Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
BALLA MEGA-GALATTICA: I CINQUESTELLE LAUREATI SONO SOLO IL 65%, SUPERATI DA SCELTA CIVICA, PD E PDL
Per in Movimento Cinquestelle le Camere “devono tornare a essere centrali nella funzione legislativa”.
Lo stesso Grillo ha rivendicato la possibilità che il Parlamento possa funzionare anche senza governo.
Per non parlare di Crimi che da settimane ripete che sono gli eletti Cinquestelle a dover proporre iniziative per rilanciare l’economia del Paese.
Peccato che anche questa si sia rivelata finora una balla grillina, visto che su 600 proposte di legge finora presentate nessuna proviene dai Cinquestelle che paiono dormire da in piedi.
In una cosa sono esperti, nel raccontare palle, come quella che sarebbero il primo partito: peccato siano stati sbugiardati dal Pd, dati alla mano, quando sono stati calcolati anche i voti degli italiani all’estero.
Ora un’altra figura di merda: “siamo il partito con il più alto numero di laureati, ben l’88% dei nostri parlamentari è laureato” ha tuonato Grillo.
Per uno che vorrebbe sanare l’economia del Paese, una gaffe del genere è da buttarsi dal ponte Monumentale a Genova.
A un attento esame i grillini laureati invece risultano solo il 65%, superati da Scelta civica, Pdl, Pd.
Insomma sono quarti: un’altra occasione persa per tacere.
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
CAPACI SOLO A FARE CHIACCHIERE, I CINQUEPALLE IN PARLAMENTO NON HANNO DEPOSITATO ALCUNA PROPOSTA: ASPETTANO LE VELINE DI CASALEGGIO E BERLUSCONI
Tanti volti nuovi e molta voglia di lavorare. Almeno a parole.
I parlamentari della diciassettesima legislatura, a cominciare da quelli più più giovani, sono armati di buone di intenzioni e pronti a dare battaglia nelle aule ovattate di Palazzo Madama e Montecitorio.
Soprattutto i grillini, tutti alla prima esperienza, considerano l’avventura parlamentare una vera sfida.
Ma nonostante i proclami e le “intimazioni” alla casta, dopo la prima settimana di legislatura i parlamentari del Movimento cinque stelle risultano (per il momento) i meno intraprendenti.
Delle 578 proposte di legge che alla data di ieri risultavano già depositate alla Camera e al Senato nessuna porta la firma di un parlamentare del Movimento di Beppe Grillo.
Al Senato una sola interpellanza targata M5
Fin qui i grillini si mostrano insomma poco propositivi ma assicurano di essere determinati nel voler fare le pulci a “Palazzo”.
E la battaglia per spuntare alcune (ambite) “poltrone” (ne hanno ottenuta una di questore al Senato insieme a una di vicepresidente della Camera) sarebbe giustificata proprio dalla necessità di venire in possesso delle armi necessarie per centrare questo obiettivo.
Ma, a tutt’oggi, anche per quanto riguarda quella che in termini tecnici in Parlamento viene definita l’attività ispettiva, (dalle interrogazioni al governo alle mozioni), i grillini non brillano ancora per operosità .
I dati di Palazzo Madama parlano chiaro: su 122 iniziative dei senatori solo una porta la firma di esponenti del M5s: un’interrogazione (prima firmataria Nunzia Catalfo) al ministero della Pubblica istruzione su alcune ricadute di tagli della spending review sul personale docente.
Delle quasi 600 proposte di legge, comprese quelle di iniziativa popolare, che alla data di ieri risultavano depositate in Parlamento, oltre 320 sono state presentate alla camera e e 254 al Senato.
Proprio a palazzo Madama Pietro Grasso, prima di essere eletto presidente del Senato, ha lasciato già il suo “segno”, apponendo la prima firma su una proposta di legge su contrasto alla corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio.
Particolarmente attivo il Pd che a Palazzo Madama ha messo il “timbro” su un centinaio di disegni di legge, tra cui spiccano quelli a firma del neo-capogruppo, Luigi Zanda, a partire dalla proposta per disciplinare il conflitto d’interessi.
Altro tema molto gettonato in casa dei democratici è quello del lavoro, con alcune proposte finalizzate a chiedere l’estensione dell’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego) anche ai precari e la maternità alle lavoratrici atipiche.
Anche alla Camera il Pd, almeno fino a questo momento, fa la parte del leone: molti dei disegni di legge presentati puntano a favorire un piano d’investimento per gli enti locali.
E’ il caso della proposta che vede primo firmatario Angelo Rughetti sul pagamento dei debiti Pa alle alle imprese attraverso l’uso delle giacenze di tesoreria dei Comuni.
Più contenuto il flusso di proposte arrivato dal Pdl.
Che al Senato punta sul lavoro con la proposta di Maurizio Sacconi (riunione di tutte le regole in uno statuto dei Lavori per la libera contrattazione) e sulle nuove regole sulla responsabilità disciplinare dei magistrati (proposta Nitto Francesco Palma) mentre alla Camera con il pacchetto a firma Raffaello Vignali spinge per le modifiche alla Costituzione per liberalizzare l’attività economica privata e favorire lo sviluppo delle Pmi.
Tra i leader politici Vendola il più “attivo”
Dalla Lega sono arrivati progetti di legge, a firma Roberto Calderoli, sul finanziamento dei partiti e l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle Regioni.
E le Regioni, con una proposta di revisione del titolo V della Costituzione firmata al Senato da Linda Lanzillotta, fanno parte anche del ventaglio di proposte fin qui elaborate da Scelta Civica. Tra i leader di partito spicca Nichi Vendola con la sua proposta sull’uguaglianza dei diritti per l’accesso al matrimonio (nozze gay) e la filiazione anche alle coppie dello stesso sesso.
(da “il Sole24ore”)
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
FRASI ACIDE E FUGA DALLE DOMANDE: IL CATALOGO DEGLI ANTIPATICI A CINQUESTELLE CHE INFIERISCONO ANCHE SUI PRECARI
È vero l’antipatia dei ribelli, come furono Longanesi a destra e Feltrinelli a sinistra, è stata una grande risorsa italiana, ma dare del precario ad un giovane giornalista e disprezzarlo perchè è pagato 10 euro ad articolo, come stanno facendo da ben due giorni Beppe Grillo e i suoi replicanti con il cronista Vasco Pirri Ardizzone, non è più antipatia rivoluzionaria, ma banale acidità reazionaria, baronale e classista.
E la “cittadina” deputata Gessica Rostellato, che alla Camera si rifiutò di stringere la mano alla signora Rosi Bindi, già bersaglio della miserabile derisione berlusconiana, non fu una purificatrice sia pure antipatica, ma solo un’antipatica mocciosa dell’Asilo Mariuccia.
La stessa cittadina disse alle Iene di non sapere cos’è la Bce nè chi è Mario Draghi: «Non lo so, sono fusa».
Insomma, è vero che l’antipatia italiana è stata una specie di lievito del progresso, della cultura e dell’arte, a volte squadrista magari e altre volte persino bombarola, mai però così cretina.
E’ infatti, diciamo così sempliciotta, l’antipatia supponente della cittadina Roberta Lombardi che all’appello accorato di Bersani rispose con una battuta, «sentendola parlare mi sembrava di essere a Ballarò», che è un darsi di gomito tra compagnucci e soprattutto un ammiccare alle ossessioni televisive di Grillo, il capo che sorveglia in streaming.
Tutto l’umanesimo italiano è pieno di antipatici sublimi, da Torquato Tasso ad Alberto Moravia.
E nella politica furono antipatici, tra gli altri, Aldo Moro, Palmiro Togliatti e Bettino Craxi.
Un italiano antipatico, che è stato adorato dal popolo, era padre Pio che spesso cacciava via i penitenti, facendoli addirittura piangere: «Andatevene, sepolcri imbiancati!».
E quelli scappavano mortificati e tuttavia fortificati nella fede.
Quando vengono invece cacciati dai grillini, i giornalisti non sono mortificati ma eccitati, e gli insulti – «lingue umide», «servi», «merde», «frustrati » e «precari» – non rivelano mai la miseria del cronista offeso, ma quella del Grillo di turno che insulta, sono il sintomo di qualcosa che è andata a male, come le espressioni dei volti di Crimi e della Lombardi accecati, davanti al povero Bersani, da abbagli scambiati per verità .
L’antipatia come grammatica dell’eversione o del cambiamento, ha infatti assoluto bisogno dell’ironia così come la fede, ha detto Papa Francesco, ha bisogno della tenerezza.
La fede senza tenerezza è il fanatismo, sono le facce sapute della Lombardi e di quel Crimi che, dopo il primo colloquio con Napolitano – era “Morfeo”, era “la salma” – ha detto: «Beppe questa volta l’ha tenuto sveglio».
Ecco: Crimi è così antipatico perchè è grillino o è grillino perchè è così antipatico?
Ricordo in piazza a Torino un operatore del Tg3 deriso da Grillo e dal suo servizio d’ordine, e costretto ad abbandonare, tra i lazzi, un luogo pubblico dove solo lui e i suoi colleghi erano lì per lavorare: l’antipatia della folla contro un poveruomo è sempre violenza, un corto circuito del pensiero.
Già ad altri cronisti, come per esempio a Gulisano di Quinta Colonna, Grillo aveva gridato: «Non sei un giornalista, sei un precario, sei un pivello».
Ma i precari e i pivelli non dovrebbero piacere ad un ribelle?
I grillini, per esempio, sono tutti fieri di essere pivelli e precari. E per la verità come pivelli sarebbero persino simpatici se solo coltivassero anche un po’ di umorismo e ridessero qualche volta di se stessi invece di imputare ai giornalisti gli strafalcioni e le gaffe che ora gli amatori raccolgono in rete in una specie di riedizione delle avventure di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
E si comincia con il senatore Campanella che denunziò con furore i tentativi di corruzione di Vendola, senza sospettare di essere caduto nel tranello di un imitatore e soprattutto senza farsi poi una risata liberatoria.
E c’è la senatrice Enza Blundo che pensava che i senatori fossero «cinque o seicento », e il senatore Bartolomeo Pepe non sapeva dov’era il Senato: «Tanto, prendo un taxi».
Il cult più ricercato è la sapienza di quel Bernini: «Non so se lo sapete ma in America hanno già iniziato a mettere i microchip all’interno delle persone, è un controllo di tutta la popolazione ».
E poi la solita Lombardi ha spiegato in un video di alta economia che «restituire i crediti alle imprese è la manna per le banche».
Si potrebbe continuare con questo sciocchezzaio che è grillismo contro Grillo, è gogna antipatica.
Anche Dante Alighieri, a quanto si tramanda nella novellistica, opponeva fra sè e gli altri il pathos dell’antipatia, della distanza: «L’uovo crudo è la pietanza più buona» rispose con la sua nasuta alterigia ad un convivio di sapienti ghiottoni.
Quando feci ad Umberto Eco la stessa domanda, che era stata fatta a Dante, sul cibo migliore del mondo, la sua antipatia fu subito trascinante: «I piselli ripieni». L’antipatia, come Grillo una volta sapeva bene, funziona solo se è usata con sapienza. Eduardo De Filippo, che tutti raccontano antipatico, aveva di certi giornalisti la stessa idea che ne ha Grillo, e una volta al direttore del Mattino disse: «Voi dovete pubblicare sbagliato anche l’orario ferroviario, se no io, abituato a non credervi, perdo regolarmente il treno».
Era più efficace e virtuosa l’antipatia di Eduardo o lo è quella coprolalica di Grillo che mette alla gogna tutti i giornalisti che non gli piacciono storpiandone il nome o facendolo storpiare – è il solito vizietto dei puri – sui suoi giornali di fiducia?
Nessuno, prima di Grillo e delle sue candide scimmiette, aveva trasformato l’antipatia italiana in un bla bla collettivo, nel codice della volgarità senza fascino, nella fuga dalle domande senza la grandezza antipatica di quell’Enrico Cuccia che sempre più si ingobbiva nel silenzio mentre l’inviato delle Iene lo inseguiva e lo incalzava. Riguardate invece le scene del programma ‘Piazza Pulita’ con gli inseguimenti dei cronisti a deputati e senatori a 5 stelle.
Giovedì pomeriggio un giornalista del programma “La vita in diretta” li ha tampinati tutti e a tutti ha rivolto la stesse domande: «Perchè non voterà la fiducia?», «Che opinione ha del turpiloquio di Battiato?».
Sono domande da dieci euro certo, ma le risposte sono da cinquanta centesimi: «Io non ho opinione», «abbiamo un portavoce», «ognuno parla come vuole ».
Carmelo Bene, un grande antipatico italiano, un giorno fece pipì addosso ai giornalisti che lo avevano criticato.
Mai si sarebbe abbassato a fare loro la morale o dar lezioni di deontologia con il linguaggio filosofico di Crimi: «I giornalisti ci stanno tutti sul cazzo».
Questi del resto sono i rivoluzionari che a porte chiuse discutono per ore su come allinearsi alla linea del Blog, che è il totem, è l’oracolo che si pronunzia quasi sempre alle ore 15.
E se capita che ci siano giornalisti che si battono per la libertà , che rischiano di persona, contro le leggi bavaglio per esempio, «sono come gli stupratori che protestano contro gli stupri».
Anche l’antipatia italiana sta dunque andando a male.
Quando infatti si incontra con la simpatia, si mette a friggere.
Così l’imitazione che Fiorello ha fatto del sonno di Crimi ha prodotto in rete reazioni intemerate di dileggio e persino di minacce.
Fiorello pensava che mai sarebbe stato indicato da Grillo come candidato alla presidenza della Repubblica ma non immaginava di finire additato come un nemico pubblico: «In Italia si può scherzare sul Papa ma non su Grillo».
Ecco: la simpatia è l’acqua benedetta che fa friggere lo zolfo del diavolo.
Francesco Merlo
(da “la Repubblica”)
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
IERI SEMBRAVA UNA GARA TRA PD, PDL, MONTIANI E GRILLINI A CHI APPREZZAVA LA MOSSA DEI SAGGI… DOPO UN GIORNO EMERGONO I PERPLESSI E I DUBBIOSI: OGNUNO PENSA SOLO AL PROPRIO UTILE PERSONALE
Dieci saggi al lavoro in due commissioni sui temi delle riforme istituzionali e e delle riforme economiche.
La mossa di Giorgio Napolitano per trovare una convergenza tra le varie forze politiche innesca reazioni e commenti anche nel giorno di Pasqua.
E nei partiti improvvisamente crescono i dubbi.
LA MOSSA DEL COLLE
Il Capo dello Stato ha ripreso in mano la partita guadagnando tempo prezioso in attesa che prevalga quel «senso di responsabilità » che da settimane il capo dello Stato chiede, inascoltato.
Napolitano ha fatto sapere che resterà in carica «fino all’ultimo giorno del mandato nell’interesse nazionale» e ha blindato il Governo tecnico definendolo «pienamente operativo» ed anzi prossimo a varare importanti e necessari provvedimenti economici. Ma dopo le prime reazioni a caldo, tra le forze politiche emergono i primi distinguo di Pdl, Pdl e Grillo.
I “BERLUSCONES” ALL’ATTACCO
I più duri sono gli esponenti del Pdl.
Di prima mattina ci ha pensato l’ex capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, a puntare il dito contro gli esperti del Colle quasi intimandogli di concludere il loro lavoro istruttorio in «7-10 giorni al massimo» per poi aprire la strada ad un esecutivo politico.
A rincarare la dose il suo successore, Renato Brunetta che, lasciando intendere di parlare non a titolo personale, accusa tra le righe la decisione di tirare per le lunghe una crisi politica apertasi ormai l’8 dicembre scorso con le dimissioni del governo Monti.
«Il presidente della Repubblica – spiega Brunetta premettendo di non voler giudicare il capo dello Stato – prova a prendere altro tempo, chiedendo a dieci soggetti di indicare un programma e un percorso. Tale iniziativa – sentenzia – credo non cambierà i dati del problema».
«Dai tecnici ai saggi, per la serie fine pena mai», chiosa Giorgia Meloni.
I PALETTI DI 5 STELLE E I DUBBI DEL PD
A mettere dei paletti arriva anche il Movimento 5 stelle. Dopo alcune dichiarazioni – anche in contraddizione tra loro – registrate fino a tarda sera (e ancora oggi) che criticavano o esaltavano la mossa del Quirinale, a mettere ordine arriva lo stesso Beppe Grillo che con un post non firmato sul suo blog spiega senza giri di parole che quella individuata da Napolitano, «al momento, è la miglior soluzione possibile in un Paese che ha visto Parlamenti svuotati di ogni autorità e significato».
Ma se ciò può in qualche modo rispondere alla necessità di «ridare al Parlamento la sua centralità » non può però prescindere dall’urgenza di istituire le Commissioni perchè «il Paese ha bisogno di un parlamento funzionante» e non di «fantomatici negoziatori» o di «badanti della democrazia».
Dal fronte del Pd e di Scelta Civica si confermano i giudizi di ieri con la piena disponibilità a collaborare.
Precisando però, in casa Democrat, che i saggi non possono sostituire i politici e che – parole di Dario Franceschini – ricorrere a loro è utile «ma non risolutivo».
IL FRONTE ROSA
Non molla, nel frattempo, il fronte “rosa” della critica di chi vede nell’assenza di donne tra i saggi, un’offesa alle loro capacità .
In attesa di capire come sarà alla fine l’accoglienza finale per la task force quirinalizia in parlamento, i 10 saggi si preparano al primo giorno di scuola, martedì, quando con ogni probabilità saliranno al Quirinale per comprendere nel dettaglio quale sarà il loro mandato.
In settimana, potrebbero già avere i primi incontri con i presidenti di commissione e, forse, con lo stesso Monti.
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLA BCE: “L’ITALIA NON PUO’ RESTARE ACEFALA”
Improbabile che il capo dello Stato fosse sorpreso, quando gli hanno detto che Mario Draghi lo stava cercando al telefono.
Fra Giorgio Napolitano e il presidente della Bce esiste una consuetudine almeno dai tempi in cui questi guidava la Banca d’Italia.
È stato piuttosto il senso della conversazione a indurre l’inquilino del Quirinale, più che a un moto di stupore, a riflettere ancora una volta a fondo.
Draghi ha telefonato a Napolitano quasi d’istinto, appena letti i giornali.
Il presidente della Bce aveva passato gli ultimi giorni immerso nella saga di Cipro, il suo dramma bancario, le sforbiciate sui depositi, i limiti al movimento dei capitali che oggi minacciano di diventare la prima vera crepa nell’euro proprio mentre l’Italia avanza nella recessione.
Lo spazio mentale per seguire la tortuosa crisi di governo romana non era stato molto.
Ma ora la prospettiva di dimissioni del capo dello Stato era troppo seria.
Draghi ha preso il telefono e ha espresso a Napolitano il suo pensiero, senza remore. Tutto per lui ruota attorno a un punto: bisogna evitare di rendere il Paese del tutto acefalo, con un governo dimissionario, un parlamento incapace di esprimere una maggioranza e ora anche un capo dello Stato che lascia.
Gli investitori italiani ed esteri che ogni settimana finanziano il Tesoro, le banche e le aziende del Paese, non avrebbero capito: la reazione martedì, alla riapertura degli scambi, poteva essere molto pesante.
Draghi a Napolitano ha detto che gli investitori esteri non conoscono e probabilmente non hanno neppure tempo di capire il concetto di «semestre bianco», il periodo in cui un presidente a fine mandato non può sciogliere le Camere.
Se Napolitano si fosse dimesso per permettere al successore di convocare subito nuove elezioni, il messaggio all’esterno sarebbe stato che la nave ha perso il suo ultimo timoniere.
L’Italia non se lo può permettere, oggi meno che mai: le imprese chiudono, il debito e la disoccupazione continuano a salire, la ripresa non è neppure all’orizzonte.
Qui Draghi, per consuetudine dell’Eurotower, è passato all’inglese.
Se i partiti non capiscono i rischi e continuano a rifiutarsi di lavorare assieme, ha detto il banchiere centrale, è un segno del loro « state of denial ».
Denial , rimozione: significa avere davanti un problema colossale – il dramma che tocca milioni di italiani – e fingere anche a se stessi di non vederlo, magari per non doversi prendere la responsabilità di fare davvero qualcosa.
Non è stata un’ingerenza quella di Draghi, anche perchè a lui e al capo dello Stato sono bastate poche parole per intendersi.
Ma è probabile che il presidente della Bce abbia preso l’iniziativa perchè ha ben presente l’impatto che il voto e lo stallo politico a Roma stanno avendo anche sugli altri governi europei e in Germania.
Per esempio, negli ultimi tempi, il tedesco Wolfgang Schà¤uble avrebbe offerto in privato alcune notazioni.
Il ministro delle Finanze di Berlino avrebbe detto che bisogna prendere atto che gli italiani con il voto hanno espresso il loro parere. E visto da Berlino, il messaggio è che i numeri contano più delle sfumature verbali così diffuse nei palazzi romani.
Se si sommano i voti del centrodestra a quelli di M5S, l’impressione in Germania è che una maggioranza di elettori si opponga alle politiche che Merkel ritiene necessarie perchè l’Italia resti un socio responsabile dell’euro.
La svolta di Berlino per l’intransigenza, evidente con la crisi di Cipro, si spiega anche così.
Il sistema politico tedesco affronta le elezioni a settembre ed è nel momento peggiore per offrire sconti e concessioni.
Allo stesso tempo, Merkel deve aver tirato le somme di quella che lei stessa percepiva come la sua linea del compromesso verso i Paesi indebitati.
L’estate scorsa il suo silenzio ha creato lo spazio politico perchè Mario Draghi potesse stabilizzare i mercati stabilendo l’opzione degli interventi Bce.
Per la cancelliera è stato un costo politico: solo una certa fiducia nella direzione che avrebbe preso l’Italia l’aveva reso accettabile, ma ora i conti non le tornano.
Dopo il voto di febbraio, per Merkel la linea del compromesso presenta ormai rendimenti decrescenti e rischi sempre più chiari.
Si capisce così la seconda osservazione che Schà¤uble avrebbe mosso di recente sull’Italia: a suo parere gli italiani sono più ricchi dei tedeschi, quindi se servirà si potranno salvare da soli.
Questa è ormai la linea tedesca, quella che il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem è stato così maldestro da rendere esplicita.
Secondo Berlino, non può esserci sostegno europeo all’Italia senza un contributo sostanziale dei risparmiatori del Paese, probabilmente sotto forma di una patrimoniale.
Conta poco qui che siano discutibili i dati della Bundesbank su cui Schà¤uble basa le sue stime, perchè il punto è politico: in questa stagione postelettorale in Italia e preelettorale in Germania, la pazienza a Berlino è in quantità sempre più scarse.
Si è arrivati a questa fase senza unione bancaria europea, senza garanzie comuni sui depositi, senza meccanismi condivisi di gestione delle crisi bancarie.
E le condizioni che oggi la Germania porrebbe perchè l’Italia acceda all’aiuto Bce sono tali che questo appare sempre meno verosimile.
Così la crisi europea, da finanziaria, è diventata politica.
Dunque grave, ma reversibile.
Purchè gli italiani dimostrino che sono europei a parte intera, moneta inclusa, gli elettori di Merkel anche.
E i partiti escano dal denial che li spinge a scalpitare per una poltrona in prima classe sul Titanic.
Federico Fubini
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
NEL PAESE DI PULCINELLA, I SAGGI SONO IL TRAGICOMICO RISULTATO DELLE NON-DIMISSIONI DI NAPOLITANO, SEGUITE ALLA NON-VITTORIA PD, ALLA NON-SCONFITTA PDL, AL NON-STATUTO M5S, ALLA NON-RINUNCIA DI BERSANI
“Gol mancato, gol subìto” è una regola ferrea del calcio. Ma non solo. L’altroieri M5S aveva un rigore a porta vuota: l’ha tirato in tribuna.
E, con la partecipazione straordinaria di Napolitano e Bersani, ha perso un’occasione unica di spingere l’Italia verso un po’ di futuro.
Ieri le lancette della politica hanno ripreso a camminare a ritroso verso il peggiore passato.
Anzichè andarsene in anticipo, accelerando l’elezione del successore e la soluzione della crisi, come pure aveva saggiamente pensato, Napolitano è riuscito a farci rimpiangere di non vivere in Vaticano (di Ratzinger purtroppo ce n’è uno solo, e non è italiano).
E a dare ragione a Grillo anche quando aveva torto. La bi-Bicamerale escogitata per dettare l’agenda a un governo che non c’è ricorda la Restaurazione del 1815, col ritorno dei “codini” in Europa dopo la fine di Napoleone e il congresso di Vienna. Solo che da noi la rivoluzione non c’è stata: siamo il paese della controriforma senza riforma e della restaurazione senza rivoluzione.
Il paese che, quando ha le idee confuse, fa una commissione (anzi, due) per confondersele un altro po’.
In un altro, la mossa del Presidente verrebbe chiamata col suo nome: golpe bianco, commissariamento della politica e degli elettori, con i saggi al posto dei colonnelli.
Nel paese di Pulcinella, è il tragicomico risultato delle non-dimissioni di Napolitano, seguite alla non-vittoria Pd, alla non-sconfitta Pdl, al non-statuto M5S, alla non-rinuncia di Bersani dopo il fallimento delle convergenze parallele e della non-sfiducia a 5Stelle, previa pausa di riflessione.
Mentre le migliori lingue di giornalisti e giuristi fanno gli straordinari per magnificare la geniale, strepitosa, magistrale mossa del Colle, si sente persino dire che “il governo Monti è pienamente operativo” e sta per assumere “provvedimenti urgenti per l’economia”: è lo stesso che annega in acque territoriali indiane sul caso dei marò, col ministro degli Esteri che riesce a dimettersi da un esecutivo dimissionario.
E il cui leader Monti è stato appena asfaltato dal 90% degli elettori.
Dunque l’eterna Bicamerale, aperta nel ’97 da D’Alema e B. e mai davvero chiusa nonostante le apparenze, riapre trionfalmente i battenti sotto le mentite spoglie di due “gruppi di saggi”.
C’è Onida, corazziere ad honorem per gli immani sforzi compiuti per difendere le interferenze del Quirinale nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia e per negare l’ineleggibilità di B., dunque molto saggio.
C’è Giovannini, il presidente Istat che fu incaricato di studiare i costi della politica, ma alla fine si arrese stremato, dunque molto saggio.
C’è Pitruzzella, già associato allo studio Schifani, dunque garante dell’Antitrust e molto saggio.
C’è Rossi, il solito banchiere uscito dai caveau di Bankitalia, dunque molto saggio. C’è Violante, quello che si vantava con B. di non avergli toccato le tv e il conflitto d’interessi, dunque molto saggio.
C’è Mauro, già Pdl, ora montiano, ma sempre Cl, dunque molto saggio.
C’è Quagliariello, che strepitò in aula contro gli “assassini” di Eluana, dunque molto saggio.
C’è Bubbico, già indagato e prosciolto per la buona politica in Lucania, dunque molto saggio.
C’è il leghista Giorgetti, che intascò una mazzetta da Fiorani, poi con comodo la restituì, dunque molto saggio.
Se questi sono saggi, i fessi dove sono?
Eppure piacciono a tutti. Anche ai 5Stelle, gli unici esclusi dalla spartizione quirinalesca, gli unici ignari della vera natura della bi-Bicamerale: una stanza degli orrori per rimettere in pista B. e patteggiare alle nostre spalle, una siringa di anestetico per infilarci la supposta dell’inciucio senza che ce ne accorgiamo.
Scommettiamo che i saggi parleranno quasi soltanto di giustizia?
Ps. Nella distrazione generale si son dimenticati Bersani nel freezer. Qualcuno lo avverta che non è più il premier incaricato e, se possibile, lo scongeli nel microonde.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
“L’ARTE NON E’ FARE LO SCAPIGLIATO, L’ITALIA NON HA PIU’ RICHIAMI ETICI”…”L’ITALIA DI OGGI NON SA PIU’ SOFFRIRE E NON SA PIU’ SORRIDERE, E’ UN PAESE MALATO” …”HO AVUTO LA FORTUNA DI VIVERE IN UN’ITALIA PICCOLA MA SERIA, RICORDO BERLINGUER E ALMIRANTE, PERSONAGGI STREPITOSI”
«Io sono profondamente grato al mio Paese. All’Italia devo tutto. Per questo mi fa male vederla così. E avverto la necessità di alzare la voce, per segnalare qualche pericolo e qualche opportunità ».
Riccardo Muti, dopo il successo del concerto verdiano di Roma e prima di partire per Chicago, sta passando qualche giorno in montagna.
A chiedergli se abbia sciato, sorride. «Io non so sciare. I miei figli si divertono molto, il mio nipotino di 5 anni sta imparando. Ma io appartengo a una generazione di italiani per cui sciare non entrava nel novero delle cose possibili. Se ripenso alla mia giovinezza, nella Puglia degli anni 50, mi sembra di essere vissuto secoli addietro. Non c’era la tv; anche quando nacque la Rai, nessuno a Molfetta aveva il televisore, per vedere Lascia e raddoppia si andava al cinema. Ma era un Paese laborioso, in senso latino: “labor”. Vigoroso, forte, disponibile alla fatica, al sacrificio, pieno di speranza».
«La mia era una famiglia numerosa. Non eravamo poveri, papà era medico, ma dovette lavorare molto per farci studiare. Alle elementari il maestro era mio nonno, direttore della scuola Alessandro Manzoni: inflessibile, rigoroso, severo; un esempio di decoro, dignità , lealtà . Davanti alla villa comunale, dove portavamo le ragazze a passeggiare, c’era l’orologio con la scritta: “Mortales vos esse docet quae labitur hora”; in sostanza, ricordati che devi crepare.
La scritta è sempre lì, ma nessuno ci fa più caso.
Per noi era davvero un richiamo etico, ci ricordava il dovere di comportarci in modo civile, anche con le donne.
Al liceo, dove aveva studiato Salvemini, le nostre serate erano il seguito delle lezioni: le passavamo a conversare con gli insegnanti di letteratura, latino, filosofia. Mio fratello maggiore è diventato neuropsichiatra, il secondo ha fatto l’università navale di Napoli, i gemelli nati dopo di me sono ingegneri elettronici. Mio padre volle che ognuno avesse una cultura musicale, a ingentilire una formazione così rigida; anche se il massimo che ci si poteva attendere, nella provincia del Sud, era diventare direttore della banda del paese. A 7 anni mi misero in mano un violino, che ovviamente ho detestato con tutte le mie forze; anche perchè avrei voluto un fucile di legno con il tappo, all’epoca il più bel regalo possibile. Papà si era già arreso: “Riccardo non è portato per la musica”. Fu mia madre a dire: “Diamogli ancora un mese”. Un mese proficuo. Decisivo è stato poi l’incontro con Nino Rota, il mio padre musicale, cui sono rimasto vicino sino alla morte. Però la cosa più importante è stata crescere in un’Italia piccola ma seria. Un Paese dalle radici poderose. Per questo oggi non ho difficoltà a stare accanto all’uomo più semplice della terra come alla regina Elisabetta. Parte del mio percorso si è svolta all’estero,ma iomi sento profondamente italiano, ho dato ai figli i nomi dei nostri grandi santi – Francesco, Chiara, Domenico –, e mi ribello nel vedere il mio Paese ridotto così».
«L’Italia di oggi non sa più soffrire e non sa più sorridere. Ha smarrito non solo il senso degli enormi sacrifici dei padri, ma anche la loro gioia di vivere. La Spagna è messa peggio di noi, però ha ancora vitalità , joie de vivre, quell’attitudine che un tempo ci rendeva simpatici al mondo e ora abbiamo perduto. A Chicago vedo tanti ragazzi italiani, gente in gamba, che è dovuta fuggire. Non voglio fare il “laudator temporis acti”, ho sempre detestato chi diceva: “Ai miei tempi”. Ma questo è un Paese malato, molto diverso da quello che sognavamo da ragazzi. Persino i profumi sembrano spariti: i profumi che uscivano dalle finestre d’estate, quando nelle case ancora si cucinava, e si rideva. Ora viviamo in una società grigia. L’Italia sembra aver tirato i remi in barca. Non crede più nel futuro e in se stessa. Non si fida più di nessuno; e con qualche motivo».
«Non voglio dare giudizi sui politici; ma il livello di questi anni è sconfortante. Per mestiere mi capita di seguire dieci linee musicali, che si intersecano e si contrappuntano, ma tendono all’armonia. Invece se metti anche solo tre politici in tv subito si gridano addosso, e non si capisce più nulla. Io credo nella dialettica, nel confronto, nel rispetto. È evidente che per non precipitare verso il voto anticipato occorre fare un governo di larghe intese, anche se, più dell’aggettivo, mi interessa il sostantivo: intese. Una soluzione non populista, in cui i migliori esponenti delle diverse culture politiche si applicano ai problemi del Paese, si occupano delle famiglie che già alla seconda settimana del mese sono in difficoltà .
“Ricordo Berlinguer e Almirante: ideologie sbagliate; ma personaggi strepitosi. I tagli alla cultura, al cinema, ai teatri, alle orchestre, sono vergognosi, ma non mi stupiscono: ai concerti, i politici non vengono mai. Quelli davvero interessati li conti sulle dita di una mano: come Ciampi e Napolitano, che vedevo a Salisburgo anche prima che diventasse capo dello Stato. A quasi tutti gli altri, della musica e della cultura non importa nulla».
E Grillo? «Mi ricorda Iago, che nell’Otello dice: “Io non sono che un critico…”. Criticare senza dare soluzioni credibili possono farlo tutti. Se dirigessi un’orchestra dicendo solo quello che non va, non risolverei nulla. Gli italiani si sono stancati della vecchia politica, ma ora hanno bisogno di vedere una luce in fondo al tunnel, e di qualcuno che li guidi verso la luce. Invece sento invocare dittature, “il 100% dei voti”: un’avventura che abbiamo già conosciuto, finita malissimo. E poi questo turpiloquio mi fa orrore. Un segno di abbrutimento».
E gli artisti saliti sul carro di Grillo? «Ognuno è libero di seguire quel che ritiene giusto. Faccio notare però che noi abbiamo una idea un po’ distorta, per cui si “fa” l’artista, mentre nella realtà si “è” artista. Essere artista non significa fare lo scapigliato, un po’ folle, con la barba e i baffi lunghi e le parole in libertà , sempre ad agitare le mani con violenza e a insultare gli interlocutori. Non pretendo che tutti debbano essere come Bach, solennemente seduto al suo organo a comporre opere da consegnare a Dio e all’umanità , concependo nelle pause un sacco di figli. Un modello di artista per me è Toscanini, uomo di grande semplicità , eleganza, coscienza civile. O come Verdi. Uomini per cui la forma è contenuto».
A Verdi, Muti ha dedicato un libro e parte della stagione dell’Opera di Roma, con lavori considerati minori che però esprimono l’identità italiana, da Genova – con il Simon Boccanegra – a Venezia, con I due Foscari.
«Il ritorno del sentimento nazionale può essere la premessa per la rinascita. Negli anni 70 l’inno, il tricolore, la patria erano parole sospette. Io ci credevo già allora, ho sempre fatto l’inno, e soffrii quando si tentò di creare una polemica con Ciampi: dirigevo alla Scala il Fidelio, che considero una sorta di inno delmondo, per questo rinunciai a Mameli; la cosa non fu spiegata al presidente che ci rimase male, i media avevano già allestito il rogo, per fortuna ci chiarimmo subito».
Alla guida della Scala, Muti ha passato 19 anni. E quella di oggi? «Il punto non è privilegiare Wagner rispetto a Verdi: due geni che hanno avuto il solo torto di nascere nello stesso anno. Il punto è che la Scala rappresenta storicamente la nostra nazione. È la voce dell’Italia all’estero. La nostra anima. Se a un teatro togli l’anima, gli hai tolto tutto. Sarebbe un tradimento. È ovvio che la Scala può mettere in scena i grandi musicisti austriaci e tedeschi. Ma dev’essere consapevole che a Vienna, a Berlino, a Bayreuth sono attrezzati – per tradizione, lingua, cultura – a farlo meglio di noi. Mentre se perdiamo la capacità di mettere in scena meglio degli altri Verdi, Puccini, Bellini, Donizetti, Rossini, allora il danno sarebbe gravissimo, perchè quella è la nostra cultura, siamo noi. In Cina ogni anno aprono teatri, conservatori, orchestre che la studiano, e se non teniamo il loro passo ne saremo sommersi. Questa era la linea che prima di me aveva seguito il mio predecessore Abbado».
Ma con Abbado non siete rivali? «Queste sono cretinate messe in giro da chi ha sempre bisogno di rappresentare gli italiani divisi, come Coppi e Bartali. Ma Coppi e Bartali facevano la stessa corsa. Abbado e io no, e per fortuna, altrimenti ci renderemmo ridicoli, visto che non abbiamo più vent’anni. Apparteniamo a generazioni diverse, ma abbiamo sempre avuto rapporti cordiali e ci stimiamo, perchè condividiamo lo stesso amore per il nostro Paese e per quel linguaggio universale che la musica italiana parla a tutti gli uomini».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 31st, 2013 Riccardo Fucile
NESSUNA PIATTAFORMA DI DEMOCRAZIA LIQUIDA COME PROMESSO, SI VOTA SOLO SUL SUO BLOG… E GLI ITALIANI CONTINUANO A FARSI PRENDERE PER IL CULO DAL SECONDO CLOWN
Beppe Grillo lancia le «elezioni online per il presidente della Repubblica» nei prossimi giorni.
L’annuncio arriva come sempre dal suo blog: «L’elezione del prossimo presidente della Repubblica- si legge- è l’atto politico più importante dei prossimi giorni. L’uomo, o la donna, che salirà al Quirinale condizionerà nel bene e nel male la vita del Paese per sette anni. Ed è questo il motivo per cui Grillo ritiene che «il prossimo presidente della Repubblica non debba venire dalla politica, nè ricoprire, o aver ricoperto, incarichi istituzionali.
NIENTE LIQUID FEEDBACK
A votare saranno gli iscritti al Movimento Cinque Stelle entro la fine del 2012.
E come nel caso delle Parlamentarie, l’indirizzo web sul quale si potranno esercitare le preferenze sarà il blog di Beppe Grillo, gestito ovviamente dalla Casaleggio Associati.
Scelta che lascia intendere come l’occasione non coinciderà con la piattaforma di democrazia liquida annunciata nei giorni scorsi e prima delle elezioni,.
La proposta dei candidati verrà effettuata da tutti coloro abilitati al voto l’11 aprile dalle 10.00 alle 21.00.
Si potrà esprime solo una preferenza. Il M5S ha pensato anche a tutelarsi da un possibile attacco hacker. Nel caso il servizio di voto non fosse raggiungibile per più di un’ora il tempo di down verrà recuperato, se possibile, il giorno successivo.
Peccato che non ci si possa tutelare dai taroccamenti interni invece, visto il precedente di 4.000 commenti negativi fatti sparire dal suo blog.
VERIFICA ENTE ESTERNO MISTERIOSO –
Indicazioni vengono date anche sulla selezione del candidato.
Si legge sul blog «I 10 nomi più proposti verranno resi pubblici e utilizzati come base dei votabili e disposti in ordine alfabetico per la votazione finale. Su questi verrà verificato che abbiano compiuto 50 anni alla data del 15 aprile 2013 (o alla data delle votazioni in aula se già resa pubblica) e che siano italiani. In caso di problemi verrà preso il primo degli esclusi. Il nome che avrà ricevuto più voti sarà votato dai Parlamentari del MoVimento 5 Stelle».
Poi l’ultima indicazione: «Il processo di voto sarà verificato da un ente esterno”. Ma non viene indicato il nome del controllore, Casaleggio si vede che deve ancora accordarsi con Berlusconi.
DA STRADA A TOTO COTUGNO –
E se i commenti del blog non sono rappresentativi di ciò che decideranno gli attivisti, va notato però che i nomi più ricorrenti sotto il post di Grillo sono: Gino Strada, Roberto Benigni, Stefano Rodotà .
E c’è chi si spinge persino a indicare Toto Cotugno.
Sul fronte femminile, invece, si citano Emma Bonino e Milena Gabanelli.
In attesa della Minetti.
La farsa è appena all’inizio.
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
UN ELENCO DI SOLITI NOTI IN QUOTA PARTITI PER PRENDERE TEMPO CON GLI INCIUCIONI ALLEATI BERLUSCONI-GRILLO E PER TRATTARE SUL NUOVO CAPO DELLO STATO
Altro che dieci “saggi”. Quelli che ha tirato fuori Napolitano dal cilindro per scrivere la road map di riforme essenziali per il Paese sono i soliti noti.
Forse il peggio dei soliti noti, se possibile.
Eppure, sorprendentemente, saranno loro a dover costituire il “tesoro” di idee e provvedimenti su cui il prossimo Presidente della Repubblica si dovrà basare per formare (forse) un nuovo governo.
C’è di che restare senza parole.
Sono nomi che rappresentano gli assi portanti di quell’antico sistema politico e istituzionale che ha portato l’Italia nel baratro in cui si trova oggi.
Lentamente ma sistematicamente.
E adesso siamo di nuovo nelle loro mani.
Con il beneplacito di tutte le forze politiche, compreso il pagliaccio miliardario Grillo che da rivoluzionario mancato pare ormai essere stato assunto come lacchè del Cavaliere.
A destare scandalo è soprattutto la commissione cosidetta “politico-istituzionale”.
Da Valerio Onida, costituzionalista di area piddina e ben visto dai grillini a Luciano Violante, con tutto il suo passato partitocratico alle spalle, simbolo della storia più antica (e non sempre limpida) di Botteghe Oscure.
E poi Mario Mauro, uomo di Monti (e di Cl vicinissmo a Roberto Formigoni) che qualcuno voleva a presidente del Senato al posto di Pietro Grasso, di cui non si ricordano negli anni particolari exploit legislativi nel segno del cambiamento.
Ma soprattutto Gaetano Quagliariello, ex vicecapogruppo del Pdl al Senato, uomo delle leggi ad personam di Silvio sulla giustizia, dunque personaggio di stretta osservanza berlusconiana, primo tra i soldati di prima fila del Cavaliere e (anche lui) personalità su cui l’intero centrodestra si sarebbe speso per fargli avere una carica istituzionale.
Dopo quello che ha fatto per loro. E per il suo Capo.
Ecco, Mauro è l’uomo di un Monti che continuerà a governare l’Italia nonostante le figuracce internazionali (Marò) e Quagliariello è un portabandiera di Arcore.
Davvero non c’era nulla di meglio sul mercato?
Davvero è questo la summa della intellighenzia politica che Giorgio Napolitano ha saputo esprimere in un momento tanto drammatico per la democrazia?
Cosa potranno mai studiare di nuovo queste cariatidi politiche del sistema?
Che avranno mai da tessere e rinnovare elementi che mai sarebbero stati eletti davvero dal popolo se non ci fosse stato il Porcellum?
L’unica cosa che possono partorire, a ben guardare, è un inciucio codificato sotto forma di programma da servire freddo sul piatto del prossimo presidente della Repubblica come unica via per avere un nuovo governo.
D’inciucio, s’intende, non certo di rinnovamento.
Ma anche l’altra commissione, quella chiamata a studiare le emergenze economiche e sociali del Paese, non è meno inquietante.
Si parte da Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, istituto che continua a fotografare lo stato del Paese senza aver mai suggerito una misura utile al suo sviluppo neppure per sbaglio e di Giovanni Pitruzzella, presidente del’autorità garante della concorrenza e del mercato, istituto abbastanza inutile se si considera che in Italia, com’è noto, non c’è una legge sul conflitto d’interessi degna di questo nome, per cui l’operato del Garante è stato fino a oggi abbastanza oscuro.
Ma si resta ancora senza parole quando lo sguardo arriva ai nomi di tre degli altri membri della commissione; uomini strettamente legati uno a Monti, uno alla Lega e l’altro alla storia del Pci.
E che anche il quarto, Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca D’Italia, è “cresciuto” dopo l’entrata in scena del governo Monti.
Insomma, il “sistema” al potere che viene chiamato a rinnovare se stesso. Un paradosso
Napolitano, proponendo questi nomi, ha certamente deluso le aspettative di chi si aspettava una scossa.
Invece, Napolitano oggi ha deciso di “addormentare” il sistema con questa sorta di “bicamerale ghiacciata” composta da chi, come si diceva, è in alcuni casi l’emblema di tutti ciò che gli italiani vorrebbero lasciarsi alle spalle.
Insomma, il capolavoro di Napolitano è questo: Monti resta al suo posto (e chissà per quanto tempo) e per il resto è stata mandata letteralmente la palla in tribuna, fermando il gioco.
Un’astuzia da antico politico, quale certamente Napolitano è, che ha anche archiviato senza scosse l’era Bersani, facendolo uscire di scena in modo netto, senza appello. Per quanto molto morbido.
Intanto, si è aperta ufficialmente la crisi del Pd, i cui esiti saranno certamente drammatici, ma non è questo certo il punto. Il vero scontro, quello più acceso, si giocherà sulla successione al Qurinale.
E il Parlamento si trasformerà in un Vietnam.
Insomma, il Capo dello Stato, ancora una volta, ha messo la sordina al cambiamento, fischiando il “tutti negli spogliatoi”.
I supplementari, se ci saranno, li giocheranno (loro, i partiti) tutti con un altro arbitro. Che si troverà però vincolato al suo predecessore dal patto di sistema che verrà sancito in questa “bicamerale”. E sarà ancora un inciucio. Senza sbocco.
Ma il prezzo di questo stallo e di questo “nuovo” che avanza e continua a dettar legge puzzando di polvere e di muffa ci costerà (a noi, cittadini) ancora moltissimo.
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