Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
UNA IPOTETICA LISTA FORZA ITALIA PRENDEREBBE IL 9,3% E IL PDL SCENDEREBBE AL 4%… BERSANI 55% AMPIO MARGINE SU RENZI 45%
L’effetto primarie travolge il centrodestra ‘doppiato’ dal Pd, mentre il Movimento 5 Stelle, per la prima volta da sei mesi, scende sotto il 20%.
Il successo delle consultazioni che domenica vedranno il ballottaggio tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi, secondo quanto registra un sondaggio Swg, fa oscillare le intenzioni di voto.
Un’ipotetica lista ‘Forza Italia 2.0’ potrebbe raggiungere il 9,3 percento.
Voti che, spiega il presidente Roberto Weber “proverrebbero tutti dal Pdl, che quindi scenderebbe circa al 4 per cento”.
Tiene Casini che aumenta leggermente la sua percentuale, ora al 4,1% che supera di poco una lista Montezemolo, valutata al 3,8%.
Il Pd balza al 30%, più del doppio rispetto al Pdl, che cade al 14,3 e che con il suo alleato Sel, superata dalla Lega Nord dello 0.1% nelle intenzioni di voto, raggiunge il 36%.
Per la prima volta da mesi, inoltre, il movimento di Beppe Grillo scende sotto quota 20% perdendo oltre un punto e mezzo.
Il partito del non voto, tra indecisi e chi non risponde, si assesta al 25% che insieme agli astenuti, secondo il campione considerato, arriva al 41% con un calo di due punti. Risultati che, complessivamente, si discostano di poco anche dalle percentuali fornite da Ipsos nella scorsa puntata di Ballarò.
Inoltre per l’istituto di Trieste, a due giorni dal ballottaggio delle primarie, Bersani è in vantaggio su Renzi con una forbice di voti tra il 53 e il 57 percento; la forbice del sindaco di Firenze si attesta invece tra il 43 e il 47 percento.
Un quadro, questo, che però potrebbe essere suscettibile a variazioni significative, come spiega il presidente Roberto Weber: “Il dato tiene conto dei votanti al primo turno. Ma 100-200 mila elettori nuovi potranno fare la differenza”.
Cosa faranno al ballottaggio gli elettori degli altri candidati alle primarie?
Più della metà degli elettori di Nichi Vendola (57%) voterà Bersani, il 15 percento voterà per Renzi e il 28 per cento non andrà a votare.
Esprimerà la preferenza per il segretario del Pd anche il 47 percento dei sostenitori di Laura Puppato e il 25 percento di quelli di Bruno Tabacci.
Oltre la metà dei sostenitori dell’assessore al Bilancio di Milano però non andrà a votare (61%).
Al di là dell’esito del ballottaggio comunque, un ‘ticket’ tra i due contendenti piace a una quota significativa di italiani.
L’ipotesi di Bersani premier con Renzi vice è gradita al 30 percento dell’elettorato, percentuale che comprende — a differenza delle intenzioni di voto dei singoli partiti — anche indecisi e astenuti (questo significa che, potenzialmente, vale più del 30 percento che la stessa Swg questa settimana attribuisce al Pd).
Se invece si immagina Renzi premier e Bersani vice, il gradimento raggiunge il 33 percento. Diversa la quota di gradimento tra i soli elettori alle primarie.
In sostanza, il quadro che emerge dal sondaggio sulle intenzioni di voto realizzato da Swg in esclusiva per Agorà , su Rai Tre nei giorni 26-28 novembre è questo (tra parentesi lo scostamento percentuale rispetto alla rilevazione del 23 novembre scorso): Pd 30,0% (+3,3), Movimento 5 Stelle 19,5% (-1,6), Pdl 14,3% (-1,0), Lega Nord 6,1% (-0,1), Sel 6,0% (+0,7), lista Montezemolo 3,8% ( — ), Udc 4,1% (+0,4), Idv 2,4% (-0,3), Prc-Pdci 2,0%.
Infine, Fli 1,6% (+0,1), La Destra 1,5% (-0,5), Lista Bonino 1,0% (-0,4), Verdi 0,6% ( = ) e Api 0,4% (+0,1).
Il sondaggio è stato realizzato dalla Swg Srl-Trieste per Agorà Rai3 2012 tramite sondaggio telefonico (Cati) e online con metodo online Cawi su un campione casuale probabilistico stratificato e di tipo panel ruotato di 5mila soggetti maggiorenni (su 15.900 contatti complessivi), di età superiore ai 18 anni.
Il campione intervistato online è estratto dal panel proprietario Swg.
Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’Istat. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età e macro area di residenza e il margine d’errore massimo è di +/- 1,36%.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
CONTESTATE ALTRE SPESE AL SINDACO DI FIRENZE: ALTRO CHE ABBATTIMENTO DELLE SPESE DELLA CASTA… LA PRECEDENTE CONDANNA DI RENZI PER DANNO ERARIALE COME PRESIDENTE DELLA PROVINCIA
“Se sarò il presidente del Consiglio non avrò nel mio governo più di dieci ministri”. Così ha promesso Matteo Renzi, indicando la strada per l’abbattimento delle spese pazza della cosiddetta Casta.
Peccato che nella sua città si abbatte una nuova stangata da parte della Corte dei conti.
Al vaglio le casse di Palazzo Vecchio.
Bilancio alla mano, i giudici contabili hanno rilevato “un ammontare della previsione di spesa di personale nel 2012 non conforme al limite previsto”.
È quanto si legge nella deliberazione dei giudici contabili, datata 27 novembre 2012, in cui viene specificato che l’importo “risulta superiore al 50% del totale della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009 o triennio 2007-2009 (120,26%) ”.
La scelta va a costituire una situazione critica, “aggravata dalla previsione nell’anno 2012 di nuove assunzioni di personale, rinnovi, proroghe dei contratti a tempo determinato”.
Elementi che contribuiscono a formare una “grave irregolarità contabile in contrasto con la normativa e i principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica”.
Come se non bastasse “l’impostazione del bilancio pluriennale 2013-2014 non garantisce il rispetto del patto di stabilità e costituisce una grave irregolarità contabile per cui è necessaria l’assunzione immediata di idonei atti di correzione e l’eventuale rideterminazione delle previsioni di bilancio”.
La deliberazione è arrivata ieri sul tavolo del sindaco Renzi e il Consiglio è pronto a riunirsi, oggi stesso, per il bilancio di assestamento che prevede tagli agli investimenti per ben 73 milioni di euro.
Sulla delibera della Corte dei conti, l’assessore Alessandro Petretto si è difeso: “Il bilancio è in equilibrio”, peccato che il suo predecessore Claudio Fantoni si è dimesso proprio contestando la gestione disinvolta del bilancio comunale.
Mentre, la stessa Corte dei conti, prosegue l’inchiesta sulle spese della Provincia in favore di Florence Multimedia — un super ufficio stampa creato da Renzi nel 2005 — ai tempi in cui era presidente il “rottamatore”.
Nello specifico le accuse dei giudici contabili fanno riferimento al un “irregolare affidamento di servizi per un importo superiore a quello previsto dai relativi contratti di servizio”, con una spesa complessiva di oltre nove milioni di euro.
Senza la procedura prevista dalla legge e senza mai discuterne in Consiglio provinciale, come scritto in una relazione del Minsitero del Tesoro, Florence Multimedia, tra il 2006 e il 2009, incassò oltre 9 milioni di euro.
Attraverso “contratti, convenzioni, disciplinari di servizio, affidamenti al lordo, il cui importo triplica quello dei contratti di servizio di base”.
Quindi sei milioni su nove sono contestati dalla Corte. Inoltre, in seguito a una precedente indagine della Corte dei conti l’amministrazione provinciale di Matteo Renzi (2004-2009) è già stata condannata in primo grado per un danno erariale di 50 mila euro.
Giampiero Calapà e Sara Frangini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO IL SI’ DELL’ITALIA AL VOTO ONU SULLA PALESTINA, SCATTA LA PROTESTA CONTRO MONTI E BERSANI
È amareggiato e sorpreso, Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma.
Le motivazioni di questa scelta, secondo Pacifici, possono essere due ma di una non vorrebbe parlare perchè “troppo umiliante”.
Parte da quella meno dolorosa: “Chi ha il potere di decidere sulla questione si è subito appiattito sull’agenda del primo ministro in pectore, cioè Bersani. Avendo il segretario del Pd risposto, nel faccia a faccia televisivo con Renzi, che è a favore della richiesta di Abu Mazen, ecco che subito il premier Monti e il presidente Napolitano gli sono andati dietro. Non ce lo saremmo mai aspettato. Ne consegue che la comunità che rappresento farà campagna a favore di Renzi. Parlo di chi è orientato ad andare a al ballottaggio del Pd”.
L’altra possibile verità , per Pacifici insopportabile, è che Monti abbia deciso per il sì dopo il suo tour nei Paesi del Golfo, pro palestinesi, alla ricerca di investimenti.
“Se così fosse saremmo ritornati all’Italietta che negli anni 70 andava a mendicare nei Paesi arabi con le riserve petrolifere. Non voglio crederci”.
Anche l’ambasciatore israeliano in Italia ha dichiarato che il governo Netanyahu è particolarmente deluso per il voltafaccia di uno dei Paesi più amici.
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
VIA LIBERA AL DECRETO SALVA-AZIENDA
Quello che andrà in scena oggi, con la decisione del Consiglio dei ministri di varare il decreto “salva-Ilva”, è una manovra di accerchiamento della magistratura tarantina all’insegna dell’unità nazionale.
Nonostante il presidente del Consiglio abbia assicurato di “non volere lo scontro con la magistratura”, a dare il senso di quello che sta per accadere sono stati, ancora una volta, il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, e il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini.
Il primo ha sfoderato, dopo mesi di aplomb istituzionale, il volto determinato dell’azienda sparando a zero contro i giudici.
“L’autorità giudiziaria ha alterato le regole” ha detto l’ex prefetto di Milano – che ha anche ricevuto un dura reprimenda da parte del Corriere della Sera – capovolgendo quella che ai più sembra un’altra verità : è l’Ilva che viola le regole mentre la magistratura interviene per far rispettare le leggi.
A quanto pare non è così e, secondo il presidente dell’azienda siderurgica, sarebbero i giudici a provocare “gravi ripercussioni sull’occupazione” tanto che ieri è stata annunciata la possibile chiusura dello stabilimento di Genova.
Giù in strada, sotto Montecitorio, mentre a Palazzo Chigi il governo, con Monti, Fornero, Clini e Passera, incontrava l’azienda, i sindacati al massimo livello, la Confindustria con il presidente Squinzi, a manifestare c’erano proprio gli operai genovesi, zuppi di pioggia e di rabbia. “Assassini” e “parassiti”, le urla preferite per chi ha ormai chiaro il gioco che si sta giocando: “Non ce l’abbiamo con gli agenti (in tenuta anti-sommossa, ndr) ma siamo qui per farci sentire”. Del decreto pensano che sia inutile perchè in due anni è impossibile bonficare l’azienda, oppure che costituisca un regalo all’azienda: “Qui ci vuole un decreto non per salvare l’Ilva ma Taranto” hanno spiegato. A Genova ai loro compagni è andata peggio perchè dopo gli scontri con la polizia uno di loro è rimasto ferito.
L’azienda, però, è sembrata cavalcare questa rabbia avanzando la minaccia della chiusura dello stabilimento tarantino e, a cascata di tutti gli altri: Genova, Racconigi, Novi Ligure.
Eed è qui che interviene il ministro Clini, che ha spiegato la sostanza dell’operazione.
Il decreto, infatti, non solo assumerà l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), già varata a ottobre, come punto di riferimento obbligato facendone il centro della norma di legge ma istituirà un “comitato di garanzia” con compiti di “monitoraggio e sorveglianza” in modo da avere una “funzione di controllo più strutturata”.
In altre parole, il Tribunale di Taranto viene definitivamente escluso da funzioni di controllo che passano esclusivamente al minister con l’istituzione del classico “osservatorio”.
Un escamotage tipico della politica italiana quando deve cercare di conciliare interessi contrapposti. “Chi vuole può ricorrere alla Corte costituzionale” ha quindi affermato Clini acuendo, ancora una volta, la distanza con la magistratura tarantina.
Complice anche il tornado dell’altro ieri, il vertice ha assunto quindi i connotati di un tavolo di unità nazionale.
Anzi, come ha detto Monti, si è trattato di una “vera prova per il Paese”.
Il presidente del Consiglio ha assicurato di aver “sentito il dolore della città ”, dopo la tempesta dell’altro giorno e, con queste premesse, l’assenso delle parti sociali al decreto è apparso piuttosto scontato.
Entusiasta quello del presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, secondo il quale la chiusura dell’Ilva avrebbe “gravi ripercussioni sul tessuto industriale nazionale”.
Convinto anche quello di Cisl e Uil che, con Bonani e Angeletti, parlano di “emergenza nazionale” e della necessità di un “commissario nazionale”.
Più cauta invece la Cgil che con Susanna Camusso ha chiesto una maggiore “responsabilità pubblica” e, con Maurizio Landini, la garanzia di un piano di interventi pubblici in grado di assicurare la bonifica degli impianti.
“Però io il decreto come sarà fatto non l’ho capito” ha dichiarato il segretario Fiom.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
E CRESCONO I SOSPETTI SU UN “PATTO” TRA BERSANI E RENZI PER IL DOPO
Dopo il secondo match tv, c’è un boom di richieste di votare domenica. E si teme il caos ai seggi.
Ora la vera paura è che domenica esploda un gran caos ai seggi, perchè con oltre 6 milioni di persone incollate l’altra sera in tv non sarebbe strano se arrivassero entro stasera 200 mila richieste di nuove iscrizioni: che verranno quasi tutte cestinate perchè «chi può giustificare di non aver avuto tempo di registrarsi on line nei 21 giorni precedenti al primo turno? ».
Molti potrebbero però non demordere ed ecco profilarsi lo spettro di file ai gazebo di aspiranti elettori infuriati per esser rimandati indietro e l’immagine vincente del Pd che va in frantumi.
«Devono stare tutti più tranquilli. Ora bisogna chiudere la partita e andare a vincere, evitando di litigare con Matteo che va tenuto dentro la “ditta” perchè è una risorsa.
Ma se qualcuno pensa di usare questa storia per sporcare le primarie, indebolirmi e frenare la mia corsa verso Palazzo Chigi, si sbaglia di grosso».
Nella stanza dei bottoni, l’input che il leader trasmette ai suoi è di questo tenore e il motivo per cui anche lui ha firmato l’esposto ai garanti non è di escludere Renzi dalla gara, ma un cartellino giallo ad uso preventivo.
Della serie, tu hai violato le regole, non accusare poi noi di farlo.
E infatti Bersani dice che dal ricorso non verrà «nessuna conseguenza sul voto di domenica».
Ma se c’è una preoccupazione, quella non riveste tanto le intenzioni di «Matteo, lui tiene alta questa polemica per motivare i suoi ad andare a votare», quanto quelle di chi può avere un tornaconto a cavalcarla per «sfregiare» un evento che sta facendo lievitare i consensi del centrosinistra.
Non passano inosservati i movimenti di chi nel centrodestra vorrebbe tirare Renzi da quella parte o di un pezzo di establishment che può avere interesse a fiaccare la corsa di Bersani verso la premiership.
Piuttosto se c’è una preoccupazione reale dei suoi in queste ore è che «bisogna lavorare sodo per convincere gli elettori di Vendola e per riportare a votare tutti quelli che al primo turno hanno votato il segretario, cosa non semplice».
Per questo è stato inviato un sms di richiamo ai 5-6 mila comitati sparsi per il territorio, chiedendo di avvisare uno ad uno il milione e trecentomila elettori del segretario.
Con la convinzione che anche se la tensione salirà , «sabato magari grideranno che sono arrivate 200 mila mail e solo mille richieste saranno ammesse, ma tutto finirà il giorno dopo la vittoria di Bersani».
Perchè alle mail tipo già visionate nella stanza dei bottoni, che riportano tutte la motivazione «per motivi indipendenti alla mia volontà non sono potuto venire», la risposta già pronta è: «perchè nei 21 giorni a disposizione non ti sei iscritto on line? ».
L’aria si fa torbida e i sospetti si sprecano tra le tifoserie.
Che però sono molto più scatenate dei loro leader.
Il terrore che sfibra le correnti è quello di un Renzi ormai lanciato verso la segreteria del Pd da un Bersani che pensa solo a Palazzo Chigi: e poco importa se l’interessato non ci pensa proprio e lo va dicendo in pubblico e in privato da settimane.
Il fantasma di un tacito patto che stravolga gli equilibri della «ditta» volteggia nei corridoi: anche se Bersani ripete che «con Renzi non apriamo tavoli o tavolini e dopo le primarie chi perde continua a fare il suo mestiere fino a scadenza».
Ma il sospetto che ricorre tra i peones del Pd è che Renzi voglia far saltare tutto per poi correre in proprio con una sua lista.
E dal Nazareno, la risposta dei bersaniani doc è che «il ragazzo non è stupido e sa che qui dentro conta, fuori invece non conterebbe più nulla… ».
Tradotto, chi evoca una fuoriuscita di Matteo forse se la augura, temendo di non trovare posto nelle liste quando Renzi avrà titolo per piazzare molti dei suoi in Parlamento.
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL PROF. LUIGI BERLINGUER: “RENZI MI HA OFFESO IN TV, MA SARO’ IMPARZIALE”
Il prof. Luigi Berlunguer, ex ministro e deputato, consumato giurista e professore universitario, non si aspettava di tornare in mezzo al campo: Esattamente siamo in quattro, io sono il presidente dei garanti”.
Professore volano insulti, crescono i sospetti
Calmi, siamo riusciti a essere civili, non crede?
Ha punzecchiato Renzi: “C’è chi disinforma e inquina”.
Nessun giudizio.
Quelle due pagine a pagamento sui quotidiani…
Non si poteva, c’è scritto: basta leggersi il regolamento. E non confondere gli elettori.
Non sono i troppi vincoli che confondono?
È sbagliato dire che basta iscriversi per votare. Non stiamo mica scherzando qui.
Ha ricevuto il ricorso contro Renzi firmato Bersani, Vendola, Puppato e Tabacci?
Sì, nelle prossime ore lo valuteremo e vi faremo sapere il nostro parere.
Cosa rischia Renzi?
Sono sincero: non saprei dirle. Non sappiamo nemmeno se il ricorso è valido.
Il tempo stringe.
Faremo tutte le verifiche, con calma.
Il comitato del sindaco denuncia: ci vogliono espellere, molti divieti – come la giustificazione motivata per il ballottaggio – sono stati aggiunti dopo il primo turno.
Io non posso escludere nulla.
Renzi potrebbe beccarsi il cartellino rosso?
Non escludo nulla significa che non posso dire nulla, nè in senso positivo nè in senso negativo. Ma non esageriamo: le regole portano la data del 15 ottobre, poi le abbiamo specificate.
Forse non dovevate “specificare”?
Sa dove sto per entrare?
No, mi dica.
Al ministero degli Interni per una riunione.
La sicurezza è importante.
Non è successo niente e non succederà niente domenica prossima. Però, ricordatevi che più di tre milioni di italiani hanno votato e tanti andranno a votare anche al ballottaggio: portiamo rispetto a questi cittadini
Ce l’ha con Renzi?
Perchè dovrei? Io sono imparziale.
Il sindaco l’ha citata durante il faccia a faccia su Rai1.
Citato, sì, mi ha criticato: non gli sono piaciuto come ministro dell’Istruzione e dell’Università .
Pare di no.
Ma non farò il garante offeso, farò il garante e basta.
In bocca al lupo.
Crepi, e grazie, mi serve molto.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
CON 100.000 EURO SI PAGA FINO A MILLE… MALATTIE GRAVI, MINI CONTRIBUTO
Una spallata dopo l’altra al servizio sanitario pubblico, fino a farlo vacillare.
Le manovre e i tagli si abbattono sulla sanità ormai con cadenza annuale: una botta da quasi 2 miliardi nel 2011, poi da 4 quest’anno e alla fine, nel 2014, addirittura da 11 e mezzo.
La stagione delle riduzioni è iniziata con il governo Berlusconi ed è proseguita con quello Monti.
Se il presidente del consiglio ha espresso dubbi sulla sostenibilità del sistema, una recente ricerca del gruppo Ambrosetti parla chiaramente di un futuro default provocato dall’impennarsi della spesa sanitaria.
E chissà se riusciranno a tenere in piedi il sistema le «nuove forme di finanziamento » auspicate sempre da Monti.
Il punto di partenza dovrebbero essere la franchigia voluta dal ministro alla salute Renato Balduzzi, per far pagare ai cittadini le spese sanitarie in base al loro reddito.
SEI MANOVRE IN 5 ANNI.
Da tempo ormai le Regioni vedono il fondo nazionale crescere meno della spesa, che ogni anno cresce di circa il 3%.
Così si crea uno sbilancio, che deve essere coperto dalle regioni in deficit con interventi straordinari. Secondo lo studio Meridiano sanità di “The european house Ambrosetti”, presentato un paio di settimane fa, la sanità pubblica tra il 2010 e il 2014 ha subito tagli per 26 miliardi, che salirebbero a 30 se si considera anche il 2015.
Sono sei le manovre che hanno colpito la sanità negli ultimi cinque anni.
Quattro portano la firma dell’esecutivo Berlusconi-Tremonti.
Tra queste quella che alla fine dell’estate del 2011 ha introdotto un nuovo ticket sull’attività diagnostica e specialistica.
Non è stato risparmiato nessun anno: — 0,6 miliardi nel 2010, — 1,7 nel 2011, — 2,9 nel 2012, — 6 nel 2013, — 8,5 nel 2013.
Le altre due manovre sono del governo Monti, una è la cosiddetta “spending review”, l’altra la recente legge di stabilità . Insieme hanno tagliato 0,9 miliardi nel 2012, 2,4 nel 2013, 3 nel 2014. Riduzioni che si aggiungono a quelle disposte dal governo precedente.
LE REGIONI, I TICKET.
Il primo effetto delle manovre è quello di obbligare le Regioni a rivedere i servizi sanitari. Negli ultimi anni a Roma si è proceduto sempre nello stesso modo, cioè tagliando il fondo sanitario nazionale e indicando alle amministrazioni locali su cosa intervenire per recuperare i soldi: riduzione dei posti letto e dei piccoli ospedali, taglio dei prezzi corrisposti ai fornitori e ai privati convenzionati, ticket su determinate prestazioni. Stabilire dove devono agire le Regioni finisce per penalizzare quelle che funzionano meglio e magari hanno già fatto alcuni interventi.
Chi ad esempio ha già tagliato i posti letto non riuscirà a recuperare soldi da quella operazione.
Il tutto in un sistema che parte, secondo alcune Regioni, già come sotto finanziato rispetto a quello di altri paesi. La spesa sanitaria pro capite in Italia (2.282 euro nel 2010) è più bassa rispetto a quella di Francia (3.058) o la Germania (3.337).
IL RISCHIO DEFAULT.
Monti ha parlato di un sistema che avrà difficoltà a resistere.
I ricercatori di Ambrosetti, nella pubblicazione “Meridiano sanità ”, si sono spinti oltre. Hanno infatti ipotizzato che entro il 2050, cioè in meno di 40 anni, la spesa sanitaria italiana sarà più che raddoppiata, e salirà a 260 miliardi di euro.
Le cause principali sono legate all’aumento della popolazione anziana e quindi alla maggiore diffusione di malattie croniche.
Passerà così dall’essere circa il 7% del Pil al 10%.
Senza correre troppo verso il futuro, già oggi il sistema ha difficoltà a restare in equilibrio.
La Ragioneria dello Stato ha fatto una previsione che tiene conto del rapporto tra la spesa sanitaria pubblica e il fondo sanitario, ridotto a causa delle manovre e attestato intorno ai 107 miliardi di euro.
Si ipotizza che il deficit per quest’anno superi i 12 miliardi, quello del prossimo anno i 15 e quello del 2014 addirittura i 18. Si tratta di stime inquietanti, moto distanti dai deficit di 6-7miliardi registrati fino al 2011.
QUANTO PAGHEREMO.
Le parole di ieri del presidente del consiglio molto probabilmente sono anche da mettere in relazione con il progetto del ministro alla salute Renato Balduzzi di una nuova forma di compartecipazione dei cittadini.
Si basa su una franchigia, che sarebbe del 3 per mille. Per chi guadagna, ad esempio, 20mila euro sarebbe di 60 euro, o di 300 per chi ne guadagna 100mila all’anno.
Il cittadino pagherebbe le prestazioni sanitarie con tariffe simili a quelle dei ticket fino a raggiungere la franchigia. Se si rivolgerà di nuovo al sistema sanitario non avrà spese. Potrebbe non bastare.
Al ministero temono che qualcuno, una volta raggiunto il proprio limite massimo di spesa, possa richiedere prestazioni, a quel punto gratuite, che non servono e quindi generare comunque una spesa inutile.
Per questo si pensa ad un ticket per far contribuire chi fa visite o esami inappropriati, cioè che non gli servono.
Il sistema della franchigia, però, è pensato evitare l’entrata in vigore nel 2014 di un nuovo ticket, 2 miliardi in tutto, voluto dal governo Berlusconi-Tremonti.
Da solo quindi non basterebbe ad affrontare la crisi di finanziamento del sistema sanitario, che poggia su cifre ben superiori.
Saranno necessari ancora grossi interventi di risparmio delle Regioni, da cui i servizi sanitari rischiano di riuscire ridimensionati.
E magari sarà necessario aumentare le persone con un’assicurazione sanitaria, che al momento nel nostro paese sono 11 milioni.
Michele Bocci
(da “La Repubblica“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
DOVREBBERO APPRODARE AL MOVIMENTO “DIRITTI E LIBERTA” DI DONADI E FORMISANO
Da oggi 178.283 voti, pari al 6,23% dell’elettorato campano di un paio di anni fa, sono orfani di rappresentanza politica.
Erano i voti dell’Italia dei Valori alle ultime elezioni regionali campane. Erano i voti della lista di Antonio Di Pietro.
Nel quadro di disfacimento nazionale del partito dell’ex pm di Mani Pulite, spicca il caso Campania. Dove il gruppo consiliare regionale Idv non c’è più.
Si è estinto per abbandono di tutti e quattro i consiglieri.
Il 27 novembre se ne sono andati gli ultimi due: il capogruppo Edoardo Giordano e il potentissimo “signore delle preferenze” Nicola Marrazzo, 13.660 consensi nel 2010, il secondo dipietrista più votato in Italia, che nella precedente consiliatura fu presidente della commissione Bilancio nella maggioranza Bassolino e attualmente è componente dell’ufficio di presidenza del consiglio.
I due, che appena una quindicina di giorni fa erano seduti affianco a Di Pietro in una conferenza stampa a Napoli di commento alla scissione di Donadi e Formisano, sarebbero prossimi a passare a ‘Diritti e libertà ‘, il movimento fondato dai due parlamentari.
Su input di Formisano, l’ex coordinatore campano di Idv, molto attivo nel reclutare generali e colonnelli delle truppe dipietriste.
Anita Sala, consigliera regionale molto vicina a lui, ha già aderito a ‘Diritti e libertà ‘.
Dei quattro consiglieri campani, il primo ad andare via fu il salernitano Dario Barbirotti. Ma il suo fu un addio deciso prima della scissione, per ragioni legate a vicende giudiziarie in corso.
Giordano e Marrazzo (non) spiegano l’abbandono dell’Idv in una scarna nota di circostanza: “Dopo una lunga e leale militanza in Italia dei Valori e a seguito di una lunga e sofferta riflessione, abbiamo deciso, insieme con numerosi esponenti politici e istituzionali locali, di lasciare il partito di Antonio Di Pietro”.
Segue l’elenco di chi ha condiviso il passo: Pino Crispino (coordinatore Idv in Provincia di Caserta), Vincenzo Lippiello (coordinatore Idv in Provincia di Avellino), Luciano Ceccacci (componente coordinamento regionale Idv), Stefano Buono (componente coordinamento regionale e primo dei non eletti di Napoli al consiglio regionale).
Peraltro, nei giorni scorsi, Marrazzo aveva già trasmesso un comunicato di manifestazione di interesse verso il movimento di Donadi e Formisano, interpretato come un’anticipazione del suo ingresso in ‘Diritti e libertà ‘.
Era stata pure fissata una conferenza stampa a Napoli con Donadi per comunicare la migrazione di massa, ma è stata disdetta all’ultimo momento.
Bisogna ancora chiarire un paio di punti di non poco conto.
Come le candidature al Parlamento.
Con Marrazzo in prima fila, pronto al grande salto. E lasciare a Buono lo scranno regionale. Operazione semplice e priva di conseguenze ‘economiche’, visto che Di Pietro ha deciso di rinunciare alla penale di 100.000 euro della ‘clausola antivoltagabbana’.
Resiste invece il fortino in consiglio comunale di Napoli.
Dove Idv ha portato al massimo incasso la scelta di lanciare la candidatura a sindaco di Luigi de Magistris contro tutto e tutti, Pd compreso.
Qui i consiglieri sono 14 su 60, primo gruppo consiliare della città (erano 15, uno se ne è andato da tempo per tornare nei Verdi). Solo che il gruppo risponde esclusivamente a de Magistris e al suo interno pulsano tentazioni di passaggio al movimento arancione del primo cittadino.
Il senatore Nello Di Nardo, commissario campano di Idv dopo la fuoruscita di Formisano, commenta così l’emorragia in corso: “Emorragia? Se ne sono andati solo i consiglieri regionali e pochi altri. Non ho capito ancora con chi stanno, che tipo di scelta è la loro. E’ una battaglia politica contro la linea di Di Pietro o è soltanto altro”?
Maliziosa allusione alle candidature da decidere di qui a breve.
Di Nardo infatti invita a riflettere sulla girandola di comunicati che ha preceduto l’abbandono dei consiglieri regionali: “Un lancio di agenzia dava per certa la loro adesione a ‘Diritti e libertà ‘, poi smentita poche ore dopo, e la vicenda della conferenza stampa indetta e poi annullata: già stanno litigando tra di loro? E su cosa?”.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL TITOLARE DELLA CONVENZIONE PER I SITI ARCHEOLOGICI SICILIANI E’ FINITO AGLI ARRESTI DOMICILIARI… AVREBBE SOTTRATTO 33 MILIONI DI EURO DI BIGLIETTI ALLE CASSE PUBBLICHE, SOLO 14 VERSATI
Trentatrè milioni di euro, frutto dei biglietti pagati dai visitatori dei principali musei della Sicilia, volatilizzati nel nulla.
Una cifra enorme che sarebbe stata sottratta da Gaetano Mercadante, imprenditore romano di 51 anni, finito agli arresti domiciliari per peculato.
Mercadante è stato infatti arrestato dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza che ha eseguito l’ordinanza emessa firmata dal giudice per le indagini preliminari di Palermo Marina Petruzzella.
L’imprenditore romano è il legale rappresentante della Novamusa Valdemone, della Novamusa Val di Mazara e della Novamusa Val di Noto.
Le tre società facevano parte dell’associazione temporanea di imprese alla quale dal 2003 l’assessorato regionale ai Beni Culturali aveva affidato la gestione dei principali siti archeologici siciliani.
Dal Teatro Antico di Taormina, fino Museo Archeologico di Messina, dall’Area Archeologica dei Giardini Naxos all’Orecchio di Dionisio a Siracusa, dalla Cava di Ispica a Modica fino all’Area Archeologica di Segesta e a quella di Selinunte, tutti i principali musei dell’isola erano praticamente gestiti dalle società di Mercadante.
L’uomo che per anni ha gestito i gioielli archeologici siciliani si occupava soprattutto della riscossione dei biglietti pagati dalle migliaia di turisti che ogni anno si recano a visitare i siti più suggestivi dell’isola.
Una specie di miniera d’oro che negli anni si è però trasformata in un gigantesco buco per il bilancio della Regione Sicilia.
Tra l’assessorato ai beni culturali e le società di Mercadante era stata infatti stipulata una convenzione per la gestione dei servizi di ristoro e della biglietteria dei siti archeologici: del ricavato alle società concessionarie sarebbe spettato il dieci per cento, il resto era invece di pertinenza della Regione Sicilia (al 70%) e dei comuni in cui sorgono i siti archeologici (al 20%). Solo che sarebbe spettato alle società di Mercadante versare gran parte degli introiti agli enti. Che da tempo, invece, non vedevano un euro.
E quando le società di Mercadante operavano i versamenti lo facevano con grande ritardo.
E’ per questo che nel 2008 Romeo Palma, il dirigente generale del diparimento Beni Culturali, aveva bloccato le concessioni alle società Mercadante.
Nel frattempo la procura di Palermo aveva aperto un’indagine sul caso. Durante l’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dal sostituto Amelia Luise, erano stati acquisiti i profili bancari delle società di Mercadante.
Gli inquirenti hanno così scoperto che dal 2004 al 2011 l’imprenditore non aveva versato a Regione e comuni profitti per ben trentatrè milioni di euro, tutti o quasi provenienti dalla vendita di biglietti per accedere alle aree archeologiche.
Quattordici milioni di euro sono effettivamente poi arrivati nelle casse degli enti, ma con notevole e inspiegabile ritardo.
Mentre ammonterebbe a ben diciannove milioni di euro la cifra che sarebbe stata trattenuta nei conti delle società di Mercadante: un buco milionario che avrebbe causato un ammanco di quattordici milioni di euro nei bilanci della Regione, e di cinque milioni di euro nei bilanci dei comuni.
Un vero e proprio tesoretto, tutto rimasto nelle tasche di Mercadante, l’ex bigliettaio d’oro dei musei siciliani, oggi accusato di aver fatto una cresta un po’ troppo sospetta per non dare nell’occhio.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia, Giustizia | Commenta »