Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
MA L’UDC INSISTE SULLE PREFERENZE, MENTRE PER IL PD E’ FONDAMENTALE IL PREMIO DI MAGGIORANZA…SE IL VERTICE UE VA MALE SI ACCELERA
Accordo sulla legge elettorale a un passo.
Un incontro coperto dal massimo riserbo, tra il leader del Pd Bersani e il segretario Pdl Alfano sta spianando la strada.
Fuori gli sherpa, i tratti essenziali delle nuove regole di voto vengono messe per la prima volta nero su bianco e disegnano un sistema misto.
Che riserverebbe una consistente quota di eletti alle liste «bloccate» dei partiti – eredità del Porcellum – e un’altra quota consistente ma ancora da definire a un meccanismo un po’ alla spagnola e un po’ alla tedesca, già battezzato “Provincellum”. Perchè provinciali sarebbero i collegi di riferimento.
Insomma, una via di mezzo all’italiana.
Quel che ha colto di sorpresa a Montecitorio i pochi al corrente del faccia a faccia è stata l’accelerazione politica impressa all’operazione.
Sintomo della precarietà del momento e del rischio concreto di una crisi e di un voto anticipato, sostiene chi (soprattutto a destra) nell’incidente ci spera e anche chi lo teme.
Sta di fatto che nel colloquio che i due leader di Pdl e Pd hanno avuto non di sola legge elettorale si sarebbe parlato.
Sul tavolo del gabinetto super ristretto, anche i destini del governo Monti.
Il faticoso sostegno all’esecutivo tecnico che dovrà essere garantito nelle prossime settimane anche nella malaugurata ipotesi di un insuccesso del Consiglio europeo che si aprirà oggi pomeriggio.
Ma intanto c’è la legge elettorale. Da approvare in fretta.
Che l’intesa fosse dietro l’angolo lo aveva preannunciato a sorpresa lo scorso fine settimana a Fiuggi Silvio Berlusconi.
L’incontro tra il segretario Pdl e Bersani segue molteplici contatti informali degli ultimi giorni e il lungo lavoro preparatorio degli sherpa dei due partiti.
L’impegno è approvare la legge entro fine luglio. Al più, prima della chiusura estiva. Sebbene l’ingorgo parlamentare generato dai tredici decreti del governo renderà l’impresa assai ardua.
Dire addio al Porcellum, dunque. Ma in che modo?
La strada scelta è quella di una riforma “minimalista”.
Realisticamente non c’è lo spazio per altro.
Ecco quindi, la proposta che sembra poter mettere d’accordo quasi tutti: il 50 per cento di liste bloccate (com’è attualmente) e un altro 50% con il Provincellum, ovvero collegi uninominali ma sono eletti coloro che hanno i migliori quozienti, in una sorta di ripartizione proporzionale.
La quota 50% e 50% non è neppure questa definitiva.
Mentre di certo c’è che il Pd non rinuncerebbe a una quota larga di collegi uninominali.
I centristi hanno molte resistenze; le stanno ancora facendo valere.
Per l’Udc andrebbe meglio un sistema in cui ci sono le preferenze, ad esempio tre come nelle elezioni europee.
Insomma proposte e controproposte sono state abbondantemente discusse.
Ma mantenendo alcuni punti saldi, come il premio di maggioranza.
Più volte Maurizio Migliavacca, che sta tenendo le fila della trattativa politica nella maggioranza, ha chiarito che questa è la conditio a cui i Democratici non vogliono rinunciare, perchè consente di dire agli elettori quale è la coalizione con cui si va a governare dopo il voto.
Se l’incontro di Bruxelles non andasse bene, il nuovo appuntamento tecnico-politico sulla riforma elettorale, venerdì, vedrebbe un’accelerazione.
Se la legislatura è a rischio, allora bisogna procedere a tappe forzate: è il ragionamento che fanno gli sherpa
Entro luglio andare a votare la riforma della legge porcata.
Nel Pdl diviso, in cui è una continua resa dei conti, almeno sulla legge elettorale Alfano sembra spuntarla.
Nel senso che il segretario è riuscito a sganciare il cambiamento della legge elettorale dal gran pasticciaccio in cui il Pdl si è cacciato sulle riforme istituzionali al Senato. All’ultimo vertice ABC, quello convocato da Monti a sorpresa, Alfano l’aveva assicurato a Bersani e a Casini: «Non ci impantaneremo, la volontà di cambiare il Porcellum c’è davvero », e aveva dato quelle tre settimane di tempo massimo per venirne a capo.
Le tre settimane stanno per scadere. Alfano vuole portare a casa l’impegno mantenuto a dispetto di tutto ciò che sta accadendo nel suo partito, delle fibrillazioni della maggioranza ABC, o meglio proprio per queste.
Lo stesso Berlusconi del resto si è convinto che il Porcellum va cambiato.
In casa Pd, abbandonata la strada del doppio turno, e una volta stabilito che ci si può accontentare della manutenzione del Porcellum, il dibattito ruota soprattutto attorno alle preferenze.
Giovanna Casadio e Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
argomento: elezioni | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
PARLA SALVATORE BAIARDO, GELATAIO E CONS. COM. DEL PSDI A OMEGNA… NEL 1996, DOPO LA CATTURA DEI FRATELLI GRAVIANO,HA PARLATO SEGRETAMENTE CON LA DIA, RIFIUTANDOSI DI METTERE A VERBALE LE SUE RIVELAZIONI
“Sono stato un riciclatore dei Graviano, li ho portati a spasso in tutto il nord Italia dal 1989 fino alla mattina del loro arresto. So tutto di loro e dei loro affari al nord e in Sardegna, li ho ospitati, ho le foto e i contratti delle case dove hanno abitato, ma nessun magistrato mi vuole sentire”.
Si presenta così Salvatore Baiardo, 55 anni, già gelataio e consigliere comunale del Psdi nella cittadina di Omegna, sulle sponde del lago di Orta in provincia di Verbania. Nel 1996, dopo la cattura dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Baiardo ha parlato segretamente con gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia rifiutandosi di mettere a verbale le sue rivelazioni.
L’informativa del 1996
Secondo quello che risulta al Fatto Quotidiano è infatti lui il protagonista di un’informativa della Dia del 4 novembre 1996.
Una nota esplosiva nella quale due investigatori di alto livello raccontano di avere ricevuto da “persona indagata e per la quale pende richiesta di archiviazione a Firenze” una serie di rivelazioni sotto garanzia di anonimato.
L’informatore della Dia riferiva “di avere conosciuto i Graviano nel 1989”; “di avere assistito in casa sua tra il ’91 e il ’92 a una-due conversazioni telefoniche intercorse tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri dalle quali si evinceva che i due avevano in comune consistenti interessi economici, in particolare nel settore immobiliare, a Milano e in Sardegna”; che il prestanome per i suddetti investimenti era “un imprenditore a nome Rapisarda”; “che i fratelli Graviano erano interessati al finanziamento tramite Marcello Dell’Utri del nascente movimento politico Forza Italia, che avrebbe dovuto garantire i loro interessi in quanto la Dc attraversava un periodo di forte difficoltà ”.
Sempre lo stesso informatore, secondo la Dia, aveva poi riferito “di avere accompagnato nella primavera del ’92, o 93 i fratelli Graviano nel ristorante “L’Assassino” di Milano dove avrebbero dovuto incontrare Marcello Dell’Utri, ma di non avere avuto mai la possibilità di assistere personalmente agli incontri”;
Oggi con Il Fatto Quotidiano, che lo ha prima sentito più volte al telefono e poi l’ha incontrato nel suo paese di residenza, Baiardo non conferma il suo ruolo di ex informatore.
E quando gli si cita il rapporto della Dia replica solo: “Io non sono mai stato all’Assassino”.
Poi dice: “Graviano lo ha anche specificato. Ha detto scrivete che Baiardo non è un confidente, ma un favoreggiatore”. Lui, del resto, vuole parlare di altro. Dice di essere in grado di scagionare Giuseppe Graviano dall’accusa di aver ucciso Borsellino e di poter dimostrare che gli ultimi due pentiti che accusano il suo amico boss stanno mentendo o quanto meno dicono molto meno di quel che sanno.
Una cosa, comunque, Baiardo la conferma: “A metà degli anni 90 gli investigatori mi hanno fatto ponti d’oro perchè collaborassi. Ancora due ore prima del mio arresto si sono seduti al tavolo e mi hanno offerto un miliardo e mezzo, una villa, una nuova vita per me e la mia famiglia. Poi ci hanno provato anche i magistrati in carcere. Ma ora che invece voglio parlare io di altre cose, i giudici non mi convocano”.
E così Baiardo — dopo 15 anni di silenzi — quando i due nuovi pentiti della cosca di Brancaccio, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, hanno cominciato a raccontare i segreti della strage di via D’Amelio, ha provato a contattare i giornali.
Con tempismo perfetto, quando Giuseppe Graviano e i suoi legali lo hanno cominciato a tirare in ballo nei processi per confutare le accuse dei collaboratori di giustizia, Baiardo ha inviato una mail a Il Fatto.
Il tempismo delle rivelazioni
E adesso, prima al telefono e poi seduto a un tavolo, racconta tra qualche reticenza e molti sorrisi, i suoi anni formidabili.
Cominciati nel 1989 quando a lui che viveva al nord da sempre, Cesare Lupo (suo cugino acquisito e cognato di Tranchina), porta a Omegna i Graviano. Lupo, a sua volta cognato dei Graviano, nel 2001 è stato arrestato perchè considerato nuovo boss di Brancaccio.
Tranchina, invece, si è buttato pentito.
E Baiardo ce l’ha con lui: “Dice un sacco di minchiate. Ha raccontato di avermi consegnato solo una ventina di milioni di lire per farmi acquistare una gelateria, ma si dimentica di altri 18 miliardi che nel corso degli anni mi ha consegnato in buste e valigie. Dice che Giuseppe ha fatto saltare in aria Borsellino (in realtà Tranchina sostiene di avere comprato per il boss il telecomando e di averlo accompagnato a fare i sopralluoghi in via D’Amelio nei giorni precedenti alla strage, ndr), quando il 19 luglio del ’92 Giuseppe era da me a Omegna.
E c’è pure la prova. Quel giorno la polizia ci ha fermato per un controllo. Io avevo i miei documenti. Quelli di Giuseppe portavano il nome di un certo Francesco Mazzola, solo che ora gli investigatori sostengono che quel verbale non si trova.
Filippo invece era a Padova. Insomma, dico io, quei due possono averne anche ammazzati cento, ma questa della strage Borsellino mi sembra una cioccolatata”.
Il rebus di Punta Lada
Baiardo parla con un forte accento lombardo, ha i capelli lunghi e gli occhi nascosti dagli occhiali scuri.
Spiega che quando i Graviano cominciarono a frequentare Omegna, lui li presentò a tutti i suoi amici: “C’erano industriali, professionisti, gente di ogni tipo. Rimanevano con me per settimane poi a un certo punto pensarono di trasferirsi lì. Era il 1991, io cercai anche una villa, loro si davano da fare per trovare delle possibilità per investire i loro soldi”.
A Capodanno festeggiano tutti assieme all’Hotel San Rocco di Orta San Giulio.“Ci sono anche le foto”, dice Baiardo, “gli investigatori le hanno sequestrate”.
Poi parla delle vacanze estive nell’Agrigentino, assieme a una coppia di amici e molti mafiosi, ma nega che gli sia stato presentato anche Matteo Messina Denaro, l’attuale capo di Cosa Nostra, “C’era della gente, non so chi fossero”, dice.
Quindi la vacanza delle vacanze: la Sardegna. Un rebus che ha fatto impazzire gli investigatori.
I Graviano, ospiti di una grande villa a Punta Lada, sono lì il 17 e 18 agosto del ’93, un mese dopo gli ultimi attentati da loro organizzati (al Pac di Milano e alle Basiliche di Roma).
Si crogiolano al sole con le fidanzate, mentre Silvio Berlusconi sta mettendo a punto nella sua villa gli ultimi preparativi in vista della nascita di Forza Italia.
In Sardegna c’è anche, come risulta dai suoi tabulati telefonici, Baiardo.
Ma cosa facevano in Sardegna i Graviano? Questo è quello che ci ha esattamente detto in uno dei colloqui con lui che qui riportiamo fedelmente.
“Sono stati lì due estati. Nel 1992 ho affittato io la villa per loro e invece di sentire me i magistrati sentono le cazzate di Tranchina e Spatuzza. Andate a vedere la villa pagata da me, affittata da me. Era in linea d’aria a 200 metri dall’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr). Via mare ci si arriva perchè era proprio sul mare. Poi da quello a dire che si conoscessero e si frequentassero c’è ne passa. Io l’ho affittata nel 1992. Poi presumo che nel 1993 abbiano ripreso la stessa villa, ma il contratto non l’ho fatto io”.
E che facevano i Graviano in Sardegna?
Vacanze, ma poi avevano anche persone con cui si incontravano e facevano gli affari loro.
Ma se facciamo i nomi di…
(Baiardo ci previene) Flavio Carboni (poi indagato per gli affari con Marcello Dell’Utri anche in Sardegna nel 2009, ndr), Rapisarda (che crea tra il 1992 e la fine del 1993 proprio con Marcello Dell’Utri una serie di società , ndr), gira e rigira — chiosa — son sempre i soliti. (Poi nell’ultimo colloquio Baiardo farà marcia indietro sui due nomi, ndr).
Ma Tranchina dice un’altra cosa…
Tranchina parla di un appartamento sulla piazzetta con i negozi e i magistrati si accontentano di questa versione. Ma quando mai! Nel 1992 la villa in cui alloggiavano i Graviano c’era costata 200 milioni, 130 nel mese di agosto e 70 milioni per settembre. Negli appartamentini stavamo noi e nel villone c’erano loro.
Ma lei ha conservato il contratto di affitto?
Guardi io ho tutto. Ci sono i filmini, le fotografie, le agende di quegli anni che parlano. Poi leggo che Spatuzza sostiene che Giuseppe Graviano ha l’asso nella manica, allora diamo retta a Spatuzza e aspettiamo che Graviano si giochi quest’asso.
Secondo lei perchè Graviano ha chiesto che lei sia sentito per approfondire queste cose? Forse vuole mandare un segnale a qualcuno? Vuole far sapere che c’è una persona che sa tutto quello che è successo nell’estate del 1993?
È una sua supposizione. Ma ci può anche stare. Io però sarei uno stupido ad andare in galera per calunnia.
Lei però ha fatto due confronti nel 2009 con i fratelli Graviano in carcere e ha detto di non conoscerli. Ora vuole essere sentito?
L’avvocato dei Graviano lo ha chiesto al processo per l’omicidio Di Matteo, ma loro hanno preferito acquisire proprio i verbali di quei confronti in cui non dicevo nulla. L’avvocato di Giuseppe mi ha detto: ‘Siccome è la quarta volta che lo chiedo, la convocherò in appello’.
Ma lei cosa vuole dire ai giudici?
Che Graviano il giorno della strage di via D’Amelio non era lì. Io non voglio che le mie figlie credano a queste cose. E poi non se ne può più delle balle che dicono questi due. Spatuzza dice che non mi conosce e che non è mai venuto al nord. Solo una volta a Bologna. Minchiate. Si è dimenticato che mi ha incontrato tre volte dopo l’arresto dei Graviano quando ha preso in mano lui il mandamento di Brancaccio e veniva lui qui al nord a curare i loro interessi. La terza volta, nel 1996, lo fece con arroganza. Venne a pretendere la bellezza di 800 milioni di lire dei Graviano perchè, diceva, erano della cosca. Anche Tranchina dice che mi ha portato 20 milioni per la gelateria, ma è un’altra minchiata. Tranchina mi ha portato 18 miliardi di vecchie lire. Allora era il loro uomo di fiducia poi ha perso colpi, era il cognato di mio cugino, Lupo, che era il braccio destro del Graviano, altro che 20 milioni per la gelateria.
Baiardo lei descrive uno scenario in cui nelle testimonianze dei pentiti sono spariti i soldi…
Guardi io vivevo con i Graviano in quel periodo. Quando stavamo a Venezia alloggiavamo in un palazzo di tre piani sul Canale. Lo abbiamo affittato dagli imprenditori Bisazza, quelli delle piastrelle. Non so se mi spiego. Tre piani uno più bello dell’altro. Anche lì abbiamo speso una bella cifra.
Resta una domanda, la più importante: Baiardo, che ci facevano al nord i Graviano? Davvero Dell’Utri incontrava Filippo Graviano per parlare di affari?
Di queste cose non voglio parlare adesso. C’è già la Dia di Firenze che mi martella, l’ultima volta son venuti tre mesi fa. Non voglio parlare di questo.
Peter Gomez e Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia, mafia | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
OGGI A BRUXELLES IL CONSIGLIO EUROPEO PIU’ IMPORTANTE DEGLI ULTIMI ANNI… OBIETTIVO DELL’ITALIA: FAR APPROVARE UN FONDO ANTI-SPREAD
Comincia oggi il vertice europeo più importante dall’inizio della crisi, secondo alcuni il più importante della storia dell’Europa unita.
Bruxelles, Palazzo di Giusto Lipsio, oggi alle 14.15 arrivano i capi di Stato e di governo che partecipano al Consiglio europeo.
Ecco quello che bisogna sapere sui due giorni che potrebbero salvare l’Europa.
O affossarla.
1. Perchè questo vertice è così importante?
Dall’inizio della crisi del debito nell’Eurozona, due anni fa, ci sono stati oltre 20 vertici. Ma ora tutti i problemi latenti sono deflagrati: la Spagna è nel pieno di una crisi bancaria, Cipro ha chiesto aiuto, la Grecia non sta riuscendo a rispettare gli impegni presi in cambio dei finanziamenti di emergenza, l’Italia continua ad avere un costo del debito pubblico molto elevato, nonostante mesi di sacrifici e finanze pubbliche quasi in ordine. Perfino la crescita tedesca sta rallentando. I mercati non credono più che economie così diverse possano sopravvivere dentro la gabbia di una moneta unica. I leader dei Paesi membri dell’euro hanno detto agli investitori: tranquilli, al vertice del 28 e 29 giugno prenderemo decisioni importanti che rilanceranno l’Europa.
2. Cosa devono decidere i capi di Stato e di governo a Bruxelles?
Ci sono vari punti in agenda. Un piano per la crescita, che cambierà destinazione a 120-130 miliardi di euro di fondi europei già stanziati, soldi che dovrebbero essere indirizzati a progetti dall’effetto immediato sulla crescita (infrastrutture, finanziamento alle imprese tramite la Banca europea degli investimenti, fondi strutturali per lo sviluppo distribuiti nei singoli Paesi). La crisi delle banche spagnole ha reso urgente anche l’unione bancaria — regole comuni, supervisione accentrata e garanzia dei depositi comunitaria — che eviti il contagio. Di eurobond, cioè di emissioni di debito pubblico europeo al posto di quello nazionale, non si parlerà , la Germania non vuole.
3. Che cosa cerca di ottenere l’Italia al summit?
Mario Monti ha detto che è disposto a negoziare a oltranza, finchè non avrà un aiuto mirato per l’Italia. Visto che noi abbiamo fatto un risanamento contabile che ha azzerato il deficit primario (ci indebitiamo sul mercato soltanto per sostenere il vecchio debito e pagare interessi), è ingiusto che lo spread sia così alto. Serve quindi un intervento europeo a difesa dei Paesi virtuosi ingiustamente penalizzati dai mercati (l’Italia): finanziamenti agevolati dai fondi salva Stati, ma senza l’annessa imposizione di drastiche riforme prevista dai programmi di assistenza (come quello per la Grecia), perchè abbiamo già fatto “i compiti a casa”.
4. Tutti accusano la Germania di bloccare i negoziati e mettere a rischio il futuro dell’euro. È davvero così?
Berlino non si fida più dei Paesi ad alto debito, soprattutto della Grecia che ha sempre violato gli impegni presi. Angela Merkel non è disposta a concedere misure di solidarietà che rallentino i processi di aggiustamento (di riduzione di deficit e indebitamento, spesso accompagnato però da pesanti recessioni). Per la Merkel una maggiore solidarietà sui debiti deve essere accompagnata da una forte integrazione politica. Tradotto: se vuoi i soldi, noi te li diamo, ma poi decidiamo come li spendi e quali riforme devi adottare per essere in grado di restituirli. Questa linea di Berlino, finora, ha ritardato l’adozione di misure che poi si sono rivelate tardive e poco efficaci e ora sta diffondendo l’impressione che l’Europa sia priva di leadership e di capacità di reazione.
5. Con chi stanno Francia, Gran Bretagna e gli altri Paesi principali?
La Francia di Franà§ois Hollande è allineata con l’Italia, vuole il fondo anti-spread e l’intervento diretto dei fondi salva Stati nelle banche (magari anche francesi). La Spagna è fuori dai giochi, dopo aver chiesto aiuto. La Gran Bretagna, essendo fuori dall’euro, è un po’ ai margini ma sarà importante la sua posizione sull’unione bancaria. L’unico Paese più oltranzista della Germania sul rigore è la Finlandia (anche l’Olanda non scherza).
6. Un accordo a Bruxelles può cambiare la situazione dell’Eurozona e rassicurare i mercati?
Dipende. Gli investitori, ma anche i cittadini europei, non si fidano più delle promesse. E dal Consiglio europeo si aspettano due cose: un intervento immediato contro la recessione ormai continentale (cioè il piano da 120 miliardi più qualche provvedimento sul mercato interno, che aumenti la concorrenza) e una lista molto precisa di passi verso una maggiore integrazione, resa credibile da un forte accordo politico e una netta scansione temporale. Per arrivare a un’unione bancaria e a un coordinamento da Bruxelles della politica economica e dei diversi Paesi. L’unico modo per imporre subito la serenità sui mercati sarebbe però un intervento della Bce, o almeno la disponibilità della Bce a intervenire.
7. Se il vertice va male può davvero crollare l’euro?
Non nell’immediato. Ma all’apertura dei mercati, lunedì mattina, gli investitori trarranno le loro conclusioni: o il vertice trasmette l’impressione del rilancio dell’Europa, oppure l’euro apparirà condannato a una lenta agonia. Nel secondo caso comincerà una rapida fuga dai Paesi considerati più fragili (Spagna ma anche e soprattutto Italia), gli spread saliranno, quindi crolleranno i valori di Borsa delle banche che hanno investito tanto in titoli di Stato grazie ai finanziamenti agevola-ti della Bce. In una situazione di tale estrema tensione si rischiano disastri: la Grecia potrebbe non riuscire a rispettare gli impegni e non ottenere la nuova tranche di finanziamenti, un’asta di debito, magari italiana, potrebbe non riscontrare sufficiente domanda, ma soprattutto potrebbe scoppiare una nuova crisi bancaria (dopo quelle di Irlanda, Spagna e Cipro), magari in Francia. In assenza di meccanismi d’emergenza funzionanti, il Paese in improvvisa difficoltà potrebbe trovarsi costretto a uscire dalla moneta unica dichiarando di non rimborsare tutti o parte dei debiti contratti in euro.
8. Quali saranno le conseguenze del summit europeo sul governo Monti?
Il premier si è impegnato davanti al Parlamento a ottenere risultati concreti. Se non riuscirà a strappare alla Germania il fondo anti-spread, per lui il vertice dovrà considerarsi un flop. Al ritorno in patria, quindi, potrebbe trovarsi ad affrontare la doppia crisi: sui mercati, per la fuga degli investitori dai buoni del Tesoro e dalle banche italiane, e in Parlamento, visto che il Pdl ha vincolato il suo sostegno futuro all’esito del Consiglio europeo.
9. Quindi si rischia di andare a votare?
Un flop di Monti a Bruxelles potrebbe costringere il governo ad approvare già nella giornata di domenica il decreto dei tagli alla spesa pubblica nel quadro della spending review, che da limatura degli sprechi si sta evolvendo in una sorta di manovra correttiva da 30 miliardi che taglia su ministeri e sanità . In ogni caso, lunedì è già convocato un Consiglio dei ministri che, anche sulla base della reazione dei mercati al vertice di Bruxelles, deve approvare o almeno annunciare il provvedimento sui tagli alla spesa. Nel caso il vertice vada male e il governo presenti altre misure pesanti e impopolari, parte del Pdl potrebbe aprire la crisi, togliendo la fiducia al Monti anche senza aspettar l’incidente parlamentare. Il Quirinale affiderebbe comunque un nuovo incarico allo stesso Monti.
10 . Con quello di oggi e domani finisce la stagione dei summit internazionali?
Ovviamente no. à‰ già in calendario un incontro bilaterale tra Angela Merkel e Mario Monti il 4 luglio. Ma difficilmente si può pensare di rimediare a un flop di Bruxelles.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
LE MOSSE DEL PROFESSORE PER EVITARE UN LUNEDI NERO SE FALLISSE IL CONSIGLIO EUROPEO
“Prepararsi al peggio”. Con questa parola d’ordine il premier è partito ieri alla volta di Bruxelles per la battaglia più difficile dal giorno del suo ingresso a palazzo Chigi.
La vigilia di trattative in Europa lo induce a un moderato ottimismo, ma la sua responsabilità è anche quella di prevedere e prepararsi a un esito fallimentare del vertice Ue.
Perchè questa volta si gioca senza rete, come ha detto lo stesso Monti alla Camera.
“Non ci sono soluzioni pronte su cui i leader devono solo mettere la firma”. Si tratterà davvero, con il coltello tra i denti. E già questa mattina, prima dell’inizio del summit, Monti ha in agenda un bilaterale con Angela Merkel.
Intanto, per non sbagliare, il premier ha preallertato i ministri. Nessuno dovrà allontanarsi dalla Capitale nel week-end. “Vi prego di essere tutti reperibili”. Non si sa mai, dovesse riunirsi un Consiglio dei ministri per prendere decisioni d’urgenza.
La paura infatti è che lunedì mattina i mercati, nel caso il consiglio europeo si risolva in chiacchiere, puniscano duramente proprio l’Italia, il bersaglio più grosso.
Per domenica sera Monti ha convocato una riunione ristretta a Roma con Moavero, Grilli, Passera, Giarda e Catricalà .
Un summit formalmente chiamato a discutere nel dettaglio l’ultima versione della spending review in vista del Consiglio dei ministri di lunedì.
E tuttavia è chiaro che il vertice servirà anche a stabilire come reagire nel caso l’Italia debba affrontare da sola un’ondata speculativa in arrivo.
Ad alzare il velo sulla necessità di un “piano B” è stato Giuliano Amato, chiamato come consulente da Monti.
In un’intervista a l’Unità , due giorni fa l’ex premier ha parlato di misure per calmierare lo spread come “una drastica riduzione del debito pubblico sotto il 100 per cento”.
O l’emissione di titoli del debito a basso interesse, garantiti da un fondo in cui dovrà confluire il patrimonio pubblico.
Qualcosa in ogni caso sembra muoversi, vista da palazzo Chigi la situazione non è affatto nera.
Pier Luigi Bersani, che ha discusso a lungo con Monti martedì sera, è uscito dal faccia a faccia meno pessimista.
“La Merkel – riflette il segretario del Pd in un corridoio di Montecitorio – ha chiuso in maniera drastica sugli eurobond, dicendo che finchè campa non ci saranno mai. Perchè fare una sparata così dura su una materia che, per stessa ammissione di Hollande, per il momento non è più sul tavolo? Secondo me è il segno che si prepara a cedere sul resto”.
Bersani spera in un segnale positivo sia sul Salva-Stati sia sul Fondo di redenzione, quel meccanismo che dovrebbe mettere in comune, fra gli stati dell’eurozona, la parte del debito pubblico eccedente il 60%.
Pochi metri più in là un altro esponente della “strana” maggioranza, in contatto quotidiano con i tedeschi, annusa la stessa aria: “Ho spiegato ai nostri amici a Berlino – osserva Rocco Buttiglione – che noi non vogliamo i loro soldi, come ha scritto erroneamente la Bild. Noi vogliamo solo una difesa comune contro la speculazione: proponiamo che si attivi un meccanismo simile all’articolo 5 della Nato, che faccia scattare l’obbligo di difesa di tutta l’Alleanza se uno dei membri è sotto attacco”.
Da palazzo Chigi fanno sapere che i segnali positivi non si limitano al meccanismo abbassa-spread, quello che gli sherpa francesi hanno ribattezzato “couloir”, “il corridoio” (visto che blocca lo spread entro una banda di oscillazione prefissata). Aperture da parte del fronte del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia) ci sarebbero anche sulla “golden rule”, ovvero la possibilità che taluni investimenti nazionali in grandi opere europee possano essere scomputati dal calcolo Deficit/Pil. Buttiglione già pregusta la vittoria: “Se Monti riesce a portare a casa i project-bond, la golden rule, l’uso del Salva-stati contro lo spread e il piano per la crescita, per l’Italia sarà un successo incredibile”.
A quel punto la maggioranza “strana” potrebbe anche ristrutturarsi intorno a un nocciolo duro iper-montiano e europeista.
E un primo esperimento lo si è avuto ieri alla Camera con il voto sull’Europa.
“La mozione unitaria su cui si sono ritrovati oggi Pd-Udc e Fli – ragiona il democratico Sandro Gozi – in fondo prefigura quell’arco di forze che, nella prossima legislatura, potrebbero proseguire l’opera riformatrice di Monti”.
Sempre che lunedì non crolli tutto.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
argomento: economia, Monti | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
SI INDAGA SU PRESUNTA MAZZETTA PAGATA DALL’IMPRENDITORE PAGANELLI, ARRESTATO UN ANNO FA PER LE TANGENTI ENAC, AL POLITICO DEL CARROCCIO
Perquisiti ufficio e abitazione di un esponente milanese della Lega, Max Bastoni. L’ipotesi della procura di Milano è che abbia incassato una tangente da un imprenditore romano.
Così il partito di Umberto Bossi torna al centro di inchieste della magistratura, dopo i casi dell’ex presidente del consiglio regionale lombardo Davide Boni, del tesoriere Francesco Belsito e dei fondi pubblici utilizzati per finanziare i figli di Bossi e il suo “cerchio magico”.
Le perquisizioni, chieste dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, sono state eseguite dagli uomini della Guardia di finanza, alla ricerca di elementi su una tangente che sarebbe stata pagata da Viscardo Paganelli, l’imprenditore proprietario della Rotkopf, arrestato a Roma un anno fa, nel giugno 2011, per le tangenti Enac, l’ente nazionale per l’aviazione civile.
Uno stralcio dell’indagine romana del pm Paolo Ielo è approdata a Milano, per una mazzetta che sarebbe stata versata alla Lega.
A riceverla, secondo le ipotesi d’accusa, Max Bastoni, consigliere comunale a Milano, in corsa per diventare segretario milanese del partito.
Nel marzo scorso, Bastoni ha perso per soli dieci voti il congresso provinciale della Lega, vinto per un soffio da Igor Iezzi, “barbaro sognante” della corrente che fa riferimento a Roberto Maroni e, a Milano, Matteo Salvini.
Bastoni era sostenuto invece da Davide Boni e Mario Borghezio.
Con quest’ultimo aveva fondato, già del 1998, i “Volontari verdi”, associazione impegnata nelle ronde e nel contrasto agli immigrati extracomunitari.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: LegaNord | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO ANNUALE UNODC METTE IN ALLARME
Dati sempre molto preoccupanti nella relazione della struttura Onu.
Un fatturato di 300 miliardi di dollari: il secondo business mondiale dopo quello del sesso.
Il mondo diviso sulle misure da prendere: continuare lo scontro frontale (denso di sconfitte) o avviare la depenalizzazione delle droghe leggere
Una persona su venti nel mondo ha usato droghe nel 2010. Magari una sola volta.
Per curiosità , per gioco: ha ceduto e l’ha provata.
E’ un dato; ma anche una tendenza che impallidisce rispetto ai 200 mila morti per stupefacenti che l’Unodc, l’Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine organizzato, denuncia nel suo rapporto annuale appena uscito.
Parlare di droga in questi mesi di crisi finanziaria planetaria, di dubbi sul nostro futuro povero di idee e di prospettive, non è facile.
Perchè significa sollevare nuove angosce in un mondo dominato dall’incertezza. Significa gettare altra benzina su un incendio che sta bruciando lentamente interi Stati e spesso vaste regioni della terra.
Territori assediati da una criminalità feroce e decisa, con quasi mezzo milione di vittime l’anno, la maggioranza delle quali civili innocenti.
Ma il fatturato che sfiora ormai i 300 miliardi di dollari piazza il traffico clandestino di stupefacenti al secondo posto, dopo il turismo sessuale, nella scala del grandi business mondiali. Più delle armi e del petrolio.
Parlare della voce economica che più condiziona gli Stati del mondo, le banche e i grandi istituti finanziari, è quindi un obbligo per chi cerca di capire e spiegare fenomeni che vediamo solo in termini di morti ammazzati e violenze indiscriminate. Affrontare il grande tema della droga vuol dire anche registrare cambiamenti e umori e segnalare tendenze con cui il pianeta deve fare i conti.
La stessa guerra al traffico degli stupefacenti, che impegna da mezzo secolo la comunità internazionale con montagne di quattrini e migliaia di agenti e soldati, sta mostrando le sue crepe e solleva un ampio dibattito.
A tal punto che nel vertice di Cartagena (Colombia) dell’aprile scorso, tra i paesi che aderiscono al Mercosur (il mercato economico del Centro e Sud America), il primo punto all’ordine del giorno era proprio il fallimento di uno scontro (quello contro i “cartelli” dei trafficanti) che produce più sconfitte che vittorie.
Il Guatemala, seguito da altri paesi latino americani, ha posto il problema. Ha chiesto di rivedere la politica antidroga seguita dall’Onu e dalla comunità internazionale. Avviando la depenalizzazione delle droghe leggere per contrastare, con più efficacia, quelle che costituiscono la piaga degli stupefacenti: la pasta base della coca e le droghe sintetiche fabbricate nei laboratori clandestini in Asia e in Messico.
Ma le richieste per una svolta nella guerra alla droga sono state accolte con freddezza. Il presidente Barack Obama si è detto contrario ad un cambio di rotta e ha invitato gli altri Stati a raddoppiare gli sforzi.
Il fatto stesso che il tema stupefacenti sia stato posto in testa alle priorità economiche e sociali degli Stati dimostra comunque che qualcosa sta cambiando.
Almeno nella percezione del fenomeno e nella necessità di affrontarlo con un approccio più razionale.
Alcuni Stati, come l’Urugay, assediati dalla diffusione delle droghe pesanti, letali e più a buon mercato, hanno deciso di legalizzare l’uso delle droghe leggere; lo scopo è affidare allo Stato il controllo e la distribuzione degli stupefacenti.
Altri, come l’Honduras e il Salvador rischiano di diventare narco-Stati.
Si trovano a fare i conti con centinaia di bande, spesso giovanili, che dettano legge e con cui sono costretti a siglare accordi. L’Africa occidentale si conferma come l’hub del traffico internazionale.
Condiziona gli equilibri geopolitici della regione e vede sempre più spesso cambi di regime dovuti a colpi di Stato.
L’Asia centro meridionale è diventata il centro dei laboratori più o meno clandestini per la produzione delle droghe sintetiche.
Le correnti e i flussi di traffico cambiano a seconda delle richieste e delle condizioni economiche.
Se l’Afghanistan e la Birmania primeggiano di nuovo nella produzione del papavero di oppio, il Messico vanta quasi il monopolio del commercio di cocaina e marijuana. La Russia denuncia un’impennata nella diffusione dell’eroina e delle pastiglie dello sballo, come metanfetamina e ecstasy.
Senza dimenticare le variabili dei singoli Stati che cercano alternative. Per frenare le devastazioni di intere generazioni o per motivi ancestrali ed etici.
Come la battaglia del presidente della Bolivia Evo Morales per depennare le foglie di coca dalla black list degli stupefacenti e i tentativi dello Stato della California di liberalizzare la vendita e l’uso della marijuana.
Un esperimento simile a quello adottato da decenni dall’Olanda.
Che vanta, a suo vantaggio, una cultura e una tradizione nel campo che risalgono nel tempo.
Un dato è comunque certo: il paese dei mulini a vento riesce a conciliare la sua storica tolleranza e la difesa delle libertà con le conseguenze sul piano sociale.
Sopraffatta dall’ondata di turisti che i weekend ingolfano le frontiere alla ricerca di uno spinello, l’Olanda ha deciso di limitare l’accesso ai coffee shop ai soli residenti, escludendo gli stranieri.
Ma per il resto, la politica liberista sembra funzionare.
La criminalità è sotto controllo, la droga distribuita non è un business clandestino che alimenta l’illegalità . Anzi, si pagano anche le tasse.
Certo, è un esempio unico nel mondo.
Nel resto del Pianeta droga significa montagne di denaro nero, riciclaggio, criminalità organizzata, guerra tra bande, violenze brutali, corruzioni, minacce, rappresaglie, narcoterritori, raffiche di omicidi.
Un fiume che contagia Stati e aree geografiche, che attira gli interessi di potenti organizzazioni. Compresi i vari fronti di al Qaeda.
Uno sguardo sul mondo.
La produzione di droghe e le conseguenze sulla salute restano stabili nel 2012, osserva il rapporto dell’Unodc.
L’oppio ha raddoppiato la sua presenza sul mercato, piazzando l’Afghanistan di nuovo al primo posto tra i paesi produttori.
Raddoppiata anche la produzione di droghe sintetiche. Circa 230 milioni di persone, il 5 per cento della popolazione mondiale adulta ( tra i 15 e i 64 anni), hanno fatto uso di stupefacenti.
Di questi 27 milioni, circa lo 0,6 per cento, sono tossicodipendenti dall’eroina e dalla cocaina: uno ogni 200 abitanti.
L’eroina.
La novità che spicca nel rapporto 2011 è il conclamato ritorno dell’eroina. Chi ha vissuto negli anni 70 del secolo scorso ricorda ancora la strage di migliaia di ragazzi e ragazze che si ritrovarono prigionieri della “Regina delle droghe”: ridotti a larve, incapaci di reagire ad un’illusione assassina.
La crescita esponenziale delle comunità di recupero, la battaglia per la prevenzione sanitaria con le carovane di pulmini di pronta assistenza che giravano (e girano) per strade e piazze distribuendo siringhe pulite e ritirando quelle usate, sono stati gli unici strumenti con cui i paesi hanno affrontato la strage.
Non fu tutto inutile: moltissimi vennero strappati all’eroina e riuscirono a salvarsi; altri scoprirono di essere stati infettati dal virus dell’Hiv – per l’abitudine malsana di scambiarsi la stessa siringa e spesso condividere il buco; si ritrovarono non solo dipendenti da una droga subdola e pericolosa ma afflitti da diversi tumori che ebbero strada facile nell’aggredire fisici debilitati dagli stupefacenti.
Sembrava un brutto sogno. Invece, l’eroina si è riaffacciata sul mercato quaranta anni dopo.
Oppio.
La produzione del papavero da oppio ha raggiunto le 7.000 tonnellate. In Afghanistan è aumentata del 61 per cento.
E’ passata dalle 3.600 tonnellate nel 2010 alle 5.800 del 2011. Il paese centro asiatico si conferma come il maggior produttore al mondo, seguito dalla Birmania. Qui la coltivazione ha avuto un’impennata del 14 per cento.
Cocaina.
Tra i 13,3 milioni e i 19,7 milioni di persone fanno abitualmente uso della polvere bianca. Circa tra lo 0,3 e lo 0,4 della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 64 anni.
Il Nord America, l’Europa e l’Australia continuano ad essere i mercati più appetibili. Negli Usa si registra un calo del consumo del 3 per cento, mentre in Europa rimane stabile. In Australia e in Sud America ci sono invece una maggiore richiesta e un aumento nell’uso.
Un leggero incremento è registrato anche in Africa e in Asia, sebbene il numero degli assuntori resti basso.
Il calo consistente della produzione di foglie di coca in Colombia è stato compensato dall’aumento delle piantagioni in Bolivia e in Perù.
Entrambi i paesi sono tornati ad essere i principali luoghi di produzione e di partenza delle partite di coca destinate agli Usa e all’Europa.
Droghe chimiche.
Resta stabile il mercato delle amfetamine o prodotti stimolanti. Ma nel 2010 si è assistito ad un incremento di Metanfetamina in Centro America e nel Sud est asiatico. Il sequestro di 45 tonnellate di “speed” o “ice”, come viene chiamata comunemente la metanfetamina, nel 2010, rispetto alle 21,5 tonnellate del 2008, è un indicatore eloquente.
In Europa c’è stato più che il raddoppio di sequestri di “ecstasy”: da 595 chili intercettati nel 2009 si è passati a 1,3 tonnellate nel 2010. L’Mdma è considerata la pillola più venduta di tutto il mercato degli stupefacenti nel vecchio Continente.
Marijuana e hashish
Ne fanno uso abitualmente tra i 119 e i 224 milioni di abitanti della Terra. L’Europa resta il più importante fruitore dell’hashish proveniente dal Marocco, sebbene si registri un leggero decremento.
Secondo le relazioni di tutti gli Stati europei è cresciuto il numero di piantagioni fatte in casa.
Questo potrebbe spiegare il maggior uso di erba rispetto all’hashish. Anche su questo prodotto l’Afghanistan fa la parte del leone.
Il prezzo è raddoppiato rispetto all’oppio: la marijuana costa 9.000 dollari il quintale rispetto ai 4.500 dollari della pasta di papavero da oppio.
Daniele Mastrogiacomo
(da “La Repubblica“)
argomento: emergenza | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
RICOSTRUITE LE SOMME RICEVUTE IN DIECI ANNI DALL’ASSISTENTE E DALL’EX PORTAVOCE DEL POLITICO DEL PD… PIOGGIA DI INCARICHI DOPO ESSERE ENTRATI NELLO STAFF
Negli anni in cui sono stati l’ombra di Filippo Penati, da quando viene eletto sindaco di Sesto San Giovanni fino all’elezione a presidente della provincia di Milano e all’incarico di capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani, il loro reddito si impenna.
E – grazie a incarichi, assunzioni e consulenze – incassano quasi due milioni di euro dal 2001 al 2010.
Claudia Cugola, ex maestra, prima segretaria, poi assistente sempre vicina a Penati, dichiara nel 2001 42mila euro di stipendi dal comune di Sesto.
Dall’anno successivo inizia a raggranellare incarichi da società pubbliche o legate alla politica – come la Serravalle – che fa schizzare il suo reddito fino agli 86mila euro del 2010, con un incasso in otto anni di 533mila euro.
Franco Maggi, semplice funzionario del Pci prima di incontrare Penati e diventarne lo storico portavoce, parte da un livello addirittura inferiore a quello di Cugola – guadagna 41mila euro nel 2001 – e sfiora nove anni dopo i 175 mila euro, per un totale in nove anni di un milione 241mila.
I due fedelissimi di Penati, accusato dai pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia di corruzione, concussione e finanziamento illecito, erano già finiti nell’inchiesta sul “sistema Sesto”: indagati per ricettazione, sospettati di aver ricevuto centomila euro totali da Renato Sarno, l’architetto considerato dai pm il “collettore delle tangenti” di Penati.
Ora il Nucleo di Polizia Tributaria ha ricostruito quasi due milioni andati ai due, tra il 2001 e il 2010, incassati da enti pubblici, consorzi, o società private che hanno ricevuto appalti dalla provincia.
Ci sono anche il Renato Sarno Group, la Serravalle, l’Unione province lombarde, Fare Metropoli.
Fino al 2007, le fonti di guadagno di Gugola sono soprattutto due: il comune di Sesto e Cap Holding, società di gestione delle acque partecipata dalle province di Milano, Monza, Lodi, Pavia.
Un’assunzione che scatena le polemiche delle opposizioni già nel 2004, quando Cugola viene assunta dopo l’elezione di Penati a presidente.
Incassa 28mila euro nel 2004, 57mila nel 2005, 59mila sia nel 2006 che nel 2007.
Nel 2008 il suo compenso dal Cap crolla a seimila euro e compare la Serravalle che paga 66mila euro.
La società dei Gavio diventerà la sua maggiore fonte d’incassi: 49mila nel 2009, solo 17mila nel 2010 (fino a giugno).
Gli investigatori registrano nuovi incarichi: Fare Metropoli stacca un assegno da 22mila euro, la Regione – dove nel frattempo Cugola è stata distaccata su indicazione di Penati – 42mila, la Girpa – studio di progettazione che riceve appalti da Pedemontana, controllata da Serravalle – 4mila.
Cap Holding finanzia con più generosità Maggi.
Per un incarico da capo della comunicazione, incassa dai 54mila euro del 2003 ai 152mila del 2010.
Il Core, Consorzio recupero energetico, di cui Sesto ha il 38%, finanzia per 20mila euro Maggi fino al 2004, quando Penati lascia il comune.
Dopo, altri soldi arrivano da Tecnologie e Territorio, che paga dal 2004 al 2010 46mila euro a Maggi.
Amministratore delegato dell’azienda – che gestisce patrimoni immobiliari pubblici – è Giuseppe Maserati, sindaco Pds a Cusano Milanino negli anni ’90, “penatiano”, oggi alla guida del Pd locale.
Immancabile il Renato Sarno Group che gratifica Maggi con 69mila euro tra il 2007 al 2009, e Girpa con 20mila fino al 2009.
Anni in cui Penati è in provincia: Girpa ottiene appalti per la Pedemontana, Sarno milioni in consulenze da Serravalle.
Sandro De Riccardis
(da “la Repubblica“)
argomento: Giustizia, Partito Democratico, PD, Politica | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
PACCO DONO ALLA BANCA DI PROFUMO.. INDAGATA E INDEBITATA NON TROVA SOLDI PER RISPETTARE GLI IMPEGNI… NIENTE PAURA, GLIELI PRESTA IL GOVERNO
Siena chiama, Roma risponde.
Il Monte dei Paschi proprio non ce la fa
a trovare i soldi per rispettare gli impegni presi con l’autorità di vigilanza europea. Niente paura: il governo di Mario Monti presta 2 miliardi di euro alla grande banca toscana da tempo in difficoltà .
Il gradito pacco dono arriverà sotto forma di obbligazioni sotto-scritte dallo Stato, ribattezzate Tremonti bond.
Non è la prima volta.
L’operazione annunciata ieri dall’esecutivo ricorda quella ideata nel 2009, quando nel pieno della prima crisi finanziaria, alcuni istituti, tra cui Mps, fecero il pieno di risorse fresche grazie ai finanziamenti pubblici.
All’epoca la regia fu dell’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Da qui il nome assegnato ai titoli.
Adesso si replica e il denaro andrà tutto al Monte, dove poche settimane fa si è insediato il nuovo presidente Profumo.
Per l’occasione verranno anche riviste le condizioni dei Tremonti bond per 1,9 miliardi già in pancia all’istituto senese.
A conti fatti, quindi, l’intervento del governo potrebbe arrivare a sfiorare i 4 miliardi. Il tempo stringe, ormai.
L’Eba (European banking authority) chiedeva al Monte 3,2 miliardi di nuovo patrimonio, ma la banca nei mesi scorsi ne ha trovati si è no un paio, grazie alla vendita di alcune attività e ad altre manovre contabili.
Che fare? Un nuovo aumento di capitale in Borsa è improponibile.
Gli azionisti del Monte hanno già sborsato 2 miliardi, giusto un anno fa.
E i titoli pagati 0,44 euro ciascuno adesso quotano meno di 0,2.
Peggio ancora, la Fondazione Mps, socio principale dell’istituto, ha finito i soldi.
Non sia mai che la politica senese debba mollare definitivamente la presa sulla banca. Obbligazioni? Niente da fare neppure per quelle. Sul mercato nessuno le vuole.
Alla fine, Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola si sono presentati a Roma con il cappello in mano e il governo, con l’assistenza della Banca d’Italia, ha confezionato un salvagente su misura.
A maggio, pochi giorni dopo la nomina, il neopresidente aveva detto di ritenere che il piano presentato all’Eba “potesse bastare”.
Forse gli era sfuggito qualcosa, perchè dopo mesi di trattative, anche molto concitate, il Monte ha dovuto ripararsi sotto l’ombrello aperto dallo Stato.
I guai dell’istituto arrivano in parte dalla campagna acquisti varata negli anni del boom, culminata nel 2007 con l’acquisizione della Banca Antonveneta a un prezzo già all’epoca giudicato fuori misura dalla gran parte degli analisti.
A distanza di 4 anni, il Monte ha chiuso il bilancio 2011 in perdita per 4,6 miliardi dovuti in gran parte alla svalutazione della sua controllata Antonveneta.
Non è finita.
Giusto un mese fa la discussa acquisizione del 2007 è finita anche al centro di un’inchiesta aperta dalla procura di Siena.
Insomma, un diluvio di guai.
Intanto però Giuseppe Mussari, il presidente di Mps che volle e gestì l’affare (si fa per dire) Antonveneta, ha perso il posto ma è stato appena riconfermato alla guida dell’Abi, la Confindustria delle banche.
Non bastassero le perdite in bilancio, nei mesi scorsi è scesa in campo anche l’Eba. L’ente di vigilanza ha chiesto a una settantina di istituti europei la creazione di quello che è stato definito “un cuscinetto patrimoniale supplementare”.
I nuovi capitali dovrebbero servire ad assicurare la stabilità degli istituti in caso di altre tempeste sul debito pubblico, del tipo di quella che nell’autunno scorso ha portato a un crollo delle quotazioni dei titoli di stato dei Paesi considerati a rischio, tra cui l’Italia. In sostanza, le banche hanno fatto indigestione di Btp e ora in qualche modo devono difendersi da nuovi scossoni di mercato.
Nei mesi scorsi Unicredit e Banco Popolare hanno fatto fronte alle richieste dell’Eba con una serie di operazioni di mercato.
Siena invece si è rivolta a Roma.
La banca ha mantenuto i suoi impegni, ma gli investitori restano pessimisti e ieri hanno venduto a piene mani i titoli Mps.
Alla fine il ribasso ha superato il 5%, con la quotazione molto vicina ai minimi storici. Ai prezzi attuali il Monte capitalizza in Borsa 2,4 miliardi.
Come dire che tutta la banca vale meno degli aiuti di Stato che ha ricevuto.
O sta per ricevere.
Vittorio Malagutti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: economia, governo | Commenta »
Giugno 28th, 2012 Riccardo Fucile
GENNAIO 1994: LA STRAGE ALL’OLIMPICO PROGETTATA, RINVIATA E ANNULLATA
“Fate sapere a madre natura che bisogna fermare il Bingo”.
Usano codici ci-frati i mafiosi di rito corleonese. Siamo nel biennio di sangue che è iniziato il 12 marzo 1992 con l’omicidio di Salvo Lima. Totò Riina non si ferma, uccide Falcone e Borsellino, sbarca sul Continente con le bombe a Roma, Firenze e Milano.
È una lunga stagione di sangue che a un certo punto si deve fermare.
Perchè lo Stato ha capito. Ed è venuto a patti.
Oppure, come sostengono mafiosi trasformatisi in pentiti, è cambiato il potere, al governo ci sono i nuovi, gli amici.
Madre natura è Giuseppe Graviano, re di Brancaccio e componente influente della direzione strategica di Cosa Nostra.
È il 12 gennaio 1994, quando Francesco Tagliavia, boss di Corso dei Mille, durante un processo avvicina suo padre e gli affida un messaggio da trasmettere a Graviano: “Fermate il Bingo”. Le stragi mafiose.
Ma per capire dobbiamo rileggere quegli anni di fuoco illuminandoci con le cose che sappiamo oggi grazie al lavoro delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze. Bisogna andare ai mesi che separano l’estate del 1993 dall’inizio del 1994.
Al governo c’è Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell’Interno è Nicola Mancino, alla Giustizia c’è Giovanni Conso.
Il 27 luglio, appena due mesi dopo la strage di Firenze, è scoppiata la bomba di via Palestro a Milano, il 28 quella di San Giovanni Laterano a Roma. §
È la fine di luglio quando Giovanni Brusca incontra Leoluca Bagarella e gli chiede se se ci sono novità , segnali, disponibilità istituzionali dopo le bombe.
“Le cose sono un po’ ferme. Non ho contatti”, risponde Bagarella.
Brusca detta la linea: “Luchino a questo punto non ti conviene fermarti, vai avanti, perchè se ti fermi ora è come se tu hai cominciato e non hai fatto niente”.
Insomma, i vantaggi acquisiti dopo le stragi e le bombe in Continente, rischiano di essere vanificati da una strategia attendista.
È lo stesso Brusca, anni dopo, a spiegarlo ai magistrati: “I motivi per andare avanti erano sempre quelli. Cercare le persone per andare a contatti con lo Stato, per portare avanti un vecchio progetto che noi pensavamo che era già attivato”.
Alleggerimento del carcere duro, ridimensionamento del ruolo dei collaboratori di giustizia, introduzione, anche per i reati mafiosi, della “dissociazione” (mi pento e confesso tutti i miei reati senza fare rivelazioni sull’organizzazione), revisione di alcuni processi importanti.
Quando Brusca e Bagarella si confrontano Cosa Nostra sta già lavorando a un nuovo progetto stragista.
Una bomba allo stadio Olimpico di Roma da far esplodere durante una partita di campionato e destinata a lasciare sul terreno un centinaio di carabinieri.
Una cosa grossa che avrebbe piegato in due lo Stato e gettato il Paese nel terrore. “All’Olimpico — rivela anni dopo il mafioso pentito Gaspare Spatuzza — dovevamo usare una tecnica esplosiva che neppure i talebani avevano mai usato”.
Una Lancia Thema imbottita di esplosivo e pezzi di ferro stipati in un bidone da 50 litri.
Il commando è già a Roma il 5 giugno 1993.
Otto giorni dopo la strage dei Georgofili, fa i primi sopralluoghi. Sono tutti uomini di Cosa Nostra che nella capitale dispongono di due appartamenti (zona Tuscolana) e una villetta sul litorale.
Tutto è pronto, a ottobre l’esplosivo arriva da Palermo. Ma a un certo punto il meccanismo così preciso, così oleato, si blocca.
“Ricevemmo un contrordine e tornammo tutti in Sicilia”, rivela un pentito. Confermano i magistrati della procura di Firenze: “Vi furono due momenti diversi di operatività del gruppo. Il primo durò 4-5 giorni e fu interrotto da un contrordine, il secondo iniziò subito dopo le feste di Natale del 1993 e si protrasse fino all’esecuzione dell’attentato”.
Agli inizi di gennaio la Lancia Thema viene parcheggiata allo stadio Olimpico in una zona dove sicuramente sarebbero passati i bus con a bordo i carabinieri di servizio. Ma qualcosa va storto.
Quando Salvatore Benigno, ‘o picciriddu, aziona il telecomando, la macchina non esplode. Riprova, ma è inutile. La Thema è lì, al suo posto, imbottita di esplosivo.
È arrivato un altro contrordine? E perchè?
Anni dopo, da pentito, Gaspare Spatuzza offre una spiegazione che non convince i magistrati. Le bombe si fermarono perchè stava cambiando tutto.
Ora in politica c’erano gli amici. “Quello di Canale 5 e il nostro paesano che ci stanno mettendo nelle mani l’Italia”.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: mafia | Commenta »