interessi.
Lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Monti, alla fine del vertice G20.
Il Financial Times aveva anticipato la notizia, scrivendo che durante i colloqui Monti aveva proposto di usare i 440 miliardi del fondo Efsf per acquistare titoli dei paesi dell’Eurozona che hanno problemi.
La cancelliera tedesca Merkel, però, era rimasta fredda.
Il Daily Telegraph ha allargato il tema, scrivendo che Italia e Spagna hanno chiesto un vero e proprio bail-out da 745 miliardi di euro.
«Questa notizia – ha chiarito Monti – è sbagliata. E’ vero invece che, tra le altre opzioni, abbiamo discusso la possibilità di usare le risorse del fondo salva stati per premiare i paesi più virtuosi, come l’Italia, con dei livelli meno abnormi di spesa per l’indebitamento. Di questo continueremo a discutere nell’incontro a quattro che avremo a Roma il 22 di giugno, e poi nel vertice europeo di fine mese».
La soluzione per la crisi europea non era attesa al G20 di Los Cabos, ma qualche passo nella direzione preferita dall’Italia c’è stato.
L’accerchiamento della Merkel ha spostato l’agenda globale verso la crescita, e il documento finale prevede anche interventi per stimolare la domanda interna. Il resto si giocherà nei prossimi dieci giorni, per adottare misure concrete al Consiglio europeo del 28.
Monti ha detto che «ci siamo molto impegnati perchè il documento del G20 riflettesse quella che è anche la posizione italiana, e cioè un maggior accento sulla crescita da porre come necessità ».
Il professore ha invitato a non fare distinzioni tra chi favorisce gli interventi strutturali o sulla domanda: «Il tema del mio discorso è stato il bisogno di un forte rilancio della crescita, ma non a scapito degli equilibri di bilancio. La nostra posizione è dare più spazio agli investimenti pubblici». Il premier ha aggiunto che ritiene «inutile perdersi in dibattiti ideologici tra chi vuole uno stimolo alla domanda e chi politiche strutturali. L’Italia favorisce politiche di offerta strutturalmente corrette, riconoscendo insieme che c’è bisogno di domanda».
La strada da seguire è quella degli «investimenti rispetto ai consumi», e chiede alla Ue che le spese per gli interventi pubblici non siano contabilizzate nel deficit.
La bozza del G20 sposa questa linea, quando dice che «se le condizioni economiche dovessero peggiorare significativamente, quei Paesi che hanno margine di manovra di bilancio sono pronti a realizzare misure fiscali discrezionali a sostegno della domanda interna».
Stesso discorso dove dice che gli europei «sono determinati a muovere speditamente verso misure per la crescita, mantenendo il fermo impegno a realizzare un consolidamento fiscale che va valutato su base strutturale».
Dunque il premier ha notato progressi, nonostante le voci di divergenze con Angela Merkel: «Ognuno in Europa, come una sorta di Gps, si muove riposizionandosi, e le decisioni saranno prese nei prossimi giorni. Un importante avvicinamento è il quadrilaterale a Roma di dopodomani», che riunirà proprio Merkel, Hollande, Rajoy e Monti.
Ma la soluzione della crisi è più Europa, come chiede Roma, anche attraverso nuove misure come la messa in campo del fondo salvastati. §
Uno scudo anti-spread è una sorta di “aspirina” che attenua il dolore ma non risolve la causa. “E’ un paracetamolo finanziario che attenua il malessere, ma non risolve le cause strutturali”: così il portavoce di Olli Rehn sulla proposta italiana di usare il fondo Salva stati Ue per evitare oscillazioni eccessive sugli spread.
“No, non posso confermare”, aveva detto in precedenza il portavoce di Rehn rispondendo ad una domanda sull’ipotesi di un accordo al G20 per utilizzare l’Esfs in chiave anti-spread: “Non c’è un piano, un quadro formale, solo idee e riflessioni”.
Freddo sull’ipotesi anche il governo tedesco secondo cui l’acquisto di bond da parte del fondo Salva stati “non potrà avvenire senza condizioni”.
La portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, Marianne Kothè ha poi sottolineato che gli strumenti europei anticrisi hanno regole precise che vanno rispettate.
E secondo il regolamento dell’Efsf un’operazione del genere richiederebbe ai paesi beneficiari di sottoporsi alle richieste della Troika con la sottoscrizione di un memorandum da parte dei paesi beneficiari, proprio come avvenuto con Grecia, Irlanda e Portogallo.
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile NELLE TENDE FINO A 47 GRADI, TRASFERITI GLI OSPITI… E’ DURATO MENO DI DUE SETTIMANE IL “CAMPO ROMA” DA 150 POSTI
La situazione era diventata insostenibile: allagamenti, problemi con la rete elettrica, le fognature e
una temperatura che in alcune ore ha sfiorato i 47 gradi.
È durato meno di tre settimane il campo donato dal Comune di Roma agli sfollati di Rovereto di Novi, una delle città in provincia di Modena più colpite dal sisma. Allestite il 30 maggio, le tende regalate dal Campidoglio sono state smontate e rispedite al mittente.
Gli ospiti sono stati trasferiti in una nuova struttura messa in funzione dalla Protezione civile nazionale nel campo sportivo.
Con buona pace del sindaco capitolino, Gianni Alemanno, che a pochi giorni dalla seconda violenta scossa del 29 maggio aveva fatto il giro delle zone rosse, con tanto di caschetto giallo e t-shirt della “sua” protezione civile, promettendo una tendopoli targata Roma Capitale da 240 posti.
In realtà di persone ne sono state accolte poco meno di 150, e, più che un campo sfollati, quello regalato da Alemanno si è rivelato un campo da scout in gita, adatto a una notte o poco più.
“La zona individuata dal Comune di Roma era un’area privata, dichiarata non a norma dalla Protezione Civile”, spiega l’assessore alle politiche sociali di Novi di Modena, Dario Zenoni.
Un terreno in piena periferia, in mezzo al nulla. “Non aveva le caratteristiche per ospitare una tendopoli – continua l’assessore – Mancava tutto, dalle fogne alla pavimentazione. E bastava qualche goccia di pioggia per allagarlo”.
Già al battesimo il Campo Roma non prometteva nulla di buono: gli ospiti, tutte persone con la casa gravemente danneggiata dalle scosse, sono rimasti per tre giorni senza servizi igienici, nè luce, nè acqua.
E nei giorni successivi la situazione non ha fatto altro che peggiorare.
Pozzanghere di fango vicino ai bagni e un’aria soffocante.
La maggior parte degli sfollati non dormiva nelle tende blu in dotazione al ministero dell’Interno per le emergenze, ma in semplici tende da campeggio.
Piccole e prive di teloni per ripararsi dal sole.
Per questo, con il caldo degli ultimi giorni, la temperatura interna ha raggiunto i 47 gradi centigradi. Impossibile dormire e addirittura respirare bene.
Praticamente un inferno, che ha costretto la Protezione civile a correre ai ripari, allestendo in fretta e furia un’altra tendopoli al campo sportivo di Rovereto: 350 posti (di cui al momento 90 occupati) in una zona definita dal Comune “a maggiore ricettività , più vicina al centro e con un comfort abitativo e servizi migliori rispetto a quello precedente”.
Qui, oltre alle cucine gestite dalla Croce Rossa e ai servizi di assistenza psicologica, arriveranno presto anche i condizionatori. Indispensabili per portare un po’ di sollievo a chi, oltre ad avere perso la propria casa, in questi giorni deve fronteggiare un caldo africano.
Di Alemanno, dopo la visita dei primi giorni, si è persa traccia.
A futura memoria della sua tendopoli invece rimangono solo alcuni container abbandonati al sole e i costi dell’allacciamento alla rete elettrica e d’allestimento delle fognature, tutti a carico del comune di Novi di Modena.
Giulia Zaccariello |
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile SEGUONO IDV 7,3% , UDC 6,4%, SEL 6,3%, LEGA 4%, FED. SIN. 2,7%, FUTURO E LIBERTA’ 2,6%, LA DESTRA 1,5%
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile GIALLO SULLE 20 FIRME PER IL VOTO SEGRETO
Per ora sono più le ritrattazioni che le conferme ma l’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi – sulla cui richiesta di arresto si pronuncia oggi l’aula del Senato – spera che alla fine escano allo scoperto quei 20 colleghi necessari per far scattare il voto segreto.
Infatti, senza metterci la faccia, finora il Senato ha sempre respinto le richieste di custodia cautelare indirizzate ai suoi componenti.
«Una prassi granitica di diniego di ogni richiesta», conferma Marco Cerase nel saggio «Anatomia critica delle immunità parlamentari italiane», che conta pochissime eccezioni: tra cui Cuffaro finito in carcere senza autorizzazione, perchè condannato definitivo, e Di Girolamo costretto alle dimissioni prima delle regionali del 2010.
Oggi Luigi Lusi rischia perchè i 20 colleghi che avevano firmato la richiesta di voto segreto si stanno dileguando.
Anche perchè si è fatto insistente il pressing del Pdl che ha affidato a Gaetano Quagliariello il compito di evitare un autogol: «Questo è il momento in cui ognuno deve metterci la faccia per evitare che qualcuno nell’ombra faccia cose strane». Insomma, libertà di coscienza e voto palese, conferma Angelino Alfano.
Per questo stavolta, contrariamente al caso De Gregorio salvato proprio col voto segreto, il Pdl richiama all’ordine i senatori Lauro, Amato e Compagna favorevoli alla segretezza della votazione.
Della squadretta, poi, farebbero parte anche Villari e Tedesco (pure lui ex Pd salvato non molto tempo fa) ma la partita si risolverà solo oggi: fino al momento del voto, infatti, possono pervenire alla Presidenza le 20 firme.
Il Pdl – che ieri ha riunito il suo gruppo fino a notte – è tormentato (favorevoli all’arresto Amato e Balboni, contrari Compagna e Lauro) anche perchè il «voto palese costituisce un precedente inaccettabile» tanto che la riunione con Alfano è aggiornata oggi alle 14.
Invece il Pd ha deciso e punta al voto compatto del gruppo per accogliere la richiesta della giunta che ha detto sì all’arresto: «Io non entro nelle elucubrazioni di Beppe Grillo ma non posso accettare che venga gettato fango sul Pd», ha detto la capogruppo Anna Finocchiaro.
Il leader del Movimento cinque stelle, infatti, aveva affermato che «il Pd lo salverà perchè è meglio tirare a campare che tirare le cuoia».
«Falso», insiste la Finocchiaro: «Il Pd ha espulso Lusi e ora chiede un voto palese». E anche Casini (Udc), «il voto segreto santifica Grillo».
Lusi ha inviato una memoria di 500 pagine ai senatori («Vi chiedo di votare no all’arresto perchè sono discriminato») allegando due documenti non conosciuti integralmente.
Uno: la lettera con cui la Margherita (Rutelli, Bianco, Bocci) intima alla Procura di Roma «che nessuno sconfinamento avverrà nelle indagini volte all’accertamento dei reati rispetto ai quali si ribadisce la veste di persona offesa de La Margherita..».
Due: l’esposto alla Procura di Milano in cui Lusi accusa Rutelli di stimolare «comportamenti illeciti», fino all’«attentato a organi costituzionali», quando afferma: «”Se il Senato non si ergesse a tutela dello Stato di diritto, qui fuori arriverebbero i forconi”».
Poi, dopo aver visto su Reportime sul sito del Corriere l’intervista in cui Lusi ribadisce di aver agito di conserva con il suo ex partito, la Margherita replica: «Menzogne e inquinamento delle prove».
Dino Martirano
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Giugno 20th, 2012 Riccardo Fucile DALLE STRAGI 1992-’93 AGLI INTERVENTI DAL COLLE SULLE INDAGINI
Palermo Il giorno della svolta è il 30 gennaio 1992. 
Quel giorno la Cassazione chiude il maxi-processo con una pioggia di ergastoli per i boss di Cosa Nostra. Salta il tradizionale rapporto tra mafia e politica.
Calogero Mannino, l’unico ministro siciliano della Democrazia cristiana, capisce di essere in pericolo e si confida con il maresciallo Giuliano Guazzelli: “O uccidono me o Lima”.
La sua è un’intuizione profetica. Il 12 marzo, la chioma bianca dell’eurodeputato Salvo Lima è immersa in una pozza di sangue, sull’asfalto di Mondello.
ROMA-CAPACI SOLO ANDATA
Mannino ha paura. E ne ha ancora di più quando il 4 aprile 1992, anche Guazzelli viene assassinato. Mannino vuole salvarsi la pelle e cerca aiuto: in gran segreto incontra a Roma il generale del Ros Antonio Subranni, lo 007 Bruno Contrada e il capo della Polizia Vincenzo Parisi.
L’obiettivo è aprire un contatto con Cosa Nostra per verificare se c’è un modo per fermare la furia omicida.
Ma il 23 maggio 1992, sulla collinetta di Capaci, il boss Giovanni Brusca preme il telecomando che fa saltare con 500 chili di tritolo Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e tre uomini di scorta. Il Paese è nel caos.
Il 25 maggio, dopo la mancata elezione di Giulio Andreotti, e una votazione che a sorpresa ha attribuito 47 voti al giudice Paolo Borsellino, sale al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro.
IL ROS E CIANCIMINO
L’8 giugno il Guardasigilli Claudio Martelli vara un decreto antimafia che contiene nuove misure repressive, come l’inasprimento del regime carcerario per i boss, che però non viene reso operativo.
Scatta un’autentica emergenza nazionale per salvare le istituzioni dal terrorismo mafioso. Il capitano del Ros Giuseppe De Donno “aggancia” in aereo Massimo Ciancimino, e chiede un colloquio con il padre, l’ex sindaco di Palermo don Vito.
Inizia la trattativa: l’obiettivo ufficiale è fermare lo stragismo.
Ciancimino collabora ma vuole coperture “istituzionali”. De Donno informa dei colloqui il direttore dell’Ufficio affari penali, Liliana Ferraro, che, a sua volta, ne parla a Martelli. Poi la Ferraro riferisce l’iniziativa del Ros anche a Borsellino. Il giudice non pare sorpreso: “Ci penso io”, dice.
IL PAPELLO DEL CAPO DEI CAPI
Il boss Totò Riina, il fautore della sfida stragista, esulta: “Si sono fatti sotto! ”. E prepara il cosiddetto “papello” con dodici richieste, tra cui la revisione del maxi e la legge sulla dissociazione.
Quando Giuliano Amato vara il nuovo governo dei tecnici, Vincenzo Scotti, considerato un “falco”, viene silurato. Al suo posto al Viminale arriva Nicola Mancino, sinistra Dc come Mannino, ritenuto più malleabile.
Anche Martelli rischia di saltare, ma resta alla Giustizia anche se il democristiano Giuseppe Gargani (anche lui della sinistra Dc) si candida al suo posto, promettendo di fermare Tangentopoli.
LE LACRIME DI PAOLO
Totò Riina continua a progettare omicidi.
Il killer Giovanni Brusca, accompagnato dal complice Gioacchino La Barbera, effettua sopralluoghi a Sciacca e a Palermo alle segreterie di Mannino per pianificare l’agguato che dovrà colpire il ministro siciliano.
A fine giugno, Borsellino in lacrime confida ai colleghi Massimo Russo e Alessandra Camassa: “Un amico mi ha tradito”. Il sospetto degli inquirenti è che si riferisse ad un uomo in divisa, forse a Subranni.
Agnese Borsellino racconterà ai magistrati nisseni di aver saputo dal marito che il comandante del Ros era un uomo d’onore.
E che “c’era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato”.
Subranni oggi ammette di aver saputo della trattativa, ma solo a cose fatte, cioè quando i colloqui tra Mori e don Vito erano già avviati.
Il 1° luglio è il giorno dell’insediamento di Mancino. Mentre si trova a Roma per interrogare Gaspare Mutolo, Borsellino viene convocato al Viminale.
Il giudice incontra il neo-ministro, anche se Mancino ammette la circostanza solo vent’anni dopo. Al ritorno, riferisce Mutolo, Borsellino è così nervoso da fumare due sigarette per volta. Il pentito riferisce anche che durante quell’interrogatorio un funzionario della Dia parla di dissociazione. E che Borsellino commenta: “Questi sono pazzi! ”.
“È FINITO TUTTO”
Un’auto imbottita di esplosivo salta in aria in via D’Amelio: muoiono Paolo Borsellino, che secondo il pentito Giovanni Brusca viene considerato un intralcio alla trattativa, e cinque uomini della scorta. È il 19 luglio 1992.
Antonino Caponnetto, l’uomo che ideò il pool antimafia (grazie ad un’intuizione di Rocco Chinnici, magistrato ucciso da Cosa Nostra nove anni prima), intervistato dalla tv pronuncia queste parole: “È finito tutto, non mi faccia dire altro”. Il nuovo atto terroristico getta lo Stato in ginocchio, ma neppure adesso la classe politica trova la forza di reagire compatta.
Il ministro della Giustizia Martelli deve firmare personalmente il decreto che istituisce il 41 bis, trasferendo i boss detenuti a Pianosa e all’Asinara, perchè — dice lui stesso — “non si trovava chi volesse firmare”.
LE BOMBE IN CONTINENTE
A dicembre finisce in carcere Vito Ciancimino, e a gennaio ’93 è la volta di Riina, il cui covo non viene perquisito.
L’arresto del capo dei capi avviene all’insaputa del ministro dell’Interno Mancino.
“L’ho saputo da una telefonata del capo dello Stato, che si congratulava con me. E anche il presidente del Consiglio non ne sapeva niente”, dirà Mancino al presidente della Corte di assise di Firenze, che commenta: “È formidabile”.
Intanto i corleonesi si affidano a Brusca e Bagarella con Provenzano più defilato, dietro le quinte. E nelle parole dei pentiti spunta Dell’Utri come “uomo-cerniera” tra mafia e Stato.
La trattativa prosegue sulla gestione del 41 bis. A febbraio ’93 salta Martelli (accusato da Silvano Larini e Licio Gelli di avere usato il Conto Protezione) e a via Arenula arriva Giovanni Conso. “Non ho mai capito che era in corso una trattativa — dice oggi Martelli — altrimenti avrei scatenato l’inferno”.
Le bombe continuano in via Fauro a Roma contro Maurizio Costanzo, che scampa all’attentato, e in via dei Georgofili a Firenze: 5 morti e 48 feriti.
A giugno il duo Capriotti-Di Maggio (quest’ultimo non ha i titoli), con la regia del presidente Scalfaro e l’input dei cappellani delle carceri sostituisce Nicolò Amato al vertice del Dap.
Il 26 giugno Capriotti propone di confermare i provvedimenti di 41 bis. E la risposta di Cosa nostra arriva a fine luglio con le bombe di Roma e Milano. Il 10 agosto la Dia mette nero su bianco l’ipotesi di una trattativa in corso.
LE REVOCHE DEL 41 BIS
E a novembre arrivano 343 revoche di provvedimenti di 41 bis decise da Conso “in assoluta solitudine”. Questa fase del dialogo si chiude il 27 febbraio del ’94 con l’arresto dei boss Giuseppe e Filippo Graviano, che segna la fine delle ostilità .
Silvio Berlusconi si insedia a palazzo Chigi, quando dietro le quinte, secondo i pentiti, Marcello Dell’Utri ha già siglato il nuovo patto di convivenza con Cosa Nostra.
Dal 1996, e per circa dieci anni, la lotta alla mafia esce dall’agenda dei segretari dei partiti, Cosa Nostra appare definitivamente sconfitta e così viene raccontata dai media.
Riemerge improvvisamente nel dicembre del 2005 con il volto di Massimo Ciancimino, che tra annunci e mezze verità comincia a parlare con i pm e racconta degli incontri tra suo padre e gli ufficiali del Ros, sollecitando la memoria a orologeria di Martelli, Conso, Ferraro, Violante, Scalfaro, Ciampi, Mancino, Amato. E dopo quattro anni di tira e molla, consegna ai magistrati il “papello”.
LO STATO PROCESSA SE STESSO
Nelle procure di Palermo e Caltanissetta lo Stato tenta di processare se stesso. Sfilano davanti ai pm ministri, parlamentari e funzionari in un festival di reticenze e di bugie.
Caltanissetta archivia, ritenendo le condotte “non penalmente rilevanti”, ma formulando pesanti giudizi morali.
Palermo va avanti ipotizzando il reato di “violenza o minaccia al corpo politico dello Stato”. Dopo quattro anni, i magistrati depositano gli atti, centinaia di intercettazioni svelano le manovre per aiutare Mancino.
Partono le interferenze del Colle per salvare la classe politica che ha trattato con Cosa Nostra, comincia il Romanzo Quirinale.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Giustizia, mafia | Commenta »