Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI DALLE FIAMME GIALLE IN UN ANNO OLTRE 4 MILIONI DI PRODOTTI FALSI
Il 38% dei controlli in materia di scontrini e ricevute fiscali è risultato irregolare: in sostanza più di un soggetto su tre degli oltre 20mila controllati ha evaso il fisco.
Sono i dati della Guardia di Finanza relativi ai controlli effettuati nei primi sette mesi del 2012 in diverse città e località di vacanza.
I DATI
I risultati sono il frutto di un’azione mirata della Guardia di Finanza, che dall’inizio dell’anno ha avviato una serie di controlli di massa in tutta Italia: da Cortina a Capri, da Courmayeur a Milano e Roma, da Napoli a Palermo e alla riviera romagnola.
In particolare, i controlli sull’emissione di scontrini e ricevute fiscali hanno interessato 20.634 soggetti: di questi 7.849 – il 38% appunto – sono risultati irregolari.
Nel corso delle verifiche, inoltre, sono stati scoperti 1.166 lavoratori in nero, con 24 datori di lavoro completamente inesistenti per il fisco e dunque evasori totali.
Per quanto riguarda invece la lotta alla contraffazione e alla pirateria, gli uomini delle Fiamme Gialle dall’inizio dell’anno hanno sequestrato oltre 4 milioni di prodotti falsi, denunciando 264 persone.
LE CASE-VACANZA
Sempre con riferimento al periodo estivo, l’azione di controllo è indirizzata alle case vacanza, spesso affittate in nero da parte di proprietari che intascano migliaia di euro in contanti, rigorosamente «esentasse».
Un fenomeno, quello delle locazioni in nero, su cui i finanzieri hanno incentrato l’attenzione non solo nelle località turistiche, poichè il problema interessa fortemente anche le città universitarie. Oltre 10.000 questionari sono già stati spediti a studenti fuori sede; rispondere correttamente conviene non solo per contribuire alla lotta all’evasione fiscale, ma anche per tutelare gli studenti stessi da ingiuste speculazioni sui prezzi.
I DISTRIBUTORI
Centinaia di finanzieri, inoltre, sono impegnati a scongiurare spiacevoli sorprese agli automobilisti durante l’esodo a ridosso dei weekend da bollino nero.
Tre le finalità degli interventi presso le stazioni di servizio: riscontrare l’effettivo quantitativo dei carburanti erogati, la loro qualità e la corrispondenza tra il prezzo indicato e quello effettivamente applicato.
I risultati non hanno tardato ad arrivare. Nell’ultimo week end, infatti, sono stati controllati 1.300 distributori di carburante e rilevate 201 irregolarità¡.
Nei casi più gravi, 14 gestori sono stati denunciati alle competenti Procure della Repubblica con il sequestro di 75 tra colonnine e pistole erogatrici ed oltre 10.000 litri di carburante.
Altri 85 gestori sono stati sanzionati per violazione della disciplina sui prezzi o per la rimozione dei sigilli che assicurano la corretta taratura degli impianti, mentre in altri 104 casi è stata avviata la procedura per la revisione degli erogatori.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
DALLA TOSCANA ALLA PUGLIA SI PARLA DI 4.000 ROGHI… BRUCIANO 19.000 ETTARI, LA META’ SONO BOSCHI, IL 165% IN PIU’ RISPETTO AL 2011
Cresce l’allarme incendi in Italia.
Sono più di 3.900 quelli che hanno interessato la penisola dal primo gennaio al 15 luglio 2012, secondo i dati del Corpo forestale dello Stato nell’attività di prevenzione e contrasto.
Oltre 19mila ettari di superficie percorsa dal fuoco, di cui 11mila di boschi.
Dal confronto con lo scorso anno, si evidenzia un aumento rilevante dei roghi, circa il 165% in più di incendi rispetto al 2011.
A questo si associa un significativo aumento del terreno colpito dalle fiamme, circa il 196% in più, con un prevalente aumento di superficie boscata pari a oltre il 200%.
Attualmente le maggiori criticità riguardano Sardegna, Campania, Calabria, Puglia, Toscana e Lazio.
Inoltre ancora una volta viene evidenziata l’elevata incidenza di cause dolose, all’origine degli incendi boschivi.
Ed è per questo che la Forestale ha intensificato i propri presidi in quei territori considerati più a “rischio” grazie al personale del Nucleo investigativo antincendio boschivo (Niab) che dall’inizio dell’anno ha denunciato a piede libero per il reato di incendio boschivo 263 persone e ne ha arrestati 6 in flagranza di reato.
Intanto, desta particolare preoccupazione l’incendio sprigionatosi dalla discarica Bellolampo di Palermo.
Sono in azione elicotteri e canadair per spegnere le fiamme e una nube ha messo in allarme una grossa porzione della città , ma il Comune esclude un rischio diossina.
Tre squadre dei Vigili del Fuoco del Comando di Crotone sono, invece, sono intervenute ieri a Strongoli per domare un rogo di alberi e sterpi adiacenti alle abitazioni. Il fuoco, alimentato dal forte vento, ha coinvolto un casa temporaneamente disabitata.
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
SOLO GENOVA, CATANIA E BARI SOTTO I LIMITI… IL NUMERO MEDIO DEI SUPERAMENTI DEL VALORE MINIMO E’ PASSATO DA 44,6 GIORNI A 54,4
Peggiora la qualità dell’aria nei capoluoghi in cui è monitorato il PM10 (100 comuni), soprattutto al Nord Italia: nel 2011 il numero medio di superamenti del valore limite per la protezione della salute umana si attesta a 54,4 giorni, in aumento rispetto agli ultimi anni quando invece i valori erano diminuiti dai 68,9 giorni del 2007 ai 44,6 giorni del 2010.
L’incremento è in parte dovuto all’andamento dei fattori meteo-climatici nell’Italia settentrionale e soprattutto nella pianura padana.
E’ quanto rende noto l’Istat nel rapporto ‘Indicatori ambientali urbani – Anno 2011’, spiegando che i primi dieci comuni per numero di giorni di superamento del PM10 sono tutti del Nord, con Torino e Milano in prima e terza posizione e l’eccezione di Siracusa in seconda posizione.
In queste città del Nord, al netto di Alessandria, è stato anche registrato il superamento del margine di tolleranza del valore limite previsto dalla normativa per l’anno di riferimento per il PM2,5.
Appena il 17,4% dei capoluoghi del Nord che hanno effettuato il monitoraggio per il PM10 non ha superato la soglia delle 35 giornate, oltre le quali sono obbligatorie per legge misure di contenimento e di prevenzione delle emissioni di materiale particolato (quali la limitazione della circolazione), mentre nel 2010 l’analoga quota del Nord era pari al 31,1%.
Il quadro disegna una situazione negativa dei capoluoghi del Nord che non si registrava da almeno 4 anni.
Anche nei capoluoghi del Centro, sia pur contenuto, si rileva un peggioramento, mentre nel Mezzogiorno si conferma il trend di lento miglioramento in atto negli ultimi anni.
La quota maggiore (63%) dei superamenti del valore limite per la protezione della salute umana si è registrata in corrispondenza di stazioni ‘traffico’, ovvero di punti di campionamento rappresentativi dei livelli d’inquinamento determinati prevalentemente da emissioni provenienti da strade limitrofe con flussi di traffico medio-alti.
Dalla mappa dei capoluoghi secondo i giorni di superamento del PM10 e del limite di tolleranza per il PM2,5, continua il dossier dell’Istat, emerge un gradiente decrescente Nord-Centro-Sud per il primo indicatore e Pianura padana/resto d’Italia per il secondo, pur considerando che nel Mezzogiorno il PM2,5 viene monitorato in un numero molto ridotto di capoluoghi (12 su 47).
Questo dipende nella maggior parte dei casi dall’applicazione della normativa, mentre in pochi altri da problemi tecnici alla rete di centraline operante.
Nel 2011, per l’insieme dei comuni capoluogo di provincia, si rileva per l’indicatore un valore di 1,9 centraline fisse di monitoraggio della qualità dell’aria per 100 mila abitanti (2,1 nel 2010), con un decremento del numero di centraline, rispetto all’anno precedente, del 9,8%.
Considerando i capoluoghi con almeno una centralina, quelli dove la diffusione delle stazioni di misurazione rispetto alla popolazione è più alta (da 6,8 a 11,4 per 100 mila abitanti) sono Aosta, Mantova, Sondrio, La Spezia e Agrigento, mentre nelle posizioni più basse (meno di 1,0) si trovano Napoli, Monza, Torino, Palermo, Milano e Roma. Confrontando, invece, la densità delle centraline (rispetto alla superficie comunale) ai primi posti troviamo di nuovo Aosta (18,7) e La Spezia (9,8) seguite da Pescara (17,9), Trieste (10,7) e Sondrio (9,8), mentre sono in fondo all’ordinamento (meno di 0,4) Enna, Matera, Viterbo, Andria e L’Aquila. Dal 2010 al 2011 cresce da 10 a 13 il numero di capoluoghi non dotati di centraline fisse o con analizzatori non funzionanti. Nel 2011 i giorni di superamento dei limiti, per il PM10, aumentano anche in quasi tutti grandi comuni ad eccezione di Venezia, Catania, Bari, Firenze e Napoli. In particolare Verona, Milano, Trieste, Roma e Torino hanno fatto registrare incrementi che vanno dai 27 ai 60 giorni in più di superamento dei limiti durante l’anno.
Gli unici grandi comuni che rimangono al di sotto delle 35 giornate di superamento del limite per il PM10 sono Genova, Catania e Bari.
(da “La Stampa“)
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
DAL 2007 AD OGGI RINCARI FINO AL 56% PER GLI SVAGHI URBANI… PER UNA FAMIGLIA DI QUATTRO PERSONE UNA GIORNATA FUORI CASA ARRIVA A COSTARE ANCHE 90 EURO
La crisi morde le tasche degli italiani e sono in molti quelli che per risparmiare hanno deciso di rinunciare alle vacanze.
Addirittura 1 su 3, stando ai dati riportati dall’Osservatorio Nazionale di Federconsumatori.
“Solo il 34% per cento degli intervistati ha dichiarato che si godrà le ferie in destinazioni diverse da quella di residenza, la maggior parte però resterà a casa” come ci ha confermato Francesco Avallone, vicepresidente di Federconsumatori.
Ma non ci sono buone notizie neanche per chi tenterà di trascorrere le sue ferie in città , dedicandosi ad attività ricreative come andare a cavallo, frequentare i parchi acquatici o anche semplicemente andando al cinema o in piscina.
“Sarà una corsa ostacoli anche per i tanti che dovranno in qualche modo passare la giornata e divertirsi senza andare fuori”, conferma Avallone.
“Attraverso i punti di osservazioni di Federconsumatori dislocati nelle principali città italiane – continua – abbiamo riscontrato che in appena cinque anni, dal 2007 ad oggi, i prezzi per le attività da fare in città , che consentono di sfuggire alla calura estiva, sono aumentati di molto, raggiungendo a volte rincari anche del 56%”.
Per intenderci: se nelle principali città italiane mangiare un gelato nel 2007 costava 2,50 euro, oggi non si spendono meno di 3 euro, con un aumento del 20%.
Se per un ingresso in un parco divertimenti cinque anni fa si spendevano mediamente 18 euro a testa, oggi nessuno se la cava con meno di 22 euro: un rincaro del 22%. “Sicuramente l’improvvisa diffusione di questo genere di attività , dei veri e propri ‘divertimentifici’ dove c’è tutto, giochi, ristoranti e molto altro e che oggi sono di gran moda, è stata la causa dell’impennata dei prezzi”, ha commentato il vicepresidente dell’associazione del consumatori.
Ma anche una semplice corsa in bicicletta diventa impegnativa se si mira al risparmio: l’affitto giornaliero per un giro nel parco costa 12 euro, contro gli 8 del 2007.
Per non parlare dell’ingresso nei musei, una delle attività più gettonate durante la pausa estiva, per proteggersi dal caldo e godersi quei capolavori italiani magari a due passi da casa nostra, ma che spesso non abbiamo tempo e modo di ammirare: se proprio non siete degli appassionati, meglio cambiare programma, perchè in questo caso il rincaro sul prezzo del biglietto d’ingresso dal 2007 a oggi è stato di ben il 56%.
Da 8 a 12,50 euro: “I musei dovrebbero essere fruibili e di tutti e invece a quanto risulta si mantengono gestioni negative e un po’ allegre delle strutture”, ha spiegato Avallone.
Se poi non riuscite a rinunciare a rinfrescarvi e decidete di fare visita ai tanti parchi acquatici del Belpaese, sappiate che per un ingresso giornaliero e una sdraio non si spende meno di 23 euro, a fronte della media dei costi del 2007 che si aggirava intorno ai 20,20 euro e che fa registrare dunque un +14%.
Tutto questo, naturalmente, se siete soli.
I costi, come è ovvio, si moltiplicano per una famiglia media, composta da quattro persone.
L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha stimato che per una giornata tipo di una famiglia composta da 2 adulti e 2 bambini, che preveda due ingressi interi e due ridotti in un parco divertimenti e un gelato per le vie del centro, si spendono attualmente all’incirca 90 euro, con un aumento di 18 euro rispetto al 2007, quando il “pacchetto famiglia” costava mediamente 72 euro.
E ancora: quattro ingressi al cinema all’aperto, l’affitto giornaliero di biciclette e una consumazione nei bar e nei chioschi dei parchi complessivamente possono costare 86 euro, con un rincaro del 16% rispetto ai 74 del 2007.
“Un vero e proprio salasso”, conclude il vicepresidente. “L’unica alternativa è rivolgersi alle tante cooperative di giovani che organizzano dei centri estivi per bambini con costi contenuti e tante attività per il divertimento dei più piccini”.
E per gli adulti: “Accettare il trend o cercarsi delle alternative: ad esempio le biblioteche, fresche e intellettualmente stimolanti”.
Linda Varlese
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
UN GIOVANE MILITANTE DEL PD DI AGROPOLI AVEVA DENUNCIATO IL SACCO EDILIZIO DEL CILENTO, ACCUSANDO POLITICI LOCALI DEL SUO PARTITO … PER I GIOVANI PD E’ DIVENTATO UN EROE
Un eroe per i coetanei dei Giovani Democratici, che lo hanno applaudito a lungo quando ha raccontato la sua storia e le sue battaglie contro il sacco edilizio del Cilento a una tre giorni di dibattiti sulla legalità organizzati dai Gd lombardi a Eupilio (Como).
Un “rompicoglioni” non degno di far parte del partito dei ‘grandi’, secondo la commissione disciplinare del Pd che lo ha sospeso per sei mesi e fa ostruzionismo sulla richiesta di rinnovo della tessera.
Chissà se Pierluigi Bersani ne sa qualcosa. “Gli abbiamo scritto, nessuna risposta”. Carmine Parisi, 24 anni, militante Gd di Agropoli (Salerno), sorride su questa sua condizione di vittima della scoraggiante schizofrenia della politica.
E tira fuori un pacco di carte che riempirebbe un faldone di Tribunale. Copie di delibere, ritagli di giornale, atti giudiziari a corredo delle iniziative con le quali Parisi ha denunciato la longa manus delle lobby edilizie sul governo di Agropoli e di intere fette del Cilento, la terra difesa fino alla morte (e purtroppo non è una metafora) da Angelo Vassallo, il sindaco Pd di Pollica-Acciaroli ucciso la sera del 5 settembre 2010.
Parisi ha illustrato, documenti alla mano, i conflitti di interesse di politici titolari di ditte edili che fanno affari con la pubblica amministrazione, nel vuoto della mancanza di strumenti urbanistici.
Ma si è macchiato agli occhi del Pd, di un delitto gravissimo: ha fatto opposizione a una giunta capeggiata da un democrat, l’ex assessore provinciale di Salerno ai Lavori Pubblici Francesco Alfieri, avvocato, in ottimi rapporti con il sindaco Pd di Salerno Vincenzo De Luca nonchè fratello del presidente della Banca di Credito Cooperativo del Cilento, Lucio Alfieri, che cura la Tesoreria del Comune.
Un sindaco capace di essere rieletto a maggio con l’88% dei consensi al primo turno. Uno che conta, nello scacchiere del potere locale e provinciale.
Tra Davide e Golia, il Pd si è schierato con Golia senza prendere in considerazione le ragioni di Davide.
Dimostrando poca attenzione alle vicende della cronaca.
Perchè mentre deliberava la sospensione di Parisi e dell’ex sindaco Ds di Agropoli Antonio Domini, con la motivazione di non essere acquiescenti all’amministrazione a guida Pd, sono avanzate alcune inchieste della Procura di Salerno che hanno dato ulteriori validi argomenti alle tesi dei sospesi.
Due in particolare.
La prima: ‘Strade fantasma’, scattata sulle denunce di Vassallo; interi lotti di strade provinciali mai costruiti, ma regolarmente pagati, mentre la politica sonnecchiava, incapace di accorgersi dell’imbroglio.
La seconda, la più recente e devastante: ‘Due Torri’, l’inchiesta sul sistema Citarella, dal nome dell’imprenditore edile e presidente della Nocerina calcio capace di formare un cartello di ditte che per quasi dieci anni si sarebbe spartito gli affari della Provincia di Salerno truccando gli appalti e corrompendo tecnici e funzionari: 15 arresti, oltre 300 indagati, 302 ditte coinvolte.
Tra gli indagati per turbativa d’asta c’è un assessore ed ex capogruppo del Pd di Agropoli.
E da giorni le locandine dei giornali locali (“quando non le coprono con le cartoline” dice Parisi) sparano la notizia che Citarella in carcere ha cantato e ha tirato in ballo l’ex assessore provinciale ai Lavori Pubblici. Francesco Alfieri, per l’appunto.
Alfieri non è indagato e per il momento ha scelto la linea del silenzio.
I papaveri del Pd salernitano lo difendono: “Non ha avuto nemmeno un avviso di garanzia” spiega il segretario provinciale Nicola Landolfi “se e quando lo avrà ne discuteremo”.
Per anni Parisi e Domini queste cose le hanno raccontate tramite un loro giornalino, ‘Trasparenza e Legalità ‘.
Il numero del 7 settembre 2011 fece rumore e guarda caso coincise più o meno coi tempi del provvedimento disciplinare.
Pubblicò un reportage sui “signori del cemento che dominano la politica agropolese”. Seguiva dettagliato elenco dei consiglieri, degli assessori e dei parenti di pubblici amministratori titolari di ditte, e gli appalti aggiudicati con i relativi importi, gli incarichi di progettista, tecnico, collaudatore.
Il patto del mattone.
Una copia del giornale finì sulla scrivania del presidente della commissione nazionale di garanzia del Pd, Luigi Berlinguer, che per lettera promise un interessamento diretto “vista la gravità dei fatti denunciati”.
Ma poi si è fatto vivo? “No” risponde Parisi, che non smette mai di sorridere mentre spiega vicende capaci di far infuriare chiunque.
E il giornale? “Abbiamo smesso di mandarlo in stampa: nessuno voleva farci più pubblicità perchè temevano ritorsioni, e i direttori si sono dimessi lamentando un clima di intimidazione. Troppe querele”.
Peccato.
Il giornalino vantava un piccolo scoop: la pubblicazione di un’inserzione di vendita del’antico Castello di Agropoli per un milione di euro, quando la giunta Alfieri se lo è comprato, successivamente, pagandolo 3 milioni. “Fu un errore si stampa” si difesero i diretti interessati il giorno dopo.
Le carte sono in Procura, allegate a un esposto dell’ex sindaco Domini.
Che argomenta così le origini del dissenso interno al Pd agropolese: “Io ero espressione dei Ds, venni sfiduciato nel 2006 attraverso una manovra orchestrata dalla Margherita di Alfieri e del presidente della Provincia dell’epoca, Angelo Villani. In questo modo mi impedirono di portare a termine l’adozione del Piano regolatore, lasciando in vigore tuttora un piano di fabbricazione del 1972. Quando non c’è un piano regolatore, si sa, aumenta la discrezionalità … Mi ricandidai da Ds contro il candidato della Margherita, Alfieri. Così in consiglio ho fatto opposizione. E l’ho proseguita anche con la nascita del Pd, perchè ero espressione di una lista di minoranza, e non ho aderito al gruppo Pd. Mi hanno sospeso per questo. E perchè ovviamente insieme ai Gd ho denunciato quel che ora sta emergendo con chiarezza”.
Parisi ascolta e si scusa, ma deve correre a dare una mano all’organizzazione della festa nazionale Gd, in corso sul lungomare della vicina Acciaroli.
Viene Massimo D’Alema, uno dei capi storici di un Pd che invece di incoraggiare i giovani preparati e documentati come Parisi preferisce cacciarli fuori perchè danno fastidio.
E Parisi sorride anche su questo.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
TRA PIZZO AI CAMIONISTI E AFFARI CON I COLOSSI EUROPEI… COSI’ LE COSCHE CONTROLLANO I TIR E INCASSANO MILIONI
L’ultimo sequestro c’è stato la scorsa settimana: un’azienda con quaranta tir, che secondo la procura di Napoli appartiene a ai casalesi.
Per gli investigatori non è una sorpresa: delle 312 imprese sottratte alla criminalità organizzata negli ultimi diciotto mesi, oltre la metà si occupano di autotrasporto, il nuovo business delle cosche.
«Le mafie si adattano alle tendenze del mercato, forti del know how di professionisti che suggeriscono i settori più redditizi», spiega Michele Prestipino, procuratore aggiunto alla Direzione antimafia di Reggio Calabria.
In Italia l’86 per cento delle merci viaggia su gomma: ogni giorno sterminate processioni di camion si mettono in marcia, spesso lungo l’A1 formano un’unica colonna ininterrotta da Napoli a Bologna.
Quelle carovane sono una sorgente di guadagni, quasi infinita: il giro d’affari complessivo del settore supera i 60 miliardi l’anno.
Una torta che interessa ben 97 mila società , di cui 65 mila però sono solo padroncini: la loro ditta è il mezzo che guidano.
Lo scenario perfetto per gli strateghi dei clan, che hanno capitali da investire e armi per imporre le loro regole.
Il mercato è talmente ghiotto che Cosa nostra, casalesi e ‘ndrangheta hanno creato un’intesa nazionale, per evitare di litigare nell’ingorgo dei loro tir: l’embrione di una potentissima “Anonima Trasporti”, in grado di piegare anche le multinazionali. Francesco Ventrici, uomo della cosca calabrese Mancuso, è stato intercettato mentre metteva in guardia i dirigenti della Lidl Italia, filiale della holding tedesca dei discount: «Voi volete la guerra, ma la guerra in Calabria non la vince nemmeno il Papa». Il messaggio era chiaro: dovevano continuare a usare i camion della famiglia, qualunque concorrente avrebbe fatto una brutta fine.
Ci vuole poco per fermare un mezzo, incendiarlo è facilissimo: solo tra marzo e aprile le fiamme ne hanno distrutti 48, soprattuto al Nord, spesso senza permettere di identificare la natura del rogo.
Ma il fumo dei sospetti arriva lontano.
In silenzio, i padrini da anni si sono inseriti nelle code dei bisonti della strada. Hanno creato società con dinamismo manageriale e capacità di mimetismo.
Come spiegava un boss calabrese attivo in Lombardia: «Se ti siedi con un professionista di Tnt, gli devi parlare da professionista; se ti siedi con uno shampista napoletano, gli devi parlare allo stesso modo».
Non è un esempio a caso.
I Flachi di Milano, che da venticinque anni dominano la scena criminale padana, avevano creato un consorzio che faceva da mediatore tra Tnt, il colosso olandese della logistica, e i padroncini.
Il clan si presentava con un’offerta competitiva, senza esplicitare minacce: «Siamo da dieci anni dentro. Il nostro interesse è che la Tnt inizi a fare un percorso nuovo e noi gli garantiamo immagine, efficienza di lavoro e tutto».
Il rapporto è andato avanti per anni, finchè la magistratura non ha certificato le relazioni pericolose e commissariato per sei mesi le sedi incriminate.
«Le imprese gestite dalla ‘ndrangheta sono di piccole e medie dimensioni, ma sul mercato occupano posizioni dominanti», chiarisce il procuratore Prestipino: «Sono proiezioni imprenditoriali dell’organizzazione che non hanno necessità di far valere la qualità del lavoro perchè operano in un mercato protetto».
Spesso si limitano a mediare tra i padroncini e chi ha bisogno di trasferire la merce, fabbriche o catene di supermarket.
La mediazione ha un costo: una provvigione tra il 10 e il 15 per cento, che diventa una sorta di pizzo legalizzato.
E finisce per colpire le già magre entrate dei piccoli proprietari. «Non possiamo stare a galla perchè la concorrenza mafiosa ci strozza: un viaggio di 1.500 chilometri a noi costa 3.500 euro mentre loro lo fanno per 800 euro», denuncia Filippo Casella, imprenditore catanese con 20 camion.
Nel 1998 si ribellò alle richieste dei boss e ha testimoniato contro il padrino Nitto Santapaola: gli chiedevano due milioni e mezzo di lire al mese, ma pretendevano anche l’assunzione di amici degli amici e l’assegnazione di subappalti per le loro ditte.
Una pratica diffusa messa a nudo da decine di operazioni che hanno svelato la presenza di broker mafiosi in tutta la Sicilia: a Gela, Catania, Palermo, e soprattutto Vittoria, cuore di un distretto che produce pomodori e primizie esportati ovunque. È nell’ortofrutta che l’Anonima Trasporti riesce ad avere il ruolo più importante, condizionando l’intera filiera.
L ‘inchiesta “Sud Pontino” ha svelato il cartello delle famiglie siciliane, campane e calabresi per dominare la distribuzione agricola su larga scala: una rete che dai campi del Sud arrivava fino al grande ortomercato di Fondi, che rifornisce la capitale, e ancora più su a Latina, Bologna, Milano.
Acquistano, trasportano, rivendono.
In questo modo, i clan federati hanno la certezza di mettersi in tasca il 40 per cento del prezzo finale della merce: è come se per ogni chilo di fragole o di melanzane, quattro etti fossero cosa loro.
«A Rosarno la distribuzione alimentare medio-grande è controllata dalla cosca Pesce attraverso proprie aziende o ditte che hanno accettato il compromesso», commenta Prestipino, citando la località dove lo sfruttamento della manodopera nei campi ha provocato la più grande rivolta di immigrati mai avvenuta in Europa.
Anche i corleonesi cominciarono con i camion. Li comprarono nel dopoguerra per portare il bestiame, loro o rubato, nei macelli di Palermo. Poi li usarono per trasferire terra e materiali dai cantieri delle prime opere pubbliche.
Un ciclo che adesso si ripete spesso. «L ‘infiltrazione avviene attraverso la catena dei subappalti e per contiguità con i settori dell’edilizia e del commercio che sono tradizionalmente i più controllati dalla criminalità organizzata», analizza Rita Palidda, docente all’università di Catania ed esperta del rapporto tra mafia ed economia nell’isola.
Dai suoi studi emerge il ritratto di un predominio ormai consolidato nelle regioni meridionali: «È un paradosso la violenza negli autotrasporti: più esteso e duraturo è il controllo e meno si ricorre ad azioni violente perchè l’infiltrazione è ormai consolidata e le imprese e gli amministratori si adeguano».
La Sicilia è la prima patria di questo business: delle 59 ditte di trasporti confiscate in via definitiva, 32 hanno sede lì.
Nelle mappe delle forze dell’ordine Catania appare come una capitale della logistica di Cosa nostra.
L ‘ultima operazione è scattata a marzo, con il blocco di beni per 20 milioni di danni di Giovanni Puma, accusato di essere uomo del clan Madonia.
Fino al blitz, le sue imprese hanno lavorato per conto di Eurodifarm, la società lombarda controllata da Dhl, uno dei leader mondiali delle consegne, rimasta all’improvviso senza mezzi con cui distribuire i medicinali in Sicilia.
E anche i “supplenti” avrebbero dovuto chiedere il permesso al signor Puma.
Il provvedimento di sequestro è stato poi revocato dai giudici del riesame ma le indagini proseguono.
Il caso forse più clamoroso è quello della Riela, confiscata nel 1999 a una famiglia alleata di Santapaola: da allora i dipendenti hanno lavorato duro per farla sopravvivere nella legalità e far fruttare i duecento tir, e sono diventati un esempio.
Pericolosissimo per i boss, che non sono rimasti a guardare. Hanno aspettato il momento giusto e l’hanno tagliata fuori dai contratti.
Di fronte alla voragine nei fatturati, a gennaio l’Agenzia nazionale che gestisce i beni sequestrati si è arresa e ha messo l’azienda in liquidazione.
Ma le istruttorie hanno svelato chi c’era dietro la crisi: l’antico padrone Filippo Riela, che è stato arrestato per concorso esterno in mafia. Riela avrebbe stabilito un patto per rilevare i mezzi e girarli a una società fidata, nel tentativo di sottrarli agli inquirenti. Secondo le indagini, la rete dei Riela è composta da tante ditte “amiche” nella Sicilia orientale: impresari ragusani considerati a lui vicini hanno l’appalto per la quasi totalità dei viaggi tra Nord e Sud dei supermercati Auchan e del salumificio Rovagnati. Ora per i padrini dei tir si prospetta un altro affare: quello dei contributi pubblici destinati all’autotrasporto.
La rivolta dei Forconi che ha paralizzato collegamenti e forniture in tutta Italia è nata in Sicilia.
Ha causato danni per duecento milioni di euro al giorno. E si è chiusa con la loro vittoria: il governo Monti ha promesso incentivi per lenire gli effetti dell’aumento di carburante e agevolazioni per la costruzione di nuove infrastrutture.
Oggi ogni anno lo Stato spende 454 milioni di euro per sostenere i tir italiani. A sbarrare le strade sono stati i camionisti isolani, riuniti nel movimento Forza d’Urto, a cui poi si sono aggregati pescatori e agricoltori, altre vittime del caro gasolio. Nel giro di qualche giorno la protesta è divampata in tutta Italia, dando volto al potere della categoria.
Anche se le forze dell’ordine hanno numerosi sospetti sugli animatori dei presidi, soprattutto nelle regioni meridionali.
L’impresario che ha guidato gli sbarramenti nel trapanese è poi finito in manette: i pm di Napoli lo accusano di avere messo i suoi camion al servizio delle cosche.
Ci sono state altre denunce, respinte dal leader di Forza d’Urto, il catanese Richichi, come insinuazioni per affossare «il grande movimento popolare».
Al fianco di Richichi nelle barricate dei Forconi c’era Enzo Ercolano, figlio dello storico capomafia di Catania Pippo, fratello di Aldo, condannato per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava. Enzo si occupa di trasporti: insieme al padre è stato indagato e poi prosciolto nella maxi inchiesta “Sud Pontino”.
Ma non è l’unico della dinastia Ercolano, famiglia imparentata con i Santapaola, ad avere investito nei tir.
I cugini, Angelo, Maria e Aldo Ercolano, hanno fatto molta più strada: la loro Sud Trasporti si è insediata nel polmone economico del Paese, creando la base principale nell’interporto piemontese di Rivalta.
Angelo Ercolano è un imprenditore apprezzato, che non è mai stato coinvolto in indagini penali.
Gli investigatori si sono occupati di lui in una sola circostanza, prima del 2005, a causa dei suoi incontri con Giovanni Pastoia.
È il figlio di Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno e braccio destro di Bernardo Provenzano morto suicida in cella. Anche lui si occupa di trasporti, con filiali a Catania.
Ma questa frequentazione non ha mai dato luogo a contestazioni penali: erano solo affari. Invece gli altri fratelli-soci della Sud Trasporti, Aldo e Maria, finirono sotto accusa nel 1995 in un’inchiesta sui boss della logistica in cui spuntavano anche i nomi del padre Angelo Ercolano e di Nitto Santapaola.
Ma tutto è stato archiviato, senza ostacolare la crescita del loro gruppo. Adesso operano in tutta Europa con una branca polacca e da pochi mesi hanno aperto una nuova società : smaltimento e trasporto di rifiuti, pericolosi e non. Hanno anche un nuovo logo: “My Way. La strada del successo”.
Michele Sasso e Giovanni Tizian
(da “L’Espresso“)
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
CON LA CARTA DI CREDITO BELSITO HA SPESO 19.700 EURO… ASSEGNI PER 880.000 EURO EMESSI SENZA GIUSTIFICAZIONE, 417.000 EURO PRELEVATI IN CONTANTE…OLTRE 1,2 MILIONI DI CREDITI NON RISCOSSI…380.000 EURO SENZA GIUSTIFICATIVI PER 140 SEZIONI
Più di 880 mila euro di assegni emessi nel 2011 a favore di non si sa chi e non si sa perchè, almeno 417 mila euro di prelievi in contanti o assegni tratti dall’ex tesoriere Francesco Belsito senza adeguati giustificativi, poi due crediti da 350 mila euro l’uno ormai salutati, 885 mila di rinuncia a crediti verso la controllata Fin Group spa, e altri 384 mila tra storno di registrazioni non documentate, ammanchi di cassa e poste ormai inesigibili in 140 sezioni locali: sono i rilievi degli analisti della PricewaterhouseCoopers , incaricata l’11 aprile dalla Lega del dopo-Bossi di valutare alcune poste patrimoniali nel bilancio 2011 tutto di responsabilità di Belsito.
«TRADIZIONE ORALE»
La società ha svolto un rapporto, non una revisione contabile (infatti non emette giudizi sulla bontà delle operazioni) perchè si è basata su documenti e informazioni fornite dalla segreteria amministrativa leghista (e spesso dalla segretaria Nadia Dagrada).
Inoltre il rapporto Price , che il partito di Maroni ha consegnato anche alla Procura di Milano, più volte evidenzia nella Lega «made in Belsito» la gestione raffazzonata e il livello di confusione, tanto che di alcune operazione Price rimarca di essere venuta «a conoscenza per tradizione orale».
Vale, paradossalmente, persino nei rari casi positivi: se ad esempio i 100 camion-vela per la pubblicità elettorale comprati nel 2009 per 2 milioni fossero stati messi a bilancio in modo non pasticciato, la Lega a fine 2011 avrebbe potuto contare su mezzo milione in più di avanzo d’esercizio, comunque a quota 6,5 milioni.
Sarà anche per questo che, dopo il rapporto Price , i revisori dei conti della Lega (Andrea Bignami, Adelino Brunelli e Alberto Penna) danno una «considerazione tecnica positiva» del rendiconto di esercizio al 31 dicembre 2011 e lo giudicano «redatto in conformità alla normativa» per il deposito in Parlamento.
ASSEGNI-ENIGMA
Price addita le registrazioni contabili di 1,7 milioni erogati dalla Lega tramite assegni per i quali non è stata rintracciata documentazione a supporto del servizio o della prestazione resi in teoria alla Lega: e i colloqui con il personale amministrativo hanno mostrato che gli assegni riportano spesso nomi di beneficiari per i quali nessuno sa associare fornitori conosciuti e motivazioni plausibili.
L’analisi dei conti bancari della Lega rileva anche 36 assegni per 543 mila euro e 29 prelievi per 174 mila incassati da Belsito e contabilmente registrati come prelevamenti da conto bancario e successivo versamento in cassa: solo che nella documentazione disponibile non c’è prova che questi 717 mila euro siano stati davvero versati nella cassa del partito.
Stando a Degrada, 284 mila sarebbero stati usati da Belsito per pagare ad esempio 30 mila euro a due avvocati di cui non sono noti i «servizi legali»; 27.500 per «servizi di consulenza» a una signora che negli archivi dei giornali compare come collaboratrice di Belsito; 27.400 all’infermiera di Bossi; 33 mila a un autista senza contratto; 51 mila allo stesso Belsito come «compenso» da tesoriere (ma si ignora con quale delibera).
E comunque senza giustificativi e destinatari finali restano 433 mila euro.
Poi c’è la carta di credito di Belsito, dove 19.700 euro hanno pagato negozi di abbigliamento (Louis Vuitton, Hermès), di elettronica e fotografia (Apple e Unieuro), gioiellerie (Tiffany), armerie e la Spa di un hotel.
Se alla voce «crediti verso associati» finiscono i 19 mila euro di spese mediche a favore di Umberto Bossi per le quali la Lega Nord non avrebbe richiesto la restituzione, forfettari rimborsi spese in contanti a dipendenti e collaboratori occasionali sfondano i 275 mila euro, di cui 35 mila in contanti sarebbero stati usati da Riccardo Bossi, uno dei figli: affitto di casa, ristoranti, multe, meccanici dell’auto, ma anche il veterinario del cane, l’abbonamento alla tv satellitare, e persino anticipi in contanti all’ex moglie.
BICI CAOS
In magazzino la Lega conta giacenze per 395 mila euro. Sono gadget di propaganda, ma la cosa buffa è che 410 biciclette, del valore di 82 mila euro, sono ancora depositate presso il produttore: ed è curioso che la fabbrica le abbia vendute per 145 euro l’una a «La Bicicletta Padana» (società della finanziaria di partito Fin Group), e che essa l’abbia poi rivenduta alla Lega per 165 euro.
Ulteriori rispetto a queste giacenze esisterebbero altri 36 mila gadget nella sede federale per una stima di 90 mila euro, ma anche qui il caos era totale: è bastata una mini verifica a campione per trovare 3.447 orologi invece dei 15 sul tabulato, o 250 teli mare invece dei 13 annotati.
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
LE CONTRADDIZIONI DEL BIPOLARISMO COATTO
Il tempo necessario per la presentazione di liste e candidature e per la campagna elettorale è sostanzialmente incomprimibile.
Quindi, se si votasse all’inizio di novembre, la nuova legge dovrebbe essere stata approvata, promulgata e pubblicata entro la prima metà di settembre.
Una probabilità abbastanza remota. Sarebbero poi impossibili innovazioni radicali come un ritorno al collegio. Ameno di non riprendere il Mattarellum, disegnare la mappa dei collegi aggiungerebbe almeno un paio di mesi ai tempi minimi necessari. La discesa in campo, da ultimo, di Mario Draghi e della Bce potrebbe concedere qualche tempo maggiore a un intervento legislativo.
I punti su cui si concentra la discussione sono due: le liste bloccate e l’incentivo maggioritario alla governabilità .
Tutti concordano che un parlamento di nominati sia intollerabile. Per di più, la nomina non garantisce la fedeltà del nominato.
E dunque le liste bloccate non hanno impedito i tradimenti e i cambi di casacca.
Ma come uscirne? Il voto di preferenza sembra l’ovvia risposta.
Una lista di candidati tra cui l’elettore sceglie, e risulta eletto nella lista chi prende più voti. Si è votato così per il parlamento fino al 1992, si vota così oggi per i consigli comunali e regionali.
Ma cosa significherebbe in concreto?
Oggi nessun soggetto politico è in grado di governare nel suo complesso il meccanismo delle preferenze, orientando le scelte degli elettori. In partiti evanescenti i gruppi dirigenti a tutti i livelli sono troppo deboli per farlo.
Cosa ne segue?
Come appunto accade per i consigli regionali e comunali, la campagna elettorale si frantuma in una serie infinita di micro-campagne personali, in cui il peso prevalente viene espresso dai potentati locali del partito.
I costi della campagna elettorale aumentano in misura esponenziale, con tutto quel che ne segue poi — dopo il voto — nella vita delle istituzioni.
Per di più, la preferenza unica — oggi adottata per i consigli degli enti territoriali — scatena la competizione all’interno di ciascuna forza politica.
Capi e capetti misurano i rapporti di forza in base ai candidati a ciascuno riferibili.
E le assemblee elettive assumono una marcata connotazione neo-notabilare, in cui quel che conta davvero è il pacchetto di consensi di cui personalmente si dispone.
Un parlamento eletto in base alla preferenza non sarebbe diverso.
È questo il parlamento che vogliamo?
Soprattutto, è questo il parlamento che serve, in un momento di grave emergenza per il paese?
Di fronte a una crisi che si prospetta ancora lunga e che, nel pensiero unico dominante, chiederà ancora “sacrifici” con perdita per tanti di conquiste sociali e diritti?
Certamente no.
Per questo, tra la preferenza e il ritorno a un modello fondato su collegi quest’ultima opzione sarebbe comunque preferibile.
Alle difficoltà di prospettiva l’opinione prevalente risponde poi affermando la necessità di mantenere i presidi alla governabilità e stabilità .
In breve, consolidare l’impianto bipolare, affidare agli elettori la scelta di chi governa, assicurare la gruccia di un premio di maggioranza.
Poco importa che queste parole d’ordine siano state ripetutamente smentite dall’esperienza di quasi vent’anni.
Le sentiamo ancora tal quali.
Qui troviamo una singolare contraddizione.
Perchè abbiamo una “strana maggioranza” che vede insieme a sostegno dello stesso governo i due corni del sistema bipolare.
E nessuno dubita che nell’emergenza di lunga durata che abbiamo di fronte si prospetti la necessità di convergere a sostegno di risposte e interventi largamente condivisi.
Eppure, si afferma la preferenza per modelli che radicalizzano lo scontro, e confermano il bipolarismo coatto e di trincea che da tempo viviamo.
Che senso ha un premio di maggioranza che gonfia i numeri parlamentari di chi vince oltre i voti conseguiti e deruba chi perde di un eguale numero di seggi, se poi bisogna avere il più largo sostegno per un medesimo governo e per le sue politiche?
E quale maggiore stabilità può dare un bipolarismo costruito emarginando o negando la rappresentanza di forze che si presumono antagoniste, e per definizione inidonee per scelte di governo?
Crediamo davvero che cancellarne i seggi varrebbe a cancellare la domanda sociale che in esse si esprime?
Il tempo dell’emergenza richiede istituzioni adeguate, la cui forza non si risolve nell’aritmetica parlamentare.
Il buon senso dice che questo è il tempo giusto per tornare al proporzionale, a una piena rappresentatività dell’assemblea elettiva, a maggioranze e governi che si formino per accordi nella sede parlamentare e non siano ingessati dallo scontro elettorale.
Queste sono le istituzioni giuste per l’emergenza.
La saggezza dei padri fondatori ci aveva consegnato un sistema che bene risponderebbe, come infatti bene rispose nella gravissima crisi del 1992.
Speriamo che i patrigni di oggi non combinino troppi pasticci.
Massimo Villone
(da “Il Manifesto”)
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Luglio 31st, 2012 Riccardo Fucile
SALVINI CONTRO BOSSI DOPO CHE IL SENATUR AVEVA DEFINITO L’ITALIA UN “PAESE DI MERDA”…”MEGLIO IL GIORNALISTA GIANNINO, E’ PIU’ EDUCATO”… SALVINI DIMENTICA QUANDO CANTAVA: “CHE PUZZO, SONO ARRIVATI I NAPOLETANI”
La gente è stufa della volgarità di Bossi.
La notizia è che a dirlo è Matteo Salvini, big della Lega milanese, europarlamentare e segretario lombardo.
Salvini, ospite della Zanzara di Radio24, ha preso spunto dall’ultima esternazione dell’ex segretario del Carroccio, sull’Italia “paese di merda”.
“E’ stato un po’ volgare“, ha commentato Salvini. “La gente è stufa di un certo tipo di termini, di certe parole”.
Anche per questo il dirigente leghista ha affermato di preferire il movimento creato dal giornalista Oscar Giannino. “Mi piace e spero che la Lega possa fare un accordo con lui. Le sue idee sono simili alle nostre. E’ più educato. Non dice merda, si mette papillon molto colorati. E sostiene delle idee che noi portiamo avanti da anni”.
E ancora, alla domanda dei conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo sull’opportunità delle dimissioni del governatore lombardo Roberto Formigoni, indagato per corruzione, Salvini risponde. “No, Formigoni si deve dimettere solo se sarà condannato in primo grado. Ci vuole almeno un grado di condanna”.
Nessuno sconto neppure al figlio del senatùr, Renzo Bossi, travolto dallo scandalo dei fondi del partito. “Ho visto che fa l’agricoltore”, ha osservato citando una recente intervista del “Trota“.
“In quel lavoro bisogna fare tanta fatica, non so se è portato. Bisogna avere anche delle competenze. Sicuramente il suo futuro non è più in politica, ha già dato. E anche i militanti della Lega hanno già dato il loro contributo alla causa. Basta”.
Sarebbe comunque interessante conoscere l’attività lavorativa di Salvini fino ad oggi per esprimere un commento adeguato.
Ci limitiamo a ricordare quando Salvini , durante le feste padane, è stato filmato a intonare cori e canzoni il cui qualificato testo verteva sui “napoletani che puzzano”.
Che proprio lui, maroniano di ferro sicuramente per disinteresse, accusi oggi Bossi di volgarità è il massimo. come vedere il bue dare del cornuto all’asino.
E non è detto che l’asino che raglia sia il Senatur.
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