Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
PREVISTO UN INCREMENTO DEL 36% ENTRO IL 2026
I pensionati tedeschi possono guardare con fiducia al futuro. 
I loro assegni mensili aumenteranno significativamente nei prossimi anni, grazie all’ottimo stato di salute del sistema previdenziale pubblico che ha beneficiato della crescita degli occupati e dei loro stipendi.
Questo è il quadro contenuto nel Rentenversicherung, il rapporto annuale redatto dal governo di Berlino e pubblicato ieri.
A differenza di numerosi Paesi europei — Italia inclusa — che hanno sforbiciato le pensione, la Germania intende aumentarle nel periodo 2013-2016 dell’8,27% nei Laender occidentali e dell’11% in quelli dell’ex Germania dell’Est.
L’anno prossimo l’aumento sarà dell’1% nell’Ovest e del 3,49% nell’Est, il maggior aumento dal 1997.
I cittadini dell’Ovest potranno recuperare il terreno perduto nel 2015, quando vedranno salire le pensioni del 2,55%, il maggior rialzo dal 1993.
Questi dati hanno immediatemente infiammato la discussione politica, con l’Spd (i socialisti attualmente all’opposizione) che ha accusato il cancelliere Angela Merkel di volersi ingraziare gli elettori con regalie pre-elettorali.
Il prossimo 22 settembre — data fissata oggi, anche se non ancora ufficialmente — i cittadini tedeschi saranno infatti chiamati alle urne.
E per raccogliere voti anche presso i lavoratori il governo ha deciso che a partire dal prossimo primo gennaio il prelievo in busta paga per la previdenza scenderà dall’attuale 19,6% al 18,9%, livello a cui dovrebbe restare fino al 2018.
Questa misura è resa possibile dal florido stato del sistema pensionistico: a fine anno le riserve saranno pari a 1,69 mesi di pagamenti (29,4 miliardi di euro), contro gli 1,5 mesi previsti dalla legge. Chi critica l’aumento delle pensioni deciso dalla Merkel punta il dito contro le previsioni di crescita dell’occupazione e degli stipendi contenuti nel rapporto (gli incrementi previdenziali dovranno infatti essere rivisti se la congiuntura sarà più debole del previsto).
Per rispettare la tabella di marcia fissata gli stipendi lordi dovrebbero crescere annualmente ad una percentuale compresa fra il 2,5% e il 2,8% nei prossimi quattro anni, mentre il numero dei disoccupati dovrebbe scendere dagli attuali 2,89 milioni a 2,85 milioni del 2016.
Implicitamente, dunque, il governo Merkel ha rivisto le proprie previsioni sul mercato del lavoro che, fino a oggi, prevedevano la creazione di 250 mila posti di lavoro entro il 2016.
Altri interessanti dati contenuti nel Rentenversicherung riguardano le pensioni medie percepite nel 2012 dai 20 milioni di tedeschi che ne hanno diritto: le coppie di marito e moglie hanno potuto contare su complessivi 2.433 euro, gli uomini soli su 1.560 e le donne sole su 1.292.
Entro il 2030, inoltre, le pensioni dell’Est dovrebbero essere uguali a quelle dell’Ovest: oggi sono solo l’88,8%.
Entro il 2026, infine, le pensioni tedesche dovrebbero crescere complessivamente del 36% rispetto ai livelli attuali. Crisi dell’euro permettendo.
Giorgio Faunieri
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’IMBARAZZANTE CASO ILVA: RIVA LATITANTE RAPPRESENTATO DA FERRANTE, UN EX PREFETTO CHE AVEVA GIURATO SULLA LEGALITA’ E IL RISPETTO DELLE ISTITUZIONI
Sono tante le ragioni per cui Fabio Riva deve consegnarsi immediatamente alla giustizia. Ma la prima è il rispetto di un principio fondamentale del vivere civile troppo spesso considerato un optional: la legalità .
La sua azienda attraversa il momento più difficile della propria storia.
Al punto che la stessa esistenza dell’Ilva di Taranto viene messa in discussione, con il rischio della desertificazione industriale di una delle poche aree del Sud dov’è presente la grande impresa.
Il passaggio è delicatissimo, visto che si tratta di conciliare l’imprescindibile tutela della salute con la difesa di migliaia di posti di lavoro: un’emergenza sociale, che spinge il governo a prendere un provvedimento senza precedenti come un decreto legge per impedire (trombe d’aria a parte) la serrata degli impianti.
Le accuse sono pesantissime.
I magistrati arrivano a parlare di «infiltrazione e manipolazione delle istituzioni da parte dei vertici Ilva» per ottenere autorizzazioni ambientali compiacenti.
Fatti che vanno accertati al più presto, disinnescando quella bomba sociale che rischia di esplodere dopo la decisione di chiudere gli stabilimenti, contestuale all’ultima iniziativa della Procura.
Soprattutto, avendo ben chiaro che la necessaria assunzione di responsabilità non prevede la fuga all’estero dell’imprenditore.
E che la fine della sua latitanza favorirebbe anche le ragioni dell’impresa, in un Paese dove per meccanismi assai singolari la magistratura finisce per assumere ruoli propri di altri pezzi dello Stato.
Una contumacia, quella di Riva, tanto più grave se si considera che il legale rappresentante della sua impresa è stato per trent’anni un uomo delle istituzioni: il presidente Bruno Ferrante.
È l’ex vice capo della polizia ed ex prefetto di Milano, il quale nel corso della sua lunga e molto apprezzata carriera pubblica ha ricoperto incarichi importantissimi.
Per esempio, quello di capo di gabinetto dell’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando questi era ministro dell’Interno, oppure quello di alto commissario di governo per la lotta alla corruzione.
Nel 2006 ha pure conteso senza successo a Letizia Moratti la poltrona di sindaco di Milano, dopo aver sconfitto alle primarie del centrosinistra il premio Nobel Dario Fo. Proprio durante quella campagna elettorale ha dichiarato in un’intervista a Repubblica: «Ho vissuto tutta la mia vita credendo nel rispetto della legalità e delle regole».
Può un ex prefetto restare presidente di un’azienda il cui imprenditore è destinatario di un ordine di cattura e sceglie la strada della latitanza? Crediamo di no.
Qui si capisce quanto certe scelte «professionali» possano risultare insidiose.
Quando un ex servitore dello Stato passa a occuparsi di interessi privati può capitargli di trovarsi un giorno dalla parte opposta della barricata.
Anche soltanto mettendo la propria firma sui ricorsi contro le decisioni dei magistrati. E non deve succedere.
Chi ha avuto responsabilità pubbliche di questo calibro dev’essere ben conscio che esiste un serissimo problema di opportunità nel caso in cui si accetta un incarico privato.
Perchè oltre alla coerenza personale c’è in ballo il prestigio delle istituzioni che si sono servite.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
DECISIVA LA PROSSIMA SETTIMANA: PREMIER DEL CENTROSINISTRA, LEGGE ELETTORALE E SCELTE DI BERLUSCONI SARANNO LE SCADENZE DELLA POLITICA
L’ impressione è che la prossima settimana definirà il grosso delle alleanze per le
elezioni politiche; e forse anche alcuni dei candidati a palazzo Chigi.
Non soltanto dunque quello del centrosinistra, deciso nel ballottaggio di domenica fra Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, e il sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
Diventeranno più chiari anche i contorni ed i termini della frattura e del vuoto che si stanno creando nel fronte berlusconiano: a cominciare dalla «lista personale» di Silvio Berlusconi, ai rapporti col «suo» Pdl e alla possibilità che Angelino Alfano celebri davvero le primarie.
Il contestato ritorno del Cavaliere sta avendo come primo effetto quello di affossarle.
Ma soprattutto, presto si capirà se il margine sottile per approvare una riforma elettorale esiste davvero o è l’ennesima schermaglia.
Le tre scadenze sono destinate a intrecciarsi al di là dell’esito di ciascuna.
La sfida fra Bersani e Renzi è osservata da alcuni spezzoni del centrodestra con l’interesse di chi punta sul «primo cittadino» di Firenze per destabilizzare la candidatura del segretario alla presidenza del Consiglio.
Un Pdl tormentato dai conflitti interni guarda, magari in modo strumentale, alla conta in atto nel Pd.
Approva l’aggressività di un Renzi che ritiene vantaggioso attaccare per strappare voti a Bersani; e che per questo lo accusa di essere «candidato ma anche arbitro»: un’allusione velenosa alle regole del ballottaggio come un vantaggio per il segretario.
Non è chiaro se sia un’arma per giustificare in modo preventivo una sconfitta; oppure solo una polemica passeggera.
Il tentativo di calamitare quanti domenica scorsa hanno votato per Nichi Vendola è esplicito da parte di entrambi.
Il segretario di Sel si prepara ad appoggiare Bersani: “Pier Luigi sta dicendo parole che profumano di sinistra», afferma Vendola.
Ma Renzi tenta di convincere almeno una parte di quei 500 mila che non hanno più un candidato a scegliere lui in nome del rinnovamento.
Il centrosinistra, tuttavia, si muove come chi pensa di avere già la vittoria in tasca.
È il campo opposto a presentarsi come una voragine disseminata di macerie e segnata dall’incertezza.
L’idea di Berlusconi sarebbe quella di creare una sorta di federazione di movimenti che marciano divisi e colpiscono uniti; e questo comporterebbe di fatto la liquidazione del Pdl. L’istinto di sopravvivenza porta invece Alfano e la sua nomenklatura a contrapporsi alla strategia berlusconiana.
Ma è una resistenza disperata, che conferma quanto sia difficile guidare e cambiare il Pdl contro la volontà del suo fondatore.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI FIRENZE PROPONE TAGLI DRASTICI AI PRIVILEGI DEI POLITICI, IL SEGRETARIO PUNTA SU PENE PIU’ SEVERE PER CORRUZIONE E FALSO IN BILANCIO…LA LOTTA ALLA PRECARIETA’ E’ UN OBIETTIVO COMUNE MA CON DIVERSE STRATEGIE
Tutti e due le chiamano idee.
“Dieci idee per cambiare” quelle di Pierluigi Bersani in altrettante brevi schede tricolori.
“Idee” soltanto, ma 12 e ampiamente declinate, quelle di Matteo Renzi.
Tutte in belle vista nei rispettivi siti; giudicabili, tweettabili, spedibili, scaricabili come meglio si crede.
Sulle pagine web a regola d’arte del sindaco di Firenze ci sono anche gli indici di gradimento di Facebook: i “mi piace”, che però calano progressivamente, insieme all’attenzione dei lettori, dai 2.700 giudizi positivi della prima scheda sulle riforme istituzionali ai soli 15 dell’ultima sul ruolo dell’Italia nel mondo.
CONTRO LA CASTA
D’altronde per il sindaco “rottamatore” le riforme della politica sono anche uno dei temi punta. Quindi: abolire tutti i vitalizi, abolire le Province, abolire il finanziamento pubblico ai partiti, abolire anche una delle due Camere.
E ancora: stabilire per i consiglieri regionali “un compenso e un budget per le attività di servizio uguale in tutte le Regioni” e affidare ai cittadini la scelta dei deputati e di un leader “messo in condizione di governare per l’intera legislatura e di attuare il programma proposto alle elezioni”.
Parole che trovano orecchie attente nel clima di risentimento che aleggia nei riguardi della classe politica e dei suoi privilegi.
Difatti neanche Bersani si sottrae dal mettere al primo punto le riforme: “Occorre adeguare gli emolumenti della classe politica italiana alla media europea, riformare i partiti, ridurre il finanziamento pubblico, rafforzare la normativa contro la corruzione”, elenca la prima idea del segretario.
Che però dopo la stagione berlusconiana vede finalmente nella prossima “una legislatura costituente” che affronti “il tema del rapporto tra stato, regioni e enti locali” e vari “norme stringenti in materia di conflitto d’interessi, legislazione antitrust, libertà l’informazione, falso in bilancio”.
“STATI UNITI D’EUROPA”
Poi viene l’Europa, tanto per il segretario che per il sindaco.
E con l’orizzonte comune degli “stati uniti d’Europa”. Bersani chiede il coordinamento delle “politiche economiche e fiscali attraverso istituzioni comuni direttamente legittimate dalla popolazione tramite elezioni”.
E lo stesso fa Renzi quando chiede “l’elezione diretta da parte dei cittadini europei” delle istituzioni continentali per “venire incontro ai problemi di milioni di disoccupati, soprattutto giovani, favorire l’inclusione sociale e combattere la povertà ”.
La differenza si pone però sul piano nazionale, in Italia, dove il segretario del Pd ritiene che “un patto di legislatura con le forze moderate rappresenti l’alternativa alle regressioni nazionaliste, antieuropeiste e populiste che sono e restano incompatibili con le radici di un’Europa democratica, aperta e inclusiva”.
A sancire quella mano protesa verso i centristi che distingue Bersani da Renzi, quasi invertendone i ruoli.
ISTRUZIONE
In quanto all’istruzione, il segretario del Pd invoca “un piano straordinario contro la dispersione scolastica, misure per il diritto allo studio e investimenti sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione”; non senza trascurare la qualificazione del corpo insegnante sottopagato.
Renzi la prende invece dalla scuola dell’infanzia, proponendo di “dare al 40% dei bambini sotto i tre anni un posto in un asilo pubblico entro il 2018”.
Anche il sindaco sente il bisogno di “un forte investimento sulla scuola e, in particolare, sulla formazione e l’incentivazione degli insegnanti, sull’edilizia scolastica e sull’upgrade tecnologico della didattica”; sempre insieme alla “formazione in servizio per gli insegnanti”. In più lo sfidante invoca anche il dimezzamento degli atenei e dei privilegi dei cui godono i formatori, gli accademici, a discapito degli studenti.
FISCO.
Altro snodo chiave e comunque è quello del fisco, diversamente articolato nelle schede dei due sfidanti. Il ridisegno del sistema proposto da Bersani prevede di “alleggerire il peso del fisco sul lavoro e sull’impresa, lottando contro l’evasione e spostando il peso del fisco sulla rendita e sui grandi patrimoni finanziari e immobiliari”.
Secca e circostanziata la controproposta di Renzi: “Ridurre l’imposizione tributaria sui lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 2000 euro netti al mese per un ammontare di 100 euro al mese” da finanziare “con i proventi del recupero della lotta all’evasione fiscale”. Inoltre il sindaco propone una lunga e dettagliata scheda sulla semplificazione fiscale a favore sia dei cittadini che delle imprese.
LAVORO E PRECARI.
“Contrasteremo la precarietà , cambiando le norme e rovesciando le politiche messe in atto dalla destra nell’ultimo decennio — assicura il programma di Bersani — Combatteremo l’idea di una competitività giocata solo sull’abbassamento delle condizioni e dei diritti dei lavoratori”.
Non è altrettanto categorico, ma più circostanziato, il sindaco di Firenze.
Al punto 6 si legge infatti: “Proponiamo la sperimentazione, in tutte le imprese disponibili, per i nuovi insediamenti e/o le nuove assunzioni, di un regime ispirato al modello scandinavo: tutti assunti a tempo indeterminato (tranne i casi classici di contratto a termine), a tutti una protezione forte dei diritti fondamentali e in particolare contro le discriminazioni, nessuno inamovibile; a chi perde il posto per motivi economici od organizzativi un robusto sostegno del reddito e servizi di outplacement per la ricollocazione”.
WELFARE.
Renzi colloca il tema della lavoro entro quella riforma del welfare che, osserva, manca solo a Grecia e Italia. Il sindaco pone l’attenzione anche sulla riforma del terzo settore e i nuovi servizi alla persona, mentre in materia di sanità il suo dettagliato decalogo in nove punti parte dall’idea di “abbandonare il criterio dei tagli lineari a favore di una definizione di standard su costi/efficacia”.
Quanto poi alla riforma previdenziale introdotta da Elsa Fornero, per il sindaco “non verrà messa in discussione”.
A questo riguardo il programma di Bersani invece tace.
Per il segretario è “lo squilibrio nel rapporto tra rendita e lavoro” che “mina alle fondamenta la sostenibilità del nostro welfare”.
Occorre quindi che “chi ha di più” sia “chiamato a dare di più”, in modo di aiutare a migliorare le condizioni di vita di chi ha di meno.
Chiosano invece le idee di Renzi che occorre anche “riformare il settore bancario, inserendo una più netta separazione tra attività commerciali e di investimento”.
BENI COMUNI.
L’idea di Bersani è quella dei beni comuni quando dice che “sanità , formazione e sicurezza devono essere accessibili a tutti”. Secondo il segretario “l’energia, l’acqua, il nostro patrimonio paesaggistico e culturale, il welfare come la formazione sono beni che vanno tutelati” e per cui “bisogna introdurre normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o, in alternativa, i compiti delle autorità di controllo a tutela delle finalità pubbliche dei servizi”.
GLOBALIZZAZIONE
Secondo il leader del Pd per “vincere la sfida della globalizzazione” occorre “tornare a puntare sull’eccellenza del Made in Italy”.
Perciò è necessario individuare “aree d’investimento, ricerca e innovazione nell’industria, nella agricoltura e nei servizi”. In quest’ottica “siamo per una politica industriale che rispetti l’ambiente”, recita il programma di Bersani. “Dare la priorità alle manutenzioni e alle piccole e medie opere”, scegliendo “le grandi opere che servono davvero”, risponde Renzi.
A questo proposito “il Mezzogiorno non è un’area geneticamente modificata, ma il banco di prova delle nostre proposte: ricambio della classe dirigente e rottamazione dei privilegi”.
Renzi propone inoltre l’istituzione di un ministero della cultura e l’investimento nel turismo. Tutto ciò puntando sulla “sostenibilità ambientale: energie rinnovabili e riduzione dei rifiuti”.
DIRITTI.
In coda ai due programmi le tematiche dei diritti.
Renzi aggiunge anche la necessità di “ridurre il numero delle forze di polizia” e di “un solo numero di emergenza”.
A discapito della matrice confessionale, il catalogo sui diritti del sindaco di Firenze poi spazia dalla “depenalizzazione” rispetto alla legge Fini/Giovanardi sulle tossicodipendenze, ai diritti delle coppie di fatto, la lotta omofobia, il divorzio veloce, i diritti delle famiglie omogenitoriali, la lotta alla violenza domestica, il testamento biologico.
Si legge invece nella scheda di Bersani l’impegno “per contrastare la violenza sulle donne e promuovere con urgenza una legge contro l’omofobia”, il riconoscimento della cittadinanza ai nati in Italia e quello giuridico alle coppie omosessuali.
Memore delle precedenti esperienze di governo del centrosinistra Bersani aggiunge infine un’idea sulla responsabilità non petita.
Cioè sul fatto che la coalizione si impegna a “sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie”, affidandogli la guida della maggioranza e la risoluzione delle controversie.
Cosimo Rossi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
MELONI: “NON MI RITIRO”… CATTANEO: “E’ UNA VERGOGNA, CHE DICIAMO ORA A CHI HA FIRMATO?”…GALAN REPLICA: “TUTTO RUOTA ATTORNO A SILVIO, FACCIANO IL PARTITO COCA LIGHT”
C’è Alessandro Cattaneo, sindaco 33enne di Pavia, che più che deluso si dice
«arrabbiato».
E c’è Giorgia Meloni, 33 anni, ex ministro e punto di riferimento dei giovani del partito (e prima ancora di quelli di An), che via Twitter dice: «Si dice vogliano annullare le primarie, ma nessun organo del Pdl si è riunito. Chi vuole annullarle ci metta la faccia, io non mi ritiro».
Sull’altro fronte Daniela Santanchè, 51 anni, già avversaria del Cavaliere alle ultime elezioni alla guida de La Destra e oggi sua strenua sostenitrice, ritiene saggia la decisione di cancellare una competizione che, organizzata in fretta e furia, avrebbe favorito i candidati di apparato o dotati di «truppe cammellate» (riferimento ad Alfano e alla stessa Meloni).
E Giancarlo Galan, 56 anni, uno dei primi a proporsi per la guida del partito, che intervistato dal Corriere dice senza girarci attorno che «io sto con i dinosauri» e che «tutto il centrodestra ruota e ruoterà intorno a Berlusconi» (76 anni, per la cronaca).
SCONTRO GENERAZIONALE
Nel centrodestra, dopo la diffusione della notizia delle primarie di fatto sfumate, quello che emerge è sempre più uno scontro generazionale.
Tra i giovani che pur senza rinnegare il ruolo del fondatore del partito vorrebbero un rinnovamento e che guardano con un po’ di invidia alla apertura alla società mostrata dal centrosinistra («e meno male che noi dovremmo essere il Popolo della Libertà …» ha commentato Meloni a Porta a Porta) e i fedelissimi dell’ex premier, che considerano le primarie una sorta di sgambetto ingrato a chi il Pdl lo ha creato e plasmato.
In tutto questo Alessandro Proto, uno degli outsider che si erano fatti avanti per le primarie del centrodestra, si smarca e annuncia di voler creare un proprio partito («l’attuale classe dirigente, Alfano in testa, non era assolutamente capace di un confronto con persone estranee alla politica ma focalizzate sul lavoro»).
«E CHI CI HA CREDUTO?»
Alessandro Cattaneo, intervenuto a Omnibus, dice di volere ancora sperare, anche se al momento l’umore non è dei migliori: «Per primo ho consegnato la settimana scorsa le 15.000 firme, aspettavo ci fosse l’ok per i candidati e invece nessuno sa più niente: è una situazione assolutamente vergognosa. Adesso sono tutti preoccupati a sentire cosa si dicono Berlusconi ed Alfano io invece devo rendere conto a quelle 15 mila persone che mi hanno consegnato le loro firme e che vogliono coerenza e serietà , mi chiedono cosa succede e io sono in imbarazzo».
E ancora: «Queste primarie si devono fare, anche perchè fanno bene: il Pd è arrivato al 30% dei consensi con le primarie e oggi in politica sono l’unico modo per affermare una credibilità ». E per Giorgia Meloni «un partito come il nostro non deve avere paura di confrontarsi con gli italiani».
IL PARTITO «COCA LIGHT»
Ma ai giovani arriva la stoccata indiretta di Galan, tra i fondatori di Forza Italia, entusiasta per un possibile ritorno alle origini.
Per l’ex governatore veneto gli emergenti del Pdl «non hanno un minimo di autonomia, si portano dietro i valori dell destra che sono altra roba. Per questo bisogna presentare un’offerta diversificata. Farei come la Coca Cola, che ad un certo punto ha fatto la light. Berlusconi dovrebbe tornare alla bottiglietta di vetro classica, alla Coca Cola storica. E loro fare il Pdl Coca light».
TUTTI CON IL CAV.
Il resto del Pdl sembra oggi schierarsi con Berlusconi in vista di un suo rientro sulla scena, anche se gli ex An mettono le mani avanti: Forza Italia sarebbe «un ritorno al passato, una ricetta sbagliata» e gli ex An che oggi sono nel Pdl «non potrebbero aderire» sottolinea Massimo Corsaro.
Maurizio Lupi, che a Porta a Porta ha evidenziato come il ritorno di Berlusconi rimetta tutto in discussione, sul suo sito ribadisce l’importanza delle primarie e sostiene che il Cavaliere e Alfano – che le primarie le ha fortemente volute ma che dopo l’accelerazione delle ultime ore verso una loro cancellazione non ha ancora preso posizione – «devono chiarirsi».
Mariastella Gelmini a Tgcom24 dice che «c’è troppo poco tempo» e che «si cercherà il rinnovamento del partito per altre vie, come ad esempio convention programmatiche, un consiglio nazionale e incontri sul territorio».
Sandro Bondi punta invece il dito contro gli ex An e i cattolici, contro i Quagliariello e i Sacconi che si sono dedicati a una «saldatura con l’area di An tesa soltanto alla gestione del partito» e rileva come «le primarie sono state volute proprio per suggellare l’accordo e in funzione di una conta interna, una sorta di congresso anticipato».
E ancora: «Solo Berlusconi ha l’esperienza e la forza per mantenere unito il centrodestra e rivolgere un appello alle forze migliori del Paese. Chi pensa oggi di fare senza di lui o contro di lui non ha il polso della realtà ».
Alessandro Sala
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
MA CHI DA’ TUTTI QUESTI SOLDI AL BAMBOCCIONE LIBERAL? CHI GLI HA ASSEGNATO LA MISSION DI VINCERE A TUTTI COSTI E CON TUTTI I MEZZI? CHE INTERESSI ANDRA’ A RAPPRESENTARE?
È guerra nel Pd sulle regole per le nuove iscrizioni per votare al ballottaggio, riaperte tra giovedì e venerdì.
I rappresentati di Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola, Bruno Tabacci e Laura Puppato hanno presentato un esposto al collegio dei garanti delle primarie contro le pagine a pagamento, comparse oggi su tre quotidiani (Corriere della Sera, Quotidiano Nazionale e La Stampa), in cui i renziani, dietro il nome di domenicavoto.it riconducibile alla fondazione Big Bang di Matteo Renzi, invitano alla registrazione in vista del ballottaggio.
Al sindaco di Firenze si imputa di avere «violato tutte le regole del codice di comportamento che aveva sottoscritto e che vieta la pubblicità sui giornali», ha spiegato Paolo Fontanelli, rappresentate di Bersani.
Non solo: «C’è evidentemente uno sfondamento del tetto delle spese e una violazione delle regole di trasparenza».
Renzi replica con un tweet al pandemonio sollevato dall’esposto: “Evitiamo il nervosismo e manteniamo il clima giusto, dai».
I MOTIVI
Nell’esposto presentato da Paolo Fontanelli, in qualità di rappresentante nazionale di Bersani, Pino Bicchielli (Tabacci), Gianluca Zuccari (Puppato), e Loredana De Petris (Vendola), si legge che le pubblicità a pagamento apparse oggi sui quotidiani sono «in aperta violazione con il Codice di Comportamento dei candidati e con i Principi Regolamentari», e sono riconducibili «al candidato Matteo Renzi per i seguenti motivi: 1) La pubblicità contenuta in tale pubblicazione, apparentemente «istituzionale» non è stata deliberata nè pubblicata dal Coordinamento nazionale delle Primarie, unico organismo preposto e legittimato a farlo; 2) La pubblicità contenuta in tale pubblicazione è ingannevole, in quanto suscita la convinzione che chi non si è iscritto all’Albo degli elettori entro la data del 25 novembre e, di conseguenza non ha votato al primo turno, può farlo semplicemente richiedendo la registrazione «tout court», senza specificare che, in realtà , la tipologia dei casi ammissibili è rigorosamente disciplinata; 3) La pubblicità contenuta in tale pubblicazione è palesemente riconducibile al candidato Matteo Renzi, in quanto specifica che «è possibile inviare la richiesta (di registrazione) tramite il sito www.domenicavoto.it. È pertanto evidente che il candidato Matteo Renzi sta tentando artatamente di modificare in maniera consistente la base elettorale dei votanti per il turno di ballottaggio».
«SCATENARE L’INFERNO»
Poco prima dell’esposto, il presidente dei Garanti, Luigi Berlinguer, già denunciava: «Sono stato colpito da un messaggio intercettato casualmente da “Trevi Adesso” che invitava a portare tanta gente a votare e a “scatenare l’inferno”. Ci fa piacere che tanta gente vada a votare come è stato già per il primo turno ma noi non vogliamo l’inferno ma il paradiso e uno svolgimento ordinato delle votazioni come è avvenuto domenica scorsa».
La mail sarebbe stata diffusa dal comitato di Renzi in vista del ballottaggio. «C’è chi sta provando ad inquinare l’informazione e a disinformare».
Berlinguer interviene anche contro le pagine a pagamento: «Ma questo – sostiene Berlinguer – non è quello che abbiamo deciso insieme».
Il presidente dei garanti spiega poi che «ai comitati stanno arrivando una serie di richieste di registrazioni, non singole ma seriali, e questo inganna gli elettori e turba il sereno svolgimento del ballottaggio».
Il presidente del Comitato ricorda che «al secondo turno abbiamo previsto qualche deroga per chi non ha potuto votare al primo turno per ragioni indipendenti alla sua volontà . Sono casi eccezionali ed individuali e le richieste di votare vanno motivate perchè i comitati provinciali devono valutare la motivazione».
MAIL BOMBING
Per recuperare 290mila voti che lo separano da Bersani, Renzi, attraverso il suo Comitato, avrebbe messo in atto una vera e propria campagna di «mail bombing», cioè mail seriali e non individuali.
Per esempio, anche su un sito di ricette è possibile compilare un modulo e inviare online la richiesta di votare al sito www.domenicavoto.it, lo stesso indirizzo che è apparso nelle pagine a pagamento.
A fianco del modulo, che poi si può inviare a www.domenicavoto.it, sono suggeriti «i motivi familiari, di salute, di lavoro e viaggi all’estero» come causa per motivare l’impossibilità di registrarsi.
COORDINAMENTI IN TILT
Tutto questo mentre alcuni coordinamenti provinciali delle primarie del centrosinistra stanno andando in tilt a causa dell’alto numero di mail arrivate in seguito alla campagna «virale» avviata dai renziani per portare quanta più gente al voto al ballottaggio.
A Milano, ad esempio, in molti stanno ricevendo questa risposta dal coordinamento locale: «A causa dell’alto numero di richieste non sarà possibile rispondere direttamente. In caso di mancata risposta la richiesta deve considerarsi non accolta.
Ci scusiamo per il disagio».
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
PER BONDI LA CRISI DEL PDL “E’ COLPA DI EX AN E CATTOLICI”… IPOTESI FUORIUSCITA DEGLI EX AN E IL LANCIO DI UNA NUOVA FORZA ITALIA
Primarie addio. Silvio Berlusconi vince, Angelino Alfano perde. 
Vinto il braccio di ferro, il Cavaliere oggi tornerà ad incontrare i giocatori del Milan, domenica sarà al convegno dei cristiani popolari di Mario Baccini.
L’annuncio ufficiale arriverà la prossima settimana, ma il più è fatto.
La sola Giorgia Meloni è l’unica a resistere, insieme a un altro candidato, il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo.
Nonostante manchi l’ufficialità la notizia dell’archiviazione delle primarie appare ormai più che scontata.
A tessere le fila della trattativa sarebbe stato Denis Verdini secondo alcuni in accordo non solo con l’ex capo del governo ma, appunto, anche con lo stesso segretario che si sarebbe detto d’accordo (l’alternativa, d’altronde, sarebbe stato lo scontro frontale, che avrebbe trascinato il partito a un allungamento del periodo di faide interne).
La rinuncia alle primarie, annunciate eppure mai volute dal Cavaliere, avrebbe come contropartita l’impegno dell’ex premier a non boicottare il Pdl e a frenare il lancio di Forza Italia 2.0.
Il partito però verrebbe profondamente rinnovato come chiesto da Berlusconi.
La ristrutturazione potrebbe escludere però i dirigenti che provengono dalle file di Alleanza Nazionale.
Gli ex An infatti sono pronti, nel caso il partito si trasformasse in una nuova Forza Italia, ad andare via dando vita ad un soggetto politico (“Centrodestra nazionale” sarebbe uno dei nomi presi in considerazione) da federare al “nuovo” Popolo delle Libertà .
Il passaggio formale per l’archiviazione definitiva delle primarie dovrebbe essere un ufficio di presidenza da convocare i primi giorni della prossima settimana ufficializzando però già oggi l’addio alla consultazione popolare.
In realtà a via dell’Umiltà si lavora ininterrottamente per trovare un compromesso in grado di evitare scissioni.
Un rischio che in diversi tra i dirigenti pidiellini vorrebbero evitare dopo aver visto i sondaggi poco lusinghieri che raccoglierebbe anche un’eventuale federazione tra Fi e ex An: “Non riusciremo a superare nemmeno il 13%”, confida un ex ministro.
L’idea di arrivare ad una separazione consensuale però non è nuova nella mente del Cavaliere, convinto invece che una federazione possa ampliare il bacino di voti e catturare gli elettori delusi.
Più esplicito Giancarlo Galan, ex presidente del Veneto, ex ministro e — a questo punto si può dire — ex candidato alle primarie del Pdl: i dirigenti del Pdl “non hanno un minimo di autonomia — dice al Corriere della Sera — si portano dietro i valori della destra che sono un’altra roba e ci hanno trascinato alle loro percentuali”.
Per questo, continua Galan, Berlusconi dovrebbe fare un Pdl “light”.
Per Galan le è giusto che saltino. Bastava avere un minimo di logica per capirlo”, “le abbiamo mitizzate troppo, con i soliti eccessi all’italiana, in fondo ci sono solo negli Usa e in pochi altri Paesi”.
Non la pensa così il sindaco di Pavia, Cattaneo, pure lui candidato dei “formattatori”: “Deluso? No, sono arrabbiato — commenta a Omnibus, su La7 — Non c’è ancora una parola ufficiale ma è anche vero che non c’è nessuna parola che va nel proseguire quel percorso che avevamo avviato. Però voglio ancora sperare”.
Ma cosa sta succedendo dentro al Pdl?
La spiegazione la dà Sandro Bondi, ex ministro e coordinatore (pluridimissionario, ma sempre coordinatore) del partito: “E’ avvenuta purtroppo una saldatura tra esponenti” come Quagliariello e Sacconi, spiega alla Stampa, “e l’area di An tesa soltanto alla gestione del partito. All’interno di questo correntone c’è infatti chi propone intese con Casini e Monti, e chi al contrario vi si oppone duramente”.
Secondo Bondi “le primarie sono state volute proprio per suggellare l’accordo e in funzione di una conta interna al partito: una sorta di congresso anticipato e non una proposta di rinnovamento che Alfano avrebbe dovuto rappresentare”.
“Da tempo — aggiunge — insisto sulla necessità che Alfano cammini insieme a Berlusconi per rinnovare radicalmente la nostra immagine. Berlusconi ha lottato strenuamente per il cambiamento. Ha ammesso di non essere riuscito a modernizzare l’Italia come avrebbe voluto per tante ragioni. Ma oggi solo lui ha l’esperienza e la forza per mantenere unito il centrodestra e rivolgere un appello alle forze migliori del Paese. Chi pensa oggi di fare senza di lui o contro di lui non ha il polso della realtà ”
Certo, nel Popolo della Libertà i dubbi su quali siano le reali intenzioni dell’ex capo del governo restano tutti sul tavolo così come la convinzione che Berlusconi continui a lavorare ad una sua lista da affiancare all’attuale partito.
Di questo il Cavaliere avrebbe discusso ieri sera in una cena con alcuni amici di vecchia data con cui sarebbe tornato a lamentarsi del poco appeal che ha il partito e soprattutto dell’esigenza di porre una linea di confine tra il vecchi e nuovo: C’è bisogno di rinnovamento e di nuovi volti anche da spendere in televisione dove sono stufo di vedere sempre le stesse facce.
A frenare l’ex capo del governo dallo svelare una volta per tutte le sue mosse sarebbero però i sondaggi poco rassicuranti in merito ad una sua ridiscesa in campo.
A condizionare sarà comunque l’esito del ballottaggio del Pd, ma soprattutto la trattativa sulla legge elettorale che, a detta di Berlusconi, potrebbe essere condizionata a suo svantaggio se svelasse i suoi piani, prima di un accordo tra i partiti.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
DEPOSITATE BEN SETTE NUOVE DENOMINAZIONI, SEGNALE EVIDENTE CHE IL CAVALIERE NON SOLO NON INTENDE FARSI DA PARTE, MA NEANCHE DI IMPEGNARSI PER IL PDL
“Silvio Berlusconi si ritira dalla politica. Il PdL farà le primarie per sancire la nuova leadership di Angelino Alfano. Il presidente è stanco e vuole ritagliarsi un ruolo da padre nobile del centrodestra italiano”.
Dentro al partito del predellino, tranne pochi pasdaran, in questi mesi quasi tutti avevano venduto la pelle dell’anziano leader con troppa fretta.
Mentre quelli parlavano coi giornali per accreditarsi come eredi, infatti, il Cavaliere si dedicava con zelo alla registrazione di nuovi marchi elettorali con cui sostituire la bad company del Pdl.
Questa scoperta la dobbiamo ad un blogger (leggi): tra luglio e novembre, l’ex premier ha depositato una serie di nomi di partito all’Uami, l’ufficio per la registrazione dei marchi, disegni e modelli dell’Unione europea.
A luglio, per dire, impazzava lo spread e sui giornali di venerdì 20 si leggeva della “tentazione di Silvio Berlusconi: staccare la spina a Monti”.
Si fosse concesso di cedere anche a questa tentazione, il padrone di Mediaset avrebbe già avuto pronto un bel nome per il suo partito: mercoledì 18, infatti, aveva registrato i nomi Grande Italia e Grandeitalia, che uno non sa mai quanto sarà grande il simbolo sulla scheda.
Stessa cosa succede a fine ottobre.
E proprio in questo periodo sono ben sette le nuove registrazioni.
I giudici di Milano condannano pesantemente Berlusconi nel processo Mediaset e lui, all’indomani, si sfoga a Villa Gernetto attaccando “la dittatura dei magistrati” e minacciando di “ritirare la fiducia all’esecutivo” che condanna l’Italia ad una “spirale recessiva”.
Anche in questo caso la sparata di Berlusconi segue una pratica avviata all’Uami: il 23 ottobre, infatti, registra i nomi L’Italia che lavora e Italia che lavora.
E siamo a novembre, circa dieci giorni fa per la precisione.
Il Pdl chiede a gran voce l’election day a febbraio: se no, anche stavolta, togliamo la fiducia al governo.
E’ sicuramente un caso, ma pure stavolta il buon Silvio era passato all’ufficio marchi e brevetti pochi giorni prima, l’8 novembre e stavolta ha fatto le cose in grande: s’è annesso ogni definizione possibile di centrodestra, non si sa se per chiarire le cose a se stesso o a chiunque altro abbia intenzione di occupare quello spazio dell’immaginario. Ecco i nomi: Il centrodestra italiano, Ilcentrodestraitaliano, Centro destra italiano, Centrodestra italiano, Il Centro Destra Italiano.
Manca, effettivamente, Italiano Destra Centro, ma è un nome che dai sondaggi effettuati risulta poco attraente per gli elettori.
Non si tratta, con ogni probabilità , del nome del nuovo partito che il Cavaliere dovrebbe annunciare a breve, ma intanto dimostra quanto peso abbiano avuto il giovane Alfano e i suoi interessati sostenitori nella storia del centrodestra italiano, se si può ancora scrivere, e magari chiarisce quanto poco interessino a Berlusconi gli appelli del tipo “rinnova con noi il Pdl”.
Lui non rinnova, crea (dopo aver registrato il marchio, ovviamente).
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
LA LEGGE AUTORIZZA LA PRODUZIONE ED ESCLUDE I CUSTODI…LA PROCURA DI TARANTO PENSA AL RICORSO ALLA CONSULTA
Il decreto “salva-Ilva” non è una sorpresa per la Procura di Taranto. 
I magistrati che indagano i vertici aziendali per disastro ambientale lo avevano messo in conto. Non esprimono opinioni ufficiali, ma qualche commento trapela nei corridoi del tribunale di via Marche.
A sollevare le maggiori perplessità è il fatto che il provvedimento legislativo, se approvato, possa annullare di fatto il pericolo “attuale e concreto” che incombe sugli operai e sui cittadini di Taranto.
Un pericolo per il quale la magistratura ionica ha disposto il sequestro senza facoltà d’uso, confermato dal Tribunale del Riesame e contro il quale non è mai stato depositato ricorso in Cassazione.
Un provvedimento giudiziario, quindi, divenuto definitivo che viene cancellato da un colpo di mano del governo, ormai palesemente alleato dello stabilimento siderurgico.
La diffusione incontrollata di polveri dal parco minerali, ad esempio, non diminuirebbe, ma diventerebbe legale per 24 mesi in attesa che l’azienda realizzi la copertura dell’area.
Chi tutelerebbe quindi gli operai e gli abitanti del quartiere Tamburi colpiti ogni anno da 668 tonnellate di polveri?
Non la Procura, perchè “la responsabilità della conduzione degli impianti dello stabilimento Ilva di Taranto” è, secondo quanto si legge nella bozza del decreto, imputabile “esclusivamente all’impresa titolare dell’autorizzazione all’esercizio degli stessi sotto il controllo dell’autorità amministrativa competente”.
Più semplicemente: controllare le emissioni inquinanti e le eventuali conseguenze per lavoratori e cittadini, è un compito che non compete più alla magistratura penale.
Se il governo, quindi, dovesse approvare il decreto autorizzando “la prosecuzione dell’attività ” l’Ilva riprenderebbe a produrre e, quindi, a inquinare favorendo il protrarsi di emissioni che, secondo i periti del Tribunale, diffondono malattia e morte.
Il governo, giuridicamente, consentirebbe alla fabbrica di reiterare il reato.
L’autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 26 ottobre scorso allo stabilimento, una volta assorbita dal decreto, si trasformerebbe in un pericoloso “lasciapassare” che per due anni esporrebbe i cittadini e gli operai a un inquinamento temporaneamente legalizzato.
Non solo.
Il provvedimento passerebbe sopra alcuni principi costituzionali, come il diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 e sacrificato a Taranto sull’altare dell’iniziativa economica privata.
A rischio sarebbe anche l’obbligatorietà dell’azione penale dei pm che, ad esempio, non potrebbero intervenire all’interno dello stabilimento per violazioni di norme ambientali.
Per questo la Procura, quando arriverà la richiesta di dissequestro, potrebbe ricorrere alla Consulta.
Aspetti che forse il ministro dell’ambiente Corrado Clini ha ritenuto di secondaria importanza rispetto alla necessità di garantire all’Ilva la capacità produttiva.
“La chiusura dell’Ilva di Taranto — ha infatti dichiarato il ministro — ha effetti sociali enormi: è da irresponsabili, in questo momento, lasciare senza reddito 20mila famiglie, per la maggior parte nel sud d’Italia”.
Per risolvere la questione Taranto, secondo Clini, “ci vorranno circa 3 miliardi di euro” secondo il piano presentato dall’Ilva e approvato dal ministro che, però, ha aggiunto “ci aspettavamo che il piano di interventi cominciasse ad essere efficace due giorni fa, lunedi scorso”.
La possibilità di ricorrere al decreto “salva-Ilva” ha suscitato la reazione di alcuni parlamentari. “A causare il rischio di chiusura degli impianti è stata la gestione illegale della famiglia Riva — ha commentato Felice Belisario, dell’Idv — che ha messo il profitto davanti agli interessi dei cittadini. La magistratura è intervenuta per fermare il disastro ambientale e sanitario di Taranto, mentre Clini si preoccupa solo di offrire un salvacondotto all’azienda”.
Duro anche Angelo Bonelli dei Verdi secondo il quale “il governo si sta dimostrando insensibile rispetto all’emergenza sanitaria della città : per chi si ammala e muore, per i bambini che nascono già con i tumori o per la diossina nel latte materno che si trasforma in veleno non ci sono stati Consigli dei ministri straordinari o decreti”.
Bonelli ha parlato di “un golpe nei confronti della legislazione ambientale” per “cancelare i reati” e “modificare il codice di procedura penale”.
Un fatto non nuovo, comunque, nel Paese delle leggi ad personam che ora vanta anche le leggi “ad Ilvam”.
Francesco Casula
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Ambiente, Lavoro, sanità | Commenta »