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TOMMASO STAITI: “DA VENT’ANNI IL TUMORE DI MILANO SONO LIGRESTI E I LA RUSSA”

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

“BARBARA CIABO’ MI DISSE: “VEDRAI, NON CE LA FARO’ PERCHE’ SARA GIUDICE HA 3-400 VOTI DI CASE POPOLARI ABITATE DAI CALABRESI”… “ORMAI E’ LA POLITICA DEGLI SMS: SOLDI, MIGNOTTE E SALOTTI TV”

Il Barone nero li ha conosciuti tutti.
Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nobile famiglia trapanese, lunga militanza nel Msi, li ha visti da vicino i fascisti con le mazze, quelli con il doppiopetto e quelli che, dopo la fine del Movimento sociale, si sono costruiti posizioni di potere, fino a finire in cella: e (come Franco Nicoli Cristiani a Milano o Franco “Batman” Fiorito a Roma), non per qualche scontro di piazza.
“Nel 1989 rilasciai un’intervista a l’Europeo in cui indicavo quelli che ritenevo essere i mali di un partito — il mio, l’Msi — che non aveva saputo rinnovarsi. C’era un tumore a Milano, nutrito dai legami tra la famiglia La Russa e i Ligresti. Il combinato disposto tra politica e affarismo: questo tumore ha provocato metastasi. La politica è diventata uno strumento di affermazione sociale per morti di fame spirituali, che vengono ricoperti di soldi, ma restano morti di fame”.
Perchè La Russa e Ligresti?
La decisione di far diventare Gianfranco Fini segretario, per esempio, fu presa a Taormina in un albergo di Salvatore Ligresti, presenti il senatore Antonino La Russa, suo figlio Ignazio, Giorgio Almirante e Pinuccio Tatarella. Quando poi i figli adottivi di Almirante fallirono con la concessionaria di auto Lancia a Roma, furono salvati da Ligresti, che diede loro un’agenzia della Sai. Il male affonda lì. Sono moralista? Magari sì, ma a Milano, per vent’anni, tutto un mondo è stato nelle mani della famiglia La Russa: da Michelangelo Virgillito a Raffaele Ursini, fino a Ligresti.
Lei fu vicino a un personaggio contiguo a questo mondo, Filippo Alberto Rapisarda.
A metà  degli anni 80, lui era latitante a Parigi, mi chiamò in ufficio. Sostenni la sua battaglia contro le banche. Ma presi un abbaglio: era un megalomane che per certi versi ricorda Berlusconi. Mi affittò un appartamento nel suo palazzetto di via Chiaravalle (dove poi nacque il primo club di Forza Italia). Pagai l’affitto a un suo emissario, per poi scoprire che l’immobile faceva parte di un fallimento. Sto ancora pagando (per la seconda volta) dieci anni d’affitto. E lo sto pagando, visto che dopo 34 anni il fallimento si è chiuso, alla vedova di Rapisarda.
Chi frequentava il palazzetto secentesco di via Chiaravalle?
Ministri, sottosegretari. Ma anche Alberoni, Sgarbi, Miccichè. E Dell’Utri, che conoscevo perchè me lo aveva presentato Rapisarda che mi aveva anche raccontato che Dell’Utri aveva fatto arrivare a Berlusconi i soldi della mafia.
I La Russa quando li conobbe?
Sono arrivato a Milano nel 1966. Allora il padre Antonino era il consigliori di Virgillito. Il figlio Ignazio faceva invece il contestatore. Ma quando presentai in Consiglio comunale un’interrogazione su un immobile dell’Ospedale Maggiore stranamente finito nelle mani di Ligresti, fui affrontato, a un comitato centrale del Msi a Roma, da Antonino. Stavo parlando con Walter Pancini (oggi direttore generale di Auditel). Antonino mi disse, in siciliano: “Bella questa giacca. Sarebbe un peccato rovinarla con due buchi”.
È vero che prese a schiaffi Ignazio?
Sì sì, faceva il bulletto. Fu verso la fine degli anni 80 durante una direzione provinciale del partito. Lui non m’invitava mai, anche se io ne avevo diritto visto che ero in direzione nazionale e deputato. Aveva una strategia di conquista del potere nel partito per arrivare poi alla conquista delle istituzioni. All’ennesima battuta, mi alzai e gli diedi quattro schiaffi.
E lui?
Incassò, senza dire una parola.
L’ha stupita scoprire che si comprano voti dalla ‘ndrangheta in Lombardia?
No, conosco bene Milano. E avevo annusato le infiltrazioni mafiose. Nella campagna elettorale del 2011 per il Comune di Milano, ho dato una mano a Barbara Ciabò (lista Fini). Due giorni prima del voto mi disse: “Vedrai, non ce la farò perchè Sara Giudice ha 3/400 voti di case popolari abitate da calabresi”.
E Formigoni?
Lo conobbi quando era deputato e sculettava nel transatlantico di Montecitorio.
Oggi, dopo una strenua resistenza, dice che vuole il voto…
ta trattando su diversi fronti. Lui è l’espressione di quella che io chiamo associazione per delinquere di stampo cattolico. A Milano si è divisa gli affari con Ligresti, Moratti e i poteri di cui l’Expo è uno dei risultati.
Che effetto le fa il Consiglio regionale imbottito di indagati?
Compio 80 anni tra un mese, eppure riesco ancora a scandalizzarmi. Quando ho appreso quello che è accaduto, non credevo alle mie orecchie. Vede, ho fatto il capogruppo in Consiglio comunale a Milano e ci davano una stanza e un’impiegata. Ho fatto il deputato a Roma e mi davano 150 mila lire per ogni giorno che stavo a Roma e un milione per i collaboratori, di cui dovevo presentare i contratti al partito. Poi il berlusconismo ha creato danni irreparabili: modificazione antropologica della società  attraverso le tv e inquinamento della politica con la dimostrazione che si può fare tutto impunemente. Ha portato nel partito frotte di impresentabili. Ma li vedete come vanno vestiti? Con questi gessati Palermo da finti gangster anni Trenta. È la politica dell’sms: soldi-mignotte-salotti tv.
Ora che succederà ?
Nelle famiglie nobili di un tempo, si sposavano spesso tra consanguinei. E a un certo punto si sperava che lo stalliere mettesse incinta la marchesa o la baronessa per portare un po’ di sangue nuovo. Spero che arrivi un centinaio di deputati grillini… Tutto il resto mi sembra l’acqua pestata nel mortaio. A Milano siamo solo all’inizio: ne vedremo delle belle, anche dal punto di vista giudiziario.
 Va bene, allora la salutiamo…
Ma non mi avete chiesto della Daniela Santanchè!
Ah, prego, dica pure…
È un altro dei regalini di La Russa. I due hanno siglato un patto politico-mondano-commerciale. Ignazio l’ha portata a Milano, dove è diventata consigliere provinciale, e nel frattempo sovraintendeva agli “eventi” (parola insopportabile) del partito.
Intanto La Russa, dopo una ripulita e un passaggio da un sarto degno di tale nome, è entrato nei salotti buoni. A Cortina, in Sardegna. Lei ama dire che viene dalla società  civile, io preferisco dire dalla società  incivile, viste le frequentazioni (con Briatore, per esempio) di quando era ragazza e non ancora del tutto plastificata.

Gianni Barbacetto e Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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FORMIGONI DUE, LA VENDETTA: “QUESTA LEGISLATURA E’ AL TERMINE, ELEZIONI TRA UN MESE E MEZZO/ TRE MESI, MARONI NON PUO’ ESSERE CANDIDATO”

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

“ORIGINALE CHE IL CAPO DI UN PARTITO CHE PRIMA DICE CHE LA GIUNTA HA LAVORATO BENE E CHE IL GIORNO DOPO LA FA CADERE, PRETENDA DI ESSERE IL CANDIDATO PRESIDENTE”

“Questa legislatura regionale è giunta al termine”.
Il presidente della Regione, Roberto Formigoni, ha iniziato così il suo discorso nell’aula del Pirellone davanti al Consiglio regionale.
Formigoni ha ricordato la decisione dei consiglieri Pdl di rimettere le dimissioni nelle mani del capogruppo Paolo Valentini, una decisione, ha detto, che “pone termine in tempi rapidissimi a questa legislatura”.
“Intendo dare vita a una giunta rinnovata di persone esterne alle politica nei prossimi giorni, quindi questa è l’ultima settimana di vita di questo Consiglio regionale che in tempi brevissimi dovrà  eliminare il listino dalla legge elettorale”, ha proseguito il governatore.
“Alla decisione assunta dai consiglieri del Pdl, mi auguro ne segua una analoga da parte di almeno altri 15 consiglieri per porre termine in tempi rapidissimi a questa legislatura – ha aggiunto il governatore – Ribadisco il mio personale apprezzamento per questo gesto di grande responsabilità  da parte del Pdl che testimonia anche la determinazione di volere continuare a fare politica”.
A margine del Consiglio, Formigoni ha poi risposto alle domande dei giornalisti sulla candidatura di Roberto Maroni alla presidenza lombarda.
“Ritengo – ha spiegato il Celeste – un tantino irrituale che il capo di un partito che prima ha detto che la giunta ha lavorato bene e poi ha deciso di farla cadere, possa pretendere di essere il candidato presidente”.
Mentre sui tempi del voto ha ribadito che si potrà  tornare alle urne entro Natale o al massimo a metà  gennaio – anche con l’attuale legge elettorale – e che la decisione finale spetta al prefetto.
Subito dopo il governatore Formigoni, l’intervento di Luca Gaffuri, capogruppo del Pd nel Consiglio regionale della Lombardia, per affermare che i consiglieri democratici assicurano “di essere assolutamente disponibili ad associare le loro firme per le dimissioni a quelle del Pdl la prossima settimana, o anche oggi, per porre fine alla legislatura”.
Sulla stessa linea i consiglieri di Sel e Idv. Anche l’Udc, con il capogruppo Gianmarco Quadrini si è associato dicento: “Dobbiamo ritagliarci il tempo per approvare una legge elettorale giusta e approvare il bilancio – ha aggiunto – e poi andare al voto prima possibile”.
Dal fronte della Lega ha preso la parola il capogruppo Stefano Galli: “Credo – ha annunciato – che nelle prossime ore una proposta della Lega sulla riorganizzazione della nuova Giunta verrà  fatta”.
Spicca un’assenza, nell’aula del Consiglio regionale lombardo, che discute della fine anticipata del quarto mandato del governatore Roberto Formigoni.
E’ quella di Nicole Minetti, consigliera regionale del Pdl, a processo per il caso Ruby, che è stata al centro di polemiche per tutta la legislatura iniziata nel 2010.
La Minetti, eletta nel listino bloccato che proprio adesso anche Lega e Pdl vogliono eliminare prima dello scioglimento del Consiglio, è in congedo per motivi personali così come un altro consigliere.

(da “La Repubblica“)

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DA 40 ANNI ATTACCATI ALLA POLTRONA: LA TOP TEN DEGLI ONOREVOLI DINOSAURI

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

I RECORD DI LA MALFA E PISANU… TRENT’ANNI PER CASINI E FINI

Volti bassi e passi veloci, sulla corsia rossa del Transatlantico.
Poche anime e in pena e nessuna voglia di scherzare.
Altro che festa delle primarie, tra i democratici. Altro che entusiasmo da nuovo partito, tra i berlusconiani. La ricreazione è finita.
Fuori dal Palazzo, aria da bufera Cleopatra, dentro, il ciclone pare già  arrivato.
Dinosauri. Gerontocrati. Poltronisti. Bronto-eletti.
Gli appellativi da qualche ora si sprecano, alcuni perfino un tantino ingenerosi, ma ci sono centinaia di parlamentari che da ieri incedono marchiati dal numero delle legislature che si portano sul groppone, dalle decine d’anni trascorsi in Parlamento.
Sono quelli del “posto fisso” al banco di Montecitorio o Palazzo Madama.
Ma la mossa del cavallo di Veltroni adesso li chiama in causa uno a uno.
La gran parte resterà  lì, protetta dal probabile paracadute del 30 per cento di lista bloccata della futura legge elettorale.
Scialuppa ideata dagli sherpa di Pdl e Pdl. La novità  è che tra qualche settimana, in campagna elettorale, per la prima volta da mezzo secolo a questa parte dovranno spiegare perchè lo fanno.
Perchè ci stanno ancora loro, perchè di nuovo.
Ora, sarà  pure un giochetto facile.
Ma chi è andato a spulciare gli annali ha scoperto come nel maggio del 1972, quando un trentacinquenne sardo di nome Beppe Pisanu approdava alla Camera per la prima volta – e con lui un figlio d’arte come Giorgio La Malfa allora trentatreenne – presidente di Montecitorio fosse Sandro Pertini e Amintore Fanfani lo era al Senato.
Quarant’anni fa giusto ora.
Giulio Andretti dava vita appena al suo secondo governo. Pleistocene.
Il senatore pidiellino adesso lavora alla costruzione del nuovo partito centrista.
Il repubblicano ex berlusconiano, qualche giorno fa si sfogava su queste colonne lamentandosi del fatto che per la prima volta non ha «più un partito alle spalle: dovrò cercarmene uno.
Ma sono gli elettori che decidono. Non c’è un’età  per la politica. Ed io sono sempre stato eletto». Indomiti.
Se è per questo, fin dal 1987 i conti della Camera dei deputati sono gestiti in qualità  di amministratore di «condominio», ovverosia “questore”, dall’allora socialista brindisino Francesco Colucci, 34 anni di scranno all’attivo.
Si era dimesso il governo Craxi, era sbocciato un altro governo Fanfani e Tozzi, Ruggeri e Morandi vincevano Sanremo con “Si può dare di più”.
Che poi, se Pisanu e La Malfa sono i decani, a seguirli in terza posizione nella lista che qualcuno adesso definisce “nera” ci sarebbe Mario Tassone.
Sconosciuto ai più perchè poco televisivo deputato calabrese dell’Udc che però al collegio di Reggio conoscono bene.
Risultato: 35 anni in Parlamento, uno in più di Colucci.
Il resto è red carpet per i big che ritroveremo tra un anno allo stesso posto.
Salvo tzunami.
Cicchitto 33 anni, Casini e Fini 30, Bossi 26, financo il “giovane” segretario leghista Maroni di lustri a Montecitorio ne vanta ormai più di quattro, forte delle sue 21 candeline dall’approdo del ’92.
Era sull’onda di quell’altra indignazione, di quell’altra tangentopoli.
Ventuno, come Gasparri, La Russa e Calderoli.
Il settantaseienne Silvio Berlusconi, pronto a rilanciarsi o forse a mollare, sta facenedo i conti anche con i suoi 19 da «professionista della politica».
Non che l’affare riguardi solo la destra.
A sinistra almeno si sono posti il problema.
La questione generazionale è sollevata da Renzi e rilanciata ora dal contropiede di Veltroni. Livia Turco, dopo 25 anni, ha già  detto che si farà  da parte se lo faranno anche gli altri.
Anna Finocchiaro, 25 anche lei, è in odore di deroga. D’Alema è finito nell’occhio del ciclone, coi suoi 23 anni di Montecitorio.
Poco più dei 20 di Anna Serafini, consorte Fassino.
E giù scendendo, ma sono 25 i dirigenti-parlamentari Pd con 15 e più anni all’attivo.
A destra avrebbero poi un altro genere di problemi, dato che i 16 anni in aula del senatore Marcello Dell’Utri si intrecciano con la frequentazione di altre “aule”.
Ma questa è un’altra storia.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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CORRUZIONE: ALL’ITALIA COSTA 60 MILIARDI, APPALTI GONFIATI DEL 40%

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

IL LIBRO BIANCO DEL GOVERNO: “INTERVENIRE ORA”

Lo apre una prefazione di Monti. Lo chiude un elenco dei più importanti documenti internazionali sulle politiche anticorruzione.
In mezzo c’è il “libro dei sogni” di come potrebbe essere l’Italia se, a strangolarla, non ci fosse l’Idra a tre teste della corruzione.
Quella che condanna le imprese grandi e medie del nostro Paese a perdere il 25% del loro tasso di crescita, che sale al 40% per quelle più piccole.
Il rapporto sulla corruzione in Italia sarà  presentato lunedì 22 ottobre, a palazzo Chigi, e poi ancora il 6 novembre alla Treccani.
Le oltre 400 pagine sono il frutto del lavoro della commissione costituita presso il ministero della Funzione pubblica dal titolare Filippo Patroni Griffi.
Con l’obiettivo, come ha detto più volte lo stesso ministro, di «contrastare il fenomeno con la prevenzione, perchè la repressione arriva ormai a danni già  fatti».
L’ALLARME DI MONTI
Non servono molte parole al capo del governo per etichettare la corruzione per quello che è e per gli effetti che produce.
Scrive: «Il diffondersi delle pratiche corruttive mina la fiducia dei mercati e delle imprese, scoraggia gli investimenti dall’estero, determina quindi, tra i suoi molteplici effetti, una perdita di competitività  del Paese».
Per questo, dice ancora Monti, «la lotta alla corruzione è stata assunta come una priorità  del governo».
I dati parlano chiaro: nella classifica del Corruption Perception Index di Trasparency International l’Italia è al 69° posto con Ghana e Macedonia.
E nell’indice di percezione della corruzione che va da 1 a 5, come scrive il rapporto, «le rilevazioni attribuiscono 4,4 ai partiti, 4 al Parlamento, 3,7 al settore privato e della pubblica amministrazione».
Nel volume si ammette che il 64% degli intervistati «ritiene inefficace la risposta del governo ai problema della corruzione».
SUBITO LE DELEGHE
Al richiamo di Monti la commissione anti-corruzione – l’ha coordinata il capo di gabinetto Garofoli, ne facevano parte i magistrati Granelli e Cantone, i professori di diritto amministrativo Mattarella e Merloni, di procedura penale Spangher – risponde mettendo in cantiere un pacchetto di deleghe che il governo potrà  esercitare un minuto dopo che la legge contro i corrotti sarà  votata a Montecitorio. Innanzitutto sulla non candidabilità  dei condannati (Patroni Griffi ha lavorato con il ministro dell’Interno Cancellieri), sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, sulle incompatibilità  dei dirigenti, sulle sanzioni disciplinari per chi sgarra, sul codice di condotta, il primo dopo quello famoso di Sabino Cassese.
STATO DESTABILIZZATO
Parla chiaro il rapporto quando si addentra nella disamina dei costi della corruzione. Che certo sono sotto stimati rispetto al loro effettivo ammontare perchè bisogna considerare «il dato della scarsa propensione a denunciare i fatti di corruzione propria delle vittime che pure ne siano a conoscenza ».
Ma ai 60 miliardi di euro all’anno valutati dalla Corte dei conti vanno aggiunti quelli «indiretti».
Scrive il rapporto: «Si pensi a quelli connessi ai ritardi nel definire le pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparati pubblici, all’inadeguatezza, se non inutilità , delle opere pubbliche, dei servizi pubblici, delle forniture pubbliche». Eccoci ai «costi striscianti», al «rialzo straordinario che colpisce le grandi opere, valutabile intorno al 40 per cento».
Sta qui quella che Monti chiama «la perdita di competitività  del Paese». Si legge nel rapporto che «la corruzione, se non combattuta adeguatamente, produce costi enormi, destabilizzando le regole dello Stato di diritto e del libero mercato».
CODICI E TRASPARENZA
Per pagine e pagine il “libro dei sogni” di Patroni Griffi discetta di dirigenti obbligati a rigide regole di incompatibilità , di draconiani codici di comportamenti nel settore pubblico, della mannaia disciplinare che, appena passa la legge anti-corruzione e la relativa delega, colpirà  i funzionari infedeli.
Alle “gole profonde” sarà  garantita copertura, ma la vera scommessa è quella della trasparenza online, «nella possibilità  per tutti i cittadini di avere accesso diretto all’intero patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni », fatta salva solo la privacy più stringente.
Gli enti locali dovranno diventare un libro aperto disponibile per chiunque voglia curiosare sul web.
L’Italia potrà  sfidare altri paesi che, come gli Usa, già  si sono incamminati su questa strada.
Chi sarà  eletto, a qualsiasi livello, dovrà  garantire la totale trasparenza della sua vita e dei suoi averi. Un Grande Fratello che potrebbe evitare in futuro gli ormai innumerevoli casi di patrimoni e ricchezze improvvise costruite grazie al denaro pubblico.
SCURE SU APPALTI E SANITA’
Diventa un “super libro dei sogni” quello che descrive i futuri interventi sulla sanità  e sugli appalti pubblici.
Rispetto alla totale «insindacabilità  odierna» la commissione ipotizza automatismi nella selezione e nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie. Un albo nazionale o regionale e soprattutto nessun incarico «eterno».
Controlli incrociati su acquisti e commesse. Idem per gli appalti pubblici dove la commissione prevede «una drastica riduzione delle stazioni appaltanti, la centralizzazione delle gare, un regime più severo delle varianti, l’azionariato esclusivamente pubblico delle Soa», le società  che certificano i requisiti complessivi di un’impresa e la sua ammissibilità  a una gara pubblica.
E qui il rapporto si chiude.

Liana Milella
(da “La Repubblica”)

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IDV A CANOSSA: FINO A IERI PER ANTONIO DI PIETRO BERSANI ERA UNO ZOMBI, ADESSO E’ RESUSCITATO?

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

SI AVVICINANO LE ELEZIONI E’ L’IDV CAMBIA DI NUOVO LINEA… DI PIETRO CHIEDE UN INCONTRO “CHIARIFICATORE”

«Una lettera, un sorriso, e dovremmo scordarci nove mesi di attacchi?».
È a dir poco fredda l’accoglienza della cerchia bersaniana nei confronti della lettera con cui ieri Di Pietro ha chiesto «un incontro chiarificatore» con i tre leader di Pd-Sel-Psi «onde evitare che divisioni interne al centrosinistra possano riportare al governo il centrodestra».
La mossa dell’ex pm era annunciata da giorni.
Sel non ha mai smesso di chiedere la «riammissione» dell’Idv nell’alleanza, dopo la rottura consumata il 9 giugno ad un’iniziativa Fiom.
Quando Di Pietro aveva dato per l’ennesima volta degli «inciucisti» ai democratici che si disponevano all’approvazione del ddl anti-corruzione light.
La risposta di Bersani era stata dura: «Parole diffamatorie. Con lui c’è un problema e non è nelle mie mani risolverlo».
«Basta rifugiarsi nella lesa maestà , di fare l’alleanza non ce l’ha detto il medico», la replica di Di Pietro.
C’era in ballo — nelle fantasie dipietriste — l’alleanza con le 5 Stelle, poi esclusa sdegnosamente da Grillo.
Dopo l’estate i toni sono cambiati.
Tant’è che l’ex pm ha preso sportivamente la scelta «personale» del suo capogruppo alla camera Donadi, frontista della prima ora, di votare alle primarie per Bersani.
Ieri la richiesta ufficiale di rientrare nell’alleanza e di «partecipare alle primarie, pur senza esprimere propri candidati, con proprie mozioni di sostegno alla carta d’intenti». Dove, su richiesta di Sel, non c’è alcun riferimento a Monti.
Di Pietro giura di poter raccogliere le 20mila firme che servono per una candidatura ma non può non vedere lo sbarramento eretto ad personam nel regolamento.
Art. 3: «Non possono candidarsi alle primarie coloro che svolgono attività  politica di organizzazione e sostegno ad altri partiti».
E art. 4: «Il collegio dei garanti», di cui da ieri Luigi Berlinguer è presidente, valuterà  «l’esclusione delle candidature manifestamente non accoglibili in quanto di noti dirigenti e/o ispiratori ovvero di iscritti appartenenti a movimenti politici o partiti non facenti parte della coalizione Italia bene comune».
Ma la richiesta di Di Pietro è tutta politica, e tutt’altro che improvvisata.
Proprio ieri al Secolo XIX Vendola ha giudicato «inspiegabile rinnegare l’alleanza che governa in tanti comuni e regioni», quella con l’Idv.
Con un occhio al futuro: l’Idv laziale, benchè tramortito dal caso Maruccio (il consigliere dipietrista che si sarebbe intascato una valanga di soldi del partito) è determinante per la regione.
«Mi auguro che l’incontro chiarificatore si faccia presto», commenta Gennaro Migliore, di Sel, «e che sia l’inizio di un percorso che riporti l’Idv nella sua naturale collocazione di centrosinistra».
Ma al Nazareno regna lo scetticismo, se non l’aperta contrarietà .
Dopo mesi di insulti — è il ragionamento — una lettera non basta a risolvere «il problema politico»: ovvero la rincorsa ai toni populistici di Grillo e l’essersi tenuto «le mani libere» mentre il «responsabile» Pd si faceva carico degli indigesti bocconi cucinati dal governo Monti.
Paradossalmente, su questi temi si sono misurate meno distanze fra il Pd e i radicali, gli altri «esclusi» dall’alleanza.
Anche loro ieri hanno battuto un colpo. «In tutto il dibattito sulle primarie, non uno parla dei radicali. Non sono nemmeno invitati», ha detto Pannella a Radio Radicale.
Gli ha fatto eco EmmaBonino: «Noi siamo una delegazione autonoma, il nostro impegno lo abbiamomantenuto,ma all’improvviso non esistiamo più. Ci può dire di che crimini siamo accusati?».
Ma questa sarà  un’altra storia.
Quanto a Di Pietro, il vero scoglio insormontabile sarebbe il suo atteggiamento nei confronti del Colle.
Mai digerito in casa Pd.
E comunque per prendere in considerazione la pratica servirebbe, se non un’abiura, qualche gesto concreto di buona volontà .
Per esempio votare la fiducia al ddl corruzione, proprio l’oggetto della discordia della rottura di giugno.

Daniela Preziosi

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FORMIGONI PER ELEZIONI SUBITO, MA IL PDL PUNTA AD APRILE

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

LA RUSSA CHIAMA IL CARROCCIO: “FACCIAMO PRIMARIE DI COALIZIONE”

Si vota, «prima possibile». Questo «prima» nella testa del presidente Roberto Formigoni potrebbe essere entro Natale o al massimo entro fine gennaio, anche per prendere in contropiede la Lega, colpevole di avere portato allo strappo in Regione Lombardia, dopo l’arresto dell’assessore Domenico Zambetti (per voti comprati dalla ‘ndrangheta).
Per rafforzare le sue intenzioni, nella serata di ieri il governatore ha ricevuto le lettere di dimissioni che tutti e 28 i consiglieri del Pdl hanno consegnato al capogruppo Paolo Valentini. Dimissioni che diventeranno esecutive quando lo riterrà  il presidente.
E siamo ancora al punto: quando?
Formigoni accelera. Ma nelle intenzioni della maggioranza dei dirigenti del partito, il rapporto con la Lega va salvaguardato e quindi nulla esclude che si possa arrivare fino ad aprile.
Le parole di mediazione giungono dal senatore Mario Mantovani, coordinatore del Pdl lombardo che ieri ha organizzato un incontro nella sede di viale Monza (nato come ristrettissimo, finito come una mezza assemblea): «L’interesse dei lombardi – spiega Mantovani – va anteposto a quello dei partiti. Abbiamo chiesto al presidente Formigoni di approvare la nuova legge elettorale che abolisca il listino bloccato in modo da scongiurare presenze non condivise dagli elettori».
Quindi: Formigoni costruisce la giunta «ridotta e rinnovata» che lavori alla riforma, poi si occupa del bilancio regionale e poi si parla di date. Con calma.
Ignazio La Russa ripete la sua preoccupazione e dà  man forte a Formigoni: «Noi speriamo di andare assieme alla Lega sia a Roma che qui. Ma non ci deve essere un legame tra elezione nazionale e regionale, sennò daremmo corso a sospetti sulle scelte condizionate dal livello nazionale: quindi sarebbe meglio votare entro fine gennaio».
Formigoni conferma le tappe di avvicinamento alle urne: ieri sera ha inviato una lettera al presidente del consiglio regionale Fabrizio Cecchetti, per chiedere, come ha già  fatto più volte a parole e per iscritto, di voler procedere «rapidamente al cambiamento della legge elettorale, almeno eliminando il listino bloccato».
Quanto alla nuova giunta, che secondo alcuni potrebbe puntare in particolare sui direttori generali della Regione proprio per dare una connotazione tecnica, «voglio chiudere in pochissimi giorni e attendo che la Lega mi dia i propri nomi, perchè resto fermo al patto preso giovedì scorso con Maroni e Alfano».
Replica a distanza il segretario della Lega Lombarda, Matteo Salvini: «La nostra opinione non cambia. Bisogna andare al voto al più presto.
Gli assessori? Valuteremo se e con chi entrare in giunta».
Mantovani insiste sulla necessità  di scegliere in base a criteri di «capacità  unite a onestà  e rigore» ricorda che «abbiamo già  cominciato a fare pulizia nel partito e basta pensare che negli ultimi mesi ci sono stati 47 provvedimenti interni di sospensione o espulsione».
Si guarda avanti, dunque. E si pensa già  al dopo Formigoni.
Mentre il nome di Albertini imperversa, la Russa si spinge un passo in là , commentando il fatto che domenica la Lega proporrà  una sorta di consultazione interna, con dei gazebo allestiti ad hoc: «Facciamo prima di Natale le primarie di coalizione. Perchè se la Lega fa le proprie primarie e le organizza anche il Pdl, diventerebbe difficile poi trovare un’intesa».

Elisabetta Soglio
(da “il Corriere della Sera”)

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FORMIGONI NON SI RICANDIDA PIU’: “VA BENE ALBERTINI, SI VOTI SUBITO”

Ottobre 16th, 2012 Riccardo Fucile

L’EX GOVERNATORE SFIDA ALLA LEGA, MA NEL PDL C’E’ ANCORA CHI VORREBBE UN ACCORDO CON LA LEGA

Roberto Formigoni è sempre più isolato.
Messo alle strette dalla Lega che insiste nel chiedere il voto anticipato in Lombardia insieme alle elezioni politiche ad aprile e dal segretario del Pdl Angelino Alfano che gli ha passato la patata bollente di decidere la data del voto, il governatore lombardo ieri ha ammesso che non intende ricandidarsi.
«Vedrei molto bene Gabriele Albertini alla guida della Lombardia».
Un nome che piace al Fli e potrebbe tentare anche l’Udc, anche se Pierferdinando Casini avverte: «I nomi si fanno sempre dopo un progetto politico».
Nel frattempo, ieri sera tutto il centrosinistra è sceso in piazza sotto la sede della Regione per urlare all’unisono: «Formigoni, il tempo è scaduto».
Nonostante il brutto tempo, c’erano duemila persone
Anche il Pdl vuole archiviare il più presto possibile l’era Formigoni.
«Albertini è una proposta eccellente», si affretta a commentare l’ex ministro Franco Frattini.
Anche se il partito di Silvio Berlusconi lascia una porta aperta alla Lega nella speranza di poter ancora raggiungere un accordo a livello nazionale.
Nel frattempo, il presidente della Lombardia accelera per votare a gennaio.
«Il più rapidamente possibile – assicura lanciando un nuovo ultimatum alla Lega – entro 45-90 giorni al massimo».
Annuncia che non lascerà  comunque la carica commissario di Expo: «È una nomina ad personam». Il Pdl, però, frena.
Il coordinatore nazionale Ignazio La Russa sembra correggerlo quando osserva: «Mi auguro che il rapporto con la Lega possa preservarsi e semmai rafforzarsi. Ci auguriamo di avere un candidato unico».
Al tavolo lombardo, i dirigenti pidiellini hanno convinto Formigoni a concedere un’altra settimana al Carroccio. Il governatore ha dovuto abbozzare.
«Nel giro di pochi giorni – ha precisato – chiederò alla Lega di indicarmi i suoi assessori. Ho condiviso il patto di giovedì e a quello resto fermo».
Il suo tono era molto meno perentorio delle bellicose dichiarazioni della mattinata. Alle quali ha riposto gelido il segretario della Lega Lombarda Matteo Salvini: «Vedremo se e con quanti uomini entrare nella nuova giunta per fare alcune cose nei mesi che rimangono». Formigoni scalpita.
Nel pomeriggio ha scritto al presidente del Consiglio regionale per chiedere che l’aula approvi in tempi brevi la nuova legge elettorale con l’abolizione del listino bloccato. Lo stesso che è stato all’origine della sua prima disgrazia giudiziaria: lo scandalo delle firme false denunciato dai Radicali.
Raccolte all’ultimo minuto per sostenere le candidature che Silvio Berlusconi aveva imposto nel suo listino.
Da Nicole Minetti, al fisioterapista del Cavaliere Giorgio Puricelli, al geometra di fiducia di Arcore Francesco Magnano.
Non contento, il presidente della Lombardia ha forzato la mano e ottenuto che tutti i consiglieri regionali pidielllini consegnassero le dimissioni nella mani del capogruppo ciellino Paolo Valentini.
Una mossa per spiazzare la Lega e provocare, con le dimissioni già  annunciate di tutto il centrosinistra lo scioglimento immediato dell’aula.
Il centrosinistra che ieri in piazza per chiedere ancora una volta le dimissioni di Formigoni ha subito accettato la sfida: «Se consiglieri del Pdl si dimettono – rilancia il segretario lombardo del Pdl Maurizio Martina – li aspettiamo all’ufficio del protocollo».
Sono arrivati con le bandiere, i cartelli, gli striscioni.
Il sindaco di Milano che aveva chiamato i lombardi a una «ribellione civica» di fronte all’arresto dell’ex assessore regionale Domenico Zambetti, non c’era.
Ma ha inviato un messaggio.
Per ribadire la necessità  di «voltare pagina dopo anni di malgoverno di centrodestra ». Perchè «Milano e la Lombardia si devono ribellare a un potere ormai morente di cui vediamo ogni giorno gli effetti devastanti ».
Sotto il palco, ad ascoltare i leader dei partiti di centrosinistra, tanti amministratori politici e locali, oltre a tanta gente comune.

Andrea Montanari
(da “La Repubblica“)

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