Destra di Popolo.net

FINI: “MI ASSUMO LA RESPONSABILITA’ DELLA SCONFITTA”, MA RESTA AL SUO POSTO

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

LA DIREZIONE NAZIONALE DISCUTE QUATTRO ORE E NON SI DIMETTE NESSUNO

In direzione nazionale di Fli, Fini ha detto che “non è oggi che si può decidere se sciogliere o non sciogliere Fli, che serve “una seria riflessione” e ha chiesto ai futuristi quale sia “il progetto politico con cui ripartire”.
Fini si interroga: “Dove deve andare Fli, dato che è fuori dal Parlamento? Non si tratta di gettare la spugna nè basta un semplice maquillage, ma occorre tempo per capire dove si vuole andare”.
Quindi sembra considerare conclusa l’esperienza di Fli.
O l’ennesimo nuovo partito oppure la definitiva “fusione” con Mario Monti: il Professore, nei giorni scorsi, ha lasciato intendere di voler strutturare la sua Lista Civica come un vero e proprio partito, dove a questo punto i futuristi potrebbero confluire
Parlando della debacle elettorale Fini ha affermato di “non voler sentire che la colpa del risultato elettorale sia di questo o di quello”.
L’ex presidente di Montecitorio si è assunto in prima persona ogni responsabilità  per come sono andate le cose. “Non servono capri espiatori e puntare il dito su quest’uomo e su quello o quest’errore organizzativo. Non basta per spiegare un risultato che è stato, alla fine, una catastrofe”.
Poi ha aggiunto: “Non sono un uomo per tutte le stagioni, c’è stata una traversata nel deserto che non è stata ripagata dagli elettori, e che dunque ha fallito”.
Insomma nessuno si è dimesso, nessuno ha fatto un passo indietro, ancora ci si interroga sul progetto politico e sulla strada da seguire.
Chi si aspettava una decisione in un senso o nell’altro è andato deluso, si continua a galleggiare senza idee e senza coraggio, senza riferimenti e strategia.
In attesa delle amministrative di maggio e della soluzione fondi ex An.

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GRILLO, L’AUTISTA E LA COGNATA : TREDICI SOCIETA’ NEL PARADISO FISCALE DI COSTARICA

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

LE RIVELAZIONI DE “L’ESPRESSO”: SOCIETA’ CREATE IN UN PARADISO FISCALE PER GESTIRE AFFARI IMMOBILIARI, INVESTIMENTI E UN RESORT… PROMOTORI: L’ANGELO CUSTODE DI GRILLO E LA SORELLA DELLA MOGLIE

Tredici società  aperte in Costa Rica, per compiere operazioni immobiliari, investimenti, costruzioni, incluso il progetto per un resort di lusso.
Nel numero in edicola da venerdì 8 marzo “L’Espresso” ricostruisce l’attività  parallela dell’autista di Beppe Grillo, Walter Vezzoli, 43 anni, che da oltre dieci segue come un’ombra il fondatore del Movimento Cinque Stelle.
In piazza San Giovanni, il comico genovese lo ha presentato così alla folla: «Sta con me, fa la logistica, mi protegge, ha tutto sotto controllo. E’ un ragazzo formidabile».
Quattro di queste società  risultano immatricolate con la formula della “sociedad anonima”, uno schermo giuridico che consente di proteggere l’identità  degli azionisti.
Non è dato sapere, quindi, chi abbia finanziato queste iniziative.
Dalle carte che “l’Espresso” ha potuto consultare emerge però che tra gli amministratori compare, insieme a Vezzoli, Nadereh Tadjik, ovvero la cognata di Grillo, la sorella di sua moglie Parvin, di origini iraniane.
Nella Armonia Parvin sa – stesso nome della signora Grillo – la presidente Nadereh Tadijk e il secretario Vezzoli sono affiancati da un terzo amministratore, un italiano residente in Costa Rica che si chiama Enrico Cungi.
Cungi nel 1996 venne coinvolto in un’indagine per narcotraffico. Arrestato in Costa Rica e poi estradato in Italia ha passato tre mesi nel carcere di Rebibbia, ma non risultano condanne a suo carico.
A che cosa serve questa costellazione di società , dotate per altro di capitali sociali minimi, non più di 10 mila dollari ciascuna?
Difficile dare una risposta precisa, visto che l’oggetto sociale indicato nelle carte appare ampio. Ad aumentare la difficoltà  c’è poi il fatto che il livello di trasparenza delle informazioni societarie in Costa Rica è tra i più bassi al mondo.
Non per niente il Paese del Centroamerica è inserito nella black list dei paradisi fiscali dal Tesoro italiano.
Almeno una delle società  targate Vezzoli-Tadijk ha però in cantiere un progetto ben preciso. Ecofeudo, infatti, è il nome di un resort extra lusso da 30 ettari da costruire sulle colline della baia Papagayo.
A giudicare dalle foto pubblicate Ecofeudo non sarà  un villaggio popolare.
La zona è considerata una delle più promettenti per chi vuole investire nel turismo.
Nel resort le ville saranno di alto livello: «potranno avere una superficie fino a 750 metri quadri coperti su un’area propria di 5000 metri quadri».

Vittorio Malagutti, Andrea Palladino e Nello Trocchia
L’inchiesta completa è sull’Espresso in edicola da venerdì 8 marzo.

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LE CONFESSIONI DI DE GREGORIO: “IO, MASTELLA E LA CIA PER FAR CADERE PRODI”

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

NELL’INCHIESTA SULLA COMPRAVENDITA DEI SENATORI C’E’ ANCHE QUESTO EPISODIO… “MA POI MASTELLA SI TIRO’ INDIETRO”

Un vertice riservato in un albergo di lusso.
Attorno allo stesso tavolo, il senatore Sergio De Gregorio, l’italo-americano Enzo De Chiara, il ministro della Giustizia Clemente Mastella e un esponente dell’Ambasciata Usa indicato come agente di primo piano della Cia.
Fu in quella occasione che gli americani avrebbero manifestato il disagio e la preoccupazione delle autorità  statunitensi rispetto ad alcune scelte del governo Prodi. L’allora Guardasigilli, però, si sarebbe chiamato subito fuori da qualsiasi trama. L’episodio, che risale al 2007, è stato riferito ai magistrati napoletani da De Gregorio nell’inchiesta sulla cosiddetta “Operazione libertà ” – 3 milioni di euro versati al senatore per il passaggio tra le fila del centrodestra – che vede indagato per corruzione anche l’ex premier Silvio Berlusconi.
Il contenuto del verbale emerge ora dagli allegati alla richiesta di autorizzazione a procedere alla perquisizione di una cassetta di sicurezza ritenuta riconducibile all’ex premier che è stata trasmessa alla Camera e al Senato una settimana fa.
Mastella, interpellato da Repubblica, conferma l’incontro ma spiega: “Rimasi meno di cinque minuti. Ero andato a quell’appuntamento solo per tentare ancora una volta di convincere De Gregorio (eletto nel 2006 con l’Idv e poi passato con il centrodestra berlusconiano ndr) a tornare con il nostro schieramento. Non sapevo che ci fosse quel personaggio dell’ambasciata, che non conoscevo. Sapevo invece chi era De Chiara, dai tempi della Dc. Se si parlò del governo Prodi? Ho rapporti intensi con gli americani, mia moglie è italo americana, se avessero dovuto parlarmi di argomenti delicati, non lo avrebbero fatto certo in quella sede”.
Il capitolo delle presunte pressioni degli Usa esercitate attraverso De Gregorio contro il governo di centrosinistra costituisce uno dei temi ancora inesplorati della complessa indagine dei pm Francesco Curcio, Alessandro Milita, Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio e Henry John Woodcock coordinati dai procuratori aggiunti Federico Cafiero de Raho e Francesco Greco.
Ma perchè agli americani non piaceva Prodi?
“Vi erano preoccupazioni forti da parte degli americani sulle questioni di sicurezza e difesa, in ordine alle opposizioni che venivano dall’ala più radicale del governo Prodi”, ha già  spiegato a Repubblica, De Gregorio.
I motivi delle riserve?
“In particolare c’era preoccupazione sul rafforzamento della base Nato di Vicenza e sulla installazione radar di Niscemi, che provocavano forti resistenze della componente estremista. Io come uomo della mediazione avevo anche proposto agli advisor americani di investire sulla comunicazione e far cadere i motivi di quell’ostruzionismo”.

Dario Del Porto e Conchita Sannino
(da “La Repubblica“)

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CASO UNIPOL: UN ANNO A BERLUSCONI, DUE ANNI E TRE MESI AL FRATELLO PAOLO

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

A FASSINO UN RISARCIMENTO DI 80.000 EURO… ENTRO MARZO ALTRE DUE SENTENZE AL TRIBUNALE DI MILANO

Silvio Berlusconi è stato condannato a un anno di reclusione per la vicenda dell’intercettazione Fassino-Consorte.
La pena di un anno era stata chiesta dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli.
Due anni e tre mesi sono stati inflitti a Paolo Berlusconi, per il quale la procura aveva chiesto 3 anni e 3 mesi.
Paolo Berlusconi è stato invece assolto dai giudici per le accuse di ricettazione e millantato credito.
L’accusa per Silvio Berlusconi è di rivelazione di segreto d’ufficio, in concorso con il fratello Paolo, in relazione all’ormai nota telefonata tra Fassino e Consorte («Abbiamo una banca?») avvenuta nel 2005, in piena scalata a Bnl da parte della compagnia assicurativa bolognese.
L’intercettazione, quando era ancora coperta dal segreto istruttorio, venne pubblicata da «Il Giornale», quotidiano della famiglia Berlusconi.
Il tribunale non ha disposto alcuna misura interdittiva nei confronti dell’ex premier, che non si è presentato in aula.
RISARCIMENTO A FASSINO
I giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano hanno disposto un risarcimento a carico di Silvio e Paolo Berlusconi di 80 mila euro a favore dell’ex segretario dei Ds Piero Fassino, parte civile al processo.
Il risarcimento è stato disposto a titolo di provvisionale. La richiesta di risarcimento ammontava a un milione di euro.
IL DIFENSORE
«Sono dispiaciuto e costernato perchè sono convinto che gli elementi di prova a carico di Silvio Berlusconi siano insufficienti e contradditori, se non del tutto mancanti»,ha commentato a caldo l’avvocato Piero Longo, legale dell’ex premier.
«Credo che sia la prima volta che qualcuno viene condannato per la violazione del segreto istruttorio. Non sono sorpreso, perchè siamo a Milano e data la pratica forense nei processi a Silvio Berlusconi…», ha aggiunto.
«Mi piacerebbe difendere imputati con altri nomi e non a Milano», ha commentato poi l’avvocato con ironia.
A chi gli chiedeva se si tratti di una «sentenza politica», Longo ha risposto: «Con il massimo rispetto per i giudici, io dico che non credo che i magistrati non abbiano un sentimento o un sentire».
LEGITTIMO IMPEDIMENTO
Archiviata definitivamente con un proscioglimento la vicenda Mediatrade, Silvio Berlusconi attende entro fine mese altre due sentenze a Milano: il prossimo 18 marzo è attesa la sentenza sul caso Ruby e il 23 marzo il verdetto d’appello su Mediaset e i diritti tv.
I legali di Silvio Berlusconi hanno però depositato un legittimo impedimento che rischia di far slittare le richieste di condanna che venerdì il sostituto procuratore Ilda Boccassini è pronta a pronunciare per il processo Ruby.
Venerdì l’ex premier è impegnato nella prima riunione dell’ufficio di presidenza del Pdl dopo il voto, ed è stato convocato da Mario Monti per discutere della linea politica in vista del prossimo vertice europeo.
Saranno i giudici della quarta sezione penale a ritenere, nell’udienza di domani, se ritenere legittimo l’impedimento.
Nel processo Ruby, Berlusconi è imputato per concussione e prostituzione minorile.
LA TELEFONATA
Secondo l’accusa, la vigilia di Natale del 2005 l’allora premier avrebbe ascoltato la registrazione della telefonata Fassino-Consorte, ancora coperta da segreto istruttoria e contenuta in una pen drive, in un incontro ad Arcore alla presenza del fratello Paolo e degli imprenditori Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli.
Era stato quest’ultimo, che lavorava per la Research Control System (società  che forniva le apparecchiature per le intercettazioni alla Procura), a trafugare, secondo le indagini, il nastro e, assieme a Favata e al fratello Paolo, ad offrirlo, secondo l’accusa, come «regalo» a Berlusconi in vista delle elezioni politiche del 2006.
Pochi giorni dopo, il contenuto di quella telefonata era stato pubblicato e si era scatenata una bufera di reazioni politiche.

(da “il Corriere della Sera”)

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SONDAGGIO MANNHEIMER: CINQUESTELLE CRESCONO DI ALTRI TRE PUNTI E SUPERANO IL CENTRODESTRA

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

GRILLINI AL 29%, SALE ANCHE IL PD, IL CENTROSINISTRA RESTA IN TESTA

Il risultato delle elezioni ha sorpreso larga parte del mondo politico e dei cittadini.
E ha comportato, sin qui, una vera e propria impasse istituzionale.
Il Pd ha proposto una sorta di intesa con il Movimento 5 Stelle, ma quest’ultimo ha dichiarato di respingerla.
Il Pdl propone un governo di unità  nazionale con il Pd, ma il partito di Bersani lo esclude.
Non rimarrebbe che l’ipotesi di nuove elezioni, respinta però dalla maggior parte della popolazione e anche da quasi tutte le forze politiche.
L’unica componente che sembra vedere con favore l’ipotesi di votare a breve è il Movimento 5 Stelle. Grillo ha infatti dichiarato di puntare a un successo ancora maggiore in una prossima consultazione, che «mandi a casa» le forze politiche tradizionali e apra la prospettiva di un governo guidato dal M5S.
Nessuno sa se uno scenario del genere possa trovare riscontro nella realtà .
Ma, certo, gli studi sulle intenzioni di voto condotti negli ultimi giorni (quello che pubblichiamo è stato realizzato ieri) mostrano una ulteriore crescita (di più del 3%) degli elettori che dichiarano di voler optare per il partito di Grillo, che lo porta a sfiorare il 29%.
Un risultato simile è stato presentato anche da Ipsos che dà  una valutazione ancora superiore al seguito del M5S, stimandolo al 29,4%
Va detto che la tendenza all’accentuazione delle intenzioni di voto per il partito vincitore delle elezioni nei sondaggi immediatamente successivi a queste ultime costituisce un fenomeno consueto e noto: gli studiosi americani lo hanno definito «bandwagon» che corrisponde pressappoco a «salire sul carro del vincitore».
Resta il fatto però che l’ulteriore crescita del M5S costituisce una conferma della popolarità  di Grillo nel Paese e della persistente avversione (talvolta rabbia o disprezzo) di una larga parte della popolazione verso i partiti tradizionali.
L’avanzata del M5S va a scapito di larga parte delle restanti forze politiche.
Sono colpiti particolarmente Rivoluzione civile (che cala di quasi l’1%), la Lista Monti e le altre formazioni di centro, ma anche Fratelli d’Italia e, in misura minore, lo stesso Pdl.
Calano anche diverse altre forze di più modesta entità , sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra
Oltre al movimento di Grillo, l’unico partito che fa registrare un incremento relativamente significativo (poco più dell’1%) è il Pd, che si colloca oggi tra il 26 e il 27%.
È questa crescita che permette alla coalizione di centrosinistra (che subisce invece un’erosione dei voti per Centro democratico) di mantenere grossomodo invariata la propria forza, superando l’insieme della coalizione di centrodestra, che, viceversa, subisce un decremento complessivo di poco meno del 2%.
Quest’ultima coalizione viene così superata dal M5S, ciò che non era avvenuto alle Politiche.
C’è da notare infine che, sulla base dei dati rilevati, la coalizione di Monti non sembrerebbe superare il 10%.
Ma il margine di approssimazione insito nei sondaggi suggerisce un’ulteriore verifica di questo risultato.
Non è detto, naturalmente, che il quadro sin qui delineato verrebbe necessariamente riprodotto in caso di elezioni «vere».
La campagna elettorale, infatti, potrebbe orientare in un modo o nell’altro le scelte dei votanti.
Ma l’ulteriore incremento dei consensi, sia pure virtuali, per Grillo costituisce un altro monito a tutte le forze politiche.

Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera“)

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FINI RADUNA I FEDELISSIMI PER SCIOGLIERE FLI

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

LA PAROLA FINE SULLA CREATURA POLITICA DI GIANFRANCO FINI POTREBBE ESSERE SCRITTA OGGI IN CALCE A UNA RIUNIONE CHE SI PREANNUNCIA INFUOCATA

Nella sede di via Poli, dove il grosso degli arredi è già  stato portato via così come i pc e i televisori presi in leasing, Fini oggi vedrà  i suoi per fare il punto sulla debacle elettorale: dei finiani candidati, sono stati eletti i soli Benedetto Della Vedova, Aldo Di Biagio (eletto nella circoscrizione estero) e Mario Caruso.
Fini dovrebbe formalizzare una decisione maturata nei giorni scorsi, anche in virtù delle pressioni arrivate dall’interno del suo stesso partito, da quella che viene definita la componente liberal.
Nelle parole di Fabio Granata, uno dei primi ad abbracciare il progetto di un partito della destra legalitaria e repubblicana, filtra la consapevolezza di un’esperienza al capolinea: «Fini ci ha convocato, non ha voluto anticiparci nulla, andiamo lì per ascoltare. Certo, il clima è di scoramento, ma anche di volontà  di rinvincita perchè vedere in Parlamento certi personaggi e noi, che pure ci siamo battuti per la trasparenza, fuori dal Parlamento fa male. Troveremo forme e modi per rilanciare il progetto».
Di scioglimento non vuol sentir parlare Roberto Menia per il quale «il fatto che non siamo in Parlamento non significa che l’esperienza politica di Fli debba finire. Non è un dramma non stare in Parlamento, quando siamo nati abbiamo detto una serie di cose, che non ho intenzione di rimangiarmi: siamo contro una certa destra che paga i senatori, come abbiamo visto in questi giorni, per una destra moderna ed europeista. Si può ancora fare».

(da “il Tempo“)

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TRATTATIVA SULLA DIVISIONE DEL PATRIMONIO DELLA FONDAZIONE AN E AMMINISTRATIVE DI MAGGIO: PER ORA FLI NON SI SCOGLIE

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

PARE CONFERMATO IL DISIMPEGNO DI FINI CHE SI CONCEDERA’ UNA LUNGA PAUSA DI RIFLESSIONE

Se nel quartier generale dell’Udc l’atmosfera è tesa e Casini non parteciperà  oggi al consiglio nazionale del partito (“L’Udc è morto, è stata una storia bella, ma è finita, inutile accanirsi”), in Futuro e Libertà  è addirittura irrespirabile.
Dopo la batosta, Fini ha cancellato tutti gli appuntamenti, chiedendo ai suoi di non cercarlo: “Per favore, ne ho bisogno”.
Il presidente della Camera riunirà  oggi il partito.
La tentazione di mollare tutto resta fortissima.
Probabilmente prenderà  tempo, annunciando una lunga pausa di riflessione per accompagnare il ricambio.
Poi ascolterà  i dirigenti. Alcuni lo imploreranno di restare in campo, altri invocheranno una svolta “di destra”.
Di certo Fini fotograferà  la realtà  di Fli, giudicato un partito “finito”.
E, indipendentemente da quanto deciderà  di fare, non dovrebbe sancire un rompete le righe immediato.
C’è la tornata amministrativa di maggio, ma anche alcuni passaggi burocratici da consumare.
A partire dal destino della Fondazione di An – polmone economico della destra – sulla quale si cerca un accordo con i reduci della diaspora di via della Scrofa.

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)

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IL TRIONFO A ROVESCIO DEI PARTITI MICROBO: C’E’ CHI HA RACCOLTO LO 0,0%

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

BEN 21 PARTITI HANNO AVUTO MENO CONSENSI DEL NUMERO DI FIRME CHE HANNO RACCOLTO PER POTERSI PRESENTARE

Il record planetario è probabilmente di Democrazia atea, il nano-partitino che schierando nel Lazio non solo il leader dei Bambini di Satana Marco Dimitri ma addirittura la scienziata Margherita Hack (che pochi giorni prima delle elezioni scrisse a Lettera43.it di aver «saputo solo ora di questa presenza in lista») è riuscito a raccogliere per la Camera in totale, stando ai dati del Viminale, 556 voti.
Presumibilmente quello della leader nazionale Carla Corsetti più un po’ di amici, mariti, mogli, zie, cognate, cugini di primo grado e compagni di banco alle elementari.
Il trionfo a rovescio, una specie di «ciapa no» elettorale, della minuscola formazione capace di raccogliere lo 0,0% dei votanti (wow!), rischia di occultare un altro dato interessante.
Ricordate tutta la polemica intorno alle firme necessarie per presentare le liste elettorali?
Stando alle regole della legge in vigore, la 361 del 30 marzo 1957, per concorrere alle politiche occorreva un numero piuttosto alto di sottoscrizioni.
Talmente alto da spingere perfino Beppe Grillo a preoccuparsi dei tempi stretti imposti dalle elezioni anticipate.
Tempi che preoccupavano anche altri partiti che venivano costretti a una corsa forsennata e forse perdente.
Ad esempio la Scelta civica dello stesso premier uscente Mario Monti.
Il quale a un certo punto, facendo un favore a se stesso oltre che ad altri, aveva varato un decreto che dimezzava le firme necessarie in caso di elezioni anticipate. Firme poi ulteriormente dimezzate, quindi ridotte a un quarto.
Con il risultato che un po’ tutti i giornali riassunsero così: «Basteranno trentamila firme per la presentazione di una lista elettorale di una forza oggi extraparlamentare.
Un’ulteriore riduzione del 60% è prevista per i partiti che – alla data d’entrata in vigore del decreto – sono costituiti in gruppo parlamentare almeno in una Camera, come l’Udc».
Bene: i partiti che hanno preso addirittura meno voti delle firme necessarie per presentare la lista e portare qualche deputato a Montecitorio sono un’infinità .
In ordine decrescente: i Liberali per l’Italia (28.026), Intesa popolare (25.680 voti), il Partito sardo d’azione (18.585), la Liga veneta Repubblica (15.838), il Voto di protesta (12.744), Veneto stato (11.378), i Riformisti italiani di Stefania Craxi (8.233), Indipendenza per la Sardegna (7.598), ciò che resta del glorioso Partito repubblicano italiano (7.143), il Partito di alternativa comunista (5.119), la Lista Meris (5.901), il Movimento progetto Italia (4.786), i Pirati (4.557), Rifondazione missina italiana (3.178), i Popolari uniti (2.992), il Progetto nazionale (2.865), il movimento Ppa (1.526), l’Unione popolare (1.513), Tutti insieme per l’Italia (1.452), Staminali d’Italia (598) e appunto Democrazia atea: 556.
Ora, è ovvio che alcuni di quei microbi in forma di «partito» si sono presentati solo a livello locale e bisogna tenerne conto.
È fuori discussione, però, che mai come in questo caso non vale l’equazione «più partiti, più democrazia».
Un minimo di senso del limite dovrebbe essere richiesto anche ai più strampalati megalomani.

Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)

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DE MAGISTRIS CONTRO INGROIA: DIVORZIO ALL’ITALIANA TRA EX PM

Marzo 7th, 2013 Riccardo Fucile

SCONTRO A MEZZO STAMPA A CAUSA DI DI PIETRO

Per dirsi addio hanno usato i giornali.
Interviste a distanza sul Fatto quotidiano, come due leader politici consumati.
Ma la verità  è che è stata proprio la politica a consumare il sodalizio che fra Antonio Ingroia e Luigi de Magistris sembrava aver superato prove ben più toste. Ma tant’è
Proprio di ieri è il titolone che ha sancito il divorzio: «Ho chiuso con De Magistris», decretava Ingroia in risposta a quello che il sindaco di Napoli gli aveva mandato a dire il giorno prima: «Basta, Rivoluzione civile è finita».
Sullo sfondo le immagini di una città , Napoli, bruciata e distrutta.
Simboliche e drammatiche.
Avevano attraversato momenti all’apparenza ben più complicati, i due. Magistrato uno. Magistrato l’altro.
Ingroia e De Magistris si sono sempre trovati in procure calde e di frontiera.
A condurre battaglie scomode, spesso a braccetto. In difesa l’uno dell’altro.
E’ stato soltanto qualche settimana fa, a ridosso dello scorso Natale, che i due magistrati hanno sterzato sulla politica: Rivoluzione civile.
De Magistris è stato il primo a benedire il partito che voleva candidare Ingroia a Palazzo Chigi. Di più: Ingroia era ancora in Guatemala per conto dell’Onu quando De Magistris varava la nuova impresa politica con il colore del suo movimento, l’arancione.
Ma l’idillio è tramontato, nemmeno il tempo di sorgere.
E pensare che era stato proprio Ingroia a correre in soccorso di De Magistris quando per l’inchiesta Why not venne messo sotto accusa dal Csm. Pubblicamente, prima.
Legalmente poi: è stato Ingroia a difendere il collega di Napoli nel secondo procedimento al Csm.
Difesa cordialmente ricambiata.
È stata la voce di De Magistris quella che nel dicembre scorso si è levata con più potenza in difesa del collega di Palermo messo sotto accusa, contemporaneamente, da parte del Csm e dell’Anm.
«La sentenza della Consulta è politica», aveva detto Ingroia commentando quella sentenza che aveva dato ragione al Quirinale sulla storia delle intercettazioni nella vicenda Stato-Mafia, provocando la bufera. De Magistris lo aveva difeso, rilanciando e rafforzando le sue affermazioni.
Rivoluzione civile viene partorita pochi giorni dopo.
E adesso a rivedere in controluce le tappe di un partito che aveva scelto come sfondo del simbolo il quadro di Pellizza da Volpedo, c’è una sintesi che viene fuori con un’evidenza paradossale: ci ha pensato un ex-magistrato a far litigare due magistrati amici da sempre.
Perchè sì, è andata così: Ingroia e De Magistris non hanno fatto altro che discutere sulle metodologie usate da Antonio Di Pietro che con la sua Idv si era infilato dentro Rivoluzione civile.

Alessandra Arachi
(da “il Corriere della Sera”)

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