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STAVOLTA BERLUSCONI RISCHIA DI FINIRE DENTRO

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

IN PARLAMENTO NON CI SONO PIU’ I NUMERI PER LEGGI AD PERSONAM E AL SENATO NESSUNO PUO’ GARANTIRGLI L’IMMUNITA?… IN PIAZZA LA PROTESTA DEL CAVALIERE CONTRO “IL VERO CANCRO DELL’ITALIA”. E TUTTI I PROCESSI CHE LO ASSILLANO

I tempi cambiano, ma Silvio Berlusconi è immutabile.
Oggi, come ieri, come l’altro ieri, non ci sta a farsi processare e annuncia una manifestazione anti magistrati, dopo averli definiti, nuovamente, “un cancro”.
Lo fa da Milano, nel giorno delle dichiarazioni spontanee al processo per frode fiscale, Mediaset-diritti tv, che gli fa rischiare una pena definitiva entro la primavera dell’anno prossimo.
Non a caso la manifestazione di piazza “contro l’attività  di parte della magistratura” la lancia per sabato 23 marzo, il giorno in cui è previsto il verdetto.
E il giorno in cui potrebbe essere già  avvenuto l’arresto di esponenti del Pdl decaduti da parlamentari a metà  marzo: Nicola Cosentino, Marco Milanese e Sergio De Gregorio.
Ieri, i pm di Napoli hanno detto no alla revoca dell’arresto di Cosentino, avanzata dalla difesa, perchè le sue relazioni con la camorra lo rendono ancora pericoloso.
Berlusconi, consapevole di non avere più i numeri in Parlamento per far approvare scudi ad personam, chiama il suo popolo a scendere per strada contro “parte della magistratura che è una patologia e un cancro per la democrazia”.
Immediata la reazione dei vertici dell’Anm: “La magistratura, o una parte di essa, viene equi-parata al cancro. Sabato scorso era peggio della mafia, ma non abbiamo replicato perchè vigilia delle elezioni. Sono parole che andrebbero liquidate come sciocchezze, ma sono molto offensive per chi ha pagato il prezzo della criminalità  mafiosa e per i malati. Invocare la piazza in un momento come questo è molto pericoloso, vuol dire screditare l’istituzione magistratura, significa indebolire lo Stato stesso e le istituzioni tutte”.
Libertà  e Giustizia annuncia un corteo in difesa dei magistrati prima del 23.
Ma Berlusconi prosegue l’invettiva con un altro cavallo di battaglia, l’uso politico della inchieste: “c’è una parte della magistratura che utilizza la giustizia per eliminare gli avversari politici che non si riescono a eliminare con il sistema democratico delle elezioni”.
Infuriato per l’ultima mazzata giudiziaria, l’inchiesta napoletana per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, nel corridoio del primo piano del tribunale di Milano, invaso da giornalisti, il leader del Pdl descrive una “situazione barbara quella di pm che utilizzano il carcere come minaccia per far dire quel che vogliono ai vari imputati o tengono in carcere persone come Valter Lavitola senza aver commesso reati così gravi”.
Arriva ad accusare i pm di Napoli di aver “barattato” la libertà  dell’ex senatore Sergio De Gregorio con le accuse contro di lui.
È De Gregorio che ha messo a verbale di aver preso da Berlusconi 3 milioni in cambio del suo passaggio dall’Idv al Pdl, per far cadere il governo Prodi nel 2006.
Berlusconi ha parlato anche di un altro processo, milanese, che andrà  a sentenza giovedì prossimo: quello per l’intercettazione segreta, pubblicata il 31 dicembre 2005 dal Giornale, tra il segretario dei Ds Piero Fassino e il presidente di Unipol Giovanni Consorte (“Allora abbiamo una banca”?).
“Sarebbe paradossale, ridicolo — ha detto io sia l’unico cittadino italiano a essere condannato per aver contribuito a pubblicare una notizia coperta da segreto mentre nei miei confronti vengono pubblicate numerose intercettazioni”.
Il concetto lo ribadirà  il 7 marzo in aula, prima che i giudici entrino in Camera di consiglio.
Ieri, invece, davanti ai giudici d’appello Mediaset, Berlusconi ha definito “una cantonata” la condanna di primo grado a 4 anni, ha ricordato che fin dal ’94, quando è diventato presidente del Consiglio, ha lasciato “tutte le cariche del gruppo” e ha sostenuto che mai si è occupato di “diritti televisivi” anche se, ha ricostruito l’accusa, manager come Franco Tatò, ex presidente di Monda-dori , hanno testimoniato il contrario.
Secondo l’ex premier, non c’è stata alcuna frode fiscale: “tra il 2002 e il 2003 (gli anni sopravvissuti alla prescrizione, ndr) ha versato 567 milioni di imposte”.
Ma Berlusconi nel 2003 e nel 2004 ha usufruito del condono, approvato dalla sua maggioranza, per stoppare sul nascere eventuali accertamenti fiscali sui redditi imponibili dichiarati tra il ’97 e il 2002.
Per lui l’avvocato generale Laura Bertolè Viale ha chiesto la conferma della sentenza del tribunale: 4 anni di pena (per effetto dell’indulto, però, in caso di conferma della Cassazione, 3 anni vengono cancellati), interdizione dai pubblici uffici (5 anni) e dalle cariche societarie (3 anni).
Secondo l’accusa e i giudici di primo grado, attraverso il meccanismo di costi gonfiati per la compravendita dei diritti tv, sono stati accantonati fondi neri all’estero che hanno sottratto al fisco italiano, per gli anni 2002 e 2003, 7 milioni e 300 mila euro.
Bertolè Viale ha chiesto la condanna anche per il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, assolto dal tribunale: “era consapevole del disegno per attuare la frode fiscale e anche se non ha firmato le dichiarazioni dei redditi, ha firmato i bilanci societari”.
L’avvocato della parte civile, l’Agenzia delle entrate, Gabriella Vanadia, oltre alle condanne ha chiesto la conferma della provvisionale complessiva di 10 milioni per tutti gli imputati. Berlusconi, però, dice che lo Stato avrebbe dovuto dargli “una medaglia d’oro per le mie attività  di imprenditore e per avere dato lavoro a 56 mila persone”.
Lunedì a suo carico riprende anche il processo Ruby.
La sentenza è attesa per il 18 marzo.

Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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MOSSA DI BERLUSCONI PER CONVINCERE IL PD AL DIALOGO: “RIFORMA ELETTORALE E POI AL VOTO”

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

PROSEGUONO I CONTATTI TRA PDL E PD MA IL CAVALIERE TEME CHE “BERSANI SIA PARALIZZATO”

Messo all’angolo da processi e inchieste, ignorato da Bersani e Pd che chiudono a ogni ipotesi di larghe intese, Silvio Berlusconi alza il tiro.
Prova a scuotere democratici e grillini e si dice pronto al ritorno alle urne.
Teme l’accerchiamento e di restare col cerino in mano, dopo le aperture dei giorni scorsi.
Così, da un lato convoca la «piazza» anti giudici per il 23 marzo – non a caso molto in là  nel tempo, suscettibile di annullamento – dall’altro, si dice pronto a continuare la campagna elettorale, a giocarsi la «persecuzione giudiziaria» come jolly al cospetto degli elettori.
«L’Italia rischia molto, tutti ci guardano con preoccupazione e se non dimostreremo di essere capaci di governarci e di attuare le riforme necessarie, avremo delle situazioni molto difficili» spiega Silvio Berlusconi ai microfoni di Skytg24 dopo, l’exploit mattutino in tribunale.
Secondo il Cavaliere per venirne fuori occorre «prima fare le riforme necessarie e, dopo aver cambiato la legge elettorale, andare immediatamente a nuove elezioni».
E precisa: «Io non sarei così ostile a una continuazione della campagna elettorale». Affermazioni che suonano come avvertimento, tanto più dopo l’intervista di Bersani a Repubblica con cui il segretario Pd non solo chiude, ma indica perfino il conflitto di interessi tra le priorità  del suo programma di governo.
Eppure i canali di comunicazione col fronte democratico, raccontano da via dell’Umiltà , non sono ancora chiusi.
Tra Gianni Letta e Massimo D’Alema, ad esempio. Ma anche tra Denis Verdini e il capo della segreteria di Bersani, Maurizio Migliavacca.
Tutto sotto traccia, ma Berlusconi non si fa tante illusioni. «È un partito in stato confusionale, Bersani è prigioniero di dispute interne che lo paralizzano» confida il Cavaliere ai dirigenti che in sequenza lo interpellano, pur restando convinto che la via che porta a Grillo per loro non abbia sbocchi e che l’unica chance sarebbe un accordo Pdl-Pd.
Ma le sue aperture in video sono state a dir poco ignorate, e infine bocciate apertamente da Bersani.
Così, a fine giornata il portavoce Paolo Bonaiuti tira le somme: «Noi abbiamo ribadito il senso di responsabilità , ma non si può stare sulla graticola ancora a lungo».
Il vero problema, sostiene Maria Stella Gelmini, è che «il segretario pd appare molto condizionato dalla sconfitta personale e non lucidissimo, ma la trattativa sarà  ancora lunga».
Berlusconi resterà  ad Arcore anche il fine settimane, primo impegno ufficiale martedì a Milano, dove incontrerà  gli eletti in Lombardia.
Dice ai suoi di essere pronto a tornare sul campo di battaglia. Ma non tutti nel Pdl la pensano allo stesso modo. Più cauto Angelino Alfano. Anche Sandro Bondi si lancia a sorpresa in un parziale apprezzamento dei toni usati da Bersani nell’intervista a Repubblica, facendo notare come «al di là  degli sterili infantilismi politici che alimentano purtroppo la politica in Italia, si può constatare che su alcuni punti programmatici esiste una valutazione concorde».
E cita tra gli altri il passaggio in cui si dice che «l’austerità  da sola ci porta al disastro».
Ma nel Pdl ci sono anche falchi come Francesco Nitto Palma, tra i big in corsa per il posto di capogruppo al Senato, che si dicono al contrario «perplessi» sul programma avanzato dal segretario Pd.
Altro che conflitto di interessi, «in questo momento le priorità  sono lotta alla recessione e crescita».
E di fronte a un Pdl diviso ancora tra falchi e colombe e un Pd che a loro appare «suonato», per dirla con Altero Matteoli «non resta che confidare nel ruolo e nell’autorevolezza del capo dello Stato».
Il partito di Berlusconi conferma la sua «disponibilità  e il senso di responsabilità ».
Ma ogni spiraglio sta per chiudersi.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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LO STORICO JOHN FOOT: “GLI INGLESI NON CAPISCONO PERCHE’ VOTATE UN COMICO”

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

“VI RITENGONO UN PAESE POCO SERIO, GIA’ BERLUSCONI AVEVA DATO UN COLPO MICIDIALE ALLA VOSTRA IMMAGINE, ORA GRILLO PUO’ DARE IL COLPO DI GRAZIA”

All’estero sono rimasti molto perplessi dalle elezioni italiane.
Anche John Foot, docente di Storia contemporanea al dipartimento di italiano dela University college di Londra, collaboratore di Internazionale e del Guardian. Foot ha vissuto per decenni in Italia e al momento sta completando un lavoro di ricerca storica sulla legge Basaglia.
John Foot, come hanno reagito i suoi connazionali inglesi ai risultati elettorali italiani?
Con incredulità . Per vent’anni mi hanno chiesto come mai in Italia votassero per Berlusconi. Io provavo a contestualizzare, raccontavo del suo potere mediatico e che non tutti gli italiani lo votavano. Ora mi chiedono tutti di Grillo che è ancora più difficile da spiegare. Ovviamente qui avrebbero trovato più normale una vittoria di Monti.
I governi stranieri e i mercati chiedevano soprattutto stabilità  e invece dalle urne non è uscita una maggioranza certa.
Purtroppo emerge l’immagine di un paese poco serio, io provo a combattere questa idea, ma è sempre più complicato. Prima i giornalisti inglesi mi chiamavano per commentare le numerose gaffes di Berlusconi poi ho smesso di rispondere, non ne potevo più.
E oggi?
Ora rischio di ricominciare da capo con Grillo. Berlusconi era già  un colpo micidiale all’immagine italiana, Grillo può dare il colpo di grazia. Per i britannici è inconcepibile che un uomo di spettacolo vinca le elezioni. Il risultato elettorale viene visto come un segno di continuità  con Berlusconi in un momento delicato e di profonda crisi. Temono il caos.
Ma Grillo non ha vinto grazie alle clientele o a un impero mediatico.
Inizialmente fu così anche per la Lega Nord, le clientele si formano col tempo. Grillo ha sfruttato un momento perfetto, corruzione, scandali, politiche di austerità , credo che una spinta fondamentale gli sia venuta anche dalla vicenda del Monte dei Paschi. Grillo fa credere che tutto il marcio potrà  essere spazzato via rapidamente ma le proposte positive sono molto deboli, in questo non si differenzia molto da Berlusconi.
Quindi anche lei è stupito dal successo del Movimento cinque stelle?
Sono stupito dalle sue dimensioni. Capisco che sia montata una repulsione viscerale verso certe facce e certe persone. Dopo vent’anni il ‘voto utile’ è stato rifiutato. Capisco anche che Grillo sfrutti questo sentimento in maniera innovativa e divertente, ma la cura potrebbe essere peggio della malattia.
Non è troppo pessimista?
Se Grillo deluderà  le aspettative, gli italiani si rifugeranno nell’astensione e il rifiuto potrebbe coinvolgere l’intero sistema democratico. Grillo, per fortuna, ha evitato che la protesta confluisse nei movimenti di estrema destra come altrove, ma non è detto che il suo successo sia duraturo.

Massimiliano Boschi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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GRILLO COSTRETTO AD AMMETTERE: SULLE POLITICHE ECONOMICHE NON ABBIAMO ANCORA UN PROGRAMMA

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

GRILLONOMICS: DOVE NASCE L’ECONOMIA A CINQUE STELLE… IL LEADER SCOMUNICA GLI ESPERTI: NON PARLINO A NOME DI TUTTI

“La vita non è lavorare 40 ore alla settimana in un ufficio per 45 anni. È disumano, stavano meglio gli irochesi e i boscimani che dovevano lavorare un’ora al giorno per nutrirsi”. Questa è l’essenza della Grillonomics, l’economia di Beppe Grillo, riassunta nel libro appena uscito “Il Grillo canta sempre al tramonto”, con Dario Fo e Gianroberto Casaleggio per Chiarelettere.
Saperne di più, fare domande, chiedere precisazioni è impossibile.
Ieri, dal blog, Grillo ha diffidato “presunti esperti” di parlare a nome del Movimento 5 stelle: sono “liberi di parlare” ma “soltanto a titolo personale”.
Messaggio rivolto soprattutto all’economista Mauro Gallegati, citatissimo su giornali e tv dopo la sua intervista al Fatto Quotidiano in qualità  di principale autore della parte economica del programma.
Però si può ricostruire almeno la rete di letture, o forse solo di suggestioni, che alimenta la Grillonomics.
La premessa è la stessa dei movimenti per la decrescita, evoluzione del pessimismo di Thomas Robert Malthus che già  a fine Settecento vedeva i limiti dello sviluppo, l’impossibilità  della crescita permanente e la povertà  diffusa come destino (colpa dei poveri che si riproducono troppo e quindi devono ricevere un reddito minimo garantito, ma abbastanza basso da non permettere loro di sposarsi).
Il fatto che Malthus si sia clamorosamente sbagliato non scoraggia i fan della decrescita, intesa come fine della tensione verso l’aumento del Pil attraverso i consumi (cosa diversa dalla recessione, che è l’assenza di crescita in una società  ossessionata dalla crescita).
Sul blog di Grillo e tra i suoi frequentatori sono popolari scrittori come il francese Serge Latouche e l’italiano Maurizio Pallante: come quasi tutti i sostenitori della decrescita non sono economisti, non applicano un approccio scientifico ma etico, vedono nella riduzione dei consumi e nel privilegiare la sussistenza allo sviluppo una forma di espiazione per gli eccessi del consumismo.
Latouche è un autore best-seller di Bollati Boringhieri, per cui ha appena pubblicato il breve ma ambizioso” Dove va il mondo?”, dove azzarda: “La mia idea è che il sistema non abbia cinque anni di vita, e meno che mai venti”.
Latouche, come Pallante nel suo “Menoèmeglio” (Bruno Mondadori) suggeriscono soluzioni autarchiche, riduzione di consumi e stili di vita, gruppi di acquisto solidali e orto dietro casa al posto del supermercato.
Talvolta spingendosi fino a ipotizzare che soltanto se tutti vivessimo come in Africa la Terra potrebbe evitare il collasso.
Nella sua enciclica Caritas in Veritate, nel 2009, Benedetto XVI scriveva: “Assolutizzare ideologicamente il progresso tecnico oppure vagheggiare l’utopia di un’umanità  tornata all’originario stato di natura sono due modi opposti per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità ”.
Grillo non sembra condividere gli eccessi della decrescita.
Dietro i vaffanculo e gli strilli, tra le righe dei suoi post — e nella scelta dei collaboratori, come Gallegati — si intravede la visione di John Maynard Keynes.
Nel giugno del 1930, nel discorso Prospettive economiche dei nostri nipoti, il grande economista di Cambridge ipotizzava che “scartando l’eventualità  di guerra e di incrementi demografici eccezionali, il problema economico può essere risolto, o per lo meno giungere in vista di soluzione, nel giro di un secolo”.
Cioè l’umanità  avrebbe raggiunto la piena occupazione e, grazie alla tecnologia, avrebbe lavorato pochissimo, avendo enormi quantità  di tempo libero.
In un libro appena pubblicato da Mondadori, il biografo di Keynes, RobertSkidelsky (col figlio Edward, filosofo) spiega perchè la profezia di Keynes non si è avverata. Quando negli anni Sessanta nel mondo occidentale si è sfiorata la piena occupazione, la politica ha smesso di preoccuparsi di come migliorare la vita dei cittadini e si è spesa invece per aumentare l’efficienza della produzione.
Ma produrre di più implica consumare di più.
E l’economia è diventata soltanto la scienza della massimizzazione dei consumi
Questa sembra anche la linea di Grillo che lui riassume così: “L’unica preoccupazione per tutti è stata quella di produrre più automobili possibili, intasare al massimo città  e paesi finchè, complice la crisi, il gioco è saltato e ora siamo tornati ai livelli di produzione degli anni Settanta”.
L’ex comico integra questo approccio con le teorie sui beni comuni — evoluzione delle spinte ecologiste e anti-globalizzazione degli anni Novanta — in Italia approfondite da Ugo Mattei e Stefano Rodotà .
Come si traduce questo approccio in politica economica?
Il programma di Grillo è una lista di principi e, per ammissione del leader del M5s, ancora incompleto: deve nascere una “piattaforma on line” in cui i simpatizzanti potranno riempire di contenuti i principi del programma.
Sono anni che Grillo annuncia questa partecipazione dal basso, ma è ancora “in fase di sviluppo dopo il rallentamento dovuto all’anticipo delle elezioni”, ha scritto ieri. Solo che adesso la discussione non è più solo teorica, dovrà  portare a breve i disegni di legge in Parlamento.
Stefano Feltri

(da “il Fatto Quotidiano”)

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GOLDMAN SACHS, “ENTUSIASMO” PER I CINQUESTELLE: MA NON ERA MONTI IL SERVO DEL POTERE FINANZIARIO?

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

LA BANCA D’AFFARI: “NOVITA’ ECCITANTE, SERVE UN CAMBIAMENTO

Il giudizio che non ti aspetti, quello che ti sorprende.
Il bacio del «nemico». Jim O’Neill, il guru di Goldman Sachs che ha coniato l’acronimo «Bric» (Brasile, Russia, India, Cina), sostiene (in un commento nello studio «Riforme non vuol dire austerity») di trovare «entusiasmante» l’esito delle Politiche.
L’Italia, secondo l’economista, ha «bisogno di cambiare qualcosa di importante» e forse «il particolare fascino di massa del Movimento 5 Stelle potrebbe essere il segnale dell’inizio di qualcosa di nuovo».
Insomma una promozione per Beppe Grillo a pieni voti, proprio da quella banca d’affari che il leader politico del movimento ha attaccato più volte.
Anche con post dedicati, come «L’Europa di Goldman Sachs», del gennaio 2012, in cui venivano evidenziati i rapporti tra politici europei e l’istituto americano. Nell’occhio del ciclone (più volte) Mario Monti bollato come un «impiegato» (22 marzo 2012, ndr) della banca.
Ancor più surreale il fatto che il giudizio di Goldman Sachs arrivi nel giorno in cui viene rilanciata sul web un’intervista di Grillo alla tv greca in cui il leader invita i «Pigs» (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) ad allearsi contro le banche.
«Magari faremo una associazione di solidarietà  tra noi. Stiamo vicini e facciamo le stesse battaglie – sostiene lo showman –. O creeremo una alleanza tra noi Pigs perchè intanto ci abbandonano: appena si saranno ripresi i soldi, le banche tedesche e francesi ci mollano».
E ancora: «Se trovate uno come me in Grecia, potete iniziare a fare movimento di rete e fare meet-up, riunirvi e iniziare ad impattare nella politica le idee che avete nelle
piazze».
Sul blog, come editoriale de «La settimana», Grillo sceglie uno stralcio del «Manifesto per la soppressione dei partiti politici» di Simone Weil: «Il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite. Per via di queste caratteristiche ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni».
E proprio su Internet sorge un nuovo caso, con un parallelo diffuso sui social network in cui si accosta un discorso di Adolf Hitler ai comizi del capo politico del movimento.
Ovviamente, il confronto ha causato la reazione sdegnata dei militanti grillini, impegnati anche ieri nella discussione su un eventuale appoggio a un governo di centrosinistra.
A La Zanzara il neosenatore campano Bartolomeo Pepe dichiara: «Per me Chavez è un modello, non Bersani. Molto meglio Chavez, che non vuole smacchiare il Giaguaro».
E mentre sul web si dibatte, i neodeputati (in vista del vertice romano in cui verranno decisi linea e incarichi) si affacciano a Montecitorio: cinque eletti si sono presentati ieri alla porta principale del palazzo.
Ma da lì non sono stati fatti entrare: per registrarsi, viene spiegato a una di loro, l’entrata da usare è quella sul retro.
«È stato come in primo giorno di scuola», hanno detto ai microfoni de Il fatto quotidiano.
E in serata militanti e alcuni neoeletti si sono dati appuntamento sempre a Roma in un pub in piazza dell’Esquilino per festeggiare. Ieri ha commentato l’esito elettorale anche don Andrea Gallo: «I grillini hanno avuto consenso perchè sono scesi in piazza tra la gente, sono entrati in politica dal basso – ha detto il sacerdote –. È la piazza che conta, l’agorà  che conta. Si parte da lì. Per mesi Grillo ha riempito le piazze, e gli altri non capivano. Ecco la sua vittoria».

(da Il Corriere della Sera“)

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DA FUTURO E LIBERTA’ A FUTURO IN LIBERTA’: I VERTICI PRENDONO TEMPO QUANDO ORMAI E’ SCADUTO

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

FUORI DAL PARLAMENTO, FINI RINVIA OGNI DECISIONE INVECE DI DIMETTERSI SUBITO, INSIEME A TUTTI I VERTICI DEL PARTITO

Il “dopo esito elettorale” in Futuro e Libertà  pare caratterizzato da due aspetti: il silenzio dei vertici che si sono limitati a un breve comunicato del presidente Fini in cui ogni decisione viene rinviata a un confronto con i suoi principali collaboratori e il dibattito in atto tra i militanti, allargato a coloro che avevano da tempo abbandonato Fli in dissenso vuoi per la conduzione organizzativa, vuoi per la linea politica.
Sono pochi i parlamentari uscenti che hanno espresso un’opinione ufficiale sul futuro del partito e si intuisce ovviamente che i punti di vista sono diversi: se la speranza di vedersi confermati in parlamento aveva fatto da tappo a tante perplessità , ora emergono le stesse critiche che avevano portato all’allontamento di tanti iscritti nell’ultimo anno.
Peraltro, se certe prese di posizione fossero state espresse nelle sedi opportune dai parlamentari a tempo debito, forse avrebbero fatto cambiare il corso degli eventi.
O forse no, vista l’impermeabilità  dei vertici a cambiare metodi di gestione e linea politica.
A fronte della debacle elettorale, nessuno ci ha messo ancora la faccia con una qualsiasi argomentazione e conseguente decisione.
Con la consueta sincerità , dopo aver seguito il dibattito interno tra gli iscritti, riteniamo che l’esperienza di Fli debba ritenersi conclusa.
Restano validi i principi di Bastia Umbra, ma la classe dirigente si è dimostrata inadeguata.
Ci saremmo aspettati almeno lo stesso doveroso atto che hanno compiuto altrove Ferrero e Diliberto, ovvero le immediate dimissioni e la convocazione di un’assemblea degli iscritti, aperta a tutti coloro che sono stati emaginati nel tempo, alla ricerca di una nuova classe dirigente.
Ce lo saremmo aspettato dai principali responsabili della disfatta: Fini, Bocchino e relativa corte.
Ce lo saremmo aspettato il giorno dopo lo spoglio elettorale.
Così non è stato e così non sarà .
Ma il problema non è solo questo: ci sono anche tra i militanti di base troppe idee diverse sulla linea politica e manca una personalità    credibile per rappresentare un’alternativa.
Ereditare un partito comporta intanto averne il titolo notarile e questo già  non è.
Comporta non essere attaccabile su temi “sensibili” da parte della stampa berlusconiana e anche qua non è facile.
Necessita un’immagine pubblica credibile che in Fli attualmente vediamo solo in due donne, ma con controindicazioni .
Occorrono poi tante altre cose, compresa una politica a basso costo per evidenti ragioni di badget e una organizzazione territoriale affidata a referenti politicamente preparati, non al primo che bussa alla porta vantando amicizie e interessi.
Mantenere in vita Fli con le stesse persone che non ne hanno azzeccata una o che hanno fatto più danni della grandine non avrebbe senso.
Stessa cosa dare spazio a giovani raccomandati che hanno dimostrato di avere più difetti di chi li raccomanda.
Non parliamo poi di fondazioni o associazioni da reduci solo per mantenere visibilità  in attesa di riciclarsi.
L’affermazione dei Cinquestelle ha cambiato la politica, chi non se n’è accorto in tempo si ritiri e non illuda più nessuno.
I tempi decisionali sono sempre più ristretti, i leader si bruciano prima, la politica o è movimentista e mediatica o non è, il nuovo diventa vecchio in pochi anni se non ci si rinnova velocemente.
Ecco perchè quei valori di destra moderna, eredità  di Bastia, vanno veicolati in un nuovo contenitore   con poche ma efficaci linee guida, una struttura agile, un supporto web adeguato e presenza politica territoriale aperta alla discussione e al contributo di tutti.
Una ventata di novità , facce nuove, cultura politica, scelta movimentista e slogan efficaci: il mix per chi vuole ricominciare a crederci.
E una linea autonoma, senza ricerca di alleanze: alleati solo col popolo italiano.

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IL PDL IN PIAZZA PER DIFENDERE LA COMPRAVENDITA DI PARLAMENTARI, DE GREGORIO SMENTISCE BERLUSCONI: “COSTRETTO A PARLARE DAI PM? FALSO, HO TESTIMONIATO PER MIA LIBERA SCELTA”

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

PER BERLUSCONI SI METTE MALE: CI SONO TESTIMONI CHE CONFERMANO IL RACCONTO DI DE GREGORIO E IL GIRO DI DENARO CONTANTE

Dopo la presa di posizione del Pdl che, compatto, aveva gridato al «complotto giudiziario» contro Silvio Berlusconi, è il diretto interessato ad andare a testa bassa contro la magistratura bollata come «cancro» contro cui scendere piazza.
La macchina organizzativa è stata già  avviata per la manifestazione indetta sabato 23 marzo a Roma.
Una data significativa quella scelta dall’ex capo del governo: oltre all’attenzione mediatica concentrata sulla Capitale per il Conclave ed il nuovo governo proprio per quel giorno è attesa la sentenza del processo Mediaset, preceduta di qualche giorno da quella del processo Ruby.
La decisione di manifestare contro le toghe fa insorgere l’Anm: «screditare i magistrati indebolisce lo Stato, è inaccettabile», è l’accusa del sindacato.
Il processo Unipol a detta del Cavaliere è «un’invenzione» mentre sulle nuove accuse di corruzione che arrivano dalla procura di Napoli l’ex premier fornisce la sua spiegazione: il senatore Sergio De Gregorio che secondo le indagini avrebbe ricevuto 3 milioni di euro dal Cavaliere per passare dall’Idv al Pdl, è «stato costretto dai Pm a mentire per evitare la galera».
Il voltafaccia di De Gregorio, secondo Berlusconi, si spiega solo in un modo: l’ex senatore «ha barattato la sua libertà  personale con le dichiarazioni ai pubblici ministeri». Quanto al merito delle accuse, Berlusconi le respinge spiegando che «solo dei pazzi potevano ricorrere a dei versamenti in nero, pericolosi e illeciti».
Romano Prodi, invece, si dice «scosso» dall’affaire De Gregorio , definito «un episodio tristissimo e, se vero, un attentato alla democrazia».
LE CARTE
Intanto emergono nuovi particolare dalle carte dell’inchiesta.
Secondo la ricostruzione De Gregorio «spendeva moltissimo denaro, molto di più di quanto incassava», mette a verbale la sua segretaria storica Patrizia Gazzulli. Insomma, un sacco di debiti, una situazione «disastrosa», che comincia a cambiare con l’arrivo del denaro con cui – secondo l’accusa – Silvio Berlusconi lo avrebbe «comprato».
E così, quando in un albergo di via Veneto consegna alla segretaria i primi 150.000 euro, può dirle soddisfatto: «Da oggi e per un po’ non avremo più problemi, stiamo più tranquilli».
Nei lunghi interrogatori con i pubblici ministeri di Napoli, il senatore De Gregorio ha ricostruito tutti i retroscena di quell’accordo siglato nel 2006 che avrebbe portato a lui 3 milioni e all’ex premier il governo dell’Italia, dopo la caduta di Prodi.
Con una precisazione: «In relazione a notizie di stampa dalle quali si apprende che sarei stato “costretto dai pm” a rendere dichiarazioni accusatorie contro l’on. Berlusconi, mi corre l’obbligo di precisare che la mia scelta di sottopormi ad interrogatorio è stata il frutto di una mia libera determinazione».
LA SEGRETARIA E I CONTANTI
I fatti raccontati da de Gregorio sono stato confermati anche dai suoi più stretti collaboratori.
Tra questi, appunto, Patrizia Gazzulli, segretaria di De Gregorio da molti anni, che ai pm napoletani ha raccontato come l’ex presidente della commissione Difesa del Senato avesse investito somme spropositate per la sua iniziativa politica.
Somme che «non poteva permettersi».
E «proprio per far fronte a tali impegni e a spese di gran lunga superiori alle sue possibilità  – ha messo a verbale – mi risulta che il De Gregorio ha sempre chiesto soldi in prestito a tutti: imprenditori, amici, usurai e perfino ai dipendenti».
Lei stessa gli prestò i soldi, «prelevandoli sul conto della mia anziana madre».
Le cose però cambiano nel luglio del 2006, subito dopo l’accordo con il Cavaliere. De Gregorio, ha detto la Gazzulli, «cominciò a darmi somme in contante e sempre con banconote da 500 euro….tali somme mi venivano date sempre o direttamente dal De Gregorio, quando tornava il giovedì a Napoli oppure dal suo assistente parlamentare Marco Capasso…nella prima occasione De Gregorio mi diede 150mila euro in contanti e in banconote da 500 euro che io andai a versare…fu proprio in quell’occasione che il De Gregorio, dandomi la suddetta summa che prelevo’ da un cassetto dove c’erano altri soldi, mi disse, sorridendo, che da lì in poi, almeno per un certo periodo, non avremmo avuto più problemi, saremmo stati almeno per un po’ tranquilli dal momento che Berlusconi gli aveva dato del denaro».
Dazioni «sistematiche», ha confermato la segretaria, che andarono avanti «per circa un anno e mezzo con le modalità  che ho descritto».
IL RUOLO DI LAVITOLA  
Anche gli altri collaboratori e conoscenti di De Gregorio hanno parlato di questo flusso di denaro contante.
«Ricordo – ha messo a verbale il suo ex assistente Marco Capasso – di aver portato a Napoli delle buste contenenti denaro consegnatemi da De Gregorio…in alcuni casi mi ha detto di stare molto attento perchè la busta conteneva cose di particolare valore che, ovviamente, tenuto conto del tipo di involucro e del contenuto che intuivo esserci all’interno, non potevano che essere banconote».
E il suo ex commercialista Andrea Vetromile ha aggiunto: «Berlusconi versò la somma di 2,5 milioni in più tranche…», almeno 450-500mila euro consegnata da Lavitola nel 2007 in Parlamento.
«Ricordo che stavo con De Gregorio nel suo ufficio quando si presentò Lavitola con una borsa che io sapevo che era piena di soldi in quanto fu lo stesso De Gregorio che mi annunciò la visita di Lavitola che gli avrebbe consegnato i soldi di Berlusconi quale ringraziamento per il passaggio al suo schieramento politico».
La sorella di Valter Lavitola, Maria, ha raccontato invece che «l’operazione freedom» ha fruttato a Lavitola e De Gregorio – «io li ho sempre chiamati il gatto e la volpe» – «circa un milione…quale compenso per aver traghettato dalla maggioranza all’opposizione alcuni deputati».

(da “La Stampa”)

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IL RITORNO BIPARTISAN DEGLI IMPRESENTABILI

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

IL GRADITO RITORNO DI MOLTI ALL’IMMUNITA’…STAVOLTA SONO PIU’ AL SENATO

Per molti è un gradito ritorno all’immunità , per altri una felice prima volta, ma la pattuglia di impresentabili è ancora molto nutrita.
Stavolta la loro “casa” è soprattutto al Senato, ma anche alla Camera la compagnia è gaudente e numerosa.
A partire da due ospiti di spicco: Raffaele Fitto e Saverio Romano.
Entrambi militanti di lungo corso pidiellino, sono stati rieletti nelle rispettive regioni nonostante una fedina penale lucidata di fresco.
Come quella di Fitto, che proprio in campagna elettorale è stato riconosciuto colpevole in primo grado di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio.
Ad incastrare il parlamentare la presunta tangente da 500mila euro che l’ex ministro Pdl avrebbe ricevuto dall’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci. Per il fedelissimo di Totò Cuffaro, invece, era arrivata l’assoluzione per concorso esterno in associazione mafiosa che subito si è riaperta un’altra voragine, stavolta per corruzione: avrebbe ricevuto 50mila euro da Gianni Lapis, storico tributarista di Vito Ciancimino, per inserire in finanziaria una norma a favore della Gas spa, l’azienda energetica che avrebbe fatto capo all’ex sindaco mafioso di Palermo e a Bernardo Provenzano.
E siamo solo all’inizio.
Mentre si saluta chi c’è sempre stato come Lorenzo Cesa e qualcuno avverte che presto potrebbe rientrare nelle fila Pdl alla Camera anche Amedeo Laboccetta, non eletto per un soffio, ecco che si ritrova Luigi Cesaro, “Giggino a’ purpetta”, ex presidente pidiellino della provincia campana e indagato dalla Dda per associazione camorristica, ma anche Antonio Angelucci (indagato per associazione a delinquere, truffa e falso) ed Elvira Savino, che in Puglia deve rispondere di concorso in riciclaggio.
Ci sono anche delle new entry di prestigio.
Come quella di Paolo Alli, vice di Formigoni, inquadrato come “intermediario” dalla magistratura di Milano; avrebbe ricevuto 250mila euro che sarebbero stati consegnati all’uomo di fiducia del Celeste, Mazarino De Petro, già  coinvolto nell’inchiesta Oil for Food.
E, infine, Nino Minardo, dalla Sicilia sempre con furore, dopo che la sua condanna ad un anno per abuso d’ufficio è stata ridotta ad 8 mesi.
C’è di che festeggiare.
Ma è il Senato, si diceva, la vera “casa” dei nuovi (o antichi) impresentabili.
C’è Alfredo Messina, Pdl, accusato di favoreggiamento in bancarotta, Paolo Romani, indagato per peculato e istigazione alla corruzione, Ignazio Abrignani, indagato per dissipazione post fallimentare e Salvatore Sciascia, sempre Pdl, condannato a due anni e sei mesi per corruzione.
Poi, loro, uomini del calibro di Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, entrambi rieletti (Calabria e Abruzzo) per ordine del Cavaliere, così come — per lo stesso motivo — Elena Centemero in Lombardia (è stata insegnante dei figli di B) e Augusto Minzolini in Liguria.
E ancora l’ex ministro Nitto Palma con Riccardo Villari in Campania.
Quest’ultimo, di cui si ricorderanno le gesta come uomo Pd che non voleva dimettersi da presidente della Vigilanza Rai, oggi veste la maglia di Arcore.
“Come si cambia per non morire”, cantava Fiorella Mannoia e i versi si addicono anche a Franco Carraro, detto “il poltronissimo”, eletto in Emilia nelle file montiane, ma soprattutto a Bernabò Bocca, genero di Geronzi e presidente Federalberghi.
Ma il meglio, di direbbe, lo si tiene per ultimo.
Intanto, arrivano dal Pd alla Camera Rosaria Capacchione, cronista del mattino indagata per calunnia e Francantonio Genovese, lui per abuso d’ufficio, mentre al Senato il Pd schiera Bruno Astorre, anche lui un guaio per abuso d’ufficio.
Reati che, comunque, sbiadiscono davanti a quelli sfoggiati dal “Celeste” Roberto Formigoni o da Antonio D’Ali, sempre Pdl, un rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
E, soprattutto, da Denis Verdini.

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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ECCO I NUOVI ONOREVOLI: PIU’ LAUREATI, IMPRENDITORI ED EX DISOCCUPATI

Marzo 2nd, 2013 Riccardo Fucile

L’ONDATA DEI GRILLINI SPOSTA GLI EQUILIBRI INTERNI… MENO POLITICI DI PROFESSIONE, CI SONO DUE CASALINGHE

È la domanda che tutti, più o meno, si stanno ponendo in queste ore: come cambierà  il nuovo Parlamento?
I nuovi eletti hanno firmato ieri, ma l’incognita principale, è chiaro, è rappresentata dall’ondata di grillini che approderà  alla Camera e al Senato.
Si tratta di 109 eletti a Montecitorio: l’età  media è di 33 anni, i più vecchi ne hanno 39, i più giovani, e sono in 5, ne hanno 25, e più di un terzo è donna.
E 54 al Senato, di cui il 44% è donna, età  media 46 anni e un massimo di 59 anni.
Anche scorrendo le professioni ci si accorge che non si è più davanti ai soliti noti.
Non ci sono politici di professione, ma questo si sa, è la forza del movimento.
Tra Camera e Senato prevalgono gli impiegati e i liberi professionisti, ma ci sono anche disoccupati, o meglio ex disoccupati. Tanti, poi, gli ingegneri e gli informatici.
Un quadro che coincide con quanto anticipato da uno studio del Centro italiano studi elettorali, diretto da Giuseppe D’Alimonte e pubblicato dal sito Lavoce.info qualche giorno fa.
Un’analisi anche delle strategie di selezione politica.
Se dunque nel vecchio Parlamento il 65 per cento dei deputati possedeva una laurea, adesso i laureati saranno compresi tra un 65 e un 72 per cento.
Ma, analizzando più nel dettaglio i dati degli eletti alla Camera, sorpresa, le liste con il minor numero di laureati risultano essere quelle del Pd (67%) e della Lega (40%).
Centrosinistra al 70%, centrodestra al 65%.
Il picco però è toccato dall’Udc, con il 95% di laureati, seguito da Scelta Civica con Monti (78%). Terzo posto per i grillini, sempre con un 78%.
Tra l’altro, secondo un’indagine della Coldiretti, con un’età  media di 48 anni i nuovi parlamentari italiani sono i più giovani eletti nelle assemblee di Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna e Usa.
Per quanto riguarda invece la professione dei nuovi eletti, rimangono le differenze tradizionali della selezione politica dei partiti della Seconda Repubblica.
In media, sempre a Montecitorio, nel centrodestra risultano esserci più imprenditori (14%), avvocati e magistrati (14%).
Alto anche il numero dei dirigenti pubblici e privati (10%). Nel centrosinistra spiccano gli impiegati 32%, i politici di professione (10%) e i sindacalisti (3%).
Il Movimento 5 stelle, in questo senso, porta una chiave diversa di lettura.
Il 15 per cento degli eletti è al di fuori della forza lavoro: pensionati, studenti, casalinghe…
Uno spicchio di società  finora mai così rappresentato.
Queste stesse categorie nel centrodestra sono il 7,5%, mentre nel centrosinistra il 6,6%.
Nel M5s alto anche il numero di impiegati, il 35%, seguito a ruota dal Pd (33,2%).
Ma tra i grillini si vedono anche tanti liberi professionisti (23,8%), a fronte di quelli di Scelta civica (12%).
Il record di medici spetta invece al centrosinistra, (10,3%), superato solo dai montiani (15%).
E anche i professori, categoria un tempo ben rappresentata dal centrosinistra, questa volta sembra invece aver preso strade diverse.
Se ne trovano il 3,4% nel centrosinistra, l’8,3% in Scelta civica e il 7,1% nel Movimento 5 stelle.
Infine, un elemento: nel M5s zero politici, che nel centrosinistra sono il 9,5% e nel centrodestra il 5%.

Angela Frenda
(da “il Corriere della Sera”)

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