Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTO COME PREVISTO: DAL CASO POLITICO A QUELLO “PERSONALE”, MA VERBA VOLANT E SCRIPTA MANENT
Pubblichiamo il comunicato stampa inviato dal coordinatore regionale Enrico Nan agli
iscritti liguri a Fli
Recentemente, in occasione dell’udienza fissata dal Giudice delle Indagini preliminari, per decidere sul rinvio a giudizio, spinto dal buonismo che mi contraddistingue, ho ritenuto di ritirare la querela a fronte di un documento sottoscritto anche da Riccardo Fucile nel quale veniva riconosciuto la correttezza del mio comportamento anche sotto il profilo dell’etica personale.
Ho letto recentemente, una riedizione , a firma “Liguria Futurista” di quanto già era stato scritto nel passato. Sia ben chiaro che è legittima ogni critica politica al mio operato ma, a questo punto, è altrettanto legittimo voler fare chiarezza su una presa di posizione che personalmente giudico strumentale e deviante.
Tutto ciò, se si considera che il direttore del sito dove è stato pubblicato l’articolo di Liguria Futurista è il solito Riccardo Fucile che nemmeno mi risulta iscritto a Futuro e Libertà . Si’ proprio colui che ha sottoscritto quel documento nel quale, in relazione agli episodi che mi venivano contestati, mi riconosceva una reciprocità di correttezza anche sotto il profilo dell’etica personale.
A questo punto, appare evidente che, la riedizione di questi attacchi personali, rappresenta un comportamento e una presa di posizione incoerente, finalizzata a voler danneggiare la nostra campagna elettorale.
Ho ritenuto pertanto di rivolgermi a tutti gli iscritti per far chiarezza e per sottolineare che la correttezza dei miei comportamenti è stata riconosciuta anche da chi mi ha mosso delle critiche.
Bisogna quindi, soprattutto in questa fase, essere uniti nell’ affrontare una campagna elettorale che si presenta difficile e in relazione alla quale non dobbiamo raccogliere le provocazioni da chi vuol fare del male a FLI .
Risponde il ns. direttore
Mi spiace che, a fronte di critiche politiche derivanti da circostanze peraltro ammesse a suo tempo dallo stesso Nan al Secolo XIX (ovvero aver ricevuto in sede Fli persone attenzionate dalla Dia e aver ottenuto in comodato gratuito la sede di Fli alla Fiumara da soggetto che finora si è sottratto alla magistratura italiana), lo stesso Nan non ritenga di fare autocritica sul danno, anche involontario, che possono aver arrecato all’immagine di Fli quei fatti e non entri nel merito della proposta politica avanzata da “Liguria Futurista”.
Mi spiace ancor di più che dimentichi quanto segue:
1) Per la querela da lui presentata nei miei confronti, lo stesso pm aveva chiesto al giudice l’archiviazione in quanto non sussistevano estremi per procedere.
2) Nan ha ritenuto ugualmente di fare opposizione alla richiesta del pm e il giudice, a fronte di analoga querela presentata da me verso altra persona, ha invitato le parti a rimettere le rispettive querele come soluzione più ragionevole.
Per la bontà che mi distingue, ho ritenuto di aderire alla richiesta del giudice, dichiarandomi disponibile alla remissione.
I rispettivi legali hanno stilato il seguente documento (che è ben diverso da quello che sostiene ora Nan):
“Con la presente ci diamo reciprocamente atto che, oggi, a distanza di tempo, valutati più serenamente i fatti oggetto del citato procedimento, riteniamo che gli stessi debbano rimanere confinati nell’ambito della dialettica politica senza che abbia ad occuparsene l’Autorità Giudiziaria, considerato che anche sotto il profilo dell’etica professionale sono stati chiariti i comportamenti di reciproca correttezza”.
Quindi si parla di etica professionale (e si riferisce a un giornalista e a me per quanto scritto) e non di etica personale.
E non si entra volutamente nel merito.
Se Nan afferma che “è legittima ogni critica politica al mio operato” prenda atto coerentemente che è lecito ritenere, a parere di molti, che il suo operato non sia andato nell’interesse del partito che rappresenta.
E che la sua candidatura (peraltro vietata dalla norma Monti su chi ha più di 3 legislature alle spalle) a parere di molti non sia ritenuta opportuna.
Non esistendo più la monarchia, non ha ragione di sussistere il reato di lesa maestà .
E avanzare proposte alternative, nell’interesse di Fli, è ancora permesso.
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
COALIZIONE MONTI: CHI HA GIA’ FATTO TRE LEGISLATURE NON POTRA’ ESSERE RIPRESENTATO… ORA VEDIAMO SE I VERTICI DI FLI AVRANNO IL CORAGGIO DI CANDIDARE UNA DONNA CAPOLISTA IN LIGURIA
Nell’accordo raggiunto ieri per la presentazione delle liste di coalizione a sostegno del premier Monti, sono stati posti dal professore numerosi paletti “etici” anche per la composizione delle liste Udc e Fli.
“Non solo su fedina penale e conflitto di interessi, ma anche sui 15 anni di legislatura. Con Enrico Bondi abbiamo pensato che possano essere concesse solo due deroghe per partito» ha sentenziato Monti, gelando Casini e Fini.
È la mannaia che scende su decine di parlamentari con tre e più legislature alle spalle.
Che non potranno più essere ripresentati.
Il caso riguarda anche la Liguria, dove era data per scontata la candidatura, dietro il capolista Fini, di Enrico Nan, nonostante l’opposizione di vasti settori del partito.
Infatti Enrico Nan è stato deputato per quattro legislature, dalla XII alla XV nelle file di Forza Italia, quindi è abbondantemente al di sopra dei limiti fissati da Monti e accettati da Casini e Fini.
A questo punto Fini potrebbe giocarsi la carta di una delle due deroghe concesse, ma sarebbe difficile giustificarla di fronte a numerosi altri meritevoli parlamentari uscenti di Fli che hanno raggiunto le tre legislature (e magari non in Forza Italia).
La logica direbbe, se le dichiarazioni hanno un valore, che Nan non potrà essere in lista in Liguria.
Prima di nominare qualche compassato panchinaro a mo’ di tappullo, sarebbe bene che Fini valutasse l’ipotesi che suggeriamo da tempo: lista di sedici motivati giovani under 30, quattro per provincia, con capolista una giovane donna genovese.
Per dare un segnale vero di cambiamento.
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
NIENTE “PER MONTI” NELLE LISTE UDC E FLI… IN QUELLA DEL PREMIER NESSUN POLITICO, SOLO RAPPRESENTANTI DELLA SOCIETA’ CIVILE… E AL LIMITE DI DUE LEGISLATURE CONCESSE SOLO DUE DEROGHE PER PARTITO
Tutti per uno, ma da questo momento ognuno farà per sè e tra Udc e il partito del
Professore sarà battaglia all’ultimo voto.
Competition vera alla conquista dei consensi cattolici.
Mario Monti tenta di portare a casa bottino pieno fino all’ultimo istante: «Si può sempre tornare alla proposta iniziale della lista unica anche alla Camera».
Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini scuotono la testa, soprattutto il leader Udc. Sono di fronte a lui nello studio al secondo piano di Palazzo Chigi.
È tarda mattinata, la seconda estenuante riunione dopo quella non risolutiva della sera precedente.
Non c’è più tempo, bisogna decidere che fare e presentarsi davanti alle telecamere mostrando i simboli e chiarendo quante liste correranno «per Monti».
La legge vieta di inserire il timbro “doc” in quelle di Udc e Fli. Ma di confluire tutti sotto il medesimo listone non se ne parla.
«Noi abbiamo una nostra identità , una storia da rappresentare, non possiamo rinunciare allo scudo crociato, portiamo più voti alla causa se ci siamo» incalza Casini.
Che a quel punto rilancia e spiazza il Professore: «Semmai, togliamo il riferimento a Monti da tutte le liste, anche dalla tua, quella civica».
È il premier questa volta a scuotere la testa: «beh, non credo sia possibile, il riferimento all’Agenda e all’azione di governo ha una sua importanza, credo sia imprescindibile».
La soluzione diventa salomonica.
Ognuno dei tre correrà per sè, solo tre liste apparentate con l’unico leader di riferimento. Ma tanto l’Udc quanto Fli non avranno ombrello di protezione. Il nome Monti comparirà solo sua lista.
Detto fatto.
Trascorrono poche ore e sotto i riflettori e le telecamere dell’Hotel Plaza nasce il partito cattolico del Professore, l’unico che sarà presente sia alla Camera che al Senato con un simbolo che ruota tutto attorno al leader.
In prima fila il ministro Andrea Riccardi, Andrea Olivero, i dirigenti di ItaliaFutura di Montezemolo, sono gli strateghi dell’operazione votata alla conquista del grande centro.
Una sfida ad alto rischio soprattutto per Casini. «Abbiamo fatto un gesto di alta generosità , ma l’esito della contesa sul voto cattolico è tutt’altro che scontato» racconta dopo il vertice un alto dirigente centrista.
Monti se la giocherà tutta sulla «purezza » della sua lista-partito.
«Non ci sono parlamentari» è la prima cosa che dice nella simil-conferenza stampa (senza domande) al Plaza e un’ora dopo dalla Gruber in tv. Sarà il refrain della campagna. Non casuale.
Un sondaggio commissionato dagli uomini a lui più vicini riconoscerebbe al «partito Monti» un 4 per cento in più se non fosse affiancato da «vecchi politici».
Ma Fini e Casini non ci stanno a passare da supporter. «Sarà inevitabile che i nostri nomi compaiano sui rispettivi simboli alla Camera: mancando il tuo, dobbiamo dare un riferimento ai nostri elettori» dicono entrambi al Professore durante il vertice.
Ed è così che, sul simbolo Udc a Montecitorio ricomparirà il nome del leader cancellato appena pochi mesi fa. Così su quello di Fli. Non solo.
Come già aveva sostenuto nella riunione della notte precedente, Monti fa presente che i criteri per selezionare i futuri parlamentari dovranno essere rigorosissimi.
Non solo su fedina penale e conflitto di interessi, ma anche sui 15 anni di legislatura. «Con Enrico Bondi abbiamo pensato che possano essere concesse solo due deroghe per partito» sentenzia gelando i suoi due ospiti.
È la mannaia che scende su decine di parlamentari uscenti con tre e più legislature alle spalle. Casini soprattutto aveva rassicurato sul ripescaggio una buona parte dei «ras» meridionali e non di tradizione dc. Tutto sfumato.
«Ma a conti fatti, Monti ci da una grossa mano d’aiuto, potremo avviare un serio rinnovamento nelle liste dicendo agli esclusi che abbiamo dovuto accettare il veto» spiegano big finiani e Udc.
Sarà , ma certo due deroghe appena peseranno, soprattutto per i centristi, i cui banchi erano zeppi di parlamentari di lungo corso. Casini e Buttiglione sono «derogati», ovvio. Così Fini.
Il leader Udc però si impunta al cospetto di Monti: «Se le cose stanno così, non essendoci più il tuo nome sul nostro simbolo, allora pur nel pieno rispetto dei criteri generali, la nostra lista la gestiamo noi».
Il nome di Lorenzo Cesa (con un precedente giudiziario prescritto) nessuno lo fa, ma diventa il convitato di pietra del vertice. Casini lo candiderà comunque, per lui il discorso è chiuso. Il premier nicchia ma incassa.
Come pure incasserà la cancellazione dal simbolo della lista unica al Senato del riferimento alla «scelta civica» che campeggia invece sul logo Monti alla Camera. Altro che civica.
«È chiaro che nella lista per Palazzo Madama confluiranno tutti gli ex Pd e Pdl» spiega a margine della conferenza stampa Andrea Olivero, ex presidente Acli.
La lista dei “reduci” è sfumata. In sala si materializza il senatore ormai ex pd Adragna, che con D’Ubaldo e altri due poche ore prima ha dato vita ai Democratici popolari.
Lo stesso fanno Frattini, Mario Mauro, Mantovano e altri ex Pdl con i “Popolari per Monti”.
Ma nel listone unico del Senato non ci sarà posto per tutti.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
FORZITALIOTI E PADAGNI UNITI NELLA LOTTA (PER LA POLTRONA)
L’accordo tra Pdl e Lega per confermare l’alleanza sia in Lombardia che alle elezioni politiche sarebbe ormai fatto.
Ma nessuno lo vuole ancora confermare.
Berlusconi rinuncerebbe alla candidatura a premier, ma non ci sarebbero altre candidature ufficiali dei due partiti a Palazzo Chigi.
Il Cavaliere si limiterà a fare il capo della coalizione. Alla fine e solo in caso di vittoria, il più votato dagli elettori tra i nomi di bandiera sarà il candidato di tutti.
Un escamotage consentito dall’attuale legge elettorale che non obbliga i partiti a dare l’indicazione.
In cambio, il Carroccio ottiene il sì di Berlusconi alla candidatura unica di Roberto Maroni in Lombardia e all’idea di trattenere nella stessa regione il 75 per cento del gettito fiscale. Spalmato, però, in più anni.
«Berlusconi ha fatto un passo indietro – spiega un luogotenente di Maroni – e noi ne facciamo mezzo verso di lui. Del resto, spetta al Presidente della Repubblica dare l’incarico di formare il nuovo governo ».
In questo modo la Lega potrebbe continuare a sponsorizzare il nome del sindaco di Verona Flavio Tosi e il Pdl quello del segretario politico Angelino Alfano.
L’ufficializzazione dell’accordo dovrebbe arrivare solo dopo il faccia a faccia tra Berlusconi e Maroni oggi o domani.
I due si sarebbero già sentiti al telefono.
L’unica incertezza sull’appuntamento è la coincidenza con la festività dell’Epifania. «Solo una questione di dettagli» conferma il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani, uno dei più stretti collaboratori del Cavaliere, che però ammette: «Speriamo che questa vicenda non diventi la guerra dei Trent’anni».
In ogni caso, la decisione sarà in tempo per il consiglio federale che il Carroccio ha convocato martedì.
Anche se, al momento, resta comunque ancora più di una incognita.
L’ordine del giorno della riunione del parlamentino leghista, in realtà , prevede la definizione dei candidati delle liste.
Maroni, infatti, ha già ricevuto all’unanimità il mandato a trattare con il Pdl. Ma è più che probabile che la componente veneta, la più scettica finora all’idea di confermare l’alleanza con Berlusconi, faccia sentire la sua voce.
«Al momento non ci sono novità » tagliava corto significativamente ieri sera un autorevole dirigente leghista veneto, nonostante il tam tam di indiscrezioni sull’accordo ormai raggiunto che si sono rincorse per tutto il giorno.
In Lombardia, qualche conferma in più, ma a patto di non rilasciare commenti.
Nella Lega tutto resta ancora sospeso. Almeno finchè il capo non darà l’ok. Ieri, Maroni si è limitato a stigmatizzare su Twitter i risultati del governo Monti in tema di sicurezza.
Non si sbilancia nemmeno il segretario della Lega Lombardia Matteo Salvini, i cui toni si erano comunque ammorbiditi negli ultimi giorni.
In base alla bozza elaborata nei giorni scorsi al tavolo tecnico formato dai leghisti Roberto Calderoli, Giancarlo Giorgetti, Andrea Gibelli e dai pidiellini Luigi Casero e Paolo Romani, la proposta di trattenere sul territorio regionale il 75 per cento del gettito fiscale fuori dalla Lombardia sarebbe stata parecchio edulcorata.
Per renderla meno indigesta ai dirigenti pidiellini delle regioni del Sud.
Il meccanismo è quello dell’applicazione dei costi standard.
In altre parole, le altre regioni potranno trattenere una percentuale del gettito fiscale fino al 75 per cento, ma proporzionata alla virtuosità nel contenimento dei costi.
In caso contrario, tutto resterà come prima.
L’intesa tra Pdl e Lega sarebbe soprattutto sul programma.
Ancora tutte da definire le candidature e gli accordi sui collegi.
Resta in campo l’ipotesi di un ticket in Lombardia tra Maroni e l’ex ministro pidiellino Mariastella Gelmini.
Anche se Ignazio La Russa spingerebbe per l’opzione Viviana Beccalossi.
Ma c’è chi è pronto a scommettere che alla fine tra le due potrebbe spuntarla proprio il senatore berlusconiano Mantovani.
Andrea Mantovani
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
CONTI IN ROSSO, SVENDITA DEGLI IMMOBILI: ARRIVANO LE “FEDERAZIONI SANITARIE” PER PIAZZARE QUALCHE PADAGNO… DI CERTO SOLO I COSTI: UN MILIONE DI EURO IL COMPENSO PER GLI AMMINISTRATORI
Conti drammaticamente in rosso, svendita degli immobili e nuovi provvedimenti in
ambito sanitario.
La Regione Piemonte mette piede all’acceleratore e va avanti spedita verso la privatizzazione del pubblico.
Con la costituzione delle federazioni sanitarie (prodotto della legge regionale numero 3 del 2012) è di fatto possibile bypassare le Asl e Aziende ospedaliere per controllare la sanità anche per fini politici.
Come? Il presidente Cota e l’assessore Monferino avevano dichiarato più volte che per ridurre la spesa sanitaria bisognava intervenire drasticamente razionalizzando e accorpando.
L’ex manager Iveco Monferino, diventato assessore, non perdeva occasione per dichiarare che voleva trasferire la sua esperienza nella sanità , accorpando gli acquisti e magazzini per perseguire economie di scala.
E così, con la legge regionale in Piemonte si creano sei nuove società consortili private, le Federazioni sanitarie.
Ogni Federazione ha a capo un amministratore unico e aggrega un certo numero di aziende sanitarie o ospedaliere che diventano soci della Federazione e ad essa devono cedere tutte le funzioni amministrative gestionali e tecnico logistiche.
Una innovazione che sembra basarsi sul modello manageriale privato, efficiente.
C’è lo Statuto della Società consortile, c’è l’assemblea consortile dove amministratore della Federazione e soci prendono le decisioni, ci sono i revisori dei conti.
Nei fatti c’è la creazione di altre sei strutture stabili, con amministratori ben pagati con contratto triennale, organizzate secondo un criterio di appartenenza politica, che riferiscono direttamente a Monferino e hanno il mandato di estrarre rapidamente dagli ospedali tutte le funzioni non strettamente sanitarie per poterle governare direttamente e più facilmente, gli acquisti per primi.
Di sicuro abbiamo nuovi costi certi: gli stipendi dei sei amministratori privati, pari a quelli di un direttore generale di azienda, si viaggia sui 130mila euro annui a testa, aggiungiamoci i costi di rogito delle Federazioni, che sono società private, quindi si va dal notaio e si paga, altri soldi. In tempi di spending review e di crisi profonda per la Regione, almeno un milione di euro l’anno.
Soldi pubblici.
Le federazioni private però si attribuiscono funzioni ma non hanno personale proprio: chi svolge il lavoro?
Il personale delle aziende sanitarie o ospedaliere del servizio sanitario regionale.
Dunque dipendenti pubblici, quelli che già svolgevano le stesse funzioni in ospedali e Asl, già collegati in rete da anni a fare acquisti in comune.
Già , perchè ben prima dell’epoca di Cota e Monferino ospedali e Asl si erano uniti in “sovrazone” per aggregare i propri fabbisogni di beni e servizi e fare gare d’appalto insieme, onde ottenere economie di scala.
Con uno strano meccanismo il personale del sistema sanitario nazionale sarà “assegnato funzionalmente” alle federazioni pur rimanendo contemporaneamente in carico e pagato dal sistema sanitario nazionale, almeno stando al testo della legge regionale, e ai primi accordi che vanno stipulandosi tra direttori degli ospedali ed amministratori delle federazioni.
Questa “assegnazione funzionale” pare preoccupare i dipendenti coinvolti; sono dipendenti pubblici e tuttavia lavoreranno per società consortili private, quali sono le federazioni; il loro rapporto di lavoro è regolato dettagliatamente dal contratto collettivo nazionale, dove questa “assegnazione funzionale” non esiste.
Pare che l’assegnazione duri almeno un anno, senza possibilità di tornare indietro prima, non è chiaro poi indietro dove e a fare cosa.
In un periodo storico in cui appare obbligatorio il contenimento della spesa pubblica, la Regione Piemonte, a rischio fallimento (Monferino stesso ha dato l’allarme default) si mette a creare nuove strutture, private, che duplicano funzioni già di competenza di enti pubblici creati con legge nazionale.
L’assessorato alla Sanità , già interrogato dai sindacati, chiarisce che è tutto in regola e le federazioni sono di diritto pubblico “poichè i soci sono esclusivamente le aziende sanitarie regionali afferenti all’area sovrazonale coincidente con ciascuna federazione”. Ma quello che sta accadendo in questi giorni dentro aziende sanitarie e ospedaliere non è così normale come si tenta di far credere.
Nell’ultima settimana ci sono stati numerosi accordi fra amministratori delle federazioni e i vari direttori, con una notevole accelerazione del trasferimento delle competenze e del personale alle Federazioni.
Spostamenti in realtà temporanei, in attesa di concentrare più funzioni possibili intorno alle Federazioni.
Mentre per il personale si parla sempre più spesso di esuberi e di mobilità .
Un bagno di sangue annunciato.
Intanto, mentre prosegue il trasferimento delle funzioni, il 30 gennaio il Tar dovrà pronunciarsi sulle Federazioni a seguito di un ricorso presentato da Fedir Sanità , che ha sollevato, fra le altre cose, il dubbio di incostituzionalità delle stesse.
Angela Corica
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
GIULIANA DE’ MEDICI, FIGLIA DI DONNA ASSUNTA, SARA’ CANDIDATA ACCHIAPPAVOTI DE “LA DESTRA” DI STORACE IN REGIONE LAZIO…IL POVERO GIORGIO SI RIVOLTEREBBE NELA TOMBA A PENSARLA INVITATA ALLE CENE ELEGANTI DEL CAVALIERE
Rose e spine sulla strada che porta il leader de La Destra ed ex presidente della Regione Lazio Francesco Storace verso le elezioni e il tentativo di tornare a fare il governatore. Mentre una parte del Pdl – proprio la direzione del Lazio – lo scarica sconfessando l’investitura che aveva ottenuto da Berlusconi e chiede un candidato pidiellino alle Regionali, Storace rafforza la sua squadra candidando la figlia dello storico leader dell’Msi Giorgio Almirante.
«Giuliana de’ Medici ha accettato la proposta di candidatura alla regione Lazio», annuncia Storace.
Prima di decidere Giuliana si è confrontata con la madre, Donna Assunta: «Mi ha detto di farlo. E lei dice sempre quello che pensa».
IL NOME E IL LAVORO –
Laureata in Scienze Politiche, due master (in marketing politico-elettorale e in comunicazione della pubblica amministrazione) Giuliana deve il suo cognome de’ Medici al fatto che fu riconosciuta ufficialmente dal primo marito della madre, dal quale donna Assunta (vero nome Raffaella Stramandioli) era separata ma non divorziata perchè il divorzio all’epoca non esisteva ancora.
Per anni ufficio stampa di una serie di deputati missini (Franchi, Maceratini, Boni), fino alla chiamata di Storace, la figlia di Almirante si era mantenuta lontana dalla tentazione di un impegno diretto in politica: «Anche perchè – ha spiegato – essendo cresciuta in un ambito familiare molto attivo, mi sembrava poco opportuno entrare nel mondo che fu di mio padre, era difficile reggere il confronto con una personalità come la sua».
IMPEGNO NELLA SANITA’ –
«Non cerco poltrone, come d’altronde è tradizione della mia famiglia, ma credo che sia il momento di rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco, a 360 gradi – ha detto Giuliana de’ Medici -, per dare un contributo per migliorare la vita delle persone».
Per questo ha accettato di candidarsi nella lista de La destra a Roma a sostegno della candidatura di Francesco Storace alla Regione Lazio.
TELEFONATA A DONNA ASSUNTA –
«Ci siamo visti a Roma assieme al capolista de La Destra, Roberto Buonasorte, che guiderà il partito nella circoscrizione di Roma assieme a Giuliana – scrive Storace nella sua pagina Facebook – e subito dopo ho telefonato a donna Assunta Almirante per ringraziarla della disponibilità di una famiglia così importante nella storia della destra romana e italiana».
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
IL PDL ORMAI RIDOTTO A FARSI DETTARE LA LINEA DA UN PARTITITO DEL 5% ALLO SFASCIO…IL FIDO MICCICHE’ A RAPPORTO DAL CAVALIERE (COME VOLEVASI DIMOSTRARE)
Silvio fatti più in là , e l’accordo si chiude.![](http://sphotos-e.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-prn1/58243_4503036046594_120983657_n.jpg)
Ma prima ancora il Pdl deve sposare in pieno, e nero su bianco, l’idea leghista della macroregione del Nord.
Il tempo stringe, non rimangono che un paio di giorni per convincere Berlusconi a rinunciare a ricandidarsi per Palazzo Chigi.
E poi annunciare in questo weekend (ma il termine ultimo è il “federale” dell’8 gennaio) l’intesa o la rottura.
La proposta della Lega al Cavaliere è questa, come spiega un luogotetente di Maroni: «Con il Pdl, e anche con altre formazioni di centrodetra, ci alleiamo in vista delle politiche; ma senza dire prima chi sarà il candidato premier; e ovviamente escludendo che Berlusconi possa correre per quella carica».
Insomma, Silvio può fare il «regista», o addirittura il capo della coalizione; ciascun partito schiera un proprio candidato e, in caso di vittoria, chi prende più voti diventa premier.
Per il Pdl dovrebbe correre il segretario Angelino Alfano e per la Lega il sindaco di Verona Flavio Tosi; ci sarebbe spazio anche per Giorgia Meloni, che verrebbe indicata dalla nuova formazione degli ex An ora diventati “Fratelli d’Italia”.
Insomma un vero e proprio “ticket” che vedrebbe “Angelino e Flavio” come i campioni del centrodestra.
Ma questi, appunto, sono per ora i desiderata del Carroccio.
Tanto che c’è chi come Gianfranco Miccichè che immagina un’altra soluzione: tre candidati premier. Tosi al nord, Berlusconi al centro e Antonio Martino al sud. Replicando così lo schema che portò alla vittoria nel ’94 del Polo del buon governo (nelle regioni meridionali) e del Polo della libertà (in quelle settentrionali).
Il capo del Carroccio, dopo le recenti aperture di Berlusconi («Forse non mi ricandido, potrei fare il ministro»), attende però un segnale «chiaro e inequivocabile » perchè «in queste ultime settimane Silvio ha fatto troppe giravolte; se davvero rinuncia alla premiership, non deve dirlo ai giornali, ma comunicarcelo in modo ufficiale».
Quindi qualcosa si sta muovendo e viene definito «un passo in avanti» l’incontro di ieri pomeriggio a Milano: in via Bellerio si presentano i pidiellini Paolo Romani e Luigi Casero, dall’altra parte del tavolo ci sono Maroni e Calderoli.
È la seconda puntata, dopo il fallimento dell’incontro di sabato sempre a Milano, ma in via Rovani, a casa del Cavaliere, dove “Bobo” gli aveva dato buca facendolo andare su tutte le furie.
Sul piatto, «la madre di tutte le battaglie», come Maroni definisce la proposta di istituire la macroregione del Nord, con il corollario di trattenere in Lombardia il 75 per cento delle imposte, dirette e indirette, versate dei cittadini.
Su questo non c’è «alcun margine di trattativa », e il leader del Carroccio ai suoi interlocutori lo ribadisce fino alla noia: per arrivare alla doppia intesa (alleanza in Lombardia, con lui candidato presidente; e poi alleanza anche alle politiche) il Pdl deve sostenere «in modo esplicito» questo progetto.
Anzi: «Va messo per iscritto nel programma elettorale per la Lombardia, con una formulazione che non può lasciare spazio ad alcuna ambiguità : nessuna alleanza con chi non sottoscrive questo punto, che per noi è pregiudiziale ».
Romani e Casero non fanno le barricate, anzi ai leghisti sembra che loro sarebbero pure d’accordo: ma sono solo degli ambasciatori, devono riferire a Berlusconi e riportare la risposta nel giro di 48 ore. Il segretario leghista è guardingo: «per il Pdl sarà difficile accettare una proposta che se attuata comporterà un’enorme cura dimagrante per le Regioni che ricevono più di quel che hanno ».
Ma non c’è alternativa, su questo non si può mollare. Altrimenti «non si capirebbe perchè da segretario io mi sono candidato in Lombardia, e non al Parlamento; le tre Regioni del Nord che guideremmo costituirebbero una massa critica tale da condizionare qualsiasi governo; è per questo che ciò che succede a Roma a noi interessa molto meno».
La palla torna al Pdl, «il tempo sta scadendo, decidano loro se conviene accettare le nostre condizioni». Però a tirarla per le lunghe sono proprio i leghisti, basta sentire quel che dicono parecchi colonnelli di provata fede maroniana: «Con Berlusconi — è il refrain — bisogna chiudere l’accordo all’ultimo minuto, altrimenti lui è capace di cambiare idea e di andare in televisione a rimangiarsi tutto ».
E poi, è il ragionamento, conviene a Silvio rovesciare il tavolo? No, dopo che Monti ha benedetto Gabriele Albertini: «O Berlusconi sostiene Bobo, oppure fa vincere la sinistra», è l’aut aut dei leghisti.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
GRAZIE ALLA NORMA FATTA APPROVARE DA FORMIGONI L’ULTIMO GIORNO DI LAVORI BEN CINQUE NUOVI GRUPPI POTRANNO EVITARE LA RACCOLTA FIRME
L’election day non sarà uguale per tutti.
La Lombardia ha fornito ai suoi consiglieri una comoda scorciatoia all’annosa raccolta delle firme, esercizio sul quale lo stesso presidente Formigoni è caduto con la nota vicenda delle firme false.
Stavolta è tutto legale, anche se di “gabola” si può parlare, non senza costi aggiuntivi per il contribuente e il rischio di veder naufragare la nuova consiliatura sotto una pioggia di ricorsi.
Il Natale ha portato sotto il Pirellone 5 nuovi gruppi politici in corsa per il voto del 24/25 febbraio.
Non nuovi del tutto, in realtà , perchè a depositare le richieste sono stati consiglieri in scadenza, annunciando la fuoriuscita dai rispettivi gruppi e la formazione di nuovi.
Un abbandono scattato all’unisono e a gruppi di tre, in tempo utile rispetto alla scadenza del 26 gennaio e nel numero legale minimo richiesto dallo statuto.
Perchè? Perchè così facendo possono lasciare ad altri l’onere di raccogliere le firme. Tecnicamente si chiama “spacchettamento” ed è reso possibile da un cambio in corsa che sa tanto di leggina ad hoc.
In deroga a una norma di 44 anni, il giorno dello scioglimento del Consiglio regionale, il 26 ottobre, è stato introdotto infatti un comma della nuova legge elettorale lombarda che “esonera dalla sottoscrizione degli elettori le liste espressione di forze politiche corrispondenti ai gruppi (…) presenti nel Consiglio”.
Ne hanno beneficiato, in questi giorni, tre consiglieri del Pdl in quota Albertini sotto l’insegna “Lombardia Popolare”.
Anche gli ex An hanno subito approfittato della scorciatoia dando vita al gruppo “Centrodestra Nazionale”.
Scissione doppia per la Lega: da una parte i tremontiani con la lista “3L — Lista, Lavoro e Libertà ” e dall’altra il gruppo “Popolo della Lombardia”.
Laceranti divisioni anche nell’Udc hanno prodotto il “Centro Popolare Lombardo”, cui si è aggiunto a sorpresa l’Idv Franco Spada, entrato in Consiglio regionale solo due mesi fa. Appoggeranno il candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli .
Ed è così che i gruppi regionali nel giro di 10 giorni sono saliti da 8 a 13.
I consiglieri sollevati dalla raccolta firme gravano però sui cittadini che si propongono di rappresentare.
Ogni gruppo che nasce, infatti, si porta dietro un gruzzoletto che può arrivare a 100mila euro, ogni neocapogruppo riceverà un’indennità aggiuntiva fino a 1.300 euro al mese e una dote da 70mila per le spese di funzionamento da qui alla nuova legislatura.
La svolta della Lombardia sta sollevando un polverone.
Soprattutto tra gli “scissionati”, i gruppi che perdendo per strada uno o più consiglieri sono scesi sotto il numero legale di tre.
Idv e Udc vanno incontro allo scioglimento del gruppo e contestuale iscrizione a quello misto.
Per loro, simboli storici della politica nazionale (e lombarda), scatterà l’obbligo di raccogliere le firme dal quale sono esentate, paradossalmente, le new entry.
C’è già chi annuncia battaglia.
Il consigliere dell’Idv Stefano Zamponi, ad esempio, mentre raccoglierà le firme scriverà anche i ricorsi a Tar e Consiglio di Stato: “Il Consiglio regionale si è sciolto il 26 ottobre e da allora avrebbe dovuto approvare solo provvedimenti ‘urgenti e indifferibili’.
La nascita di nuovi gruppi non risponde a questo dettato”.
La nuova legislatura potrebbe iniziare e decadere subito, qualora i ricorsi venissero accolti.
La scorciatoia lombarda non ha pari nelle altre regioni chiamate al voto, dove le regole non si allargano, ma si stringono.
In Molise, ad esempio, si torna alle urne proprio per una storia di liste e firme irregolari che il Consiglio di Stato ha annullato il 16 ottobre scorso.
“Siamo sorpresi — spiega Claudio Pian dell’Ufficio di Presidenza — noi abbiamo approvato il 20 dicembre uno statuto molto rigido che non permette trucchi o scorciatoie come in Lombardia. Le mille firme le devono presentare tutti”.
Persino nel Lazio di Renata Polverini e Franco Fiorito la raccolta delle firme è obbligatoria per tutte le liste, da quelle dei grandi partiti agli otto gruppi consiliari formati da una sola persona (i famigerati “monogruppi”) che siedono in consiglio.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2013 Riccardo Fucile
I MILITANTI DELLE DUE CITTA’ SI SCAMBIANO INSULTI: “NON SIAMO UN CLUB PRIVE'”
«Abominevole faccenda», «comportamenti al limite del delinquenziale»,
«miserabili», «cialtroni», «movimento trasformato in un club privè» e via dicendo.
La sequela di amabili insulti reciproci scambiati online rende bene l’idea delle tensioni interne al Movimento Cinque Stelle: da una parte i grillini di Como, dall’altra tutti gli altri della Lombardia.
Ma cos’è successo?
La storia parte da lontano, con due liste che non possono proprio sopportarsi: quella del capoluogo lariano e quella di Cantù.
“Antipatie” che hanno finito per coinvolgere il M5S in ambito regionale: se i grillini in tutto avranno 79 candidati in lista per il Pirellone invece degli 80 previsti è proprio grazie alle diatribe comasche.
I cinque nomi che doveva presentare quella provincia saranno invece quattro.
Le primarie avevano eletto tre uomini e due donne: la più votata è stata una donna, Giovanna Serpico; siccome la legge elettorale regionale prevede l’alternanza uomodonna sulla scheda, Serpico avrebbe dovuto far posto in cima a un uomo.
Il fatto è che la grillina a quel primo posto non vuole rinunciare («come prima candidata scritta ha, per ovvie ragioni psicologiche e mediatiche, più possibilità di essere votata e quindi eletta, e ci sembra comprensibile che non voglia rinunciare alla posizione che il voto le ha garantito», la difendono i suoi), per cui l’alternanza salta e a farne le spese è appunto un uomo.
Guarda caso il quinto nome che salta – per quello che viene considerato «un capriccio della Serpico» – è un “non gradito” dai comaschi («perchè del gruppo di Cantù ed Erba», spiega Vito Crimi, uno dei dirigenti del M5S).
A nulla è servito l’intervento da paciere della candidata presidente Silvana Carcano: i comaschi hanno raccolto le firme per i quattro e di mollare l’osso non vogliono saperne. Interverrà Beppe Grillo?
Matteo Pucciarelli
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