Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
“GLI IMMIGRATI DEL NORD” HANNO INVASO LE LISTE… I NOMINATI DALLA DIREZIONE NAZIONALE HANNO TAGLIATO FUORI CHI E’ STATO ELETTO NELLE PRIMARIE
“Il sottoscritto Sergio Blasi in pieno e assoluto dissenso con il gruppo dirigente nazionale del Pd, per aver tradito lo spirito delle primarie e aver invaso le liste pugliesi di “immigrati dal Nord”, si dimette irrevocabilmente dalla carica di segretario regionale della Puglia”.
Con una lettera consegnata alle 2.45 di questa mattina, nel Partito democratico pugliese esplode la protesta.
Che il braccio di ferro tra i segretari regionali e la direzione nazionale del Pd fosse una prova di forza, non v’era dubbio. Ma che facesse rotolare — seppur spontaneamente — qualche testa, forse non era stato messo in conto.
Ma il nodo liste è una partita che non ammette sconti.
E Sergio Blasi sapeva che il vertice bilaterale convocato nottetempo non sarebbe stata una passeggiata e non sarebbe certo finito con un brindisi. Il nodo della questione è la quota di nominati (otto) imposti da Roma nelle liste.
“Troppi” per il segretario dimissionario, “pochi” per la direzione nazionale.
A inasprire le posizioni, l’intenzione di Roma di piazzare i “suoi” in posizioni che garantiscano l’accesso sicuro al Parlamento.
La direzione regionale pugliese del Pd, riunitasi il 6 dicembre, aveva deliberato la proposta di liste, assicurando al nazionale i due capolista (Franco Cassano apprezzato sociologo barese alla Camera e Anna Finocchiaro già capogruppo del Pd al Senato) più il diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo posto a Montecitorio, e al secondo e all’ottavo a Palazzo Madama.
Nel vertice notturno, i dirigenti romani dopo aver “apprezzato la caratura delle liste” hanno comunicato che “le esigenze sono altre purtroppo”.
Quindi i posti blindati alla Camera dal team di Bersani devono necessariamente essere il primo, il terzo, il sesto, il decimo e il quattordicesimo.
Questo si traduce con lo slittamento in fondo alla lista di chi, anche tra gli uscenti, si è messo alla prova con le primarie per testare il consenso nel territorio di appartenenza.
E’ a questo punto che l’ira di Blasi è montata fino ad esplodere con le dimissioni. “La priorità — ha detto — sono le primarie del 30 dicembre; il risultato ottenuto dai pugliesi non può rischiare di essere vanificato. In questo modo si invadono le liste pugliesi di immigrati dal Nord”.
Di fronte all’irremovibilità dei romani, la risposta è stata la lettera di dimissioni. Irrevocabili per altro, ammesso che nelle ultime ore di trattativa, da largo del Nazareno non arrivi un dietrofront.
A trarre vantaggio dalla linea romana sarebbero alla Camera, il vice presidente del Pd Ivan Scalfarotto, la senatrice uscente Francesca Marinaro, i deputati uscenti Paola Concia e Alberto Losacco, l’ex sindaco di Alberobello in quota socialista Bruno de Luca; balzarebbero più su rispetto alle attuali posizioni.
Per contro a farne le spese sarebbero l’avvocato leccese Fritz Mazza, il parlamentare tarantino Ludovico Vico, la collega barese Margherita Mastromauro che slitterebbero in zona Cesarini.
Per non parlare di altri nomi proposti dalla segreteria regionale del Pd, ovvero il rettore dell’università di Bari Corrado Petrocelli, il presidente della fondazione “La Notte della Taranta” Massimo Bray e il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno Giuseppe De Tomaso.
La stima, del resto, è di 19 eletti alla Camera e 9 al Senato.
Il “caso Puglia” rischia di esplodere anche nelle altre regioni.
Gli attriti tra i “locali” e i capitolini sono comuni.
A essere contestato è il metodo unico utilizzato per garantire un posto ai “paracadutati” da Roma che in totale sono un centinaio in tutta Italia.
La quota nazionale equivale al 10 per cento del totale dei candidati.
In Puglia ad esempio, oltre ai capolista, i nominati dovrebbero essere quattro su 42 candidati alla Camera, e due su 22 al Senato.
E questo non va giù perchè si traduce con il dover mettere a rischio l’elezione di chi è passato dalla strettoia delle primarie.
I malumori sono scoppiati anche in Sicilia dove è stato chiesto di ridurre alla metà il numero dei nominati — da 11 a 6 — e nel Lazio 2.
Ma per ora le uniche dimissioni sono quelle del segretario pugliese, tra l’altro l’unico finora ad aver rinunciato alla candidatura sicura nel listino bloccato di Bersani.
Il leader nazionale Pierluigi Bersani ha fatto sapere di essere lui a dover dire l’ultima parola sulle liste.
A lui il compito di sciogliere tutti i nodi e terminare la battaglia con meno feriti possibile.
Mary Tota
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX GOVERNATORE AVEVA AVUTO LA PROMESSA DI APPOGGIO DI BERLUSCONI E ORA SI CHIEDE: “MA SILVIO CONTA QUALCOSA NEL PDL O NO?”
È Beatrice Lorenzin la candidata del Pdl alla presidenza della Regione Lazio. «Ho avuto
l’onore di essere interpellata come possibile candidato per il Lazio, vediamo un po’ cosa succede. Sono a disposizione», ha confermato la deputata.
La Lorenzin sfiderà Nicola Zingaretti (Pd).
«Il centrosinistra per primo ha promosso il cambiamento portando la Regione al voto», afferma in nota il candidato di centrosinistra.
«Su questa strada – sottolinea – ho chiesto inoltre a tutte le forze politiche di rinnovare la loro rappresentanza consiliare per intercettare davvero e non a parole la voglia di cambiare che c’è tra i cittadini. Esiste ovviamente l’autonomia dei partiti ma c’è anche la mia di decidere indicando criteri irrinunciabili come questo del rinnovamento. Sono contento che tutte le forze in campo si stiano orientando verso questa mia richiesta e vedo che anche la destra di Berlusconi sta correndo ai ripari».
Beatrice Lorenzin intanto rilancia: «Dovessi essere io il candidato, credo che accettare questa sfida significherebbe ridare fiducia ai cittadini e fare del Lazio una Regione capace di fare da traino per lo sviluppo economico dell’Italia».
Ma a destra c’è chi frena.
È il caso di Francesco Storace: «Bisogna vedere quanto rispondono a realtà le voci sulla Lorenzin. Quando il Pdl proporrà il nome, ne parleremo. Questa settimana è tutta sulle procedure politiche, le liste, il perimetro delle alleanze. Dalla prossima settimana possiamo affrontare questo tema», dichiara a Teleradiostereo2 il segretario de La Destra, che nei giorni scorsi aveva espresso l’intenzione di candidarsi alla Regione Lazio Francesco Storace.
«Noi la disponibilità l’abbiamo data, e Berlusconi l’ha data. Vediamo se Berlusconi conta ancora nel suo partito o no. Ora vediamo chi propongono – ha aggiunto Storace – se il nome è vero o stanno fingendo. Per quello che mi riguarda noi dobbiamo fare di tutto per evitare l’effetto Sicilia, dove ci furono due candidati e vinse la sinistra. Bisogna capire chi è il candidato migliore”.
Insomma per l’ex autista di Marchio ed ex portavoce di Fini “piange il telefono”
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
RISTORANTI E PIENO BENZINA… QUELLA CARD DI BRICOLO UTILIZZATA SOLO A DOMICILIO… LA SUA LETTERA PER FAR PAGARE UN EXTRA A CALDEROLI…LA MAIL PER L’UTENZA DEL CELLULARE
Alberghi, ristoranti, pieni benzina. Spese per migliaia di euro, ma tutte rigorosamente in “Padania”.
Il capogruppo Federico Bricolo dovrà spiegare ai magistrati della Procura di Roma perchè ha utilizzato a lungo la carta di credito Top Card Bnl in suo uso esclusivo ma coperta dal gruppo al Senato, non già per spese ordinarie a Roma dove ha esercitato in questi anni le sue funzioni, ma a casa propria.
Risulta infatti che il numero uno del partito a Palazzo Madama abbia utilizzato quel plafond esclusivamente a Verona e provincia, nella natia Sommacampagna, cittadina di residenza.
E come si manteneva durante il soggiorno settimanale nella capitale, dove era impegnato per i lavori d’aula?
Quei costi erano coperti con un’altra carta di credito, ma è quella in uso al tesoriere, sempre a carico del gruppo, sempre coi fondi pubblici assegnati da Palazzo Madama alla Lega.
A Roma a carico del tesoriere, in Veneto con la carta da capogruppo.
A testimoniarlo ci sono gli estratti conto della Card Top Bnl.
Depositati in Procura assieme ad altre decine tra bonifici, lettere firmate dai responsabili del gruppo, email dalla ex segretaria amministrativa Manuela Privitera.
Il braccio destro dell’ex tesoriere Stiffoni è accusata di essere stata una “collaboratrice infedele”, ieri in via Bellerio Maroni ha parlato di “congetture”, di “bufala”.
Una “bufala galattica”, a sentire l’avvocato del Carroccio.
Peccato che la Privitera abbia depositato una valanga di documenti in 21 allegati che ora rischiano di inchiodare Bricolo, Calderoli e gli altri esponenti leghisti chiamati in causa.
Per le carte di credito infatti sono agli atti decine di “stringhe”, ogni singola voce di spesa dei ristoranti di Verona e di Sommacampagna.
Ma c’è molto altro in mano alla Procura.
Ci sono ad esempio le lettere contabili di bonifici su c/c Bnl del gruppo «per il pagamento del canone di locazione di un appartamento in uso al presidente Bricolo » dal 2008 al 2009 per un importo di 1.250 euro mensili.
Compare poi l’email con cui vengono comunicate alla tesoreria del gruppo leghista le coordinate bancarie del «Dott. Giuseppe Cortese».
A lui vengono girati 1.500 euro al mese «nonostante non fosse un nostro dipendente», testimonia la ex segretaria, e nonostante fosse un collaboratore di Roberto Cota.
Che era sì capogruppo, ma alla Camera e non al Senato, prima di diventare governatore del Piemonte.
Strani intrecci.
Non meno interessanti dell’allegato 14, d cui emergono i “conteggi per i compensi extra” versati dal fondo del Gruppo al “dottor Marco Penna”, che risulta essere in quello stesso periodo retribuito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in qualità di collaboratore dell’allora ministro Calderoli.
Tra le carte spunta l’allegato 9 con cui Bricolo dispone il pagamento di un’indennità mensile extra da versare a Calderoli dal novembre 2011 (quando cessa l’incarico ministeriale) fino a fine legislatura:
Per un ammontare di “duemila euro mensili”.
Al sostituto Calderoli dovrà spiegare a che titolo.
Agli atti anche una mail con cui veniva chiesta l’attivazione di una utenza telefonica per Calderoli in conto sempre al gruppo Lega Nord.
Nel faldone sono finite anche le lettere con cui il capogruppo Bricolo dava disposizione per l’integrazione mensile in favore della sua segretaria personale, Stefania La Rosa, distaccata dal Comune di Roma e «beneficiata» con «un extra di 15 mila euro l’anno».
Non è l’unica.
L’addetto stampa Romolo Martelloni fa sapere di aver ricevuto dal gruppo solo rimborsi spese, che il suo stipendio da 1.600 euro era pagato dal Senato quale «collaboratore della commissione Politiche Ue» presieduta dalla leghista Rossana Boldi.
Ma all’allegato 6 risultano «quietanze compensi extra versati all’addetto stampa Martelloni per gli anni 2008-2010» da 2 mila euro mensili.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
CASINI VUOLE 15 SEGGI SU 40 AL SENATO, MONTI NE VUOLE 30… FINI E CASINI VOGLIONO 4 DEROGHE, MONTI INSISTE PER SOLO DUE
Il braccio di ferro, nonostante la massima segretezza imposta dal premier sui contenuti
del vertice, c’è stato e continua ancora.
Non è stato infatti sufficiente il conclave, che ieri ha impegnato a Montecitorio Monti fino a notte fonda con tutti i leader del centro, per venire a capo delle candidature.
Impossibile per ora far combaciare le pretese di rinnovamento del premier con le ambizioni personali e gli appetiti dei partiti.
Se ne riparlerà ancora oggi e la “discovery” delle liste è rimandata a giovedì.
Intanto il grande censore, Enrico Bondi, a cui Monti ha affidato il compito di vagliare i curricula dei pretendenti al seggio, ieri ha dato le sue dimissioni da commissario straordinario sulla spesa pubblica e da commissario per il rientro della spesa sanitaria del Lazio.
Due incarichi di governo che avevano fatto gridare allo scandalo sia il Pd che il Pdl per il contemporaneo impegno del super-tecnico a favore della Lista Monti.
Ieri si è dunque riunito il Consiglio dei ministri (ma senza Monti, già alle prese a quell’ora con Casini e Fini) per prendere atto delle dimissioni del risanatore Parmalat a cui succede il Ragioniere generale Mario Canzio.
La battaglia fra Monti e i suoi nuovi soci ieri si è concentrata sulla lista unica da presentare a palazzo Madama.
L’Udc ha chiesto infatti quindici posti, su un totale di circa 40 senatori che potranno essere eletti.
Troppi per Monti, che per i suoi “civici” pretende uno spazio almeno doppio a quello di Casini. Senza contare la ressa dell’ultima ora di molti politici del Pd che sono stati fatti fuori da Bersani. Oltre a Pietro Ichino e Mario Adinolfi, montiani della prima ora, ieri la lista del Professore si allungava a Umberto Ranieri, Andrea Sarubbi, Alessandro Maran e i costituzionalisti Vassallo e Ceccanti.
Sempre nella lista del Senato si doveva trovare posto per gli ex Pdl Pisanu, Mantovano e Cazzola. Altri nomi che filtrano dal tavolo delle candidature montiane sono quelli di due giornalisti.
Non solo Ernesto Auci, ex direttore del Sole24ore, ma anche Giulio Borrelli, ex direttore del Tg1.
Se la lista “Scelta Civica” alla Camera non presenta grandi problemi, visto che le candidature sono di esclusiva pertinenza del Professore (che ieri ha avuto un lungo colloquio telefonico con Luca di Montezemolo, tornato da una vacanza all’estero), altro aceto sulle ferite lo sta aspergendo Enrico Bondi.
Enrico “mani-di-forbice” ha infatti presentato a Monti il suo manuale del candidato pulito e sembra che i criteri, soprattutto per quanto riguarda i conflitti di interesse, siano rigidissimi. Inoltre Monti non si accontenta di avere fedine penali immacolate e zero conflitti di interesse. Pretende che siano rispettati anche dei «criteri politici», come ad esempio un radicale rinnovamento delle liste di Udc e Fli.
Ulteriore motivo di attrito.
Così, ad esempio, Casini e Fini stanno spingendo per ammorbidire il principio di due deroghe al massimo per ogni partito sui parlamentari di lungo corso.
Udc e Fli vorrebbe due deroghe a testa sia per la Camera che per il Senato. Un raddoppio insomma.
Ad alleviare le fatiche del manuale Cencelli per Monti è arrivata comunque una gradita sorpresa. Una telefonata, tra Natale e Capodanno (mentre il premier era ancora Venezia), di Barack Obama.
Nel colloquio – che palazzo Chigi minimizza come un semplice scambio d’auguri – il presidente americano non avrebbe mancato di felicitarsi per la decisione di Monti di candidarsi. Un incoraggiamento insomma, anche se fatto in forma privata e non destinato ad essere reso pubblico.
L’ultima volta si erano sentiti a metà novembre, dopo la rielezione alla Casa Bianca, e Obama si era detto «lieto della prospettiva di continuare la nostra stretta collaborazione ».
Ma ancora non c’era la novità della “salita” in campo di Monti. Il terreno di un possibile impegno in politica del premier italiano era già stato discretamente sondato da Obama in occasione di un colloquio con Monti a New York lo scorso settembre.
Forse non a caso, poche ore dopo quel colloquio, proprio negli Usa, Monti accennò per la prima volta a una sua «disponibilità » a restare a palazzo Chigi per un secondo mandato.
Francesco Bei
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
PALETTI PER I CANDIDATI: TRE LEGISLATURE E 65 ANNI DI ETA’… MALUMORI IN PIEMONTE PER LA SCELTA DI METTERE CAPOLISTA LA SANTANCHE’
L’accordo con la Lega è fatto. Ora bisogna fare le liste Pdl.
Ma l’ufficio di presidenza di ieri sera in via dell’Umiltà non è stato risolutivo.
Anche perchè Silvio Berlusconi non c’era.
Ma apparendo in tv, in contemporanea al vertice, rendeva il compito della scrematura più spinoso. «Sui nomi siamo ancora in alto mare, abbiamo però fissato dei criteri», spiegavano all’uscita della riunione, dove è stato approvato un documento con le regole.
Mentre il Cavaliere da Telelombardia annunciava: «Cambieremo praticamente tutto». Per le Regionali «nessuno dei vecchi consiglieri del Pdl in Lombardia sarà rimesso in lista, e la stessa cosa faremo nel Lazio», dichiarava, senza precisare il destino di Renata Polverini.
A sbrogliare la matassa spettava a Denis Verdini, alle prese con problemi non da poco, come i malumori di alcuni parlamentari uscenti e dei dirigenti torinesi del partito alle indiscrezioni di una probabile candidatura come capolista in Piemonte di Daniela Santanchè.
Che l’ultima parola spettasse al Cavaliere era nel conto.
Ma che fosse in simultanea no.
Mario Mauro? «È una scheggia impazzita». Emilio Fede? «Se me lo chiedesse non avrei alcun problema». I calciatori? Smentito l’arrivo in Parlamento di ex giocatori: Paolo Maldini o Rino Gattuso.
Tra i paletti fissati il limite di tre legislature, o di 15 anni in Parlamento, e un tetto anagrafico (65 anni).
Il «no» alla candidatura degli europarlamentari.
Ma ci saranno deroghe per chi «ha contribuito alla reputazione del partito», chi ha un «significato particolare sul territorio» e chi è stato importante per l’«attività parlamentare».
Torneranno molti ex ministri e volti noti del partito.
La prima deroga sarà per Berlusconi, capolista in Senato, nelle regioni più calde. Il Cavaliere annuncia anche che saranno candidati solo i parlamentari che hanno «contribuito con un emolumento ai costi della nostra formazione politica»: quelli in pari con i circa mille euro mensili da versare al partito.
In più Berlusconi anticipa il patto da sottoscrivere: «Impegnarsi a votare l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti», «il dimezzamento dei parlamentari e dell’emolumento» e non restare per più di due legislature.
In Campania, al Senato, al secondo posto dopo Berlusconi, l’ex ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma seguito da Nicola Cosentino, e da Marco Milanese. Poi, un imprenditore vicino a Flavio Briatore.
Mara Carfagna forse sarà capolista alla Camera in Campania.
Simonetta Matone forse nel Lazio per la Camera.
Resta l’incognita Marcello Dell’Utri. È prevista l’applicazione della legge sull’incandidabilità , che però non lo esclude. Ma di nomi si riparlerà .
Ieri si è iniziato a discutere con Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) del programma comune delle liste collegate.
Virginia Piccolillo
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
BLITZ A NAPOLI: COINVOLTI ANCHE MANAGER E IMPRENDITORI… INCHIESTA SUL NUOVO CENTRO DIGITALE DELLA PS
Manager pubblici, imprenditori e un prefetto. ![](http://sphotos-a.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash3/64911_4524516903602_1622260489_n.jpg)
La guardia di finanza sta eseguendo su mandato della procura di Napoli, otto misure cautelari nell’ambito di un’indagine sull’appalto per il Cen (centro elaborazione dati della polizia) che doveva sorgere nel quartiere Capodimonte, nel capoluogo campano. Le ipotesi di reato vanno dall’associazione a delinquere, alla turbativa d’asta, all’abuso d’ufficio.
IL PREFETTO FIOROLLI –
Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare c’è anche l’ex direttore delle specialità della polizia, il prefetto Oscar Fiorolli, ex questore di Genova e Napoli, tra i massimi dirigenti del ministero dell’Interno.
Nei confronti del quale sono stati disposti gli arresti domiciliari.
Nell’ambito dell’inchiesta la Procura di Napoli ha chiesto l’interdizione dai pubblici uffici dei prefetti Nicola Izzo e Giovanna Iurato.
Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono invece state emesse, oltre che per il provveditore delle opere pubbliche della Campania e del Molise sino al 2010, Mauro Mautone, anche per l’ex amministratore delegato della Elsag Datamat, Carlo Gualdaroni, ora amministratore di Telespazio, Francesco Subbioni, a sua volta manager di Elsag, e Lucio Carmine Gentile.
Ai domiciliari anche Guido Nasta, collaboratore di Subbioni, Luigi De Simone e l’imprenditore pugliese Enrico Intini. Obbligo di presentazione alla pg per Roberto La Rocca, Fabrizio Zanella, Antonio Burinato e Paolo Gustuti.
LE INDAGINI –
L’inchiesta è l’unica tranche rimasta a Napoli di una più corposa indagine su irregolarità negli affidamenti di appalti nell’ambito del cosiddetto pacchetto sicurezza a società del gruppo Finmeccanica.
In particolare l’appalto per il Cen, che da Roma sarebbe stato portato nel capoluogo campano. L’appalto aveva ricevuto un affidamento a lavori per 37 milioni di euro.
(da “il Corriere dela Sera”)
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
POI L’APOTEOSI: “COME MINISTRO DELL’ECONOMIA IN ITALIA CE N’E’ UNO SOLO MEGLIO DI LUI: IL SOTTOSCRITTO”… MENTRE MARONI STRAPARLA DI MACROREGIONI E VIENE SPERNACCHIATO DALLA BASE
L’accordo tra Pdl e Lega è un teatrino della politica, come direbbe il Cavaliere. E in serata assume i contorni della farsa.
Dopo che Maroni nel pomeriggio aveva detto “no ad Alfano premier, vogliamo Tremonti” in serata l’ipotesi provoca la reazione stizzita del Cavaliere, a dare già il passo di un’intesa che si preannuncia tutt’altro che serena.
A Telelombardia, l’ex premier descrive Tremonti come “persona particolare, molto intelligente ma difficile. Come ministro dell’Economia in Italia ce ne è uno solo migliore di lui: il sottoscritto”.
Tuttavia, nella veste di premier Berlusconi non vede bene Tremonti: “gli manca il talento di tenere unito il gruppo. Dopo poco che gli parli, capisci che Tremonti pensa: ‘lui è un cretino e io sono intelligente’, questo non fa fare squadra”.
Dunque, tra Tremonti ed Alfano “meglio Alfano”. E
in un rimpallo televisivo ad alto tasso di asprezza, Tremonti da Piazzapulita rintuzza il Cavaliere: “Lui all’Economia? E’ ministero molto complicato, lo vedrei allo Sviluppo: potrebbe dimostrare le sue reali capacità di imprenditore”.
Nel frattempo delira anche Maroni: “Creeremo una macroregione dove il 75% delle tasse sarà trattenuto in modo che le amministrazioni regionali le possano restituire ai loro cittadini sotto forma di servizi”.
“La prima cosa che faremo – aggiunge – è abolire l’Irap”.
E poi c’è da intervenire “sull’Imu, abolire il bollo auto, completare il collegamento con Malpensa”.
In realtà tutti possono sparare stronzate perchè ” Non c’è il candidato premier, verrà indicato congiuntamente dalle due forze politiche se vinceremo le elezioni”.
E dato che le perderanno, anche in Lombardia, il problema non si porrà .
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
BECCATO DAL VIDEO DELLA DIGOS RICCARDO GRITTINI, UN BARBARO SOGNANTE RAZZISTA… FORSE PENSAVA CHE TRA I COMPITI DI UN ASSESSORE PADAGNO ALLO SPORT VI FOSSE QUELLO DI INSULTARE I GIOCATORI DI COLORE
Potrebbe finire dopo pochi mesi l’esperienza di Riccardo Grittini come assessore allo
Sport e alle Politiche giovanili del Comune di Corbetta, un paese alle porte di Milano: c’è anche il suo nome fra quelli dei sei tifosi denunciati con l’accusa di violazione della legge Mancino contro l’istigazione all’odio razziale dopo la sospensione dell’amichevole Pro Patria-Milan di giovedì scorso.
Ed è stata disposta dalla polizia la misura del Daspo, il divieto di accedere alle manifestazioni sportive, nei confronti dei tifosi denunciati: la durata del provvedimento è di cinque anni.
Studente di scienze motorie all’Università Cattolica di Milano, 22 anni a marzo, Grittini è stato eletto nelle amministrative del 2011 nella lista della Lega Nord ‘Corbetta federalismo e libertà ‘ e da novembre è diventato assessore nella giunta guidata dal sindaco di Corbetta, Antonio Balzarotti.
“E’ un ragazzo molto stimato – spiega il sindaco – posato, molto conosciuto perchè è il portiere del Corbetta, appassionato di tutti gli sport e per questo dandogli l’assessorato allo Sport mi sembrava di fare la cosa più giusta di questo mondo. Aveva iniziato con il piede giusto, occupandosi soprattutto di sport per i disabili. Adesso vedremo”.
L’ha sentito subito e Grittini gli ha confermato di essere indagato, anche se il suo futuro politico non è ancora stato deciso: “Mi ha detto testualmente: ‘Urlavo contro Ambrosini più che contro Boateng’ e io gli credo – spiega Balzarotti – Mi ha detto che a suo giudizio non ha commesso alcun reato, solo qualche ‘buuu’ generico, qualche urlata e nessuna parola offensiva, cosa che può capitare a chiunque vada allo stadio. Non conosco le carte della magistratura e in questo momento credo a ciò che mi ha detto. Certo, se salta fuori qualcosa di diverso, non potrà più fare l’assessore”.
Sicuramente il Ministero degli Interni dovrebbe commissariare un Comune dove un sindaco sostiene che è lecito qualche “buuu generico, cosa che può capitare a chiunque vada allo stadio”.
E’ con certa feccia razzista che Berlusconi, presidente del Milan dove gioca Boateng, ha fatto un accordo elettorale.
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Gennaio 8th, 2013 Riccardo Fucile
LA RETE DI POTERE DIETRO AL NUOVO PARTITO
In quella trattativa con la ndrangheta, l’imprenditore del Nord sa che sta giocandosi tutto. Fondatore della Blue Call, una società di call-center che nel 2010 era arrivata ad avere 872 dipendenti, tra gennaio e settembre 2011 ha aperto le porte dell’azienda al clan Bellocco di Rosarno.
Mafia ricchissima e sanguinaria.
Che dopo avergli offerto protezione e prestiti facili tra Calabria e Svizzera, sta «dissanguando» le casse del gruppo a Milano.
Dopo appena otto mesi, la ndrangheta vuole costringerlo a svendere tutto.
L’imprenditore è disperato. Non vuole o non può denunciare i mafiosi.
Per salvare almeno un po’ di soldi, cerca un alleato importante.
Un big del settore, un nome che possa fargli da scudo.
Un santo protettore che lo stesso imprenditore in società con la ndrangheta presenta così: «È il cognato di La Russa».
È il 20 settembre 2011 quando le direzioni antimafia di Milano e Reggio Calabria intercettano il titolare della Blue Call, Andrea Ruffino, ora in carcere, mentre descrive la sua spaventosa trattativa con la mafia ed elogia «l’intelligentissimo» aiuto fornitogli da Gaetano Raspagliesi, manager di call-center tra Milano e Paternò, evidenziando che si tratta del marito della sorella del ministro della Difesa.
In quel momento Ignazio La Russa era ancora al governo.
Oggi l’ex ministro sta lanciando un nuovo partito nella mischia elettorale, nella speranza di favorire un’altra vittoria dell’intramontabile Berlusconi e far sentire di più il suo peso nella destra.
La Russa è uno dei non molti capi-corrente del Pdl che possono vantare di aver frequentato i tribunali come avvocato penalista anzichè come imputato, arrestato o condannato.
Entrato in Parlamento nel ’92 inneggiando a Mani Pulite, nella cosiddetta Seconda Repubblica ha scaricato i magistrati e in questo ventennio ha saputo costruirsi una macchina di potere in grado di condizionare affari e politica.
Le critiche più aspre riguardano i suoi rapporti con Salvatore Ligresti, l’ex re del mattone e delle assicurazioni, anche lui originario di Paternò, ora sotto accusa per bancarotte miliardarie.
Sotto tiro sono anche le discusse società imprenditoriali del ministero della Difesa e i legami con Finmeccanica. Meno conosciuti sono i problemi della sua cerchia familiare.
E della corrente milanese che è la sua base elettorale e ha conquistato poltrone chiave nelle società pubbliche che smistano appalti miliardari.
Una corrente dove non sono mai mancati personaggi al confine tra reduci dell’eversione nera, ex picchiatori, ultras del calcio violento, malavita notturna, discoteche inquisite per cocaina e perfino agganci con la mafia.
Roba da far invidia alla Roma di Alemanno.
Alle ultime elezioni comunali a Milano fecero scandalo le intercettazioni di Marco Clemente, 34 anni, un duro dell’estrema destra romana, riciclato come assistente parlamentare del Pdl, diventato un fedelissimo di La Russa, fino a fregiarsi dello status di «consigliere diplomatico del ministro della Difesa».
Nel 2011, quando 35 arresti colpiscono il clan Flachi per estorsioni sistematiche e traffici di cocaina nelle discoteche milanesi, le microspie svelano che in Lombardia i boss più importanti fanno votare da anni il Pdl.
Peggio: un ex neofascista, Giuseppe Amato, arruolato come scagnozzo armato dalla ndrangheta, si lamenta che il titolare di un locale osa non pagare il pizzo («Gli do fuoco alla macchina!») e al suo fianco, al Babylon Club, c’è proprio lui, il «consigliere ministeriale» Clemente.
Che «ride» della vittima e commenta: «Speriamo che muoia come un cane». L’intercettazione è del 17 febbraio 2008, campagna elettorale del dopo-Prodi, ma smette di essere segreta tre anni dopo, quando Clemente è candidato con la lista Moratti: «Non mi riconosco in quelle parole», sostiene.
Fatto sta che i milanesi non lo eleggono. E dopo la trombatura, dov’è finito, il larussiano Clemente? È entrato nello staff di Angelo Giammario, consigliere regionale (indagato) del Pdl, filmato alla vigilia delle elezioni del 2010 mentre incontrava i boss “reggenti” della ndrangheta a Milano, Pino Neri e Cosimo Barranca (quelli del summit di mafia al circolo Falcone-Borsellino), che poi ordinavano agli affiliati di votarlo, naturalmente a sua insaputa.
Alla ndrangheta, nella Lombardia di oggi, si può arrivare anche partendo da storie di ordinario clientelismo.
Il sistema di potere di La Russa ha da sempre i suoi punti di forza in enti pubblici come l’Aler delle case popolari o il Pio Albergo Trivulzio, l’ospizio da cui partì Tangentopoli, che gestiscono enormi patrimoni immobiliari.
L’assessore regionale Romano La Russa, fratello di Ignazio, e il marito di sua figlia, Marco Osnato, nominato dirigente dell’Aler, sono indagati per un piccolo finanziamento illecito (manifesti elettorali a scrocco per il 2010 e 2011) che ha fatto scoprire un grosso giro di appalti truccati.
Uno degli imprenditori favoriti, Luca Reale, che ha ottenuto dall’Aler lavori senza gara per 810 mila euro, viene intercettato il 26 marzo 2011 mentre confida alla moglie chi gli ha chiesto di pagare e perchè: «Alla fine Ignazio dice, alla siciliana: quando andate dalla bottegaia, lei vuole i piccioli…
Come mai? Per la campagna elettorale di Marco Osnato».
Dall’Aler, attraverso un canale comunicante di ex camerati inquisiti, si arriva dritti al Trivulzio.
Vent’anni dopo l’arresto del craxiano Mario Chiesa, qui il nuovo scandalo ha travolto l’ormai ex direttore Alessandro Lombardo, un altro maresciallo di La Russa.
L’ultima accusa, tra le tante, è di aver svenduto un palazzo pubblico in corso Sempione a prezzo vile, con la scusa che era occupato da un inquilino.
Quale inquilino? Domenico Zambetti, assessore regionale alla Casa della giunta Formigoni. E chi è il fortunato compratore?
Lo stesso Zambetti, che dopo aver beneficiato dell’auto-sconto è stato arrestato, lo scorso ottobre, con l’accusa di aver comprato 4 mila voti dalla ‘ndrangheta alla modica cifra di 200 mila euro.
Gli affari del cognato Gaetano con i call center controllati dal clan Bellocco, insomma, sono l’ultima tegola che rischia di incrinare l’immagine di La Russa come uomo forte di una nuova destra “legge e ordine”.
L’indagine è un nuovo troncone dell’inchiesta che ha bloccato, con i 14 arresti del 24 novembre scorso, l’assalto della ndrangheta alle società di call-center fondate da Andrea Ruffino: lo stesso imprenditore del Nord è finito in cella perchè considerato complice, oltre che vittima, della feroce cosca di Rosarno.
Il suo amico manager Gaetano Raspagliesi, 68 anni, resta invece libero e incensurato: continua a gestire grandi e onesti call-center a Milano e a Paternò, il comune siciliano dove sono nate le fortune incrociate delle famiglie La Russa e Ligresti.
Il giudice delle indagini, però, ha appena chiesto alla direzione antimafia di «approfondire l’inchiesta» sui rapporti tra Ruffino e Raspagliesi.
Il problema è che la ndrangheta, secondo i magistrati, era il «socio occulto» non solo della Blue Call, l’azienda «dissanguata» dalla mafia, ma anche della Future, l’impresa che ne ha preso il posto subentrando negli stessi call-center.
Sulla carta è proprio il cognato di La Russa che l’ha gestita nei mesi più caldi: nel luglio 2011 la compra da Ruffino e in ottobre la cede alla società Alveberg, dietro cui si nasconde la ndrangheta (vero padrone è il latitante Umberto Bellocco, che l’imprenditore del Nord chiamava «l’invisibile»).
I conti però non tornano: Raspagliesi acquista la Future da Ruffino per 2,8 milioni e la rivende alla Alveberg per 712 mila euro. In tre mesi, insomma, ci perde tre quarti del prezzo.
Un affare assurdo, in apparenza.
In realtà Ruffino, intercettato, definisce il cognato di La Russa «la mia interfaccia», cioè una sorta di prestanome di lusso.
In una situazione così delicata ora i giudici vogliono capire, in pratica, se anche Raspagliesi sospettava di trattare con landrangheta.
Purtroppo le intercettazioni fanno temere il peggio.
Ceduti i call-center, infatti, Ruffino racconta agli amici più stretti che la vendita gli è stata imposta dai mafiosi con minacce e violenze: «Ho preso le botte… Uno di quei bastardi si è alzato, davanti a Raspagliesi, e mi ha dato una botta pazzesca all’orecchio: ora non ci sento più… È venuto con il coltello, anche… E fuori c’erano altri sei di quelli collegati ai Bellocco… Meno male che con me c’era Gaetano».
Paolo Biondani
(da “l’Espresso“)
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