Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL LIQUIDATORE DELLA MARGHERITA PRECISA I DETTAGLI DELLA RESTITUZIONE ALLA RAGIONERIA DELLO STATO… MA E’ SILENZIO TOMBALE SUI QUATTRINI GIRATI AL CENTRO STUDI DI RUTELLI
“Dopo avere preso contatti con la Ragioneria generale dello Stato ci apprestiamo ad effettuare il bonifico per una somma di 5 milioni di euro da un conto della Margherita a quello della Ragioneria Generale dello Stato”.
Lo dice Roberto Montesi, il presidente del collegio liquidatori della Margherita, precisando così l’annuncio di questa mattina di Francesco Rutelli a Sky Tg24. Il leader dell’Api aveva risposto a una domanda di chi scrive, che gli chiedeva conto della sua promessa del giugno scorso di restituire i milioni di euro percepiti sotto forma di contributi elettorali dalla Margherita, promessa fatta dopo le polemiche seguite al caso Lusi.
Rutelli stamattina ha promesso: “Entro 48 ore verseremo la prima tranche”. Ora il presidente dei liquidatori spiega i dettagli dell’operazione: “Entro domani, ma probabilmente già oggi, nelle prossime ore, come deliberato dall’assemblea della Margherita il 16 giugno scorso, effettueremo il bonifico promesso su un conto corrente della Ragioneria Generale dello Stato”. Secondo Montesi l’entità del versamento è più bassa dell’attivo di cassa del partito (che dovrebbe ammontare a 20 milioni) perchè “non bisogna confondere la cassa con l’attivo patrimoniale. Dopo avere eseguito gli accantonamenti per i rischi legali e per far fronte ad altri impegni come il versamento di un contributo di circa 3 milioni al quotidiano Europa, condizionato al verificarsi di determinate condizioni, abbiamo stabilito per ora di versare questo primo importante acconto. Solo più avanti potremo stabilire quanto resterà disponibile per il saldo”.
Rutelli, però, non ha comunicato nulla sul destino dei fondi trasferiti dai conti della Margherita su quelli dell’associazione Cfs (Centro futuro sostenibile), presieduta da Rutelli stesso.
La somma di 900mila euro circa, proveniente dai contributi elettorali della Margherita gestiti dall’ex tesoriere Luigi Lusi, allo stato restano nella disponibilità del leader dell’Api.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA ACCETTA IL “PACCHETTO POLVERINI” PER USCIRE DALLA CRISI INCOMBENTE…MA ALLA MOZIONE MANCA LA FIRMA DEL CAPOGRUPPO PDL BATTISTONI
Un risparmio di 20 milioni di euro entro il 2012.
È la promessa del “pacchetto Polverini” che la governatrice ha illustrato aprendo la drammatica seduta straordinaria del consiglio regionale convocata in seguito allo scandalo dei fondi Pdl.
Una serie di misure che taglieranno i costi della Regione e dovrebbero combattere gli sprechi della classe politica regionale.
Dopo un giorno di discussione anche accesa la maggioranza alla Regione Lazio si è compattata dando via libera alla mozione della governatrice, che prevede tagli alle spese del Consiglio stesso.
Si tratta di una serie di provvedimenti che entro il 2013 prevede la riduzione delle spese dagli attuali 98 milioni di euro a 70. A
favore hanno votato in 41, mentre gli astenuti sono stati 26 e tre gli assenti.
“Attuando questa mozione – aveva detto Polverini al termine del suo intervento – il costo del consiglio scenderebbe dai 98 milioni di euro attuali a 78 milioni già nel 2012. A regime, nel 2013, arriveremmo fino a 70 milioni di euro. Questo significa che per ogni abitante il consiglio costerebbe 13,88 euro. Meno del Piemonte e della Toscana e sotto la media delle Regioni a statuto ordinario”.
Una spending review che prevede misure drastiche.
Per iniziare, niente più auto blu per cariche di natura consiliare, commissioni e componenti dell’ufficio di presidenza.
E poi dimezzamento delle commissioni consiliari ed eliminazioni di quelle speciali, diminuzione dei consiglieri regionali e riduzione degli assessori (non più della metà potranno essere esterni).
Dimezzamento dei rimborsi elettorali e azzeramento dei contributi per le attività dei gruppi consiliari.
A rischio anche la famosa “palazzina della Pisana” con la revoca di tutti gli investimenti in conto capitale previsti per le strutture del Consiglio regionale. La governatrice ha inoltre proposto lo scioglimento dei monogruppi consiliari e l’introduzione del collegio dei revisori regionale, costituito da revisori professionisti esterni nominati con sorteggio.
La Polverini aveva iniziato il suo intervento chiedendo scusa a tutti i cittadini e a nome di tutti i componenti del consiglio regionale.
“Quello che è accaduto alla Regione Lazio – ha commentato – è una catastrofe paragonabile all’alluvione di Firenze del 1966. Sono qui per dire basta. Questo atteggiamento è considerato dai cittadini insopportabile e indecente. I tumori che stanno qui dentro, come quelli nella mia gola, vanno estirpati oggi”.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
NELLA CLASSIFICA DELLE MAGGIORI ECONOMIE MONDIALI L’ITALIA E’ SCIVOLATA ALL’ULTIMO POSTO
Eravamo i primi, siamo diventati gli ultimi.
Negli anni Settanta l’Italia era al primo posto per crescita della produttività nell’industria rispetto ai principali Paesi nostri concorrenti nel mondo.
Negli anni Duemila chiudiamo la classifica.
Nel decennio 1970-1979 l’output per ora lavorata (valore aggiunto al costo dei fattori) del settore manifatturiero era cresciuto in Italia in media del 6,5% l’anno.
Meglio del Giappone (5,4%), dell’Olanda (5,2%), della Francia e della Germania (intorno al 4%) e molto meglio dei padroni del mondo, gli Stati Uniti (2,7%), e della culla della rivoluzione industriale, il Regno Unito (2,4%).
Negli anni Ottanta gli inglesi erano però balzati al primo posto (sarà stata la cura Thatcher?) con una crescita della produttività del 4,4%, l’anno mentre l’Italia era scivolata in coda, dimezzando il ritmo precedente (dal 6,5% al 3,2%).
Negli anni Novanta la leadership fu conquistata dagli Stati Uniti, grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche e informatiche (4,3% l’anno) e l’Italia rallentò ancora (2,6%).
Ma è nel primo decennio del Duemila, cioè dopo l’introduzione dell’euro, che la produttività nel nostro Paese precipita a un misero 0,4% in media d’anno, contro l’1,8% della Germania, il 2,5% della Francia, il 2,8% dell’Olanda, il 3% del Regno Unito.
E meglio di noi ha fatto anche la Spagna (1,5%).
Bastano questi dati a illustrare la centralità del problema della produttività in Italia.
«La politica reagisca»
La tabella, come molte altre, è contenuta nelle 350 pagine del Rapporto sul mercato del lavoro, curato da Carlo Dell’Aringa, che sarà presentato al Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro presieduto da Antonio Marzano.
Se l’Italia non trova un modo di rilanciare la produttività e quindi la competitività , dice il testo facendo eco alle tesi del governo Monti che chiede su questo anche uno sforzo a imprese e sindacati, possono aprirsi scenari preoccupanti.
Soprattutto per i lavoratori: «Occorre che la politica sappia reagire» altrimenti si «potrebbero subire pressioni sulle dinamiche salariali», cioè il rischio è che la produttività venga recuperata tagliando le retribuzioni e si vada incontro a «lunghi periodi di stagnazione dell’attività economica».
«Tale scenario – ammonisce il Cnel – come l’esperienza greca ha mostrato ha implicazioni di carattere sociale allarmanti». Servono quindi «riforme strutturali sulla crescita» anche se bisogna sapere che queste, prima che abbiano effetto sul prodotto interno lordo, richiedono «dei tempi, sovente molto lunghi».
Sviluppo frenato
La frenata della produttività dell’industria italiana ha tante cause. Gli anni Duemila hanno visto la globalizzazione dell’economia, l’aumento della competizione internazionale, l’introduzione dell’euro, che per l’Italia ha significato, tra l’altro, l’impossibilità di svalutare come avveniva prima con la lira.
Tutto ciò ha provocato un «andamento ampiamente divergente fra le economie dell’area euro dei tassi di crescita del costo del lavoro per unità di prodotto» (Clup), cioè quanto costa produrre un bene o servizio.
Nel primo decennio del Duemila questo costo è salito in media del 2,7% l’anno in Italia. In Germania appena dello 0,2%, in Olanda dello 0,5%, in Francia dello 0,6%. «La perdita di competitività dell’Italia rispetto alle altre economie dell’area euro è stata significativa, oltre il 2% all’anno.
Un tale divario, cumulato in dieci anni, comporta una perdita complessiva di oltre il 20%, difficilmente sostenibile nel medio termine».
Anche volendo ipotizzare una possibile leggera sovrastima della dinamica del Clup, come sostenuto da alcuni esperti, il differenziale rimarrebbe comunque alto, si sottolinea nel rapporto.
Non si scappa: «Il nodo sta nel divario di crescita della produttività del settore manifatturiero rispetto alla Germania».
Salari bassi, ma crescono più dei tedeschi
Come recuperare competitività ? Difficile ridurre il gap frenando la dinamica salariale in Italia, visto il basso livello medio delle retribuzioni, anche se va osservato che i salari reali (cioè al netto dell’inflazione) nel nostro Paese sono cresciuti nel primo decennio del Duemila in media dello 0,9% l’anno contro lo 0,5% della Germania, dove la concertazione tra le parti sociali si è tradotta in una «stagnazione dei salari reali durante l’intero scorso decennio».
È vero che nell’ultimo biennio c’è stata una decelerazione dei salari in tutti i Paesi della «periferia europea», ma «risulta pure evidente la difficoltà a recuperare terreno rispetto alla Germania, che ha presentato anche nella fase più recente una crescita salariale irrisoria».
Eppure, ammonisce il rapporto, «senza una svolta dal versante della produttività , potrebbero prevalere pressioni deflazionistiche sui salari e sui redditi interni, assecondate da politiche fiscali di segno restrittivo», che in fondo è un po’ quello che sta avvenendo.
Con quale esito? «Il rischio paventato negli scenari più pessimisti è che tali pressioni risultino di intensità tale da mettere in dubbio la stessa persistenza nella moneta unica».
Un circolo vizioso
Alla fine, spiegano gli esperti, ci troviamo in una sorta di circolo vizioso: servirebbero investimenti per rilanciare la crescita ma non ci sono risorse proprio perchè c’è recessione.
«È palese che ancora per diverso tempo i Paesi della periferia tenderanno a perdere terreno, dato che la crisi limita le opportunità per nuovi investimenti, un passaggio necessario per qualsiasi recupero di efficienza. La caduta degli investimenti caratterizza non solo il settore privato, ma anche il pubblico, visto che le esigenze di bilancio si traducono in minori risorse da destinare al rafforzamento della dotazione infrastrutturale. Si ricade quindi pienamente in una situazione che giustifica un allargamento del gap di produttività fra i paesi della periferia europea e le economie dell’area tedesca».
Speriamo solo che le Cassandre si sbaglino.
Imprese e occupazione
Tralasciando le previsioni, vediamo invece come la recessione impatta sulle imprese e il lavoro.
Secondo i dati di contabilità nazionale, ricorda il rapporto, «la crisi degli ultimi anni ha determinato un crollo dei margini delle imprese industriali, che non sono riuscite a trasferire interamente sui prezzi dei prodotti gli incrementi dei costi unitari, derivanti sopratutto dai rincari dei prezzi delle materie prime».
E le imprese non possono aumentare i prezzi, si aggiunge, anche perchè la domanda di consumo è bassa a causa della «vistosa caduta del potere d’acquisto delle famiglie».
In questo quadro «gli investimenti dell’industria italiana stanno cadendo, segnando la formazione di un ritardo nella fase di upgrading tecnologico del nostro apparto produttivo e questo non potrà che ampliare le distanze rispetto alle economie dell’area tedesca, dove le imprese stanno investendo».
Il mercato del lavoro, secondo i ricercatori coordinati da Dell’Aringa, «non ha ancora risentito, se non in maniera marginale, della nuova recessione».
Per ora le industrie hanno infatti reagito alla crisi con la cassa integrazione, che ha portato a una «caduta delle ore lavorate per occupato» mentre sta aumentando la quota di lavoratori a tempo parziale involontari, «ovvero coloro che lavorano part time perchè non hanno trovato un lavoro a tempo pieno».
Ma «in molti casi gli impianti sono ampiamente sottoutilizzati e questo non può a sua volta che influenzare negativamente l’andamento della produttività ».
E in prospettiva «vi è il rischio che le imprese si riorganizzino adattandosi ai nuovi livelli produttivi permanentemente più bassi, attraverso ristrutturazioni della produzione, o anche vere e proprie chiusure di stabilimenti». Inevitabile pensare alla Fiat.
Giovani senza lavoro
Nonostante tutto ciò, nel 2011, c’è stato un modesto aumento dell’occupazione: 96 mila posti in più rispetto al 2010, risultato di 110 mila donne in più e 14 mila uomini in meno.
Ma gli occupati crescono soprattutto tra gli anziani. Nella fascia tra i 45 e i 64 anni si sono avuti 330 mila posti in più mentre in quella tra i 15 e i 34 anni si sono persi quasi 200 mila lavoratori.
«Se poi si allarga lo sguardo a un periodo più ampio, confrontandosi con i livelli pre crisi del 2008, si osserva come si sia perso oltre un milione di occupati fino ai 34 anni».
Dipende dal fatto che la società invecchia e quindi le classi d’età giovani sono meno numerose e dalla riforma delle pensioni che allunga la permanenza al lavoro (in prospettiva fino a 70 anni).
Conclusione: «Se la crescita non ripartirà , a farne le spese saranno soprattutto i giovani, che si dovranno confrontare con un mercato del lavoro con poche opportunità per i nuovi entranti».
Enrico Marro
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
L’ESPERIENZA IN UN’AZIENDA E’ OFFERTA SOLO A 2.000 CARCERATI SU 66.000 MA E’ SEMPRE POSITIVA
Nessun Paese accetterebbe che negli ospedali morissero 7 ricoverati su 10 o che nelle scuole fossero bocciati 7 studenti su 10.
Invece il carcere vive in Italia una doppia amnesia: non soltanto sullo scandalo di 66.000 detenuti stipati in 45.000 posti (da cui le condanne dell’Italia in Europa), ma ancor più sul fatto che 7 detenuti su 10 tornino poi a delinquere se hanno espiato la loro pena tutta in carcere, mentre soltanto una percentuale tra il 12% e il 19% incorra in questa recidiva se durante la detenzione in carcere ha avuto la possibilità di fare veri lavori per conto di imprese o cooperative esterne che li assumono grazie agli incentivi fiscali (516 euro di credito d’imposta per ogni detenuto) e contributivi (80% di riduzione) introdotti nel 2000 dalla legge Smuraglia (dal nome del senatore allora promotore della legge).
Solo che dal 2000 la legge è stata rifinanziata sempre con gli stessi soldi: 4,6 milioni l’anno (dunque assottigliati già solo da inflazione e crisi), stanziamento che al momento consente di entrare in questo circuito lavorativo soltanto a 2.257 detenuti su 66.000.
E siccome i soldi per quest’anno arrivavano a malapena ad agosto, i posti di lavoro si sono già ridotti.
In Lombardia, ad esempio, i detenuti impiegati da ditte esterne sono stati nei primi 6 mesi dell’anno 310 contro i 470 del primo semestre 2011; e comincia a dover fare i conti con la situazione anche il caso-pilota di Padova, che oggi sarà visitato dal ministro della Giustizia Paola Severino e dove i detenuti impiegati dal «Consorzio Rebus» gestiscono il call center delle Asl venete, assemblano valigie di una nota marca, costruiscono 150 bici l’anno, digitalizzano i servizi delle Camere di Commercio, ricevono premi internazionali per il famoso panettone (63.000 confezioni a Natale) culmine della loro pregiata pasticceria.
Nelle carceri va persino peggio all’altra tipologia di lavoro che in teoria dovrebbe essere assicurata a tutti i condannati e che invece solo per 13.961 detenuti ha dato luogo a miniperiodi da «lavoranti» per le necessità pratiche dentro il carcere come spesini, scopini, scrivani, portavitto, gabellieri, manutentori: lavoro certo meno significativo di quello di chi opera per ditte esterne con ben altre pretese di tempi e standard qualitativi, che dunque non funziona da «ponte» tra la fine della pena e il ritorno nella società , ma che almeno allevia per qualche ora al giorno il sovraffollamento nelle celle, non lascia inattivi i detenuti e offre loro la possibilità di mettere da parte qualche quattrino (in media 200/300 euro al mese).
Ma anche qui le «mercedi» sono ferme al 1994, e il capitolo «Industria» del bilancio della Direzione dell’amministrazione penitenziaria (Dap), con il quale vengono retribuiti i detenuti che lavorano nelle officine gestite dall’amministrazione penitenziaria per arredi e biancherie dei nuovi padiglioni in realizzazione, ha subìto un taglio addirittura del 71% in due anni, in picchiata dagli 11 milioni di euro del 2010 ai 3,1 milioni del 2012.
È un’amnesia sociale ancor più miope se si pensa a tutti gli sterili «allarmi sicurezza» lanciati ad ogni eclatante delitto in questa o quella metropoli.
Altro che esercito nelle città : ogni punto percentuale di recidiva che si riuscisse ad abbassare vorrebbe infatti dire quasi 700 ex detenuti restituiti alla società senza che delinquano più e senza dunque che infliggano ai cittadini i costi dell’insicurezza (persone ferite da curare, risarcimenti, beni rubati o rapinati o danneggiati, costi di polizie-magistrati-cancellieri per riarrestarli e processarli).
E vorrebbe anche dire un risparmio secco per lo Stato di 35 milioni di euro l’anno, visto che le stime più sparagnine indicano in 140 euro al giorno il costo del mantenimento di un detenuto.
Per fare un raffronto, il tanto avversato primo provvedimento del ministro Severino, da taluni temuto come «svuotacarceri», nei primi tre mesi di applicazione ha fatto passare dalle celle ai domiciliari appena 312 detenuti e ha impedito che altri 3.000 vi entrassero per una manciata di ore con il noto fenomeno delle «porte girevoli»; e il segmento del piano-carceri in via di attuazione investe 228 milioni di euro per avere entro il 2014 circa 3.800 posti in più nelle carceri tra ristrutturazioni e ampliamenti degli istituti.
Sottrarre invece alla recidiva un pari numero di detenuti richiederebbe (a statistiche invariate e in proporzione agli attuali pur avari stanziamenti) una ventina di milioni l’anno, ma solo in costi fissi ne farebbe risparmiare più di 250 allo Stato.
Eppure la proposta di legge bipartisan Angeli-D’Ippolito-Vitale-Farina-Pisicchio, avanzata dall’intergruppo parlamentare per innalzare ad almeno 6 milioni l’anno il rifinanziamento della legge Smuraglia, incrementare a 1.000 euro al mese il credito d’imposta per ogni detenuto assunto, e applicare gli sgravi alle cooperative anche nei 12/24 mesi successivi alla fine della detenzione, stenta a decollare.
Come se trovare i soldi per il lavoro in carcere fosse questione solo di buonismo. E non, invece, l’egoistica convenienza di una società che voglia davvero più sicurezza.
Luigi Ferrarella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
MENTRE IN ITALIA SI STA ANCORA TRATTANDO CON BERNA, IL LAND RENO-WESFFALIA CONTA GLI INCASSI PORTATI DAI CD CON LE SITUAZIONI PATRIMONIALI DI 6.989 CLIENTI DI BANCHE ELVETICHE, TRAFUGATI TRAMITE I SERVIZI SEGRETI
Oltre 3 miliardi di euro sono passati dai forzieri delle banche elvetiche al Land tedesco del Nord Reno-Westfalia.
Mentre il governo Monti è ancora alle prese con la definizione di un accordo con la Svizzera per stanare gli evasori italiani, la Germania sta infatti già contando i soldi che le sono entrati in cassa grazie alla sua aggressiva politica di lotta all’occultamento dei capitali oltrefrontiera.
Una politica realizzata, in prima istanza, con l’aiuto dei servizi segreti che hanno acquistato i dati degli evasori da dipendenti infedeli degli istituti di credito.
Solo adesso, poi, è stato firmato un accordo bilaterale fra i due Paesi, che deve ancora essere approvato dal Parlamento.
L’acquisto dei cd con i dati degli evasori è costato alcune decine di milioni di euro, mentre fra tasse finalmente riscosse e sanzioni comminate sono stati recuperati diversi miliardi.
I dati ufficiali sono al momento disponibili solo per il Land Nord Reno-Westfalia, la più popolosa regione della federazione tedesca, ma sono più che indicativi.
Un portavoce del ministero delle Finanze di Dusseldorf (ogni Land dispone di tale ministero che in alcuni casi, come in quello dell’acquisto dei cd, si è mosso in totale autonomia rispetto al ministero delle Finanze del governo centrale di Berlino) ha detto che l’acquisto dei dati è costato 10,3 milioni, grazie ai quali sono già stati recuperati più di 3 miliardi, una cifra pari a un terzo del gettito Imu di giugno (solo che l’Imu è a livello nazionale e non regionale).
I 10,3 milioni sono ovviamente la somma lorda pagata ai dipendenti infedeli delle banche svizzere, i quali hanno dovuto pagarci sopra le tasse.
“Al netto delle imposte l’acquisto dei dati è costato al Land 8,9 milioni”, ci ha tenuto a precisare davanti al parlamento regionale il ministro delle Finanze del Nord Reno-Vestfalia, Norbert Walter-Borjans.
Dal 2010 a oggi il Land ha comprato complessivamente 6 cd pieni di dati di Credit Suisse, Julius Baer e probabilmente anche Merrill Lynch, entrando talvolta in conflitto anche con il governo di Angela Merkel che stava trattando con Berna.
Nei dischetti erano presenti le situazioni patrimoniali di 6989 clienti degli istituti svizzeri, 2624 dei quali hanno subito un processo nei tribunali tedeschi.
L’offensiva del Nord Reno-Vestfalia non è però finita qui.
Questa settimana il primo ministro Hannelore Kraft ha detto di voler proseguire la propria azione per stanare nuovi evasori. Per la Kraft l’evasione fiscale è una truffa ai danni della società : “Continueremo a perseguire con decisione chi evade le tasse portando i capitali all’estero”.
La Kraft e lo stesso Walter-Borjans hanno inoltre criticato l’accordo siglato dalla Merkel con Berna perchè, a loro modo di vedere, “gli evasori se la caverebbero con poco”.
La Kraft è convinta che l’accordo non supererà l’esame del Bundesrat (la camera alta dell’ordinamento tedesco dove siedono i rappresentanti dei Laender e dove l’esecutivo della Merkel non ha la maggioranza).
L’accordo bilaterale siglato da Germania e Svizzera prevede che in cambio del mantenimento del segreto bancario (mitigato, di recente, su richiesta dell’OCSE) e di importanti facilitazioni per l’accesso delle banche svizzere in territorio tedesco, la Svizzera a partire dall’anno prossimo si impegni ad applicare, a vantaggio dell’Erario tedesco, un’imposta annuale — anonima — del 26,375% sui redditi finanziari prodotti dai patrimoni dei cittadini tedeschi, un prelievo che copre interamente le imposte che si sarebbero applicate in Germania sui medesimi redditi.
Per il passato, l’accordo prevede un prelievo forfetario una tantum — una vera e propria imposta patrimoniale — che inciderà pesantemente sullo stock dei depositi (e non sui soli flussi) con aliquote che, in ragione degli anni di deposito e dell’ammontare delle consistenze, oscillano tra il 21 e il 41 per cento.
Per quel che riguarda l’Italia, invece, niente ancora è stato deciso.
Si è parlato di una cedolare secca del 20% ma la “delicata” diplomazia di Monti potrebbe arrivare a partorire qualcosa quando i capitali italiani saranno ancora nei forzieri delle banche svizzere ma nelle filiali del sud-est asiatico.
Giorgio Faunieri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
I PATRONATI: “RISCHIO FLOP PER I COSTI ALTI”… IL VIMINALE: “ARRIVATE 4.500 DOMANDE”
Dovete mettere in regola un immigrato che lavora per voi?
L’attesa è terminata: è scattata la sanatoria 2012. Solo un mese di tempo per “denunciarsi”, poi chi rimarrà invisibile rischierà di incappare nelle nuove pene introdotte dalla “legge Rosarno”.
I primi dati forniti dal Viminale parlano di 4.547 domande arrivate a www.interno. gov.it (in gran parte colf e badanti).
Nessun boom insomma, anche se è presto per un bilancio.
Ma è certo che sulla regolarizzazione pesano due incognite: il rischio truffe (che sempre accompagnano il business delle sanatorie) e il rischio flop.
Per “regolarizzarsi” non c’è fretta: nessun click day stavolta, nè quote massime, basta avere le carte in regola e presentare domanda entro il 15 ottobre.
Tanti i migranti (gli irregolari secondo la fondazione Ismu sono oggi il 10,7%) che vedono concretizzarsi il miraggio di mettersi in regola: è dalla sanatoria del 2009 (limitata a colf e badanti) che non si apriva una tale finestra.
Allora le domande furono 295.112.
Quante saranno ora?
Nel primo giorno il contatore si è fermato ben al di sotto delle cinquemila. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di colf e badanti.
Il maggior numero di moduli è stato inviato dalla provincia di Napoli (790), seguita da quelle di Roma (742), Milano (670), Brescia (246) e Torino (171).
Quanto alla nazionalità del lavoratore da “sanare”, al primo posto ci sono gli indiani (843), seguiti da bengalesi (685), ucraini (493), cinesi (489), egiziani (478) e marocchini (351).
I numeri finali potrebbero non essere altissimi: si va dai 150mila immigrati stimati dal ministro Andrea Riccardi ai 380mila della Fondazione Moressa.
Chi ha ragione? Difficile dirlo.
Una cosa è certa: da giorni sindacati e patronati denunciano il rischio flop.
Per l’Inca Cgil le domande potrebbero non superare il 40% di quelle giunte nel 2009. Acli, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cgil, Fcei, Sei-Ugl, Uil (che fanno parte del Tavolo Nazionale Immigrazione) denunciano che «le condizioni poste sono tali da far prevedere un possibile fallimento dell’operazione, limitandone fortemente la partecipazione e fornendo così una falsa rappresentazione delle situazioni da sanare, che apparirebbero molto meno numerose di quante siano in realtà ».
A frenare la procedura sarebbero vari paletti, tra cui gli alti costi (si potrà arrivare a spendere fino a 7mila euro a immigrato, tra contributo forfettario e arretrati contributivi e fiscali) e la difficoltà di dimostrare la presenza in Italia del lavoratore straniero prima del 31 dicembre 2011.
È questo il punto più controverso.
La presenza in Italia dovrà essere dimostrata con documenti provenienti da “organismi pubblici”.
Quali? Saranno sufficienti decreti d’espulsione, certificati di pronto soccorso, richieste d’asilo.
E poi? Non c’è un’interpretazione uniforme e il rischio è che ogni prefettura faccia da sè.
Per questo i tecnici del Viminale fanno sapere che si sta lavorando a una circolare interpretativa e prevedono che «nei primi giorni la regolarizzazione potrebbe partire a rilento».
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica“)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
SEDUTA INFUOCATA: LO SCANDALO FIORITO SPACCA IL PDL
18.42. Dopo due ore e 42 minuti di seduta, non ancora uno ha detto: ok, adesso tiriamo fuori le fatture.
18.32. Chiediamo scusa: il personaggio dall’esotico idioma appartiene a un monogruppo di cui altro non si sa.
18.24. La Regione Lazio ha 3 mila 500 dipendenti.
18.23. Parla un consigliere della Lista Polverini ma quello che dice avrebbe bisogno di sottotitoli.
18.20. Non è un dibattito, è una compilation di monologhi. Disarmante.
18.11. Dobbiamo dire non lo facciamo più, dice Storace.
18.10. Storace ironico: dobbiamo metterci a dieta e dire alla gente che non mangiamo a sbafo coi soldi vostri.
18.05. Storace: «Ognuno di noi poteva rinunciare per legge al vitalizio: non ho notizie di eroiche rinunce».
17.59. Storace: dobbiamo assumerci le responsabilità (possibilmente non in nero, ndr).
17.58. In attesa di Storace piace ricordare l’addizionale regionale Irpef del Lazio: uno virgola otto.
17.50. Il Pdl ha detto che vuole seguire la Polverini. Deve essere il patto in cambio dell’intoccabilità delle cariche.
17.49. Capannello di consiglieri del Pdl: stanno decidendo il ristorante per stasera.
17.47. Sembra una piece sull’irrimediabile irriformabilità della politica.
17.44. Colosimo a 360 gradi si tuffa nel revisionismo: Roma caput Europae.
17.43. Colosimo psichedelica parla di campagna mediatica.
17.40. L’intervento della Colosimo del Pdl, 26 anni, pare un testo per il canale dei cartoni animati.
17.37. «Non accettiamo lezioni di moralità . Ci muniremo di un tesoriere e di un commercialista». Questa è da podio olimpico.
17.36. La Colosimo vuole un nuovo modo di fare politica. Uno spettacolo infinito.
17.33. Tocca alla consigliera Colosimo a nome del Pdl: siamo accanto al presidente.
17.23. Niesi, vendoliano, dice che la maggioranza non riesce a stare a dieta.
17.20. Dalle finestre arriva, accompagnato dalla brezza, il profumino della mega discarica di Malagrotta.
17.15. Abbiamo già un medagliabile, Brozzi della lista Polverini: stamattina mia madre piangeva e mi diceva, ma cosa stai combinando?
17.12. Questo palazzo del Consiglio regionale è di una tristezza feretrale, per forza che poi uno si gonfia di moscardini.
17.10. Molto apprezzati, ai piedi dei banchi di presidenza, dei vasi di fiori si direbbe made in Taiwan.
17.07. Ci sono molte idee, naturalmente una contrastante con l’altra. Si farà poco o niente.
17.05. Maruccio: sono le solite chiacchiere. In effetti stiamo sprofondando nella disputa burocratica.
17.04. Maruccio dell’opposizione nota che la maggioranza non è più in aula. Piuttosto imbarazzante.
17.01. Carducci dell’Udc chiede che il Consiglio, che ha già preso decisioni coraggiose e impopolari, ecc., ecc…
16.58. Alcuni consiglieri cercano di riaversi al bar. Molti caffè, qualche Sambuca.
16.48. Montino del Pd: se dobbiamo parlare di spese parliamo anche di quelle della Giunta. Ci sono anche le nostre di proposte.
16.45. Montino del Pd alla Polverini: doveva parlare ai suoi.
16.44. La metà dei consiglieri in calo di zuccheri o in difficoltà prostatica: sono usciti.
16.42. Intervento concluso. Applausi ma non troppi. Si apre la discussione.
16.40. Praticamente Abbruzzese, Battistoni, ecc. restano lì. Mah.
16.38. Contrariamente alle attese non chiede l’azzeramento dei vertici regionali del Pdl. Si è fermata a metà .
16.35. Ancora: diminuzione consiglieri e assessori, istituire la commissione dei revisori.
16.33. Le richieste: azzerare i contributi, azzerare e revocare gli investimenti, dimezzare le commissioni.
16.31. La consigliere Nobili del Pdl indossa una bellissima tovaglia di Pepenero.
16.29. Polverini adesso troppo lunga e ripetitiva. La frustata iniziale si annacqua.
16.22. «Stasera o usciamo convinti di aver voltato pagina o usciamo da ex».
16.21. «L’antipolitica siamo noi».
16.20. «Oltre alla testa dovremmo usare il cuore».
16.18. Il presidente del Consiglio regionale Abbruzzese è una statua.
16.16. «Oggi o andiamo casa o giochiamo una partita sana. Ma non c’è tempo per compressi».
16.14. «Ho due tumori alla tiroide e i tumori che stanno qua dentro vanno estirpati come quelli che ho nella gola».
16.13. Un consigliere sorride. «Non c’è niente da ridere, cerchiamo di essere seri almeno oggi»
16.12. «Se dobbiamo andare a casa ci andiamo oggi con la vergogna che ci portiamo dietro».
16.11. Polverini poderosa e furbissima.
16.10. «Non tutti abbiamo sbagliato ma tutti dobbiamo pagare».
16.09. Chiede scusa ai cittadini, ai colleghi, alla politica onesta.
16.08. «Voglio chiedere scusa a nome di tutti noi».
16.06. «Ci siamo mostrati più ancora inadeguati di quanto le persone pensino. E’ una catastrofe paragonabile all’alluvione di Firenze».
16.05. «Sono qui per dire basta»
16.04. Polverini: sono qui per dire che il vostro atteggiamento è indecente.
16.03. Contabilità . Riporti battono tinte 3 a 2.
16.02. La Polverini è pronta.
16.00. La Cappellaro parla con Storace. E’ elegantissima, meglio di un maitre.
15.56. Fiorito non c’è e probabilmente non verrà . C’è invece Veronica Cappellaro, quella della foto per il sito da 1000 euro.
15.47. De Romanis del Pdl si presenta ai giornalisti: «Sono quello delle feste con le donnine nude».
15.43. Cominciano a entrare i consiglieri. Non hanno un bicchier d’acqua. Per forza che poi uno esce e si scola una magnum di Taittinger.
15.40. La tensione si taglia col coltello, come una cotolettina alla spada di Ottavio a Santa Croce in Gerusalemme.
15.35. Un funzionario: «Anche voi, però. Mancano solo gli inviati di guerra di Al Jazzeera».
15.33. Notizie dal Pdl: o il partito azzera i vertici in Regione o io lascio, dirà la Polverini.
15.30. La Polverini è entrata fra gli applausi.
15.30. Al consiglio regionale in attesa che arrivi il governatore Polverini che minaccia le dimissioni.
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
I DIPENDENTI DI PALAZZO MADAMA TEMONO CHE VENGANO TOLTI LORO GLI SCATTI IN BUSTA PAGA, ABOLITI PER GLI IMPIEGATI PUBBLICI VENTI ANNI FA
Non soffrono solo i minatori del Sulcis. Anche i dipendenti del Senato sono sul piede di guerra: temono vengano tolti loro gli scatti automatici in busta paga aboliti per tutti gli altri impiegati pubblici 20 anni fa.
Automatismi che ancora oggi consentono a Palazzo Madama, nell’arco della carriera, perfino di quintuplicare lo stipendio al di là del merito.
E di guadagnare mediamente 149.300 euro: oltre il quadruplo di uno «statale» medio italiano.
Breve promemoria: la scala mobile che adeguava in automatico le buste paga di tutti i lavoratori fu minata da Craxi nel 1984 e soppressa definitivamente da Amato, dopo il fallimento del referendum voluto dal Pci, nel 1992.
Gli scatti automatici che fissavano gli aumenti furono tolti a tutti i dipendenti pubblici col Decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio ’93, quasi vent’anni fa.
Per capirci: lo scudetto andava al Milan di Capello che aveva come bomber Jean Pierre Papin, la serata degli Oscar era dominata da Gli spietati e Casa Howard , Silvio Berlusconi non era ancora sceso in campo, alla guida del Pds c’era Achille Occhetto e agli esteri Emilio Colombo.
Un’altra era geologica.
Da allora, gli unici scatti automatici buoni per gli aumenti in busta paga, nel settore pubblico, sono rimasti quelli della scuola.
Ovvio: chi entra come maestra alla scuola materna o professore di matematica alle medie, a fine carriera farà ancora, a meno che non cambi lavoro, la maestra alla scuola materna o il professore di matematica senza alcuna possibilità (una vergogna, ma questo è un altro discorso) di aumenti dovuti alla bravura professionale.
Fino a qualche tempo fa nella scuola c’era un primo scatto dopo due anni seguito da uno ogni sei col risultato che un insegnante poteva aumentare lo stipendio, in 25 anni, del 47%.
Contro un parallelo aumento per i colleghi dei Paesi Ocse del 69% e addirittura del 98% dei francesi.
Adesso anche il primo scatto dopo due anni è stato abolito.
Di conseguenza un insegnante può avere in tutta la carriera un massimo di 6 scatti con un incremento della busta paga che in tutta la carriera può arrivare al 50%.
Anche nel settore privato, sia chiaro, è rimasto qualche residuo.
Gli stessi giornalisti, pur avendo cambiato le regole in questi anni di magra, hanno conservato degli scatti automatici.
Che tuttavia possono portare in totale, nell’arco di una vita professionale, a un aumento massimo dichiarato del 72%.
Nel caso dei dipendenti degli organi istituzionali, dal Senato alla Camera, dal Cnel alla Corte costituzionale, la faccenda è diversa.
Prendiamo Palazzo Madama: nel 2010 spendeva per stipendi ed emolumenti vari del personale dipendente, escluso quello a tempo determinato, 137.085.372 euro.
Il che significa che, risultando 938 dipendenti, la retribuzione media lorda era di 146.146 euro.
Più i contributi.
Tanto per offrire dei confronti: nettamente più di quanto guadagnavano mediamente allora i magistrati (132.642 euro) e gli addetti alla carriera diplomatica (93.755).
Ma soprattutto il triplo degli universitari, quasi il quadruplo dei medici e degli infermieri del Servizio sanitario nazionale, quasi il quintuplo degli insegnanti e del personale della scuola, fermi a una media di 30.201 euro.
Bene: il bilancio 2011 dice che il risparmio rispetto al 2010 è stato dell’1,87%, corrispondente a circa 2,6 milioni considerando anche il personale a tempo determinato.
Ma la spiegazione del calo è illuminante. Testuale: «Tale dato assume particolare significato se confrontato col successivo capitolo del trattamento del personale in quiescenza che, al contrario, presenta un aumento di 6.753.861,31 euro, pari al 7,33%, a causa, sostanzialmente, dei 37 collocamenti a riposo avvenuti nel 2011».
Traduzione: la sforbiciata è stata ottenuta solo perchè in 37 sono andati in pensione. Ma questo, per contraccolpo, ha fatto esplodere la spesa previdenziale, che è sempre a carico di Palazzo Madama: un’impennata del 7% in un solo anno.
Prova provata che, con i meccanismi attuali, ridurre il personale non porta affatto automaticamente a una riduzione della spesa generale.
È vero che finalmente, dal 1° gennaio, anche nella cittadella della Camera alta è stato introdotto il sistema contributivo «pro rata» anche per quelli assunti prima del 2007, ma per vedere i primi risultati veri ci sarà da attendere degli anni.
Fatto sta che dal 2008 al 2011, vale a dire dopo («dopo») lo scoppio della indignazione dei cittadini per gli eccessi dei costi della politica, la spesa per le pensioni del personale del Senato è salita da 82.584.082 a 98.842.943 euro: un’accelerazione mostruosa, del 19,7%.
E nei prossimi anni l’andazzo è previsto sugli stessi ritmi. Lo dice il bilancio preventivo del 2012 approvato all’inizio di agosto.
Mentre la spesa per il personale dipendente (tolto quello a tempo determinato) dovrebbe diminuire di circa 2 milioni 560 mila euro, fermandosi a 131 milioni 970 mila euro, la spesa per le pensioni salirebbe invece a 106 milioni 850 mila euro.
Il che significa che negli anni in cui il Pil pro capite degli italiani calava (dati Istat) del 6,5% e la vendita delle auto crollava ai livelli del 1983, la bolla previdenziale di Palazzo Madama si gonfiava del 29%.
E continuerà a gonfiarsi fino a 109 milioni nel 2013 e quasi 112 nel 2014.
Colpa dei dipendenti del Senato brutti, cattivi e viziati? Ma per carità !
Non ci permetteremmo mai di dirlo.
Si tratta in larga misura di persone di prim’ordine, di professionisti bravissimi, di esperti che riescono spesso a supplire con la loro preparazione ai limiti di una classe politica che, dati alla mano, è drammaticamente inferiore perfino sotto il profilo scolastico a quella degli altri Paesi avanzati.
Ma i meccanismi che hanno portato alla situazione attuale sono diventati palesemente insostenibili.
Basti ricordare che l’automatico rinnovo dei contratti interni, disdettato dalla maggioranza di centrosinistra nell’infuriare delle polemiche sui costi del «Palazzo» e subito ripristinato per quieto vivere dalla destra dopo le elezioni vinte nel 2008, ha fatto lievitare il peso del personale (stipendi e pensioni) fino al 43,31% dei costi del Senato. Assurdo.
Il guaio è, come dicevamo, che sono ancora in vigore, oltre al meccanismo del recupero triennale dell’inflazione, anche gli scatti di progressione automatici biennali. Per avere un’idea dei loro effetti, in quarant’anni lo stipendio annuo lordo di un «assistente parlamentare», il livello più basso, quello dei commessi, può crescere da 38.059 a 159.729 euro moltiplicandosi per 4,2 volte.
Quello dei coadiutori da 46.678 a 192.446. Quello dei segretari da 56.766 a 255.549. Quello degli stenografi da 67.390 a 287.422.
Ma il top della progressione spetta ai consiglieri parlamentari, la cui retribuzione può passare da 85.415 a 417.037 euro, lievitando di quasi cinque volte. E ci riferiamo alle buste paga del 2008.
Che da allora, al netto dei tagli provvisori di Tremonti, sono lievitate ancora.
Sinceramente: è difendibile un meccanismo come questo?
Quando si ritroveranno all’assemblea convocata dalla Cgil per denunciare la minaccia che siano toccati quei meccanismi automatici di progressione degli stipendi, sarebbe un peccato se i dipendenti del Senato alzassero le barricate.
E guai se lo facesse, per rastrellare consensi, qualcuno dei 14 (quattordici!) sindacati autonomi interni.
Credono davvero che se si asserragliassero in cima a una gru o nel pozzo di una miniera per difendere i loro «diritti acquisiti» così gli italiani capirebbero?
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
NEGLI AMBIENTI VICINI ALLA CDU DELLA CANCELLIERA MERKEL MALUMORE E PREOCCUPAZIONE EVIDENTE: “BERLUSCONI VORREBBE USARE IL DENARO COME IL VIAGRA”
No comment, dicono interpellati telefonicamente da Repubblica ambienti governativi.
Ma nella Berlino della politica e negli ambienti vicini alla Cdu della cancelliera Angela Merkel malumore e preoccupazione sono evidenti. «Berlusconi forse vorrebbe usare il denaro come il viagra», afferma il professor Michael Stuermer, storico, intellettuale di rango del centrodestra al potere ed ex consigliere di Helmut Kohl negli anni del varo dell’euro.
E Karl Lamers, che in quella stessa epoca storica fu l’uomo chiave del team del cancelliere della riunificazione per i rapporti con i partner europei, aggiunge: «Non lo prendo sul serio, non do valore alle sue parole, e spero non venga preso sul serio. La Banca centrale europea, come tutti sanno, è indipendente, non è controllata dalla signora Merkel».
Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi stanno creando qui un effetto molto preciso: la paura che torni l’immagine dell’Italia inattendibile, paese bello da visitare ma di cui non puoi fidarti.
E insieme, l’effetto del risveglio di nuovi timori sul futuro dell’euro, proprio mentre appoggiando il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, contro la linea dura del numero uno della Bundesbank Jens Weidmann (criticato ieri molto duramente dal ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble per aver attaccato Draghi in pubblico) Angela Merkel cerca di far accettare alla sua opinione pubblica il suo appoggio a Draghi e i costi e rischi del salvataggio della moneta unica.
«Berlusconi ha reso un pessimo servizio al suo Paese, ha resuscitato e rafforzato diffidenze verso l’Italia», sottolinea Stuermer.
E continua: «Insisto, lui probabilmente ne sa più di viagra che non di denaro e gestione del denaro pubblico, e forse gli piacerebbe un uso facile o smodato della stampa di denaro. Sarebbe inutile o dannoso, come l’uso facile o smodato del viagra. Se lui tornasse al potere una fine dell’euro, quella che i tedeschi temono, si accelererebbe. Quelle parole, quando l’opinione pubblica tedesca ne sarà informata, daranno a molti la conferma di vecchie idee sull’Europa mediterranea, che siano pregiudizi oppure no».
«La Germania – insiste Stuermer – ha una certa idea della lotta all’inflazione, e anche un’idea molto precisa dell’indipendenza della Bce da ogni pubblico potere, Berlusconi è stato premier e dovrebbe saperlo. Agli occhi dei tedeschi il vostro dibattito sul dopo-Monti adesso acquista anche un’altra luce”
Non molto diverse, al fondo, le opinioni a caldo di Karl Lamers.
«Le idee della cultura politica tedesca sulla gestione dei pubblici bilanci e sulla politica monetaria sono note, ma il rispetto dell’indipendenza della Bce è assoluto, e colgo quest’occasione per ribadire il nostro pieno rispetto per Mario Draghi.
Invito a sdrammatizzare, a non prendere sul serio quelle parole, e spero che i più nel suo partito non lo seguano».
Non prendiamola sul serio, almeno non ancora, aggiungono confidenzialmente e nell’anonimato altre fonti: lui adesso non è al timone.
Andrea Tarquini
(da “la Repubblica“)
argomento: Berlusconi, economia, Esteri, Europa | Commenta »