Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE ESULTA E RINUNCIA ALL’AVENTINO: “MA ASPETTIAMO, DI QUEI PM NON MI FIDO”… TRA LE TOGHE CRESCE LA TENSIONE: IL COLLE GLI HA DATO RAGIONE
Se non fosse suonata, in queste ore già così pesanti, come un’eccessiva drammatizzazione
Napolitano sarebbe anche andato di persona a presiedere una seduta del Csm.
Per lanciare da lì l’unico segnale che più gli sta a cuore.
Il Paese è in un momento difficilissimo, ognuno deve fare la sua parte. Anche i magistrati. Senza impuntature. Senza forzature. Senza irrigidimenti. Senza favorire una spirale di tensione. Senza dare il destro ad ulteriori azioni clamorose (leggi quelle del Pdl).
Il capo dello Stato ci ha pensato su per 24 ore. Ha consultato i vertici del Csm. I quali, a loro volta, hanno sondato consiglieri e magistrati.
Alla fine è prevalsa la linea di evitare, anche per il primo inquilino del Colle, qualsiasi mossa che avrebbe potuto inasprire, anzichè addolcire, le parti in gioco.
Perchè, come ha spiegato Napolitano ai suoi interlocutori, l’obiettivo è uno solo: riuscire a garantire la via per nuovi presidenti delle Camere, un nuovo presidente della Repubblica, un nuovo presidente del Consiglio.
Questa è «la priorità che non deve essere intralciata». Nemmeno dalle toghe.
«Il Quirinale non apprezza tutto quello che disturba un quadro politico mai così intricato» chiosano al Csm.
E qui s’innesta quella che Berlusconi, Alfano, Ghedini – e tutto il Pdl – vivono come una vittoria e i giudici invece come una mezza, se non una piena sconfitta.
Se lo dicono, mogi, mentre proprio al Csm scorrono la nota di Napolitano che chiude la serata.
Parole pesanti, quel richiamo al «giusto processo», quell’invito a «non attribuirsi missioni improprie», quella raccomandazione a garantire «le garanzie da riconoscere alla difesa».
Berlusconi sulle prime è entusiasta. «Abbiamo vinto» dice ai suoi.
Poi prevale una diffidente prudenza: «Stiamo a vedere, meglio aspettare che succede nelle prossime ore. Da questi pm di Milano e di Napoli non mi aspetto niente di buono».
Dall’altra parte della barricata, proprio tra i pm, c’è una dolente sorpresa e un interrogativo: «Ma non è che Napolitano ci sta scaricando? Da domani, questo è certo, il nostro lavoro sarà più difficile».
Lo sanno anche al Csm.
Dove i primi mugugni, soprattutto tra le toghe di sinistra, già si avvertono.
Anche se – e questo bisogna dirlo – sia la decisione di Milano della visita fiscale per Berlusconi che quella del processo immediato di Napoli, non sono state del tutto condivise.
Nella logica di evitare lo scontro sarebbe stato meglio evitare quelle mosse. Ma, proprio al Csm, si sono rischiate ore drammatiche, con la preoccupazione crescente che il Pdl potesse decidere di manifestare addirittura in piazza Indipendenza. Un’ipotesi che ha tenuto in allerta anche il Quirinale.
Adesso, dopo le parole di Napolitano, il timore è opposto, che prenda piede la fronda di chi, come Andrea Reale, propone di manifestare sotto il Quirinale al grido borrelliano di «resistere, resistere, resistere», agitando pure la Costituzione.
Dice adesso un pm: «Avete visto la reazione del Pdl? Sono entusiasti. È chiaro che Napolitano ha dato ragione a loro».
Va da sè che Alfano e i suoi parlano di «vittoria». Di fatto hanno ottenuto dal Quirinale la moratoria giudiziaria che chiedevano, un allentamento della morsa giudiziaria tra Milano e Napoli per consentire al Cavaliere di tornare protagonista della trattativa politica.
Ne sono convinti al punto che, ieri sera, hanno cominciato a riflettere sulla possibilità di congelare la manifestazione del 23 marzo a piazza del Popolo.
O quanto meno trasformarla in qualcosa di diverso. Di certo non in una kermesse anti-giudici. È il segno che si chiude una giornata positiva.
Che si apre con un Alfano deciso davanti a Napolitano: «Presidente, il limite è stato superato. Rientrano nella persecuzione giudiziaria sia la richiesta della visita fiscale per un ricoverato in ospedale, sia il giudizio immediato di Napoli: perchè non accettare il rinvio dell’interrogatorio?
L’obiettivo è uno solo, tagliare fuori Berlusconi da questa fase politica».
Qui il presidente – pur fortemente critico sulla manifestazione di Milano – apre senza incertezze. Il leader del Pdl ha diritto di partecipare pienamente a questa fase politica. I berlusconiani Alfano, Gasparri e Cicchitto incassano il primo round, annunciano di recedere dall’annunciato Aventino, si spendono per un governo del presidente che porti al voto. «Presto, prestissimo, entro giugno» intima il Cavaliere ai suoi. Favorevoli, soprattutto adesso, alla riconferma di un pur riottoso Napolitano.
Ma è la convocazione pomeridiana dei vertici del Csm che mette il timbro alla vittoria.
Chi sta accanto a Berlusconi lo dice ancora prima che il mini vertice si compia. «C’è nell’aria un deciso richiamo ai magistrati perchè la smettano con la rincorsa frenetica nei processi visto che tanto la prescrizione è bloccata».
A sera, quando la seconda nota di Napolitano è in rete, gli uomini più stretti del Cavaliere gongolano soddisfatti: «Avevamo ragione noi. La rincorsa dei pm era assurda e inspiegabile, adesso lo sostiene anche il presidente del Csm».
Contano su una sostanziale moratoria.
Ma da oggi i processi riprendono, Ruby in testa.
Carmelo Lopapa e Liana Milella
(da “la Repubblica“)
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Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
NE PARLANO TUTTI, MA C’E’ MOLTA CONFUSIONE: GRILLO LO CONFONDE CON IL REDDITO MINIMO GARANTITO
Reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito?
Sul sito la Voce.info Tito Boeri e Roberto Perotti hanno cercato di fare un po’ di chiarezza tra i due termini che vengono usati come sinonimi, ma che decisamente sinonimi non sono.
Il reddito di cittadinanza (basic income guarantee in inglese) è un sussidio universale e non condizionato: in altre parole lo ricevono tutti quanti, per un tempo indefinito e indipendentemente dalla loro ricchezza o da altri redditi che percepiscono.
Se si dovesse stabilire un reddito di cittadinanza di 500 euro mensili, ad esempio, verrebbe percepito tanto dalla famiglia Agnelli quanto da un 50enne appena licenziato.
Il reddito minimo garantito (guaranteed minimum income in inglese) è invece un programma universale — cioè ha regole valide per tutti — e condizionato: nel senso che le sue regole determinano chi può avere accesso al sussidio e chi no.
Ad esempio, il reddito minimo garantito potrebbe essere condizionato al non percepire altri redditi e all’essere iscritti a una lista di collocamento.
Il reddito di cittadinanza non esiste in quasi nessun paese del mondo: uno dei casi più noti di paesi che ce l’hanno è lo stato americano dell’Alaska.
Il reddito minimo garantito invece è molto diffuso in Europa, anche se spesso molto discusso e criticato.
I politici hanno dimostrato una grande confusione su questi due termini.
Ad esempio: nel programma di SEL si parla esplicitamente di un reddito minimo garantito di 600 euro, ma in diverse interviste Nichi Vendola ha parlato della necessità di introdurre un reddito di cittadinanza.
Nei 20 punti di Grillo si nomina espressamente il reddito di cittadinanza, ma quando Grillo sostiene che l’Italia è l’unico paese a non averlo in Europa, sta parlando del reddito minimo garantito, il che è confermato dalla interviste ad alcuni parlamentari del M5S che parlano esplicitamente di un sussidio condizionato.
Quali sono i problemi?
Il reddito di cittadinanza ha un solo problema: è molto, molto costoso.
Boeri e Perotti hanno calcolato che un reddito di cittadinanza pari a 500 euro per tutti i cittadini italiani di età superiore ai 18 anni costerebbe circa 300 miliardi, il 20% del PIL, poco meno della metà di quanto attualmente spende lo Stato ogni anno per tutte le sue attività .
Il reddito minimo garantito, invece, è molto più economico, ma è difficile fare una stima esatta. Essendo una misura “condizionata”, bisognerebbe capire quali sono le regole che lo farebbero scattare prima di poter ipotizzare il suo costo.
Boeri e Perotti stimano un ordine di grandezza tra gli 8 e i 10 miliardi di euro per un reddito minimo garantito di 500 euro.
Il problema, in questo caso — oltre al costo, che comunque non è indifferente — è che il reddito minimo di cittadinanza in certe condizioni rappresenta un disincentivo al lavoro.
Se ipotizziamo, come si è spesso sentito dire, un reddito minimo garantito di mille euro al mese, è chiaro che nessuno lavorerà più per meno di mille euro: dovrebbe rinunciare al sussidio per lavorare ottenendo la stessa cifra.
Probabilmente in pochi però lavorerebbero anche per 1.200 euro: il guadagno netto sarebbero solo 200 euro, ma in cambio bisognerebbe lavorare invece che stare a prendere il sole in spiaggia.
Per questo in genere il reddito minimo garantito è condizionato da clausole come una durata limitata oppure essere iscritti alle liste di collocamento e non rinunciare a più di un certo numero di offerte di lavoro.
Chi lo vuole
Per quanto sia chiaro che i politici non hanno ben capito la differenza tra i due redditi, i loro programmi sono più precisi.
SEL e Rivoluzione Civile hanno nei loro programmi degli accenni al reddito minimo garantito, senza però precisare a quali condizioni e per quanto dovrebbe essere erogato.
I 20 punti del Movimento 5 Stelle sono gli unici a parlare di reddito di cittadinanza, ma come abbiamo visto Grillo probabilmente intende un’altra cosa.
Il Movimento 5 Stelle è anche l’unica forza politica ad aver finora esplicitato i dettagli della sua idea di reddito minimo garantito.
O almeno lo ha fatto un suo esponente, il deputato Alfonso Bonafede.
In un’intervista al Fatto Quotidiano Bonafede ha detto: «Vorremmo fosse intorno ai 900-1000 euro che consente di non rinunciare ai propri diritti, di non diventare schiavo. Durerà tre anni e si riceveranno un massimo di tre offerte in base alle proprie competenze attraverso gli uffici di collocamento, che devono essere potenziati, al terzo rifiuto il reddito viene tolto».
Il PD non ha preso una posizione chiara nel programma sul reddito minimo garantito, anche se alcuni esponenti, come ad esempio Rosy Bindi, hanno aperto a questa possibilità durante la campagna elettorale.
Negli 8 punti presentati dal segretario Pierluigi Bersani alla direzione nazionale del partito mercoledì scorso è presente un vago accenno a qualcosa che assomiglia al reddito minimo garantito.
Viene indicato come «Salario o compenso minimo per chi non abbia una copertura contrattuale».
Una definizione piuttosto vaga che non chiarifica esattamente cosa intenda Bersani.
Come funziona in Europa e in Italia
Italia, Grecia e Ungheria sono gli unici tre stati dell’Europa a 27 a non avere una qualche forma di reddito minimo garantito.
La media del sussidio nei paesi europei prima dell’allargamento (cioè tenendo conto di Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svezia) è di 400 euro.
Questo non significa che in Italia la spesa per la protezione sociale — che comprende tutto: dalle pensioni a sussidi di disoccupazione — sia inferiore a quei paesi.
La spesa per la protezione sociale in Italia è in linea con la media europea.
In Italia, infatti, ci sono già numerosi programmi di aiuti alla povertà e di sussidi alla disoccupazione, sia a livello locale che nazionale: assegni di assistenza, assegni familiari, indennità di frequenza minori, pensioni di inabilità , indennità di accompagnamento e la nuova ASPI.
A questo elenco andrebbe probabilmente aggiunta la cassa integrazione, che è una cosa molto particolare, ma che probabilmente verrebbe eliminata dall’introduzione di un reddito minimo garantito.
Il problema è che questi aiuti sono spesso “mal mirati”.
Le persone che vengono aiutate da questo insieme di strumenti non coordinati sono, secondo una ricerca della Bocconi, solo per il 27% sotto la soglia di povertà .
La parte più complessa dell’introduzione del reddito minimo garantito, oltre a trovare i fondi necessari, sarebbe riorganizzare e razionalizzare tutti questi aiuti, in modo da renderli più semplici da gestire e meglio diretti a chi ne ha davvero bisogno.
Davide Maria De Luca
(da “il Post”)
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Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
SU TASSE E PARADISI FISCALI PARLA COME BERLUSCONI…VUOLE LA TRASPARENZA SOLO NEI PALAZZI DELLA POLITICA, NEGLI AFFARI MEGLIO LA PRIVACY E I CONDONI TOMBALI
Dopo una reazione scomposta alle notizie pubblicate da l’Espresso su 13 società anonime basate a
Santa Cruz, la zona più turistica del Costa Rica ( non si aprono 13 società per costruire qualche casetta con pale eoliche e riutilizzo di acqua piovana), lo staff di Grillo ha archiviato la vicenda.
Ma nel Movimento qualcuno si chiede se ciò è compatibile con la trasparenza che tanto predica.
Per Sociedad Anomima in Costarica si intende “una struttura societaria che ha tra le proprie caratteristiche la possibilità di nascondere molto facilmente i nomi dei veri soci».
Insomma, se è anonima è anonima: non ci vuole molto a capirlo.
«I soci possono essere rivelati solo su richiesta di un giudice nel corso in un procedimento giudiziario».
Quasi una beffa, infine, la replica de l’Espresso. «Contrariamente a quello che sostiene il blog di Beppe Grillo, noi abbiamo scritto che l’autista di Grillo risulta amministratore di 13 società in Costa Rica, tuttora attive. In Costa Rica per le sociedad anonime, come per tutte le altre società , non c’è trasparenza su azionisti e bilanci. Proprio come succede in Svizzera e nei Paesi caraibici».
Una vera pietra tombale sulle tesi del comico.
Il fatto è che Grillo ha sempre avuto un rapporto problematico con tasse e disposizioni fiscali.
Non solo per i due condoni tombali, a cui ha aderito la sua società immobiliare nel biennio 2002-03, la Gestimar srl, amministrata da suo fratello Andrea.
E neanche per quello strano modo di intendere i paradisi fiscali, in cui non conta la trasparenza, ma solo il «diritto» a pagare meno tasse possibili.
Sul suo blog comparve in passato l’assioma che essendo l’Italia il Paese in cui si pagano più tasse, qualsiasi altro Paese europeo è un paradiso fiscale.
Paradiso per tutti, meno che pensionati e dipendenti.
A quello non ha mai pensato.
Un paradiso fiscale è tale perchè vi si possono fare movimenti finanziari senza informare nessuna autorità : ecco perchè ci arriva il denaro sporco.
Ma anche questo per Grillo è irrilevante. Tanto irrilevante che anche oggi replica quasi con un’alzata di spalle alle rivelazioni: sono fatti di famiglia.
Si conferma così il suo strabismo, per cui la trasparenza deve valere per i politici che parlano al telefono, tutti da intercettare («ascoltate anche me!» aveva inneggiato), deve essere imposta ai partiti, anche al presidente della Repubblica, e le riunioni dei parlamentari devono essere trasmesse in streaming.
Insomma, i Palazzi della politica devono essere trasparenti come l’acqua.
Ma sui redditi (4 milioni dichiarati), i conti bancari, gli investimenti mobiliari e immobiliari, e naturalmente le relative tasse, vale il principio della privacy assoluta. Tutto questo in un Paese che conta circa 130 miliardi di evasione all’anno. Ultimamente si è scagliato contro le operazioni Cortina, accusando l’Agenzia delle entrate di pescare i pesci piccoli.
Ma con il governo Prodi si scagliò anche contro Vincenzo Visco, che aveva pubblicato i redditi dei contribuenti. («Fa un favore alla ‘ndrangheta, dando nome cognome e indirizzo di chi si può rapinare», aveva scritto).
Non gli piace l’anagrafe dei contribuenti, dove si registrano i conti bancari.
Esiste in tutti i Paesi occidentali (tra l’altro non registra ogni singola spesa), ma qui da noi per Grillo equivale allo Stato di Polizia.
Forse non sa che nel 2010 in Italia sono state vendute 620 Ferrari (il 10 per cento della quota mondiale), 151 Lamborghini, 180 mila fra Mercedes, Bmw e Audi.
E sono solo 76 mila gli italiani (lo 0,18 per cento dei contribuenti) che hanno dichiarato più di 200 mila euro.
Questo significa che solo il 37 % di chi ha comprato una macchina di questa categoria se lo sarebbe potuto permettere senza dover accendere finanziamenti o mutui. Credibile?
Bianca Di Giovanni
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Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
CASELLI HA LETTO IN AULA I NOMI DEI POLITICI TORINESI COINVOLTI NELL’INCHIESTA, DAL PDL AL PD
Gian Carlo Caselli legge nell’aula bunker delle Vallette, mentre una ventina di imputati di «Minotauro» lo ascoltano con attenzione dalle loro gabbie, i nomi dei «sette esponenti politici torinesi, oltre a Brizio, che hanno avuto contatti con Salvatore Demasi detto Giorgio in occasione di appuntamenti elettorali. Demasi è persona molto attiva in questo procedimento».
Tutti da Demasi
Carlo Maria Romeo, uno dei legali del costruttore calabrese arrestato nel blitz del 2011 con l’accusa di essere il capo locale della ‘ndrangheta a Rivoli, rovescia nel microfono la sua voce: «C’è opposizione».
Il procuratore capo legge comunque i nomi dei parlamentari uscenti Lucà «detto Mimmo», Pd, e Porcino, Idv, che si è ripresentato alle politiche con il Centro Democratico.
Seguono il consigliere regionale Pd Antonino Boeti, i vari Tromby, Cairoli e Giovanni Porcino, figlio di Gaetano.
Fabrizio Bertot, Pdl, primo cittadino di Rivarolo sino allo scioglimento del Consiglio comunale da parte del governo, sentito di lì a poco, ammetterà : «Dell’incontro al bar Italia di Torino (quello del padrino Giuseppe Catalano, ndr) ricordo solo Demasi perchè ha lo stesso cognome di una mia collega in Consiglio provinciale».
Il preambolo di Caselli
Caselli vorrebbe illustrare il suo «preambolo» su Demasi ma il presidente del collegio Paola Trovati, in seguito all’opposizione del difensore, lo stoppa.
Sicchè il procuratore deve contentarsi di chiedere al teste Francesco Brizio Falletti se «conosce questi politici e se ha mai parlato con loro di infiltrazioni della ‘ndrangheta nel nostro territorio».
Nelle file dei difensori si levano altri oppositori.
Caselli insiste: «Voglio valutare il rischio di infiltrazioni in base alle risposte di persone pubbliche come Brizio». Il quale sospira nel microfono: «Prima degli arresti di Minotauro non avevo alcun sentore».
Verbali acquisiti
Accusa e difese hanno concordato di acquisire i verbali degli interrogatori effettuati da Caselli a tutti questi politici, «per ragioni di economia processuale».
Sono verbali già noti e di cui si è dato conto sui giornali: nessuno, neppure i rivolesi Lucà e Boeti conoscevano Demasi come ‘ndranghetista.
Solo come «imprenditore calabrese».
Il fatto che fosse così ricercato dalla politica nessuno ha saputo chiarirlo. Era il preambolo di Caselli: «Preso atto della vastità dei tentativi di contattare, da parte di ‘ndranghetisti, politici e amministratori pubblici….».
Poi lo stop.
La procura ha scelto di sentire Francesco Brizio Falletti, sindaco di Ciriè e presidente di Gtt, per i nuovi sviluppi di indagine: dopo la cena preelettorale di maggio 2011 alla trattoria Doria di Ciriè, «presente con numerosi altri convitati Salvatore Demasi e in cui lei parla del piano regolatore locale», Caselli mostra alcune foto.
Ritraggono, giorni dopo, lo stesso uomo politico all’ingresso del municipio di Ciriè che si accomiata da alcuni personaggi fra cui il solito Demasi.
Le immagini sono state scattate dai carabinieri nel corso di un servizio di osservazione.
L’incontro in Comune
Caselli: «Adesso ricorda quell’incontro?». Brizio: «Non escludo che vi sia stato».
Caselli: «I carabinieri hanno seguito Vincenzo Femia, Demasi, Michelangelo e Nicola Marando in Comune, li hanno visti entrare nel suo studio di sindaco e uscirne dopo una ventina di minuti. Non ricorda?».
Brizio: «Non ricordo. Conosco solo Femia, era presidente di una controllata Gtt e un ex consigliere regionale. Siamo dello stesso partito, il Pd».
Caselli: «E i nominativi sul biglietto che lei ci ha consegnato, erano di persone da contattare per averne i voti?».
Brizio: «Durante la cena mi diedero quei nomi, non li ho contattati».
Caselli: «Ha fatto una telefonata a Michelangelo Marando alla vigilia delle elezioni comunali dicendosi preoccupato per l’esito del voto?».
Brizio: «Non ho fatto alcuna telefonata».
Per il resto non rammenta e lo dice chiaramente il presidente per chiudere l’esame: «Il teste non ricorda nulla».
Il cavallo di razza
Bertot ricorda invece Giovanni Iaria perchè, dopo una cena preelettorale in casa di Giovanni Macrì (altro arrestato di Minotauro) aveva detto di lui «Questo è un cavallo di razza». Precisa l’interessato: «Ma non sapevo che fosse quel Iaria di cui si parlava come di persona poco pulita». Quel Iaria contribuì a portare voti al candidato alle Europee 2009 che ora spera di andare a Bruxelles «con le rinunce dei neo eletti a Roma».
(da “La Stampa“)
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Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
“CINQUESTELLE UN MOVIMENTO DI DESTRA CHE USA SLOGAN DI SINISTRA, MA LA COLPA E’ DEL PD”
I Wu Ming, collettivo di scrittori bolognesi (“Q” fu il loro romanzo storico d’esordio e di inaspettato
successo), sono da tempo duramente critici nei confronti del fenomeno Grillo.
Al punto di aver scomodato termini come “criptofascismo” e analisi che hanno bollato come “destra” la natura “nè di destra, nè di sinistra” con cui Grillo e Casaleggio definiscono il Movimento.
«Nella storia d’Italia – spiegano – dalla palude del “nè di destra nè di sinistra” sono usciti vapori che il vento ha sempre portato a destra. Di destra – e addirittura totalitaria – è l’idea di futuro espressa nel video di Casaleggio Gaia, il futuro della politica. Di destra sono certe posizioni sugli immigrati. Di destra – ex-leghista, ex-berlusconiano, ex-neofascista, e il prefisso «ex» lo usiamo con le pinze – è circa il 40% del voto preso alle politiche. A Bologna, secondo l’Istituto Cattaneo, il 12% del voto grillino proviene dalla destra radicale. A Torino è il 10%. Questi elementi di destra finora sono rimasti coperti da un manto di confusionismo: dire “nè destra, nè sinistra” serve a questo, ecco perchè diciamo che nel M5S c’è del “criptofascismo”, del fascismo nascosto. Ma la macchina grillina cattura e semplifica anche elementi e parole d’ordine di sinistra, e conquista voto di sinistra. Qui sta la contraddizione principale, il grosso nodo che dovrà venire al pettine: molte persone di sinistra hanno votato una forza sostanzialmente di destra. Ma se l’hanno fatto ci sono precise ragioni, e c’è chi ha precise colpe».
Se elettori di sinistra votano “sostanzialmente a destra” di chi sarebbe la colpa?
«Della sinistra ufficiale, che per decenni ha pensato di doversi “spostare al centro”, alla conquista dei voti “moderati”. In nome di questa strategia ha rinunciato anche
agli ultimissimi residui di alterità , ha smesso di definirsi sinistra a favore del nomignolo “centrosinistra”, ha detto sì a ogni sorta di nefandezza in nome di una presunta “modernizzazione”. Si è adagiata nella subalternità all’ideologia liberista, cantando le lodi del mercato, del privato, della “sussidiarietà ”. Ha boicottato e combattuto movimenti sociali che si opponevano a privatizzazioni, speculazioni e scempi ambientali. Quando ha governato, ci ha dato leggi come il Pacchetto Treu e i campi di prigionia per i clandestini. Finchè, un bel giorno, non abbiamo scoperto che il “centro” non contava nulla, anzi, non c’era proprio! Quanto ai voti “moderati”, di che stiamo parlando? Un terzo degli elettori continua a votare per anticomunismo anche in assenza di comunisti. Siamo un paese estremo, altro che moderato. Il centrosinistra ha gravi colpe ma non ha mai pagato dazio, perchè “di là ” c’era Berlusconi e poteva presentarsi come “male minore”. A forza d’iniettarsi dosi di male dicendosi che era “minore”, una parte di elettorato non ne ha potuto più, e ha deciso di cambiare spacciatore e sostanza».
Grillo ripete spesso che se non ci fosse lui ci sarebbe Alba Dorata.
«Sì, Grillo fa sempre l’esempio dei nazisti greci di Alba Dorata, ammettendo così di incanalare anche pulsioni nazistoidi. Ma alle elezioni greche del 2012, la vera novità è stata Syriza, la coalizione della sinistra radicale che ha conquistato 77 seggi su 300. Lui si sceglie il babau che gli fa più comodo, ma in Europa negli ultimi anni si è mosso ben altro, dai grandi scioperi francesi contro la riforma delle pensioni di Sarkozy alla marea umana anti-Trojka che una settimana fa ha riempito le città portoghesi, passando per il movimento di massa nato dalle acampadas che in Spagna impedisce sfratti e pignoramenti di case. Grillo ha intercettato e “prevenuto” solo fenomeni tipo Alba Dorata, o ha anche prevenuto esperienze di questo genere?»
Il movimento di protesta più radicale in Italia in questi anni è senza dubbio il No Tav. E Grillo lo ha intercettato in pieno.
«Infatti sarebbe bene analizzare il rapporto tra il M5S e i movimenti ai quali offre rappresentanza, appunto come quello No Tav. Quei movimenti potrebbero accorgersi presto che Grillo offre una rappresentanza esibita ma infeconda. L’interesse principale di Grillo & Casaleggio non è realizzare il programma, che è un geyser di richieste contraddittorie spruzzate qua e là . Gli interessa di più prolungare lo scompiglio e tenere alto il polverone finchè è possibile, perchè il polverone copre le magagne e rinvia l’arrivo dei nodi al pettine».
E secondo voi fino a quando riusciranno a rinviarlo?
«Non lo sappiamo. Grillo e Casaleggio hanno i capelli lunghi. Comunque, noi tifiamo per il pettine»
Giovanni Egidio
(da “la Repubblica”)
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Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
“SONO SUO AMICO MA E’ TROPPO ANCORATO ALLA CURIA E ISPIRATO DA ICHINO”…”IL CUORE MI DIREBBE DI DIRE UN VAFFA’ AI GRILLINI, MA VA TENTATA ANCHE QUELLA STRADA”
A mali estremi, estremi rimedi: «Bobo l’ho già fatto impiccare una volta. Però potrei sempre farlo resuscitare e farlo suicidare di nuovo…».
Sergio Staino è triste, «molto triste» per il vicolo cieco nel quale si è cacciato il Pd.
E non crede nella soluzione Renzi: «Con Matteo sarebbe una nuova Dc. E io abbandonerei il Pd. Lo vedo in un partito che sta al fianco del mio, ma non nel mio».
Molti considerano Renzi il futuro. Ma nel Pd è scontro.
«Si è mosso bene. E’ stato leale. E infatti molti amici ora dicono: “Ho sbagliato, potevo votare Renzi”. Certo, un po’ sta lavorando ai fianchi Bersani. Ed è un gioco pericoloso».
Quindi il sindaco non può guidare la riscossa del Pd?
«Non credo. E’ molto ancorato alla Curia e lo ispira Ichino. Gli sono amico, ma quando dice una cosa buona gli rispondo: “Interessante, peccato che non sei nel mio partito…”. Io a quel punto vorrei una forza socialista europea. Abbandonando questo Pd che ci ha portato dove ci ha portato. Forse sono io che sono vecchio… ».
Ora intanto come se ne esce? Un’alleanza con Grillo?
«Il governissimo sarebbe un suicidio totale. Un governo Bersani è la strada meno tragica. Il cuore mi vorrebbe fare gridare “vaffanculo ai grillini”. Ma la ragione mi dice di no. Proverei comunque questa strada disperata, almeno per vedere se i militanti sono più saggi di Grillo. Certo, bisogna essere un po’ scemi per credergli. Capisco chi è incazzato, ma non è che chi ha votato Pd non era incazzato. Era incazzato con razionalità . I giovani sono così ciechi da non vedere la falsità di questo leader? La sua è una forma di protofascismo.».
Resta la batosta. Bobo come l’ha presa?
«Peccato che l’ho già fatto suicidare quando il Pd partecipò alla spartizione per le authority. In quella vignetta diceva: “Prima che mi consegnino a Grillo, me ne vado da solo”».
Profetico.
«La maledizione è iniziata a causa di una superficialità totale. Più che incolpare il segretario, penso a quei personaggi che lo consigliano. Gli dicono “vestititi così”, “fai così”. Ecco, Bersani non era quello che conosciamo».
Il giaguaro?
«Si, il giaguaro. Con quelle cose lì poi finisci così. Dopo le primarie erano sicuri di vincere. Gasati. Il primo suicidio sono state le liste. Una cosa penosa. Io volevo primarie per tutti, poche deroghe. Invece così è mancato l’entusiasmo. Le sale non erano piene, niente piazza. Io, arrabbiato, comunque ho votato Pd».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile
NELLA UE SI POTRANNO PRODURRE E VENDERE SOLO PRODOTTI “CRUELTY-FREE”… UNA BATTAGLIA DURATA DECENNI
Niente più test sugli animali per i prodotti cosmetici. 
Da ieri è entrato in vigore il divieto totale, in tutto il territorio comunitario, di testare e commercializzare ingredienti e prodotti cosmetici sperimentati su cavie.
Si tratta della tappa finale di un processo di progressiva limitazione dell’impiego di test su animali per le verifiche di sicurezza da parte dell’industria cosmetica.
Sono quasi 20 anni, infatti, che va avanti l’iter legislativo per l’abolizione dei test su animali per i prodotti cosmetici.
La normativa italiana e quella europea hanno imposto divieti graduali.
Tra i traguardi più recenti, va ricordato che già da marzo 2009 nessun ingrediente dei cosmetici può essere testato su animali in Ue ed è vietato commercializzare nel territorio comunitario prodotti che contengono ingredienti testati su animali al di fuori dell’Europa comunitaria.
Ma dai divieti restavano fuori ancora cinque test, fortemente invasivi e diffusamente praticati: tossicità per uso ripetuto, inclusi sensibilizzazione cutanea e cancerogenicità , tossicità riproduttiva, e tossicocinetica.
E sono proprio questi i test che verranno proibiti dall’11 marzo in poi, in modo da rendere la produzione dei cosmetici in Europa totalmente “cruelty-free”.
Le associazioni ambientaliste plaudono al provvedimento: “Il divieto definitivo imposto nell’Unione Europea – dichiara Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – segnerà una pagina importante a livello mondiale per il superamento dei tanti, troppi, e spesso inutili esperimenti fatti sulla pelle degli animali: le aziende cosmetiche utilizzeranno altri metodi per testare i vari prodotti, diventando così un esempio per tutti i settori che continuano, invece, ad utilizzare lo strumento della sperimentazione infliggendo agli animali terribili sofferenze. L’Europa lo ha capito, ora spetta agli altri Paesi rompere questo tabù e perseguire la strada dell’innovazione”.
Per festeggiare questo traguardo europeo, la Lav (Lega antivivisezione), da sempre in prima linea nella battaglia contro la sperimentazione animale a fini cosmetici, ha organizzato una manifestazione a Roma a piazza del Pantheon.
La Lav chiede anche al ministero della Salute di ritirare le autorizzazioni in deroga concesse alla ditta Menarini-Rtc di Pomezia per 8 cani beagle in arrivo dal Belgio. L’azienda farmaceutica, intanto, ha deciso di rinunciare alla sperimentazione per la quale aveva richiesto i cani, che saranno affidati a privati.
Monica Rubino
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