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PARTITI IN GINOCCHIO: IL PDL PERDE TRE QUARTI DEI VOTI

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

L’ANALISI DI MANNHEIMER

Le prime analisi del voto siciliano si sono basate sul confronto delle percentuali ottenute da ciascun partito.
Ma queste, data la numerosità  delle astensioni, sono calcolate sulla sola metà  degli aventi diritto al voto.
Proprio questa circostanza suggerisce di analizzare il risultato anche esaminando la numerosità  in valore assoluto dei consensi ottenuti dalle forze in campo.
Questo approccio ci permette di renderci conto ancora più da vicino di quanto abbiano perso quasi tutte le forze politiche.
È stata ad esempio già  notata la diminuzione in percentuale del partito di Berlusconi. Ma confrontando i valori assoluti, è ancor più impressionante rilevare come il Pdl abbia perso ben 650 mila voti, tre quarti del suo elettorato precedente.
Anche comprendendo i consensi ottenuti dalle liste «Lombardo presidente» e «Musumeci presidente», la perdita resta enorme.
Si tratta di elettori che hanno preso la via dell’astensione o, spesso, quella del supporto a Grillo.
Un tracollo che ricorda quanto emerge dai sondaggi effettuati in questi giorni a livello nazionale riguardo alla diminuzione drastica delle intenzioni di voto espresse dagli italiani per il Pdl.
Ciò non potrà  non avere effetti sui già  tormentati equilibri interni del partito.
Al tempo stesso, come ha subito osservato Stefano Ceccanti in un’analisi pubblicata sul web, anche l’altra componente del centrodestra, legata a Miccichè, ha subito una erosione, sia pure di misura inferiore.
Dall’altra parte dello schieramento politico, tuttavia, anche l’alleanza Pd-Udc, pur risultata vincitrice (o, se si vuole, meno perdente), soffre di una consistente diminuzione di voti.
Il Pd, anche sommando i voti delle liste per il candidato (Crocetta-Finocchiaro) perde, in valore assoluto, quasi 250 mila voti: una porzione notevolissima dell’elettorato delle scorse regionali.
Analogo discorso si può fare per l’Udc che ha perso circa 130 mila voti: quasi il 40%. Insomma, pur avendo eletto il nuovo presidente di Regione, l’alleanza di centrosinistra ottiene un risultato insoddisfacente, non essendo riuscita, come osserva anche Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore, a intercettare nuovi consensi, in un momento di grande fluidità  elettorale. In altre parole, il partito di Bersani pare, a livello siciliano, incapace di convincere e mobilitare i delusi e gli scontenti.
Che, anzi, se ne sono in parte allontanati.
Al riguardo, alcuni osservatori avevano suggerito che il Pd potesse cedere voti all’estrema sinistra, data l’alleanza stipulata nell’isola con l’Udc.
Ciò non si è verificato. Anche la sinistra radicale ha subito un forte calo di consensi, passando da 131 mila voti del 2008 a 59 mila di domenica scorsa e vedendo quindi più che dimezzare il proprio seguito.
Dunque, la gran parte delle forze politiche esprime un saldo di consensi negativo. L’unica a sottrarsi è stata l’Idv con un piccolo incremento di poco meno di 18 mila voti.
Come ha sottolineato l’Istituto Cattaneo, si tratta di un risultato deludente dopo le aspettative che aveva stimolato il successo di Leoluca Orlando alle comunali.
Come si sa, hanno tratto frutto da questo andamento elettorale complessivo il Movimento 5 Stelle e il folto «partito degli astenuti».
Grillo ha guadagnato quasi 240 mila voti, quintuplicando di fatto il suo elettorato. Ma la diserzione dalle urne esce dalle elezioni con un bottino assai maggiore, pari a quasi 800 mila siciliani che, questa volta, hanno ritenuto di non recarsi ai seggi.
Entrambi i fenomeni, il supporto per il Movimento 5 Stelle e l’incremento dell’astensione, sono stati per lo più interpretati come espressione di protesta e di disaffezione.
Un fenomeno che, stando a quanto ci suggeriscono le ricerche sulle intenzioni di voto, riguarda non solo la Sicilia, ma tutta l’Italia.

Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera“)

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COSI’ DI PIETRO CADDE DAL PODIO DELLE VIRTU’, TRA I CONTI E CASI IMBARAZZANTI

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

TROPPI ORMAI SONO LE VICENDE CHE VEDONO IMPLICATI ESPONENTI DELL’IDV… E C’E’ CHI DISCUTE ORMAI ANCHE IL RUOLO DELL’EX MAGISTRATO ALLA GUIDA DEL PARTITO

«Gli mancava solo la bava agli angoli della bocca».
È la battuta più spietata, anche meno di 140 caratteri per collegarsi alla scena madre della Prima Repubblica, a quel momento di massima potenza che ha definito la sua carriera da magistrato e arato il solco per la carriera politica
Terribile, la nemesi del web e il tempo che passa.
Soltanto nel 2010, quindi un secolo fa, Antonio Di Pietro era portato ad esempio dal Wall Street Journal come l’unico politico italiano che avesse capito qualcosa di comunicazione su Internet.
A quel tempo, Silvio Berlusconi regnante, l’ex magistrato di Mani Pulite stava a Internet come le vacche, nel senso dei bovini, all’India.
Come cambiano le cose, come cambiano in fretta. D’accordo, Report, che per molti è una sorta di Cassazione della realtà , e soprattutto le immagini di un Di Pietro impacciato come mai prima.
Ma il paragone con i problemi di salivazione di Arnaldo Forlani sul banco degli imputati, incalzato da un magistrato che poi avrebbe fatto carriera in altro settore, quello no.
Sono gli sberleffi, firmati anche da dipietristi delusi, a certificare un cambio definitivo nella percezione diffusa dell’Italia dei valori e del suo leader.
C’è da chiedersi il perchè di questo sdoganamento dell’anti dipietrismo davanti a storie che in passato furono portate avanti solo da pochi giornalisti, puntualmente tacciati di berlusconismo acuto.
E come risposta non può bastare la maledizione dell’undicesimo anno teorizzata da Elio Veltri, che nel 1981 lasciò Bettino Craxi e nel 1992 si sa quel che accadde, e nel 2001 ha rotto i ponti con l’attuale presidente dell’Idv.
«La sua caduta libera è dovuta agli stessi motivi per i quali me ne andai. Non mi piacevano le persone che stavano entrando nel partito. Alle mie obiezioni Antonio mi rispondeva canzonandomi, mi diceva che io volevo un partito di duri e puri. Avrebbe dovuto essere anche il suo obiettivo, ma è finita in ben altro modo».
La conclamata debolezza politica, con l’Italia dei valori snobbata dal Pd e sbeffeggiata nella sua richiesta di apparentamento con Grillo, può forse spiegare la consueta corsa al bastonamento del cane che affoga.
Ma non dice nulla su una ben rapida discesa, al confine con il crollo, dal piedistallo della virtù.
Per quello bisogna rivolgere lo sguardo in basso, verso la periferia del partito.
Pochi luoghi come la Liguria raccontano dell’attuale sgretolamento di antiche certezze, o speranze.
Sotto la patina di una Marylin Fusco, vicepresidente regionale appena dimessa causa inchiesta della magistratura, si nasconde una selezione del personale politico che sembra il bar di Guerre stellari.
In questi anni sono passati nella squadra dell’Idv locale: un ex vigile divenuto consigliere provinciale che si intascava le multe pagate dai cittadini; un ex finanziere segretario provinciale arruolato nel partito nonostante fosse accusato di concussione, peculato e falso, per via dell’abitudine a ricattare i baristi del circondario; una candidata alle Regionali del 2010 che faceva distribuire le sue foto elettorali a un sostenitore della legalità  condannato a vent’anni di carcere per spaccio di droga. Claudio Burlando, governatore di una giunta con l’Idv al suo interno, ha una tesi, esposta con qualche malizia.
«I partiti con meno radici, come l’Idv, faticano a darsi una struttura. Così, in alcuni casi sbagliano a scegliere la propria classe dirigente».
Deve essere successo anche altrove.
In Emilia Romagna fino al 2010 il volto dell’Idv era il sorriso rubizzo di Paolo Nanni, oggi accusato di peculato per i fondi trattenuti nel quinquennio 2005-2010 quando era capogruppo di se stesso, unico eletto in Regione, e aveva ricevuto contributi per 450 mila euro.
Celebri i suoi convegni, che avevano la curiosa caratteristica di saltare all’ultimo minuto, lasciando uno spiacevole strascico di «cene istituzionali» con conti da duemila euro.
La tesoriera Silvana Mura, molto discussa non solo nella puntata di Report, interrompe un Direttivo nazionale per ragionare sul vento che ha cambiato il suo giro. «In realtà  è la forma-partito che non regge più.
Ci sono tante, troppe mele marce anche tra noi. Siamo cresciuti troppo in fretta e non abbiamo creato una classe dirigente adeguata. Ma abbiamo le mani pulite. Report non ha fatto altro che tentare di infangarci aggrappandosi a cose vecchie. Ci penseranno i nostri avvocati».
Gli avvocati sopra citati riportano tutto al punto di partenza.
Il fondatore dell’Idv ha domicilio professionale nello studio che gli ha fatto guadagnare settecentomila euro in qualità  di diffamato.
Uno dei legali di punta è l’ormai celebre Vincenzo Maruccio, ex autista, amico del capo, che lo volle ad ogni costo assessore alla Regione Lazio, per ritrovarselo accusato di essersi messo in tasca ottocentomila euro di rimborsi.
Nei partiti di proprietà  personale si comincia dal basso per poi arrivare al vertice. E spesso succede al ritmo del «non poteva non sapere», una canzone che divenne molto popolare a quei tempi, quando c’era Forlani.

Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera“)

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DILAGA IL “NON VOTO” DALLA SICILIA A ROMA: “POLITICHE, 8 MILIONI DI ELETTORI IN MENO”

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

TUTTI I SONDAGGISTI CONCORDI: LE PROSSIME ELEZIONI SARANNO UN BAGNO DI SANGUE PER I PARTITI TRADIZIONALI

Non andare a votare è stata considerata l’unica alternativa a Beppe Grillo.
Oggi in Sicilia domani nel resto d’Italia, il partito dell’astensionismo che ha conquistato l’isola si sposterà  nel resto della Penisola avanzando con sempre maggior impeto.
Un uragano, alimentato dall’incapacità  di rinnovarsi dei partiti tradizionali e dallo ‘spread’, ormai inaccettabile, tra la realtà  in cui sono costretti i cittadini e quella (di privilegi) dei politici.
La lettura mette d’accordo la maggior parte dei sondaggisti. Da Nicola Piepoli aRoberto Weber di Swg.
“Non c’è stato il rinnovamento politico che i cittadini auspicavano e quindi hanno risposto con gli strumenti a loro disposizione”, commenta Renato Mannheimer.
“Il segnale è molto importante, c’è stato un forte incremento anche rispetto alle precedenti elezioni siciliane e si sono raggiunti limiti prima mai neanche immaginati”, conclude il presidente dell’Ispo (Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione).
La conseguenza “preoccupante — spiega invece Weber — è che da domani chi governerà  la Sicilia lo farà  rappresentando solo una parte minima dei governati e accadrà  così anche nel Lazio e in Lombardia nei prossimi mesi, fino alle politiche”.
Perchè “è chiaro che Grillo a Roma porterà  130 parlamentari almeno”, aggiunge. E l’unico sfidante del Movimento 5 Stelle sarà  l’astensionismo.
In alcuni paesi della Sicilia ha votato il 20% degli aventi diritto.
Ad Acquaviva Platani, in provincia di Caltanissetta, hanno scelto il loro candidato solo 600 persone su 3100.
A Riesi quattro mila su 14mila.
Complessivamente ha votato il 47,43% dei siciliani contro il 66,68% di affluenza del 2008. “Alle politiche su dato nazionale si perderanno dagli otto ai sei milioni di voti”, analizza Weber. “Ci potrà  essere un soprassalto se i partiti cosiddetti tradizionali sapranno leggere con obiettività  e realismo il dato siciliano, ma se nel 2006 hanno votato 38 milioni di italiani, 36 due anni dopo, alle prossime politiche andranno alle urne in 30 milioni”.
Anche perchè, prosegue Weber, il movimento di Grillo ha conquistato voti da tutte le parti: “Sia dal centrosinistra sia dal centrodestra; il malessere è alto, altissimo”.
Analisi ancora più pessimista, se possibile, è quella che tratteggia Nicola Piepoli. “Siamo all’anarchismo. Il fenomeno è molto superiore alle aspettative. Io prevedevo Grillo a livello nazionale al 15% ma con il risultato siciliano possiamo dire che andrà  oltre il 22% previsto”.
Il voto di domenica conferma i sondaggi ottimistici delle ultime settimane per il M5S e anzi supera le previsioni. “Grillo e astensione, astensione e Grillo: le due cose andranno insieme”, aggiunge Weber che prevede un risultato pesantissimo “nel Lazio in particolare, dove il malcostume e la politica hanno profondamente deluso: tra la vita dei politici e quella degli elettori c’è una sorta di spread, che in questi mesi ha superato ogni limite accettabile” .
Lo spread tra eletti ed elettori non è fra l’altro limitata a un solo partito, spiegano i sondaggisti interpellati, ma tutti indistintamente “sono considerati responsabili della situazione”.
Quindi il Pdl, con Silvio Berlusconi e Ruby, Scajola e la casa vista Colosseo a sua insaputa, fino a Renata Polverini e Batman Fiorito. Il Pd, con Filippo Penati e le ville di Luigi Lusi. Fli, con la casa di Montecarlo e la Lega con i soldi in Tanzania diFrancesco Belsito.
“Non capisco come facciano i partiti a non capirlo”, conclude Weber.
Inoltre “tutti cercano di riunire i moderati, ma i moderati non ci sono più, non crescono, non si spostano e soprattutto non si riconoscono più in nessun partito”.
E comunque, scherza Piepoli, “vince sempre chi non si astiene quindi vince e vincerà  Grillo”.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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QUATTRO IDEE PER L’ITALIA PRIGIONIERA DELLE LOBBY

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

LIMITE AI MANDATI, REFERENDUM SENZA QUORUM, REVOCA DI CHI NON MERITA E USO DEL SORTEGGIO

«Cominciando a regnare Carlo Borbone, undici legislazioni, o da decreti di principe, o da leggi non rivocate, o da autorità  di uso reggevano il regno; ed erano: l’antica Romana, la Longobarda, la Normanna, la Sveva, l’Angioina, l’Aragonese, l’Austriaca spagnuola, l’Austriaca tedesca, la Feudale, la Ecclesiastica, la quale governava le moltissime persone e gli sterminati possessi della Chiesa, la Greca nelle consuetudini di Napoli, Amalfi, Gaeta ed altre città  un tempo rette da uffiziali dell’impero di Oriente…».
Fatto sta che «non bastando alla procedura i riti di Giovanna II, suppliva l’uso, e più spesso l’arbitrio del vicerè».
Dà  il capogiro, leggere la Storia del reame di Napoli di Pietro Colletta: come puoi governare un Paese prigioniero in un groviglio di leggi?
Eppure, denuncia Michele Ainis nel saggio Privilegium, L’Italia divorata dalle lobby, non viviamo oggi in una situazione troppo diversa.
Riprendiamo le Passeggiate romane di Stendhal: «La maggior parte degli atti di governo papali sono una deroga a una regola, ottenuta grazie al credito d’una giovine donna o di una grossa somma».
Cos’è cambiato, da allora?
La regola, risponde Ainis, «non esiste più: sommersa, annegata, soffocata da 63.194 deroghe. In origine accadde per motivi nobili, o almeno ragionevoli.
Dopo l’Unità  d’Italia c’era l’esigenza di differenziare la legislazione perchè erano profondamente differenti i livelli di sviluppo delle varie aree del Paese».
Ma oggi «la musica è ben altra: sono le corporazioni a pretendere e ottenere leggine di favore. Sicchè in ultimo ogni categoria indossa un vestito normativo diverso da quello cucito sulle spalle della categoria gemella. Non c’è più un unico sarto, la legge generale è ormai un ricordo. Il nostro diritto è diventato capriccioso e instabile, alluvionato da regolette minute e di dettaglio».
Fatte apposta per tenere la società  bloccata. Impedire il ricambio. Escludere i giovani.
«Se ogni categoria si chiude a riccio, se difende a denti stretti i propri privilegi, non c’e affatto da sorprendersi se il 53 per cento degli italiani rimane intrappolato nel suo ceto d’origine».
Men che meno se «sette figli d’operai su dieci continueranno a fare gli operai» e se «in Italia la probabilità  di schiodarsi dalla classe di reddito dei propri genitori è tre volte più bassa rispetto agli Stati Uniti».
Ed ecco che «ai servizi segreti viene riconosciuta un'”indennità  di silenzio” in busta paga» e ai dipendenti della Siae «un'”indennità  di penna” per compensarli dell’imposizione del computer al posto del vecchio calamaio» e ai funzionari di Bankitalia 8500 euro ogni sei mesi di «buono sarto» per vestirsi all’altezza del ruolo.
Una giungla di privilegi minuscoli o assurdi.
Come il diritto a trasmettere il posto di lavoro al figlio o alla vedova contrattualmente riconosciuto, per quote, non solo in alcuni grandi istituti di credito, ma perfino nella stessa Banca d’Italia.
Per non dire dell’ereditarietà  di fatto dovuta a una serie di meccanismi corporativi: «il 44 per cento degli architetti ha il papà  architetto, il 42 per cento degli avvocati è figlio d’avvocati, il 39 per cento degli ingegneri genera figli ingegneri, cosi come il 39 per cento dei padri medici…».
Come sbloccarla, una situazione che impedisce l’irruzione nel mondo del lavoro e soprattutto nelle professioni ai giovani e alle donne che non sono «figli di» o «mogli di»?
Dovrebbe pensarci, ovvio, il Parlamento.
Ma in questo Paese che registra la presenza di ventotto ordini più una infinità  di albi (c’è perfino quello dei «buttafuori»), siedono alle Camere «133 avvocati, 53 medici, 4 farmacisti e altrettanti notai, 23 commercialisti, 13 architetti, una novantina di giornalisti. Totale: alla data del 2011, dopo qualche dozzina di subentri, il 44 per cento dei membri del Parlamento aveva in tasca la tessera d’un albo, sicchè la lobby dei professionisti era la più potente fra le stanze del Palazzo».
Lo si è visto più volte, come nel luglio 2011, quando l’ultimo governo Berlusconi, boccheggiante, tentò una riforma degli ordini: «Apriti cielo: il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, esprime immediatamente il proprio sdegno; il presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, Maurizio de Tilla, parla di turbo-deregulation; il presidente del Collegio nazionale dei periti agrari, Andrea Bottaro, denuncia l’attacco alle professioni; il presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani, Andrea Mandelli, punta l’indice contro la liberalizzazione selvaggia… E infine tutti questi presidenti armano la mano di ventidue senatori-avvocati, che scrivono una lettera di fuoco al presidente del Senato-avvocato Renato Schifani, con il sostegno esplicito del ministro-avvocato Ignazio La Russa: amen, tutto rinviato alle prossime generazioni».
Insomma, «nessuna liberalizzazione delle attività  economiche, nessun disboscamento della selva di privilegi che ci attornia potrà  mai attecchire se i privilegiati detengono la potestà  legislativa».
E allora? Ainis dice che non bastano dei ritocchi: «Non resta che la rivoluzione. Pacifica, ordinata; ma senza dispense nè indulgenze, senza salvacondotti per i vecchi vassalli e valvassori».
A partire, si capisce, dal Parlamento.
Primo: va segato «il ramo su cui stanno inchiodati i professionisti del potere: due mandati e via col vento».
Secondo: va rafforzato il referendum abrogativo, «attraverso l’abolizione del quorum».
Terzo: va introdotto «l’istituto del recall per revocare anzitempo gli eletti immeritevoli», come accade da un secolo in California ma anche in altri diciotto Stati dell’Unione e in Canada, Giappone, Svizzera e vari paesi latino-americani.
Quarto: «Serve una sede di rappresentanza degli esclusi – i giovani, le donne, i disoccupati, ma in fondo siamo tutti esclusi da questo Parlamento. Tale sede può ben essere il Senato, trasformandolo però in una “Camera dei cittadini” designata per sorteggio, in modo da riflettere il profilo socio-demografico del Paese. Un’idea bislacca? Mica tanto».
Era affidato anche ai sorteggi, come formula per arginare prepotenze e pressioni, la stessa elezione del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia. E Aristotele «diceva che l’elezione è tipica delle aristocrazie, il sorteggio delle democrazie».
Una forzatura, forse. Ma è più democratica l’elezione di un capobastone padrone delle tessere o l’inserimento nel «listino» di soubrette, mogliettine o condannati?

Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)

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“PD BASSO IN SICILIA”: RENZI PROVOCA

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

E BERSANI RISPONDE: LA SUA UNICA STRATEGIA E’ CRITICARE”

Non è stupore e nemmeno   irritazione. «Ma sono un   po’ preoccupato», dice Pier Luigi   Bersani leggendo le parole di   Matteo Renzi e Giorgio Gori dopo   il voto siciliano.
L’avversario   delle primarie svaluta la vittoria   di Crocetta sottolineando il calo   di consensi al Partito democratico.
Ed “esalta” il successo di   Beppe Grillo. «Per me Grillo resta   la malattia e non la medicina.   Pur nelle difficoltà  – spiega il   segretario nelle sue conversazioni   – in Sicilia si conferma la   bontà  della scelta di un patto dei   progressisti e dei moderati. È   questa la vera vittoria».
Quindi   ieri nessun sms di simpatia tra   Bersani e il sindaco di Firenze.   «Anche perchè non ho capito   ancora quale sia la strategia di   Renzi e Gori oltre a quella di criticare   ».
Ma Bersani non vuole far entrare   nelle primarie un contenzioso   sulla Sicilia.
L’esito gli   sembra chiaro, la vittoria di Crocetta   un punto a favore del partito   e le polemiche strumentali.
Semmai sono in tanti nel Pd,   non il segretario, a chiedersi da   giorni quale sia l’obiettivo finale   di Renzi, se, dopo le primarie, il   sindaco di Firenze pensi di avere   ancora spazio nel Pd e nel   centrosinistra. Ammesso che   perda, ovvio.
Quei tanti ieri hanno   avuto la conferma dei loro timori:   dove vuole andare Matteo?
Bersani invece ha in testa il   rafforzamento dell’asse con Casini.   Ieri i leader del Pd e dell’Udc   si sono visti a lungo in una saletta   di Montecitorio. Hanno messo   a punto emendamenti comuni   per la legge di stabilità , ma   hanno anche dovuto stringere   le maglie di un’alleanza che appare   ormai scontata.
Il segretario   democratico è stato netto su   un punto: «Non lascio Vendola,   il centrosinistra che stiamo organizzando non è un’armata   Brancaleone come pensi tu».
Se   è questo l’ostacolo, non sarà  rimosso   dal Pd. «Con le primarie e   con la carta d’intenti noi stiamo   facendo il lavoro che avevamo   programmato: organizzare il   campo del centrosinistra in modo   nuovo e serio», ha spiegato   ancora una volta Bersani. Ributtando   la palla dall’altra parte: e   voi? I democratici osservano le   molte difficoltà  nel campo moderato.
Tante iniziative, numerose   sigle in pista, appelli firmati   da alcuni e non firmati da altri.   Italia futura da una parte, Oscar   Giannino dall’altra.
E Casini che   appare restio a prendere in mano   la situazione guidando l’unità    dei centristi. Insomma, non   si può rimproverare a Bersani   l’asse con Vendola se i moderati   non riescono a formare un fronte   più ampio dell’Udc.
Il segretario del Pd è convinto   che Vendola e Casini possano   stare insieme. Gli scontri di oggi   fanno parte della «propaganda   », come dice anche Massimo   D’Alema.
Ma esaurita la fase   delle primarie e in prossimità    delle elezioni sono destinati ad   attenuarsi fino a scomparire.   Bersani si sente ormai il garante   del patto progressisti-moderati,   ruolo riconosciuto dall’Udc.
Che non a caso sulla legge di stabilità ,   tra il relatore del Pd e quello   del Pdl, ha scelto di confrontarsi   con il democratico per   emendamenti comuni e una linea   di condotta unica.
Il risultato molto   negativo di Sel in Sicilia (rimasta   fuori dall’assemblea regionale   come fa notare perfidamente   Beppe Fioroni) ha acceso   un allarme nel movimento della   sinistra radicale.
Non intercettare   nuovi voti nelle aree più disagiate   durante la crisi è un pessimo   segnale. E sull’intero stato   maggiore di Sel pesa il ricordo   della clamorosa sconfitta del   2008.
Bersani però respinge la   narrazione vendoliana, è convinto   che un irrigidimento   estremista possa portargli altri   guai. «Stando fuori da un’alleanza   come quella siciliana –   spiega – Vendola non attira il   voto di protesta che va quasi interamente   a Grillo».
Osservazione   suffragata dall’analisi dei   flussi fatta dall’Istituto Cattaneo   e che riguarda anche il Pd.
«Io   voglio Nichi dentro la coalizione   – ripete Bersani –. Ma qualcosa   il voto della Sicilia deve dire   anche a lui: ad esempio che il voto   utile esiste e premia non gli   strappi ma i candidati più credibili   in alternativa alla destra».

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)

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L’AUSTERITA’ OBBLIGATA DELLE FAMIGLIE: SOLO IL 28% RIESCE A RISPARMIARE QUALCOSA

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

PER RILANCIARE L’ECONOMIA OCCORRRE SCIOGLIERE TRE NODI: CORRUZIONE, EVASIONE E BUROCRAZIA

In tanti vorrebbero farlo ma in pochi ci riescono: a risparmiare ormai è solo il 28% degli italiani,meno di un terzo delle famiglie, il livello minimo dal 2001.
Da quando, cioè l’Acri, l’Associazione tra le Fondazioni e le Casse di risparmio, ha commissionato all’Ipsos la prima ricerca sull’argomento.
«La situazione è grave, non c’è da minimizzare, ma non vedo un atteggiamento di fatalismo da parte degli italiani» ha commentato il presidente dell’Acri e della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, che oggi presiederà  l’annuale – ed è la numero 88 – Giornata mondiale del risparmio.
Per rilanciare l’economia italiana, secondo Guzzetti, vanno tagliati tre nodi: «Una corruzione che ha raggiunto livelli incredibili, l’evasione fiscale e una burocrazia dai costi improduttivi drammatici».
A ritenere che la crisi sia molto pesante, secondo l’indagine svolta da Ipsos, è l’86% degli italiani, convinto pure che sarà  difficile uscirne prima di altri tre anni.
«Il 38% degli intervistati afferma che l’Italia uscirà  dalla crisi da sola, senza aiuti ed è un dato importante perchè la gente non è rassegnata, tanto che gli sfiduciati si riducono dal 54% del 2011 al 32% del 2012» ha osservato ancora Guzzetti.
In ogni caso, secondo la ricerca, salgono al 26% gli italiani che hanno registrato un repentino peggioramento del proprio tenore di vita a causa della crisi a fronte del 21% del 2011 e al 18% del 2010.
Sono invece quasi scomparsi coloro che dichiarano di aver sperimentato un miglioramento del proprio tenore di vita nel corso degli ultimi 12 mesi: nel 2010 erano il 6%, nel 2011 il 5%, quest’anno sono il 3%.
Si riduce poi il numero delle famiglie che riescono a mantenere senza difficoltà  il proprio tenore di vita (il 25% nel 2012 contro il 28% del 2011), mentre è uguale a quella del 2011 la percentuale (il 46%) di coloro che lo mantengono a fatica.
In questo difficile scenario sale il numero delle famiglie che ritengono più importante investire sul futuro che sulla qualità  della vita attuale: passano al 57% dal 55% del 2011.
E parlando di investimenti, il mattone perde molto del suo appeal scendendo al 35% delle preferenze contro il 43% dello scorso anno e addirittura il 70% del 2006.
Cresce invece la percentuale di chi decide di tenere i soldi liquidi o destinati a strumenti facilmente liquidabili come i titoli di Stato o i libretti fiscali.
L’indagine mette in evidenza che anche chi non ha subito effetti dalla crisi – ma è solo il 4% del campione intervistato a dichiararsi molto soddisfatto della sua condizione – è molto più attento alle spese «con la conseguenza che la ripresa dei consumi all’uscita dalla crisi sarà  molto graduale».
In questo campo il taglio del budget familiare ha interessato tutti i settori partendo dai pasti fuori casa, ai viaggi e alle vacanze e all’abbigliamento, senza risparmiare i prodotti alimentari e per la casa.

Stefania Tamburello
(da “il Corriere della Sera“)

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NEL PDL E’ RIVOLTA CONTRO BERLUSCONI: I DEPUTATI SI SCHIERANO CON ALFANO

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

TRENTA FEDELISSIMI DI SILVIO CONTRO I 300 DI ALFANO

E adesso sono i berlusconiani ad abbandonare Berlusconi. Voltano le spalle al capo, nella prima, vera rivolta per la sopravvivenza che Angelino Alfano ha deciso di portare avanti senza mai dichiararla.
Su 335 parlamentari Pdl quasi trecento hanno giurato fedeltà  al segretario in queste ore.
E Alfano si prepara al plebiscito e a raccogliere milioni di voti alle primarie contro il Cavaliere rottamatore che ha preferito snobbarle.
La fiducia votata ieri al governo Monti, sulla corruzione è stato un primo segnale. A giorni arriverà  l’altro, quando il Pdl garantirà  il suo sostegno sulla legge di stabilità  che Silvio Berlusconi avrebbe voluto stravolgere, se non addirittura usare come grimaldello per mettere all’angolo l’esecutivo dei tecnici.
Il fatto è che il capo molla gli ormeggi e minaccia di lasciarli tutti a terra.
Ne salva trenta, non di più – ha già  fatto sapere – giusto amazzoni e fedelissimi, a bordo della nuova Forza Italia che salperà  a gennaio e forse anche prima: volti nuovi, giovani e piccoli imprenditori.
E gli altri trecento? Pronti a difendere il segretario.
Deputati e senatori Pdl a caccia di una ricandidatura e in preda al panico tentano ora la mossa disperata.
La campana a morto suonata dalla Sicilia per i partiti ha rotto gli ultimi indugi. Il serrate le file è arrivato ieri mattina in una drammatica, tesa riunione dei dirigenti per fissare le regole delle primarie del 16 dicembre.
Consultazione aperta, la più aperta possibile, niente controlli preventivi o registri delle firme.
Per non correre il rischio di essere surclassati dai numeri delle primarie Pd di due settimane prima. Tutti, o quasi, a questo punto al fianco di Angelino Alfano per tenere in vita il partito e tentare quanto meno la ricandidatura. Forzisti, ex An, montiani, peones, a bordo sono tutti schierati e bye-bye Silvio.
Mentre in via dell’Umiltà  i dirigenti litigavano e tessevano le regole per le primarie del partito, in Transatlantico aria mesta da ultima spiaggia.
«C’era poco da aspettare. Se la linea è quella annunciata sabato dal presidente, allora è lui stavolta a restare minoranza nel Paese, non solo nel partito» si sfoga a sorpresa un fedelissimo della prima ora, il vicecapogruppo Osvaldo Napoli.
Non vogliono andare a schiantarsi per la causa anti-tasse e anti-giudici, tanto meno si sognano di dare noie al governo Monti, farlo cadere figurarsi.
Lo faccia il Cavaliere, se ha i numeri. «Qui non si tratta di essere montiani o anti montiani, ma pragmatici – ragiona perfino il capogruppo Cicchitto – E la legge di stabilità  non può essere un’occasione per rovesciare il tavolo».
Del resto, l’ex ministro Franco Frattini, volando al fianco di Mario Monti nel volo di Stato che li portava due giorni fa a Madrid, ha rassicurato il premier.
Garantendo che se anche Berlusconi tentasse lo sgambetto in aula, non avrebbe i numeri per farlo: «La maggioranza dei gruppi non lo seguirebbe».
È una linea che Alfano detta ad apertura del vertice in via dell’Umiltà .
«Altro che Sicilia, qui rischiamo di perdere anche Lombardia e Lazio, le primarie le dobbiamo fare di partito, non di coalizione, per rilanciarlo, per dargli respiro».
Porte chiuse alla Lega, ma anche a “pericolosi” insider.
Gli ex An per esempio La Russa e Meloni pensano a Giulio Tremonti quando provano a introdurre una carta dei valori, che escluda chi ha dato vita in questi mesi a nuovi soggetti politici.
Si dà  il caso tuttavia che l’ex super ministro dell’Economia sia iscritto tuttora al Pdl. E quando in via dell’Umiltà  entra nella sala riunioni Paolo Naccarato nelle vesti di osservatore tremontiano, tra i dirigenti cala il gelo.
Fondato, dato che Tremonti, come dirà  da lì a qualche ora ai suoi amici, ha deciso di correre davvero alle primarie: «Credo sia anche un loro interesse che ci sia un contributo il più ampio possibile, dunque se sono primarie serene e serie, perchè no?» Maria Stella Gelmini, che sabato era alla conferenza stampa di Berlusconi, sosterrà  il segretario. «Le primarie saranno l’occasione per recuperare elettori delusi, abbiamo bisogno di un Pdl più forte, al fianco di Angelino».
Lo pensa pure Paolo Romani. Alfano vanta la sponda forte del presidente del Senato Renato Schifani.
«Il Pdl non si deve sciogliere ma rilanciare attraverso la strada tracciata da Angelino» spiega la senatrice Simona Vicari, fedele interprete del pensiero del presidente.
E per ragioni diverse ma convergenti ormai anche tutti gli ex An si sono schierati col quarantenne delfino.
«A patto che incida profondamente e subito sul rinnovamento, sarà  il nostro candidato premier, le mosse di Berlusconi non le ho capite» racconta Gianni Alemanno che pure ieri ha lasciato anzitempo il vertice dopo un alterco con Cicchitto.
Il sindaco avrebbe voluto primarie per tutto, anche per le regionali e per le varie cariche. «Impossibile, non c’è tempo» gli hanno risposto.
Giorgia Meloni sta riflettendo se candidarsi o meno.
Con Berlusconi restano Galan e Santanchè, in corsa anche loro.
Ma più che mai le cosiddette “amazzoni” guidate da un’agguerrita Michaela Biancofiore: «Se Alfano vuole salvare il centrodestra lo sciolga».
E poi la Prestigiacomo e Elvira Savino, Gabriella Giammanco.
Denis Verdini e Luca D’Alessandro, come del resto Marcello Dell’Utri.
Ma la mossa disperata del gruppone non convince tutti, molti si preparano a dire addio e tentare altri lidi.
«Per me e altri colleghi critici è ormai difficile restare nel partito in cui per primo Berlusconi non crede più» confessa in Transatlantico il deputato Roberto Tortoli.
«Si sfidino pure Alfano e la Santanchè, il partito si chiude, la lezione siciliana non è servita» delusa Stefania Craxi.
Primo avversario che il segretario dovrà  sconfiggere, per dirla con un’altra socialista di lungo corso come Margherita Boniver, sarà  lo «spirito di autodistruzione che sta prevaricando tutti».
E Berlusconi? Il capo ha trascorso il pomeriggio in un centro di Montecatini, pronto per partire oggi o al più domani alla volta di Malindi.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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IN SICILIA SETTE “IMPRESENTABILI” ELETTI ALL’ARS NONOSTANTE IL CAMBIAMENTO

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

SU 27 DEPUTATI REGIONALI, DEI QUALI 24 SONO IMPUTATI, INDAGATI O GIA’ CONDANNATI, SETTE CE L’HANNO FATTA

Tra gli oltre mille aspiranti deputati che correvano alle ultime elezioni regionali siciliane, Mario Bonomo è forse il più sfortunato.
Da consigliere regionale uscente aveva provato a tornare all’Assemblea regionale siciliana candidandosi con Futuro e Libertà .
E nonostante fosse indagato per concussione, ben tremila elettori hanno comunque deciso di votarlo.
Una scelta neutralizzata dal fatto che il partito di Gianfranco Fini non è riuscito a raggiungere il 5 per cento dello sbarramento necessario per accedere all’Ars.
Bonomo, però, non ha fatto in tempo a disperarsi, che già  ieri il tribunale di Palermo gli ha inflitto l’obbligo di dimora a Siracusa a causa dell’indagine sulle tangenti richieste ad aziende fotovoltaiche, che già  nei mesi scorsi era costata l’arresto e il processo per Gaspare Vitrano, anche lui ormai ex deputato del Pd.
Quello di Bonomo è un destino comune a molti ex deputati che hanno provato a rimanere onorevoli alle ultime elezioni regionale siciliane, nonostante avessero dei conti in sospeso con la giustizia.
Gli impresentabili in lizza per uno scranno a Palazzo d’Orleans erano addirittura 28, dei quali ben 24 tra imputati, indagati o già  condannati.
Di questi sono riusciti a farsi eleggere appena sette: più di un deputato ogni quattro. Merito dello sbarramento, la legge che taglia fuori le liste che non riescono a superare il 5 per cento.
Ma una nota di merito va anche agli elettori che hanno portato in parlamento molte facce nuove.
Nonostante tutto, varcherà  la soglia di Palazzo dei Normanni Girolamo Fazio, ex sindaco di Trapani, eletto deputato del Pdl con oltre seimila voti.
Nel suo pedigree ha una condanna in secondo grado a quattro mesi per violenza privata.
Sempre nel partito del predellino torna all’Ars con 12mila voti Francesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea, indagato per omissione di atti d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta sull’inquinamento acustico.
Nella stessa indagine è coinvolto Giovanni Di Mauro, eletto con oltre 7mila voti sotto le bandiere del Movimento per l’Autonomia.
Sempre nel Pdl è riuscito a farsi riconfermare con 5mila voti Salvino Caputo, che da sindaco di Monreale avrebbe annullato alcune multe, meritandosi una condanna in appello a due anni per tentato abuso d’ufficio e falso ideologico.
Il Movimento per l’Autonomia si fregiava in campagna elettorale del titolo di “partito più impresentabile” con ben 8 aspiranti deputati già  noti alle cronache giudiziarie.
Di questi, oltre a Di Mauro, entreranno all’Assemblea regionale siciliana anche Pino Federico, già  accusato di voto di scambio, e Giuseppe Picciolo, che avrebbe spedito lettere anonime con false accuse sulla gestione dei rifiuti, meritandosi un processo per simulazione di reato, che però non ha fermato i suoi 8mila elettori.
Completa la pattuglia degli impresentabili Pippo Sorbello, più di 7 mila voti a Siracusa, che da sindaco di Melilli era stato condannato a quattro mesi per abuso d’ufficio.
Nell’ultima legislatura l’Ars ha raggiunto quota 27 tra i deputati, indagati, inquisiti o condannati.
Adesso può già  contare su sette deputati che inizieranno la nuova legislatura con pendenze giudiziarie in corso.
A questi va sommato Nino Dina (pezzo forte dell’Udc che ha sostenuto il neo governatore Rosario Crocetta), in passato indagato e poi archiviato per concorso esterno a Cosa Nostra, nonchè fedelissimo di Totò Cuffaro, ex presidente ora recluso a Rebibbia dove sta scontando una condanna a 7 anni per favoreggiamento alla mafia. Sempre nell’Udc è riuscito a farsi eleggere Pippo Nicotra, sindaco del comune catanese di Aci Catena, poi sciolto per mafia.
Coi neodemocristiani torna all’Ars anche Mimmo Turano, già  assessore di Cuffaro, che da presidente della provincia di Trapani è riuscito a prevedere la spesa di settemila euro per una sagra delle cassatelle (sic.) che non si era mai svolta.
Nel complesso però sono parecchi i deputati candidati mentre erano indagati o sotto processo, poi trombati dal voto popolare.
Il più importante è Franco Mineo, ricandidato con Grande Sud di Gianfranco Miccichè.
Imputato per intestazione fittizia di beni, usura, concussione e peculato, Mineo potrà  affrontare il suo processo da privato cittadino dato che non sono bastati i suoi 3mila voti per tornare sulla comoda poltrona di Palazzo d’Orleans.
Hanno mancato l’elezione anche gli autonomisti Riccardo Minardo e Filippo Mancuso, arrestati durante la scorsa legislatura, sospesi dall’Ars, e quindi reintegrati. Non torna a Palazzo d’Orleans nemmeno Giuseppe Drago, condannato in via definitiva a tre anni per peculato, perchè quand’era governatore avrebbe “distratto” i fondi riservati alla presidenza: per lui oggi hanno votato 1.700 cittadini.
Altro pezzo forte che mancherà  al palazzo che fu di Federico II è Rudy Maira, ex capogruppo del Cantiere Popolare, indagato dalla procura di Caltanissetta per associazione a delinquere finalizzata alla gestione di appalti pubblici. Rudy Maira però non si dispiacerà  troppo.
Il regolamento interno all’Ars prevede infatti che ai deputati non rieletti tocchi una maxi liquidazione.
Un emolumento supplementare alla pensione, che i legislatori hanno voluto chiamare, per qualche ignoto motivo, “assegno di solidarietà ”.
In pratica a tutti i deputati che sono stato sbattuti fuori da Palazzo d’Orleans in questa tornata elettorale, le già  languide casse dell’Ars dovranno devolvere un assegno pari all’80% dell’importo lordo di una mese di stipendio moltiplicato per il numero degli anni di mandato effettuato.
Per Maira, illustre trombato con tre legislature all’attivo e sei anni di seguito da deputato, è pronto un assegno da quasi sessantamila euro.
All’autonomista Mancuso, indagato per bancarotta e non rieletto dopo 11 anni “onorevoli”, spetterà  invece una maxi liquidazione da centomila euro.
Di poco superiore l’assegno destinato al trapanese Camillo Oddo, non rieletto col Pd dopo tredici anni.
L’assegno di solidarietà  spetta, però, anche a chi ha deciso di non ricandidarsi.
E qui il record è tutto del democratico Lillo Speziale, che passeggia nei corridoi di Palazzo d’Orleans addirittura dal 1991: adesso incasserà  ben 180 mila euro.
Discreta anche la cifra che spetta ai deputati presenti all’Ars soltanto negli ultimi quattro anni, animati dai governi di Raffaele Lombardo.
L’ex capogruppo di Fli Livio Marrocco, per esempio, passerà  da Palazzo dei Normanni per intascare un assegno da quasi 40 mila euro: solidarietà  bastevole per mitigare la delusione per la mancata elezione.

Giuseppe Pipitone
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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VENDOLA ASSOLTO, IL FATTO NON SUSSISTE: “SONO FELICE”

Ottobre 31st, 2012 Riccardo Fucile

IL GOVERNATORE PIANGE: “SONO UNA PERSONA PERBENE”… ORA PUO’ CONTINUARE LA SUA CORSA ALLE PRIMARIE

“Sono felice, mi è stata restituita la vita”. Nichi Vendola è commosso nel giorno decisivo per il suo futuro politico: il governatore è stato assolto con formula piena “perchè il fatto non sussiste”.
Il gup Susanna De Felice ha emesso intorno alle 10,15 la sentenza del processo in cui Vendola era imputato con l’ex direttore generale dell’Asl di Bari, Lea Cosentino.
“Se condannato mi ritiro dalla vita pubblica”, aveva dichiarato il presidente della Regione in merito all’accusa di abuso d’ufficio sul concorso per la nomina di un primario.
La prima reazione di Vendola all’uscita del tribunale tra le lacrime si è limitata a due parole: “Sono felice”. Poi su Twitter ha aggiunto: “Sono una persona perbene e la giustizia bisogna rispettarla”.
Soddisfatta anche la Cosentino che ha dichiarato: “Giustizia è fatta. Non sono mai stata mossa da sentimenti di rancore o odio nei confronti del presidente”.
Poi ha aggiunto: “Sono veramente sollevata, soddisfatta e contenta per me, ma anche per il presidente Vendola, che può ricominciare la sua lotta per le primarie”.
La decisione era fondamentale non solo per il futuro del governatore della Puglia e leader di Sel, ma anche per gli equilibri politici nazionali, con Vendola candidato alla guida del centrosinistra.
Vendola è arrivato in tribunale pochi minuti prima delle 9,30.
Al suo fianco, il compagno Ed Testa: è una delle prime volte che la coppia appare insieme in un’occasione ufficiale.
“Non c’è stato verso” ha sorriso il governatore riferendosi alla presenza del fidanzato, che per carattere normalmente si tiene da sempre lontano dai riflettori.
Sulla decisione di ritirarsi dalla vita pubblica ha spiegato: “Quello che avevo deciso era sincero: non avrei potuto esercitare le mie pubbliche funzioni con quel sentimento dell’onore che è prescritto dalla Costituzione. Mi sarei ritirato dalla vita pubblica”.
Poi ha aggiunto: “Per me non era e non è mai in gioco soltanto una contestazione specifica rispetto a cui penso di poter documentare l’assoluta trasparenza dei miei comportamenti. Ho vissuto un’intera vita sulle barricate della giustizia e della legalità . Oggi mi è stato restituito questo”.
“Avere appreso che il presidente Vendola è stato assolto è la conferma di una giustizia, nei confronti non solo del presidente, che vedeva infangato con questa insinuazione il suo nome e la sua integrità  morale, ma se mi permettete anche il mio nome, che è stato tirato in questo carrozzone mediatico procurandomi tanta amarezza”. Lo ha detto Paolo Sardelli, primario di chirurgia toracica dell’ospedale di Bari, alla notizia dell’assoluzione del governatore Nichi Vendola.
Vendola era accusato dalla Procura di Bari di aver imposto la riapertura dei termini di un concorso per primario, proprio per favorire la sua nomina.
La vicenda sui cui il gup si è pronunciata è quella relativa alla sponsorizzazione del chirurgo toracico Paolo Saredelli per il posto di primario all’ospedale San Paolo di Bari, denunciata dalla Cosentino in un interrogatorio in Procura, nell’ambito della maxinchiesta sulla sanità  pugliese.

(da “La Repubblica“)

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