Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
I TEMPI DI RECLUSIONE SONO PASSATI DA 2 A 18 MESI… CALO DEI RECLUSI DI OLTRE 2.000 UNITA’
Secondo i dati nazionali forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione (Cie) operativi in Italia.
Sono le cifre diffuse dall’Ong Medici per i diritti umani, che ha anche elaborato un grafico sul rendimento di queste strutture detentive per migranti senza permesso di soggiorno in attesa del riconoscimento e del rimpatrio.
Si vede così che l’allungamento dei tempi massimi di reclusione, passati dai due mesi del 2008 ai 18 mesi del 2012, non è servito ad aumentare i rimpatri.
Anche il numero dei trattenuti è diminuito.
Nel 2008 sono stati internati 10.539 migranti, di cui 4320 effettivamente rimpatriati, contro meno di 8 mila trattenuti nel 2012, di cui solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati.
Nel 2012 è stato rimpatriato esattamente il 50,54 per cento dei trattenuti, un più 0,3 per cento rispetto al 2011, anno in cui fino a giugno erano in vigore al massimo sei mesi di detenzione.
“Si conferma dunque la sostanziale inutilità dell’estensione della durata massima del trattenimento da 6 a 18 mesi ai fini di un miglioramento nell’efficacia delle espulsioni”, commentano i Medu.
Il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i Cie nell’anno appena trascorso, costituisce solo l’1,2 per cento del totale degli immigrati irregolari presenti sul territorio italiano, secondo le stime dell’Ismu che parlano di 326 mila persone al primo gennaio 2012.
Sono aumentate molto le rivolte e le fughe.
L’anno scorso sono riusciti a fuggire dai Cie 1.049 i migranti, ben il 33 per cento in più rispetto all’anno caldo del 2011, quando i Cie erano pieni di tunisini ed egiziani giunti in seguito alla primavera araba.
È un dato significativo secondo Medici per i diritti umani.
L’Ong scrive in una nota che questo testimonia “l’aggravamento del clima di tensione e l’ulteriore deterioramento delle condizioni di vivibilità all’interno”.
Facendo un bilancio, per Medu la detenzione amministrativa è “uno strumento sostanzialmente fallimentare nel contrasto dell’immigrazione irregolare”.
Inoltre, durante le tante visite effettuate nelle strutture, Medu ha riscontrato che “il prolungamento del tempo massimo di detenzione nei CIE ha drammaticamente peggiorato le condizioni di vita dei migranti all’interno di queste strutture”.
Sul prolungamento del trattenimento “è pressochè unanime il giudizio negativo espresso dai responsabili degli enti gestori dei 10 Cie monitorati”.
Per Medu “tale misura ha infatti seriamente compromesso la gestione complessiva dei centri causando gravi problemi organizzativi, logistici e sanitari”.
In vista delle elezioni politiche, Medu chiede “una radicale revisione dell’attuale sistema di detenzione amministrativa”, alla luce delle gravi e ripetute violazioni dei diritti umani dei migranti emerse durante le visite nei Cie.
Revisione che, secondo l’Ong, “non può che avvenire nell’ambito di una profonda riforma della legge “Bossi-Fini”.
(da “Redattore Sociale”)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
LE PERIPEZIE DEGLI AUTONOMI DAL FORZA LEGHISMO ALLA DELUSIONE FORNERO
C’è stato un tempo in Italia in cui le partite Iva erano, almeno elettoralmente, coccolate. Rappresentavano, come sintetizza il parlamentare Giuliano Cazzola, «il nuovo che avanza», erano riconosciute come portatrici di un nuovo modo di lavorare, di una rivoluzione terziaria che rivalutava la competenza a scapito della gerarchia.
Su questo format, che da una parte registrava gli slittamenti dell’economia e della società e dall’altra li timbrava politicamente, sono cresciute le fortune del forza-leghismo.
Da allora molte cose sono cambiate e alla vigilia del voto del 24 febbraio le partite Iva – che pure rappresentano una constituency elettorale da almeno 8 milioni di voti – sono state di fatto silenziate.
Dice Anna Soru, presidente di Acta, un’associazione del terziario avanzato tra le più combattive: «Leggo che in Parlamento aumenterà il numero degli ex sindacalisti e mi faccio la convinzione che dietro questi nuovi innesti ci sia l’idea di un ritorno all’assoluta centralità del lavoro dipendente».
«Per noi», continua, «non ci sono avventure politiche, c’è solo il prosaico aumento dei contributi previdenziali che è già al 27% e arriverà al 33% dei ricavi». Un euro ogni tre incassati.
Ma perchè, pur dovendo rastrellare voti, i candidati hanno una sorta di ritrosia a parlare di/alle partite Iva?
In Veneto è successo che i candidati di Pdl e Lega non si siano presentati lunedì scorso alla giornata di mobilitazione indetta da artigiani e commercianti di Rete Imprese Italia, che offesi hanno tuonato: «Evidentemente pensano che i nostri siano voti sicuri per loro, ma si sbagliano». Secondo Roberto Weber, direttore di Swg, «la credibilità delle proposte avanzate in queste settimane risulta molto bassa, l’80% degli elettori le giudica propagandistiche».
Questo vale per la sbandierata riduzione delle tasse ma ancor di più per il mercato del lavoro, «sono tanti e tali gli elementi di contraddizione nella società che nessuno tenta di articolare le parole d’ordine generali in temi da proporre ai vari segmenti dell’elettorato».
In quest’opera di rimozione un ruolo importante lo gioca la debolezza dei partiti, ma anche la legge Fornero ci ha messo del suo
Prendiamo proprio le partite Iva che avevano accolto con un certo favore l’avvento di un governo che si dichiarava aperto al nuovo e contrario alla concertazione Confindustria-sindacati. È vero che con Monti a Palazzo Chigi c’è stata la prima audizione parlamentare dedicata alle partite Iva, ma alla fine il giudizio è risultato negativo.
«Lo scambio tra aumento della contribuzione in funzione di una qualche certezza pensionistica non c’è stato», osserva Costanzo Ranci, docente al Politecnico di Milano e autore di un libro sulle partite Iva che sarà presentato dalla Camera di Commercio di Milano giovedì 7 febbraio, in piena campagna elettorale.
«Fornero è sembrata voler allargare l’area del lavoro dipendente seppur con il nobile scopo di ridurre l’arbitrio, ma ha finito per negare anche lei l’identità del lavoro autonomo».
Di vero c’è che le partite Iva costituiscono un comparto del mercato del lavoro estremamente complesso.
Volerle ridurre ad unum è impossibile perchè differiscono per priorità , consumi, antropologia. Sono almeno tre i tronconi da tener presenti: a) gli artigiani e i commercianti titolari, «la pancia del Paese» molto sensibile ai temi del fisco e della lotta alla burocrazia; b) i lavoratori della conoscenza che non sono patrimonializzati guardano innanzitutto all’aggiornamento del proprio capitale umano e lavorano in assenza di strumenti di welfare; c) le partite Iva del lavoro povero e legato a un solo committente.
Ad allargare le file degli ultimi due tronconi intervengono i processi di esternalizzazione delle imprese, grandi e medie, che si strutturano sempre più come delle reti e tendono a dare in outsourcing anche lavorazioni standardizzate, a scarso valore aggiunto.
Gli alberghi tendono a dar fuori persino il lavoro dei camerieri ai piani. E altrettanto significative sono le trasformazioni indotte dal franchising o dallo sviluppo dell’e-commerce.
È chiaro che agli occhi della politica si tratta di processi troppo sofisticati da leggere, che inducono alla cautela.
Il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, in una fase precedente del suo impegno aveva rivolto attenzione a questo mondo.
Aveva partecipato persino a un incontro di Imprese che Resistono, l’associazione di Luca Peotta, e aveva proposto di alzare il forfettone fiscale dai 30 mila euro attuali a 70-80 mila, attirandosi critiche di massimalismo da parte di Cna e Confesercenti.
Oggi il suo partito sembra essere monopolizzato dalla constituency del lavoro dipendente, è la Cgil che detta legge sul lavoro e le figure che prevalgono sono quelle di Susanna Camusso e dell’ex ministro Cesare Damiano.
Soru è molto critica verso il Pd perchè vuole ricondurre il lavoro autonomo a quello dipendente e gli apporti di casa Cisl alle liste (Carlo Dell’Aringa e Giorgio Santini) sembrano comunque parte dello stesso copione
Anche la Lega è in fase di ripensamento.
Nei 12 progetti concreti per far ripartire il Nord, di lavoro autonomo non si parla direttamente, Roberto Maroni propone di riformare il welfare su base regionale ma non è chiaro che impatto avrebbe la novità sulle diverse figure di lavoratori.
Tremonti, nel manifesto per il voto, si concentra sulla materia fiscale e chiede l’abolizione dell’Irap per le aziende in perdita, la moratoria della riscossione Equitalia in situazioni di criticità e l’adozione in via sperimentale della simple tax, un’unica imposta sul reddito reale.
Il centrodestra, in ogni caso, sembra guardare solo al primo troncone della partite Iva, sostanzialmente agli artigiani.
Comunque, in una campagna elettorale in cui si parla più di cambiare nuovamente la legislazione che di posti di lavoro, tutti gli esperti dei partiti si dichiarano, chi più chi meno, scontenti della legge Fornero.
Giuliano Cazzola (Scelta Civica) è capace di citare numerosi esempi concreti nei quali le griglie previste dalla riforma non funzionano, come nel caso dei salesiani di Bologna che avevano in essere 240 contratti di collaborazione di elettricisti e saldatori per le loro scuole di formazione e che alla fine sono stati costretti a stipulare 90 contratti a tempo determinato lasciando però a casa gli altri 150.
La verità è che la Grande crisi ha ancor di più articolato la struttura economica, l’ha destrutturata ulteriormente.
C’è un mare di lavoro che non riesce a essere regolamentato e in questa Babele il lavoro autonomo di seconda generazione resta senza padri.
Come se il Novecento fosse passato invano
Dice Soru: «Noi lavoratori della conoscenza che investiamo sulla formazione e l’aggiornamento, che accettiamo di lavorare ed essere valutati per obiettivi, che ci assumiamo i rischi, siamo un’area di lavoro preziosa per l’economia e invece il nostro contributo non è riconosciuto e valorizzato».
Da un punto di vista strettamente elettorale, per Weber questa delusione rafforza i meccanismi di diffidenza e può andare ad alimentare l’area del non voto o favorire Beppe Grillo.
«Siamo nell’epoca del “voto malgrado”», sentenzia.
E aggiunge Ranci: «Il lavoro autonomo non è più un serbatoio stabile di voti per il centrodestra». Alle ultime elezioni amministrative di Milano, capitale del terziario avanzato, Giuliano Pisapia si è largamente avvantaggiato del voto dei knowledge worker disaggregando il blocco sociale forzaleghista, ma guai se Pd e Sel pensassero a un replay in automatico. Innanzitutto le partite Iva metropolitane, per cultura politica e stili di vita, differiscono molto da quelle dei territori e poi comunque quel voto era totalmente d’opinione, perchè i sindaci non hanno nessun potere in materia fiscale e previdenziale.
Chiunque vinca le elezioni, è chiaro agli esperti che il mondo della partite Iva non può restare schiacciato tra un’economia che si flessibilizza e una politica che non sa che pesci pigliare.
Acta propone cinque punti che vanno da un regime fiscale agevolato al salario minimo per evitare il lavoro gratuito, tariffe eque e una giusta pensione oltre a un nuovo welfare mutualistico. Anche Cazzola riconosce che c’è necessità di introdurre forti discontinuità e considera probabile che molte partite Iva siano indotte a cambiare forma giuridica e creino delle società .
Per tentare di governare questi processi e ridurre la distanza tra economia e normative, il professor Ranci pensa che una carta da giocare potrebbe essere la flexsecurity che, a questo punto, non dovrebbe riguardare solo i lavoratori dipendenti che perdono il posto, ma anche chi già vive pericolosamente sul mercato. I costi, però, per quello che appare un cambio di paradigma, ammette, «oggi suonano proibitivi».
Dario di Vico
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL PROFUMO DELLA POVERTA’ E LA DIGNITA’ DEI PIU’ DEBOLI
In Francia tre milioni di bambini vivono sotto la soglia della povertà .
Uno di loro, 12 anni, sabato scorso è stato accompagnato dai genitori e da un volontario al museo d’Orsay, uno dei luoghi più affascinanti di Parigi.
«Una famiglia estremamente indigente, come molte purtroppo, che vive in una catapecchia fuori città – dice il presidente dell’associazione Atd Quart Monde, Pierre-Yves Madignier –. La mattina si erano preparati a un pomeriggio eccezionale, di bellezza, di piacere. Eravamo lì con loro proprio per non farli sentire in difficoltà : dovevano pensare solo a godersi gli impressionisti, come tutti».
La visita però è durata poco.
Nella sala dei Van Gogh, alcune persone hanno chiamato la sicurezza protestando per le condizioni igieniche inadeguate, per il cattivo odore di quella famiglia disadattata. Quattro inservienti si sono avvicinati e li hanno scortati all’uscita.
Padre, madre, bambino e volontario sono stati cacciati, e il museo d’Orsay ha espresso tutta la sensibilità che poteva offrire rimborsando i biglietti.
Una vicenda dickensiana che ha obbligato il ministero a intervenire, chiedendo al museo un rapporto dettagliato.
Aurèlie Filippetti ha parlato di «incidente spiacevole».
«Non mi sembra però che ci sia una mancanza morale da parte del personale del museo – ha aggiunto la ministra –, anzi forse hanno fatto il loro mestiere, preservando la possibilità di quella famiglia di ritornare, in condizioni più degne». Pierre-Yves Madignier invece annuncia che la sua associazione porterà il museo in tribunale. «È indecente, quella famiglia si trovava nelle condizioni più degne che le sono concesse: quando si vive in condizioni insalubri, in una specie di baracca, i vestiti si impregnano di umido – dice –. I genitori e il bambino emanavano l’odore, persistente ma non insopportabile, della povertà . E la cosa che mi ha fatto più male è che sono stati loro, le vittime, a chiedere scusa».
Negli anni in cui si spendono fiumi di parole sulla «cultura per tutti», sulla necessità di «avvicinare i giovani all’arte», a quel bambino resterà per tutta la vita il ricordo di un pomeriggio al museo che ha sancito nel modo più umiliante e definitivo la sua esclusione sociale.
Gli altri visitatori, invece, hanno continuato a guardare estasiati i capolavori di Van Gogh, poverissimo da vivo ma ormai innocuo.
Stefano Montefiori
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
DA MUSSARI A PALENZONA, DA VERDINI A MANCINI: ECCO LE SOTTOSCRIZIONI PRIVATE
Mai e poi mai si potrà rimproverare a Giuseppe Mussari di non essere stato generoso con il suo partito. In dieci anni ha versato nelle casse del Pd di Siena e della locale federazione Ds la bellezza di 683.500 euro.
L’ultimo assegno da 99 mila euro quando era già presidente dell’Abi.
Lui solo conosce il reale significato di quei legittimi finanziamenti.
Noi sappiamo solo che nessun altro banchiere, in Italia, è stato tanto pubblicamente prodigo verso un partito quanto lui.
E quanto altri amministratori della banca e della fondazione senesi.
Sono almeno una ventina i dirigenti e i manager del Monte che per anni, regolarmente, hanno finanziato la politica.
Soprattutto il Pd e i Ds di Siena, che hanno incassato in una decina d’anni un milione e mezzo di euro grazie ai contributi liberali di costoro.
Nell’elenco c’è anche, con 125 mila euro versati fra il 2010 e il 2011, il presidente della Banca Antonveneta Ernesto Rabizzi.
Insieme al presidente della Sansedoni, l’immobiliare della Fondazione, Luca Bonechi, al consigliere della stessa Fondazione Paolo Fabbrini, agli ex consiglieri della Banca Toscana Moreno Periccioli e Alessandro Piazzi, ai revisori Giovacchino Rossi e Marcello Venturini, ai consiglieri Fabio Borghi e Saverio Carpinelli, all’ex vicepresidente della Banca Toscana Aldighiero Fini…
Senza contare i tanti ex politici cui la banca ha offerto una comoda ricollocazione.
Con loro, stima Libero, si arriva a un paio di milioni.
Sbaglierebbe, tuttavia, chi pensasse che i soldi degli amministratori del Monte abbiano preso una sola direzione.
Come si capisce dai 10 mila euro offerti nel 2004 dal presidente della fondazione Gabriello Mancini alla Margherita. Partito finanziato (6.750 euro) pure dal suo referente, il presidente del consiglio regionale toscano Alberto Monaci, il quale aveva già dato 14 milioni di lire nel 2000 al Partito popolare.
Ma gli eredi senesi della Dc, allora, potevano contare anche su contributi per 60 milioni da parte di Giuseppe Catturi, consigliere di molte società del gruppo come la Banca 121 che il Monte aveva acquistato a caro prezzo dalle famiglie salentine Gorgoni e Semeraro.
E proprio Lorenzo Gorgoni, al quale venne riservato un posto nel consiglio del Monte, finanziò nel 2005, con 25 mila euro più altrettanti di sua sorella Antonia, la campagna elettorale del forzista Raffaele Fitto in Puglia.
Del resto, l’aveva soccorso già nel 1999, prima ancora di vendere ai toscani la propria banca, con una ventina di milioni.
Perchè se il Monte è certo un caso limite, la commistione fra banchieri e politica non è fatto raro nè recente.
Basta dire che per anni il coordinatore del Pdl Denis Verdini è stato contemporaneamente deputato e presidente del Credito cooperativo fiorentino, nonostante il divieto sancito da una legge del 1953.
E questo in virtù della deroga, comprensibile per l’epoca ma assurda oggi, che quella legge concedeva agli incarichi nelle coop.
Deputato e banchiere, finanziava pure il suo partito. In due anni, 74 mila euro.
Ma non è forse un banchiere anche Silvio Berlusconi, azionista di Mediolanum, nonchè principale finanziatore di Forza Italia e del Pdl? Una briciolina ce l’ha messa nel 2005 anche il suo socio di banca, Ennio Doris. Diecimila euro.
La banca, altri, se la sono invece fatta addirittura mentre erano in Parlamento.
Ricordate la leghista Credieuronord, finita in un crac imbarazzante?
Era amministrata da un consiglio in cui figuravano non pochi onorevoli: da Stefano Stefani al presidente della commissione Bilancio Giancarlo Giorgetti, al sottosegretario all’Interno (!) Maurizio Balocchi.
Impossibile poi, per la serie dei banchieri-politici in carica, non ricordare Fabrizio Palenzona, al tempo stesso presidente della Provincia di Alessandria e consigliere di Mediobanca grazie alla vicepresidenza di Unicredit ottenuta per conto della Fondazione CrT: dove si era praticamente autonominato come rappresentante della sua Provincia.
Fra il 2004 e il 2005 Palenzona ha dato alla Margherita 34 mila euro.
Poco più di 18 mila ne ha invece versati a quel partito il vicepresidente della Fondazione CrT, Agostino Gatti. Il presidente della Fondazione Cassa di Bologna, Filippo Sassoli de’ Bianchi, aveva invece preferito nel 2001 dare 25 milioni di lire a Berlusconi.
Mentre il presidente della Bnl Luigi Abete, ritenuto vicino prima al Ppi e quindi alla Margherita, nel 1999 figurò fra i finanziatori dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Con 49 milioni di vecchie lire.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
I LEADER CHIUDERANNO IN TV… IL 22 FEBBRAIO CONFERENZA STAMPA DI MONTI, BERLUSCONI E BERSANI
I fan del confronto tra i leader politici possono attendere.
Per ora c’è una sola data sicura: il 22 andranno in onda le tre conferenze stampa dei capi coalizione (Silvio Berlusconi, Pier Luigi Bersani e Mario Monti) per la chiusura della campagna elettorale.
Lo ha votato a maggioranza la commissione di Vigilanza Rai, varando così il suo ultimo atto della legislatura.
L’ordine di apparizione verrà deciso con sorteggio
Non sarà un vero confronto ma gli somiglierà : il Pdl ha accettato l’accorpamento in un solo giorno (il berlusconiano Giorgio Lainati aveva chiesto la divisione in tre giorni, 20, 21 e 22 febbraio sempre per sorteggio, ma poi il presidente della commissione Sergio Zavoli ha sottolineato il pericolo di disparità di trattamento anche per via della partita Milan-Barcellona di Champions League in programma il 20 febbraio) ma a condizione che le conferenze stampa di Berlusconi, Bersani e Monti siano accorpate in un unico format anche se gli interventi rimarranno separati.
La proposta è stata di Maurizio Lupi, Pdl.
Paolo Bonaiuti, sempre da parte del Pdl, ha attaccato il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi: «Il vertice dell’azienda si era impegnato a valutare di poter procedere ad un confronto tra i capi coalizione, sottolineando come queste fossero tre. Non si giustifica quindi la proposta, richiamata dai mezzi di stampa, circa una possibile sfida a sei, in cui si ammetterebbe taluna delle liste non ricomprese in coalizioni, e non altre».
L’accenno è all’ipotesi di un possibile confronto a sei circolata a viale Mazzini.
Che si scontra, secondo il Pdl, con la definizione di «capi coalizione» indicata dalla Vigilanza.
Gubitosi non risponde direttamente ma dalla Rai fanno sapere che la direzione di Raiuno, affidata a Giancarlo Leone, ha cercato a lungo una «soluzione condivisibile» tra le parti politiche.
Soluzione non ancora trovata (Berlusconi accetta solo il confronto tra i tre capi coalizione, Bersani e sulla linea «o tutti o nessuno»).
Raiuno, assicura viale Mazzini, continuerà a lavorare per raggiungere un accordo fino all’ultimo momento utile.
Sempre ieri la commissione di Vigilanza Rai ha votato a maggioranza numerose modifiche al regolamento della par condicio dopo aver avuto il quadro complessivo della competizione elettorale: 27 liste e 3 coalizioni.
Il palinsesto Rai non avrebbe retto a tanto affollamento, da viale Mazzini sono arrivate pressioni per un ripensamento.
Suggerimento compreso ed accettato. I tempi sono stati ridotti. La durata delle conferenze stampa (uguali per tutti, capi di coalizione e capi di lista) scende da 45 a 40 minuti.
Dall’11 al 15 febbraio e dal 18 al 21 febbraio saranno trasmesse dalle 21 alle 23.10 su Raidue ogni giorno tre conferenze stampa dei leader delle singole liste.
Cambia anche la lunghezza delle interviste ai capi lista, trasmesse dopo le conferenze stampa, da 10 a 5 minuti.
Contro questo assetto hanno votato Radicali, Idv e Lega Nord protestando per il peso (a loro avviso maggiore) assicurato alle coalizioni.
La politica dovrà confrontarsi, in termini di ascolto, col Festival di Sanremo e con la Champions League.
Il Festival si svolgerà da martedì 12 a sabato 16, tre serate di Raiuno coincideranno con altrettanti appuntamenti politici su Raidue. Ci sono poi le partite di Champions League in programma martedì 19 e mercoledì 21, con Juventus e Milan, e dunque il sorteggio di conferenze stampa e interviste potrebbe scontentare molti.
Nota finale che riguarda il presidente Sergio Zavoli.
Questo atto conclusivo della commissione si è trasformato in un omaggio politicamente trasversale a Zavoli (dal vicepresidente Giorgio Merlo, Pd, a Paolo Bonaiuti del Pdl e tanti altri) per la «guida autorevole ed equilibrata dei lavori» e per la sua capacità di valorizzazione del contributo di tutte le componenti politiche.
Paolo Conti.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
INDAGATA E PROSCIOLTA A BRESCIA PER UN’ACCUSA “COSTRUITA A SCOPO POLITICO”, FU COSTRETTA A DIMETTERSI DA ASSESSORE IN REGIONE PER LA SUA VICINANZA AL SENATUR
Prosciolta, più che assolta quindi.
E il giudice lo ha scritto chiaramente: “le accuse erano state costruite per uno scopo politico”. Quale? “Mostrare ai militanti della Lega che le persone più vicine a Umberto Bossi erano disoneste, colpire lui e indebolirlo”.
Sono passati 21 mesi da quando Monica Rizzi è stata indagata a Brescia con l’accusa di aver fabbricato dei dossier contro alcuni avversari politici.
Poi è stata additata come falsa laureata nonchè componente del Cerchio Magico.
Mentre le indagini andavano verso l’archiviazione lei, la tutor di Renzo Bossi, è stata costretta a dimettersi da assessore lombardo allo sport ed è finita tra le “scopate a Bergamo”, dice.
Cioè cacciata a colpi di ramazza da Roberto Maroni. “Ricordo slogan e striscioni: Monica sei più falsa della tua laurea”.
Ora che la partita giudiziaria si è chiusa ha deciso di “ristabilire un po’ di verità ”.
Partiamo dalle indagini.
Prosciolta. Da quanto ha ricostruito il procuratore le accuse contro di me sono state studiate a tavolino e poi diffuse da due giornalisti loro amici.
Chi le ha costruite?
Tutti “rabarbari sognanti”. Stefania Zambelli, vicesindaco di Salò, Mario Borelli, direttore generale dell’Asl di Mantova e ci ha messo del suo anche l’ex consigliere regionale Ennio Moretti. Li ho denunciati per calunnia e associazione a delinquere. Ma sono stati guidati.
Faccia i nomi…
Mettiamola così: c’è stato un momento in cui Maroni e i suoi si sono messi a parlare di chi avrebbero dovuto e voluto liberarsi. Ogni colonnello avrà indicato qualcuno. Hanno stilato una lista nera nella quale siamo finiti io, Marco Reguzzoni, Rosi Mauro e altri. Guarda caso tutti leghisti cresciuti a pane e Bossi.
Un complotto? E la regia?
Bè sembra evidente. Dal Viminale a via Bellerio, un’ascesa scandita dalle inchieste giudiziarie. Per carità Maroni ha giocato bene le sue carte. Al congresso è stato convincente: mai più con il Pdl, limite del doppio mandato, meritocrazia. Peccato che poi nei fatti abbia tradito le aspettative.
Lei si sta vendicando.
Ma si figuri… Buona parte di quelli che sventolavano le ramazze a Bergamo contro di me sono finiti indagati per i rimborsi spese e ancora le indagini sono in corso.
La sua colpa più grande sembrava fosse quella di aver sostenuto Renzo Bossi.
Fa ridere. Sa come è andata?
No, me lo dica.
Alle regionali del 2005 presi più preferenze di tutti. Così nel 2010, una settimana prima di chiudere le liste, mi convocarono Bruno Caparini e Mario Maisetti, all’epoca segretario provinciale, dicendomi che dovevo lasciare per inserire Renzo. Io come sempre ho obbedito e l’ho sostenuto e ha vinto.
Forse Maroni non era d’accordo.
Altra barzelletta. Fecero la corsa tutti, da Maroni a Salvini, per dire che Renzo era la persona giusta da candidare.
Però l’inchiesta Belsito ha portato dritto in casa Bossi
Strano eh? Anche lì, su Belsito, salterà fuori la verità .
Quale?
Magari che i pagamenti erano autorizzati da tutti? Appena ho i documenti da Bossi ci vado per fargli vedere cosa hanno costruito per attaccare chi gli è fedele e lui. Ma tanto già lo sa. Come lo sanno i militanti a cui Bossi manca. Anche Maroni sa che senza il capo non va da nessuna parte, infatti è candidato.
Non c’è Lega senza Bossi?
Non può esistere, anche se a qualcuno piacerebbe. Anzi qualcuno lo sperava poi s’è reso conto che era una follia il solo pensarlo. Basta vedere Pontida.
Non è stata cancellata?
Sì, ma Reguzzoni ha proposto di farla il 7 aprile e ha già raccolto oltre mille adesioni. La Lega è questa, è la base che c’è seppur inascoltata e trattata male. Fra l’altro in modo stupido.
Si spieghi…
Hanno fatto due errori: abbandonare la base e cacciare in malo modo decine di militanti che ora sono nemici. Così Maroni non va lontano.
Lei lo voterà ?
Ha una domanda alternativa?
No.
Allora rispondo da democristiana: lavoriamo per la Lega.
In tutto questo c’è una persona che l’ha delusa in particolare?
Salvini, lo consideravo un amico. Quando sono uscita candida come la neve dalle inchieste mi aspettavo una telefonata da persona a persona. Ce l’ha insegnato Bossi: prima delle poltrone vengono persone e valori. Ma non tutti imparano alla stessa maniera.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IMMATRICOLATI SCESI DA 338.482 A 280.000… GIU’ ANCHE NUMERO DEI PROFESSORI
Iscritti, laureati, dottorati, docenti, fondi, tutte `voci’ con il segno meno: l’università italiana è in grande affanno.
Lo denuncia il Cun (Consiglio universitario nazionale) in un documento rivolto all’attuale Governo e Parlamento, alle forze politiche impegnate nella competizione elettorale, «ma soprattutto a tutto il Paese».
Il documento (Dichiarazione per l’università e la ricerca, le emergenze del sistema) sottolinea che dal 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) è sceso del 5% ogni anno.
ISCRITTI, COME FOSSE `SCOMPARSO’ UN ATENEO
In dieci anni gli immatricolati sono scesi da 338.482 (2003-2004) a 280.144 (2011-2012), con un calo di 58.000 studenti (-17%).
Come se in un decennio – quantifica il Cun – fosse scomparso un ateneo come la Statale di Milano.
Il calo delle immatricolazioni riguarda tutto il territorio e la gran parte degli atenei. AI 19enni, il cui numero è rimasto stabile negli ultimi 5 anni, la laurea interessa sempre meno: le iscrizioni sono calate del 4% in tre anni: dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011.
PER NUMERO LAUREATI LONTANI DA EUROPA
Quanto a laureati l’Italia è largamente al di sotto della media Ocse: 34mo posto su 36 Paesi.
Solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea del 30%. Il 33,6 % degli iscritti, infine, è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami.
BORSE STUDIO, UNA NOTA DOLENTE
Il numero dei laureati nel nostro Paese è destinato a calare ancora anche perchè, negli ultimi 3 anni, il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato ridotto. Nel 2009 i fondi nazionali coprivano l’84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%.
CURA DIMAGRANTE PER OFFERTA FORMATIVA
In sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. Quest’anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali.
Se questa riduzione è stata inizialmente dovuta ad azioni di razionalizzazione, ora dipende invece in larghissima misura – si fa notare – alla pesante riduzione del personale docente.
DOTTORATI AL LUMICINO
Rispetto alla media Ue, in Italia abbiamo 6.000 dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi di dottorato.
L’attuazione della riforma del dottorato di ricerca prevista dalla riforma Gelmini è ancora al palo e il 50% dei laureati segue i corsi di dottorato senza borsa di studio.
EMORRAGIA DI PROFESSORI
In soli sei anni (2006-2012) il numero dei docenti si è ridotto del 22%. Nei prossimi 3 anni si prevede un ulteriore calo.
Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. Pur considerando il calo di immatricolazioni, il rapporto docenti/studenti è destinato a divaricarsi ancora per una continua emorragia di professori che non vengono più assunti. Il calo è anche dovuto alla forte limitazione imposta ai contratti di insegnamento che ciascun ateneo può stipulare.
SPESE SUPERANO I FONDI
Dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), calcolato in termini reali aggiustati sull’inflazione, è rimasto quasi stabile, per poi scendere del 5% ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%.
Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università , a rischio di dissesto – osserva il Cun- non possono programmare nè didattica nè ricerca.
A RISCHIO ANCHE I LABORATORI
A forte rischio obsolescenza le attrezzature dei laboratori per la decurtazione dei fondi: anche i finanziamenti Prin, cioè i fondi destinati alla ricerca libera di base per le università e il Cnr, subiscono tagli costanti: si è passati da una media di 50 milioni all’anno ai 13 milioni per il 2012. Infatti dai 100 milioni assegnati nel 2008-2009 a progetti biennali si è passati a 170 milioni per il biennio 2010-2011 ma per progetti triennali, per giungere a meno di 40 milioni nel 2012, sempre per progetti triennali.
(da “La Stampa“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
MA IL DOCENTE UNIVERSITARIO SI DIFENDE: “NESSUNA INCOERENZA”
Professore, ma è lei lo Stefano Zecchi capolista a Milano per le regionali con la lista Albertini?
«Certo».
E lo Stefano Zecchi candidato in Senato con Fratelli d’Italia, secondo in lista in Friuli?
«Sono sempre io».
Due elezioni diverse, due regioni diverse e, soprattutto, due partiti diversi e “nemici”. Non le sembra un po’ strano?
«Non ci vedo alcuna contraddizione. Politicamente vengo dall’area del centrodestra e anche Albertini era nel Pdl. Nessuna incoerenza».
Sì, però lei si candida con La Russa, che in Lombardia è tra più forti contestatori di Albertini…
«A dire il vero è stato tra i suoi principali sponsor. Purtroppo questa legge elettorale demenziale ha portato alla strana alleanza tra Pdl e Lega. Ma sono tutti conflitti da cui io mi sento fuori, non vivo questo scontro».
Perchè si candida con Albertini?
«Perchè la sua è una lista amica. Sono stato suo assessore a Milano e vi assicuro che la Lombardia dovrebbe tenere in grande considerazione uno come lui. È la figura più adatta per guidare la Regione, anche se purtroppo non vincerà ».
E ora spieghi perchè si candida con Fratelli d’Italia.
«Mi candido in Friuli Venezia Giulia, terra di cui sono originario e a cui sono molto legato. Parte della mia famiglia ha vissuto il dramma dell’esodo istriano, ci ho scritto pure un libro. La mia candidatura è stata una scelta di cuore, non vedo perchè dovevo dire di no. E poi quello di La Russa mi piace perchè è uno degli unici due partiti, insieme col Pd, che non riporta il nome del leader nel simbolo. Comunque mi hanno assicurato che le possibilità di essere eletto sono vicine allo zero virgola…».
Dice che Albertini non vincerà e che lei non sarà eletto in Senato. Ma allora chi gliel’ha fatto fare di candidarsi?
«Il fatto è che quando mi contattano mi fregano sempre… Pensi che sono ancora consigliere comunale a Venezia, mi aveva spinto Brunetta».
Già , dimenticavamo: candidato con Albertini, candidato con La Russa e consigliere nella lista Brunetta a Venezia…
«Sì, lui si era candidato sindaco ma non ce l’ha fatta. Gliel’avevo detto: Renato, vedrai, io sarò eletto e tu no. Sapete perchè? Perchè io sono più simpatico di lui».
In Lombardia è capolista a Milano, buone possibilità di essere eletto: come farà a dividersi tra il Pirellone e Venezia, al netto degli altri impegni?
«Ho grande stima di Albertini, ma a dire il vero non mi ci vedo tanto come consigliere regionale… Se mi eleggono, bene. Altrimenti non ne farò un dramma».
Ora però dovrà fare campagna elettorale: starà a Milano o andrà in Friuli?
«Per ora sono a Milano, a letto con spalla e bacino rotti. Sono caduto mentre sciavo. L’ho vista brutta, ma il peggio è passato».
Quindi farà campagna elettorale da casa?
«In Friuli ci andrò, ho tanti amici da quelle parti che si sono detti pronti ad ospitarmi. A Milano sceglierò un metodo alternativo».
Per esempio?
«I social network, mi sto divertendo molto con Facebook. Non mi metto certo a girare i mercati per distribuire santini…».
Marco Bresolin
(da “La Stampa“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL TITOLO MEDIASET E’ SALITO DEL 45% DA QUANDO BERLUSCONI HA ANNUNCIATO LA SUA RICANDIDATURA ALLE ELEZIONI
Un blind trust per gestire il patrimonio da 4 miliardi di euro.
Silvio Berlusconi si prepara ad annunciare il colpo a sorpresa a chiusura della campagna elettorale.
Per spiazzare gli avversari, tentare di risalire di qualche punto, ma soprattutto «per fare piazza pulita dell’ultimo baluardo che la sinistra continua a strumentalizzare contro di me», come va dicendo.
Il Cavaliere è intenzionato a confermare in quell’occasione la voce che circola con insistenza da giorni nei mercati finanziari. E che vorrebbe imminente la vendita di una quota cospicua, sebbene di minoranza, delle azioni Mediaset.
La mossa è allo studio almeno da qualche mese.
Ne è a conoscenza solo il circolo ristretto degli uomini di fiducia. Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Ennio Doris, Denis Verdini, Angelino Alfano e, ovviamente, la famiglia.
L’argomento è stato trattato negli ultimi pranzi del lunedì con i figli. E, come già avvenuto in passato — una prima volta nel 2005 — il progetto del patriarca ha incontrato l’ostilità della figlia Marina e, in parte, di Piersilvio.
Tuttavia, questa volta il centocinquantanovesimo uomo più ricco al mondo (secondo Forbes), colui che ha visto lievitare il suo patrimonio negli ultimi 18 anni fino alla soglia dei 4 miliardi, vuole andare fino in fondo.
E la sortita ultima di Bersani («Se vinciamo, subito il conflitto di interessi») ha avuto l’effetto della classica goccia.
Affidamento del patrimonio a un consorzio di garanti, dunque. E poi vendita di una fetta.
Ma a chi?
Russi e arabi sono i principali indiziati per gli acquisti.
Gli operatori di mercato hanno intercettato movimenti di rilievo nell’andamento dei titoli di famiglia, in questi 60 giorni.
Dal 6 dicembre, data dell’annuncio della «ridiscesa in campo» da parte del segretario Pdl Alfano, la performance delle azioni Mediaset è stata straordinaria. Il titolo è cresciuto del 45 per cento, a fronte di una media del Ftse Mib del 18 per cento.
Il 17 gennaio, con il Cavaliere già in piena trance mediatico-elettorale («L’Italia rischia di cadere in mano alla sinistra comunista, non sono in conflitto di interessi») le azioni fanno boom: +9 per cento in un solo giorno a Piazza Affari.
Così, dopo l’anno nero del 2011, dopo i minimi del 2012 (il 16 novembre il titolo tocca il fondo di 1,16 euro), come per magia il 18 gennaio il valore raddoppia: 2,018 euro.
E il fenomeno non riguarda solo Mediaset.
In questo stesso gennaio d’oro del patron-candidato Berlusconi, a dispetto della magra stagione dei dividendi, la Mediolanum spa si prepara a distribuire ai propri azionisti 15 centesimi per azione, il triplo rispetto a Intesa Sanpaolo, Parmalat e Unicredit, per intendersi.
Ieri il marchio Mediaset ha perso il 4,46 per cento, ma è stata una giornata storta per l’intera borsa italiana. Incidenti di percorso rispetto a una più ampia effervescenza, il sospetto è che ci siano state ingenti operazioni di acquisto sul fiore all’occhiello del Biscione.
Tre hedge fund stranieri sono in effetti intervenuti sul titolo Mediaset: Aqr capital managment, Highbridge capital e Mashall Wace.
Saranno gli investitori in pole position per imminenti acquisizioni?
La società che ha beneficiato dell’impennata del proprio capitale, negli ultimi 15 giorni ha fatto sapere di non aver nulla da comunicare a proposito dell’andamento del titolo.
Andamento tale da aver portato ad un incremento del capitale di un miliardo da novembre a oggi, passato in un balzo a 2,4 miliardi di euro.
Incuriositi, gli analisti di Exane (legati alla Bnp Paribas) due giorni fa hanno pubblicato un report con cui tentano di spiegare come sia stato possibile che il titolo Mediaset abbia guadagnato il 45 per cento da novembre.
E hanno ricondotto il boom a due fattori.
Il primo è il calo dello spread, avvenuto a beneficio dell’intera economia italiana dopo un anno di cura Monti.
Come dire, sa di beffa ma il Cavaliere dovrebbe dire grazie al tanto vituperato Professore.
Il secondo motivo è più volatile, legato all’ipotesi che in caso di vittoria del centrodestra sarebbe più difficile una riforma del mercato tv.
Silvio Berlusconi si prepara a giocare d’anticipo.
I contatti con grossi investitori, russi e non solo loro, vanno avanti da tempo.
Prima del 24 febbraio, per tentare di strappare una manciata di altri punti nella rincorsa elettorale, si limiterà ad annunciare minicessioni.
Gli affari, semmai, si chiuderanno dopo.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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