Destra di Popolo.net

IL RETROSCENA: CINQUE ORE DI VERGOGNOSE PRESSIONI SUI MARO’ PER “COSTRINGERLI” A TORNARE IN INDIA

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

MASSIMI ESPONENTI DELLA DIPLOMAZIA E DELLA MARINA IN PRESSING SUI DUE MILITARI… ORA MONTI TIRI FUORI I NOMI DEI POTERI ECONOMICI PER CUI SI E’ VENDUTO I DUE MARO’

Stanno tornando in Puglia i due marò per prendere i loro effetti personali e ripartire subito alla volta dell’India.
“Non possiamo parlare, capite il momento” spiegano i familiari di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, distrutti dalla notizia.
“Non ce l’aspettavamo” dicono soltanto.
La tensione arriva al termine di un pomeriggio durissimo con i due marò che sono stati per più di cinque ore davanti ai massimi esponenti della diplomazia e della Marina italiana.
E’ nel pomeriggio che i due sono stati “convinti” a tornare immediatamente in India davanti chiaramente alle loro paure di quello che potrà  accadere da domani in poi.
Salvatore Girone è giunto dopo le 22 nella sua abitazione nella ex frazione barese di Torre a Mare dove ha incontrato la moglie Vania, i due figli e i parenti più stretti.
Il fuciliere, entrando in casa, non ha fatto alcuna dichiarazione ai giornalisti.
In casa di Girone si trovano anche il sindaco di Bari, Michele Emiliano, e uomini del Battaglione San Marco.
Anche Massimiliano Latorre è tornato a casa per poco tempo per salutare i parenti.

(da “La Repubblica“)

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MONTI SI E’ VENDUTO I MARO’: GLI INTERESSI COMMERCIALI FANNO PREVALERE LA LEGGE DEI TAGLIAGOLA ALLA DIGNITA’ NAZIONALE

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

MONTI E TERZI HANNO RIDICOLIZZATO L’ITALIA… I DUE MARO’ RISPEDITI IN INDIA, PAESE ESPERTO IN VIOLENZE ALLE BAMBINE E SEQUESTRI DI DIPLOMATICI

I marò sono stati rispediti stasera stessa in India da un governo di cacasotto.
Con la ridicola garanzia da parte di New Delhi che “non sarà  applicata loro la pena di morte e che i due fucilieri di Marina potranno stare nell’ambasciata italiana”.
Dopo settimane di braccio di ferro con l’India, la svolta della linea italiana sulla vicenda dei due militari arriva in serata a meno di 24 ore dalla scadenza del permesso di quattro settimane concesso dalla Corte suprema indiana.
È stato Palazzo Chigi a prendere in mano la questione con decisione e, con l’avallo del Quirinale, a determinare il cambio di rotta.
Oltre alle conseguenze diplomatiche, hanno pesato, riferiscono alcune fonti, anche gli ingenti interessi commerciali in ballo tra i due Paesi.
«Il governo italiano – recita la nota farsa di Palazzo Chigi – ha richiesto e ottenuto dalle autorità  indiane l’assicurazione scritta riguardo al trattamento che sarà  riservato ai fucilieri di Marina e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Alla luce delle ampie assicurazioni ricevute, il governo ha ritenuto l’opportunità , anche nell’interesse dei Fucilieri di Marina, di mantenere l’impegno preso in occasione del permesso per partecipare al voto del ritorno in India entro il 22 marzo. I Fucilieri di Marina – fa sapere il governo – hanno aderito a tale valutazione».
La formula della «tutela dei loro diritti fondamentali» in pratica sarebbe che non sarà  applicata la pena capitale ai militari in caso di eventuale condanna per la morte dei due pescatori indiani di cui sono accusati; e che Latorre e Girone potranno risiedere nell’ambasciata italiana, dove avranno «piena libertà  di movimento».
Poi una chicca degna di un governo cialtrone: «Potranno anche andare al ristorante se vogliono», ha aggiunto il sottosegretario.
«La parola data da un italiano è sacra: noi avevamo solo sospeso» il loro rientro «in attesa che New Delhi garantisse alcune condizioni», ha spiegato ancora.
Ma di che condizioni parla questo extraterrestre?
Quelle poste dal potere economico e finanziario che preferisce un paese di tagliagole rispetto alla dignità  nazionale?
Quelle ricattatorie di un Paese che sequestra una nave in acque internazionali?
Quelle di un Paese dove ogni giorno vengono violentate bambine senza che il governo riesca a porre un freno alla criminalità ?
Ma di che cazzo parli Monti?
Ti sei venduto i due marò perchè non sei riuscito neanche a ottenere una condanna internazionale contro l’India: se si fosse trattato di tutelare banche e spread magari lo avresti fatto, ma la dignità  dell’Italia non passa solo attraverso la Borsa.
Non ce lo dimenticheremo, governo di cacasotto.

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BOLDRINI E GRASSO FREGANO GRILLO: SI DIMEZZANO STIPENDIO, RIMBORSI E RINUNCIANO ALL’ALLOGGIO: MA BEPPE QUANDO DEVOLVERA’ IL 50% DEL SUO REDDITO AI BISOGNOSI?

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

GRASSO RIDUCE ANCHE LA SCORTA E IL FONDO CONSULENZA, ORA I CINQUESTELLE RINUNCINO ALLA DIARIA, AI VIAGGI GRATIS E AI VARI BENEFIT, COSI’ LA FINISCONO DI PRENDERCI PER IL CULO

Il presidente del Senato Pietro Grasso e la presidente della Camera Laura Boldrini mettono all’angolo Beppe Grillo che li aveva invitato a dimezzarsi lo stipendio.
Oltre a questo, l’ex procuratore nazionale antimafia ha deciso di tagliare del 50% la scorta e ha detto che rinuncerà  all’appartamento.
Stessa scelta anche per Boldrini che in una nota spiega di dimezzare indennità  e rimborso spese di rinunciare ad alloggio di servizio e rimborso delle spese di viaggio e telefoniche.
Inoltre, ha aggiunto, “domando che l’indennità  di funzione connessa alla carica di presidente della Camera dei Deputati e il mio rimborso delle spese per l’esercizio del mandato parlamentare siano ridotti della metà . Quanto specificamente a quest’ultima voce, preciso che rinunzio alla parte dovuta ai rimborsi forfettari”.
Una decisione alla quale ha aderito già  anche il vicepresidente Roberto Giachetti.
“Si deve partire — ha detto Grasso giustificando i tagli — dando l’esempio: mi auspico che lo stesso metro possa essere adottato da tutti i componenti dell’Ufficio di Presidenza di un Senato che intendo convocare dal lunedì al venerdì”.
Nei giorni scorsi Grasso e Boldrini avevano deciso di tagliare i loro emolumenti del 30%. U
na misura, però, che per i 5 Stelle non era sufficiente. In più, secondo il Movimento, i due presidenti “devono convincere i partiti a fare altrettanto e a rinunciare ai rimborsi elettorali”.
”Stamattina — scrive il presidente del Senato in una nota — leggendo i giornali ho visto che a seguito dei tagli annunciati alle spese del Parlamento si è scatenata una rincorsa di cifre: tante e tutte diverse”.
“Nel mio primo discorso da Presidente — spiega   Grasso — ho auspicato che il Senato divenisse una ‘casa di vetro’. Credo nella trasparenza, nei fatti che seguono le dichiarazioni”.
Quindi, “dopo il primo studio delle voci di spesa di martedì”, Grasso ha “approfondito con gli uffici competenti le possibilità  di risparmio”.
Per quanto riguarda il suo compenso “fatte salve le indennità  irrinunciabili, ho deciso di tagliare completamente tutto il resto (diaria, rimborso spese generali e rimborso spese per l’esercizio del mandato), passando dai 18.600 euro netti previsti a circa 9mila euro netti”.
Calcolatrice alla mano, prosegue nel comunicato, “questo significa un risparmio complessivo di euro 111.960 su 223.169,76 euro. Rinuncio anche agli appartamenti e agli autisti, mentre per la scorta, che per me a partire dal maxiprocesso non è stata un privilegio ma una dolorosa necessità , ho stabilito di dimezzare quella prevista dal Ministero dell’Interno per il Presidente del Senato”.
Il conteggio dei risparmi del presidente del Senato include anche “il costo complessivo lordo del Gabinetto del Presidente e del fondo consulenza, che ammonta attualmente a quasi un milione e mezzo di euro l’anno” a cui ha voluto applicare “un taglio del 50%, con un risparmio annuo di circa 750mila euro. Il risparmio complessivo sarà  quindi di circa 861.960 euro l’anno”.
Stessa linea alla Camera: “Rinunzio all’uso dell’alloggio di servizio e al rimborso delle spese accessorie di viaggio e telefoniche — ha spiegato oggi la presidente Boldrini -. Inoltre, domando che l’indennità  di funzione connessa alla carica di Presidente della Camera dei Deputati e il mio rimborso delle spese per l’esercizio del mandato parlamentare siano ridotti della metà . Quanto specificamente a quest’ultima voce, preciso che rinunzio alla parte dovuta ai rimborsi forfettari”.
I soldi risparmiati, aveva detto ieri Boldrini, saranno usati “a fini sociali”.
L’ex commissario Onu per i rifugiati aveva cominciato subito dopo l’elezione di sabato a dare l’esempio, mangiando alla mensa della Camera (e non al lussuoso ristorante per i deputati) e andando a piedi alle consultazioni al Quirinale.
Infine Roberto Giachetti, deputato del Pd neoeletto alla vicepresidenza di Montecitorio, rinuncia all’alloggio di servizio e all’auto blu.
Lo scrive in una lettera alla Boldrini. “Nel concordare pienamente con gli indirizzi da lei indicati al termine della Conferenza dei Capigruppo del 19 marzo scorso — si legge — le comunico, come mio primo atto a seguito dell’elezione a vicepresidente della Camera, la rinuncia unilaterale all’alloggio di servizio e all’utilizzo della macchina di servizio”.
Ora chi ha votato Cinquestelle si aspetta una cosa: che Grillo dià  l’esempio, dopo averlo preteso e ottenuto dagli altri.
Devolva il 50% del suo reddito milionario ai bisognosi, come hanno fatto la Boldrini e Grasso e disponga che i suoi eletti rinuncino alla diaria di 3.500 euro al mese, ai viaggi gratis e ai vari benefit.
Altrimenti la sua è solo demagogia a senso unico e gli italiani ne trarranno le conseguenze.

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ONOREVOLI TRA RABBIA E RASSEGNAZIONE: “ALLA FINE ARRIVEREMO A PAGA ZERO”

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

FIORONI: “AGIRE SULLE INDENNITA'”…. RAZZI: “POI MI OSPITANO LORO”

Rieletto per miracolo, Antonio Razzi stringe i pugni come per difendere il biglietto della lotteria che si è ritrovato tra le mani: «Grillo propone di ridurci lo stipendio a 5 mila euro lordi. È impossibile, a meno che non andiamo a dormire in un sacco a pelo. Oppure possono ospitarci i grillini a casa loro…».
L’uomo che salvò Silvio Berlusconi nel 2010 contesta in Transatlantico la linea del leader del M5S: «Io già  vado a dormire in un albergo a una stella che ha appena appena il bagno. Mi adatto perchè vengo dal mondo operaio, altrimenti non mi rimane una lira. Ma chi è stato imprenditore come fa?».
La domanda rimbomba in Parlamento, tra deputati appesi al filo di consultazioni complicatissime.
E innervosisce: «A un grillino ho detto: “Non è che viviamo al paesino, qui si paga anche l’aria. Prima di fare queste proposte state sei mesi a Roma, poi ne riparliamo” ».
Il confine tra sacrosanta austerity e demagogia spinta è sottile.
Rincorrere Grillo praticamente impossibile.
Lo sa Gianfranco Rotondi, capofila di chi sembra rassegnato allo tsunami dell’antipolitica: «Possiamo anche dimezzarci lo stipendio — sorride il democristiano convertito al berlusconismo — ma sarà  sempre troppo poco. Dobbiamo prima riconsacrare il Parlamento, poi parliamo della retribuzione».
L’ex ministro, in verità , la prende con ironia: «Cinquemila lordi? Non ho più questo problema. Berlusconi non ha ricandidato i miei amici De Luca e Cutrufo, che versavano tremilacinquecento euro al mese alla Dc. Ora l’onere è tutto mio, sono deputato a titolo gratuito. Quando finirò di pagare vi dirò come si campa con cinquemila euro lordi al mese…».
Quando nomini Grillo, il deputato democratico Beppe Fioroni si irrigidisce.
E prova a ribaltare i termini del problema, partendo dall’autoriduzione annunciata dai presidenti delle Camere: «Li invito a prendere in considerazione le indennità  aggiuntive dei deputati, per vedere se è il caso di tagliarle: segretari di presidenza, commissioni, vicepresidenze».
E se invece la ghigliottina calasse sui peones, senza distinzioni: «Io faccio il medico, opterei per il mio stipendio. Sempre che non cambino la legge».
Al Senato, visti i numeri, tira un’aria peggiore.
Eppure il pidiellino Lucio Malan sembra sereno: «Noi sosteniamo la riduzione. Resta singolare lo sfoggio di pauperismo da chi come Grillo guadagna 5 milioni all’anno o da chi prende pensioni statali da 20 mila euro al mese».
Riduzione, ma non salasso: «Bisogna capirci: se sono cinquemila lordi con una parte esentasse, va bene. Ma così sarebbero duemila netti. Con questo approccio demagogico si arriva a dire che la paga deve essere zero!».
Infine fa di conto: «Con l’azzeramento totale delle retribuzioni ci sarebbe un beneficio di trenta centesimi al mese per ogni italiano…».
L’unica che non sembra temere la mannaia a cinque stelle è la giovane deputata Pd Marianna Madia: «Io sono d’accordo, ma è riduttivo parlare di una sola voce. Spero ci sia trasparenza anche sulle indennità  di funzione. La nostra proposta è di equiparare l’indennità  a quella dei sindaci».
Non la insegue Aldo Di Biagio, eletto nelle liste di Scelta civica: «Su tutto si può ragionare, ma a breve Grillo si renderà  conto di quanto sia complicato il nostro compito: l’importo non è stretto, ma almeno giusto. Sono ben altri gli stipendi nel Paese che devono essere rivisti».
Dall’alto delle sei legislature consumate tra i banchi della Camera, Pino Pisicchio non nasconde il fastidio di chi pensa di meritare la paga di fine mese: «Vivere con cinquemila lordi? Mi rifiuto di fare questo ragionamento, c’è gente che campa con molto meno. Io ribalto il ragionamento e domando: come perimetriamo le remunerazioni di chi onestamente e studiando è impegnato in forme di rappresentanza? Se si sparano numeri, c’è sempre un numero più basso da sparare».
E i grillini, cavie della drastica riduzione?
Angelo Tofalo, giovane campano del movimento, attende immobile: «Ti rispondo tra un mese, quando avrò preso il primo stipendio».

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)

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E SUI POSTI CHIAVE VIA LIBERA DAL PD: AI GRILLINI QUESTORI E VICEPRESIDENZA

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

LITE NEI GRUPPI SULLE QUOTE ROSA, UNA CARICA ANCHE AI MONTIANI

«Chi ha più buonsenso lo usi». Bersani conclude il vertice del Pd sugli ultimi tasselli del puzzle istituzionale, imponendo la linea della «massima apertura» e del dialogo.
Oggi il Parlamento vota i vice presidenti, i questori, i segretari di presidenza, e il leader democratico – pur ripetendo che una cosa è la partita istituzionale, altra quella per gli accordi di governo – sa che blindarsi significherebbe bruciare ogni futura chance. Quindi, sì ai questori che i 5Stelle chiedono: Laura Castelli, 26 anni da Collegno, tecnico dei bilanci alla Regione Piemonte, per la Camera (per il Pd, sarà  proposto Paolo Fontanelli); e Laura Bottici per il Senato.
E nella strategia bersaniana, i Democratici sono pronti anche a cedere una vice presidenza delle Camere ai grillini e un’altra ai montiani.
Lo schema è questo, alla fine di una giornata in cui si riuniscono correnti e si formano e si disfano capannelli in Transatlantico, mentre le parlamentari conducono l’offensiva delle donne.
Parte la girandola di nomi, ma soprattutto i malumori, le divisioni, la rabbia degli esclusi e le perplessità  sul grillismo che soffia nel partito.
La schiera democratica più numerosa è quella degli “avvelenati”, di chi fa buon viso a un gioco che giudica «impazzito».
Commenti a mezza bocca.
Dario Nardella, vice sindaco di Renzi approdato in Parlamento, invece è esplicito: «O si cede qualcosa perchè c’è una reciprocità , oppure quale è il senso? Oltretutto il ruolo di questore è estremamente delicato, il collegio dei questori decide all’unanimità , non è che si va lì per fare Wikileaks… “.
In Parlamento i grillini si aggirano con l’adesivo sul bavero della giacca: “Questori uguale controllori”.
«Ecco – osserva Michele Mela – è la loro ragione sociale, come si fa a dirgli di no?».
A un certo punto si sparge la voce che si potrebbe congelare l’elezione delicatissima dei questori. Le discussioni sono ancora più accese.
Tra i supporter di Franceschini c’è molto malcontento: «Avranno senso di responsabilità , ‘sti grillini. Qua noi diamo, diamo via tutto… “.
Bersani e il capo della segreteria, Migliavacca riuniscono ieri sera i neo capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda. C’è il risiko dei nomi.
E c’è la richiesta di rispettare le “quote rosa”.
Nel momento della scelta dei nuovi capigruppo, lunedì, il segretario aveva garantito che il rapporto del 40% di presenza femminile non sarebbe stato messo in discussione.
Poichè fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, le deputate democratiche convocano una lunga assemblea dalla quale scaturisce una “sotto riunione” delle “under 40”.
Una vice presidenza dovrà  andare a una donna, del resto Rosy Bindi è la vice presidente uscente.
«Ci vuole la parità  tra uomini e donne alla guida della Camera e del gruppo», twitta Stella Bianchi.
I nomi sono quelli di Sesa Amici, Marina Sereni, Marianna Madia, anche se Roberto Giachetti, renziano, è in pole position.
L’altra vice presidenza il Pd la darebbe alla Camera o a Luigi Di Majo (indicato dai grillini) o a Andrea Romano (Scelta civica, tendenza Montezemolo).
Al Senato, lo schema delle vice presidenze prevede Gasparri (Pdl); Calderoli (Lega); un 5Stelle (Orellana) oppure Scelta civica (Lanzillotta) e il Pd fino a tarda sera si giocava la partita tra Roberta Pinotti, franceschiniana, e il dalemiano Nicola Latorre.
Le donne del partito sono sul piede di guerra e assai restie a rinunciare agli spazi che si sono conquistate portando acqua al mulino del partito.
Scalpitano i “giovani turchi” riuniti fino a tarda sera, che si sentono non rappresentati.

Giovanna Casadio
(da “la Repubblica“)

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PARTITA A SCACCHI SUL COLLE, IN PISTA BERSANI E GRASSO

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

I DEMOCRATICI INSISTONO CON IL LORO CANDDIATO PREMIER… IL PROCURATORE E’ IL PIANO B

Atteniamoci ai fatti, come invitano a fare fonti del Quirinale, che ieri mattina, davanti al buffet delle consultazioni, hanno liquidato con battute e risatine sprezzanti un quotidiano autorevole che “ha pubblicato cinque versioni diverse nello stesso giorno”. E i fatti, allora, dicono che nel primo giorno al Colle della Terza Repubblica delle tre minoranze, i due alleati del Pd alle elezioni, Sel di Nichi Vendola e il Psi di Riccardo Nencini, hanno fatto il nome di Pier Luigi Bersani al capo dello Stato come “candidato naturale” a Palazzo Chigi.
Potrà , dunque, il segretario del Pd salire oggi da Napolitano, chiudere il giro delle consultazioni e fare un passo indietro a favore di un altro “mister X” in grado di attrarre i tanto desiderati grillini?
La risposta è “no, no, no”, come assicurano fino alla noia e alla nausea dal Nazareno, ossia dalla sede nazionale del Pd a Roma.
Dice un ex ministro di centrosinistra: “Il primo tentativo è di Bersani, non ci sono alternative. Poi bisogna capire come lo consuma e questa è un’altra storia”
Il primo paletto certo è questo: oggi il segretario del Pd rivendicherà  per sè l’incarico, esplorativo o meno che sia.
La formula che userà  con “Re Giorgio” è la seguente: “Mettere se stesso e il partito a disposizione del Paese”, forte del programma di otto punti che ieri è stato inviato a tutti i parlamentari della diciassettesima legislatura. Il fatidico primo giro, per citare la metafora più gettonata in queste ore, lo farà  Bersani.
E solo al secondo potrà  spuntare il “mister X” che alimenta fantasie, scenari e retroscena.
I nomi che circolano sono tanti ma, sempre dal partito che è arrivato primo ma non ha vinto le elezioni, riferiscono che in campo c’è solo il presidente del Senato, quel Piero Grasso che ieri ha aperto il rito delle consultazioni ed è rimasto più del dovuto con Napolitano.
Il tentativo Grasso avrebbe un orizzonte ben delimitato: governo per cambiare la legge elettorale e poi alle urne “tra giugno e ottobre”, perchè la definizione della data sarà  materia del futuro presidente della Repubblica.
Oggi, il punto di contatto tra Quirinale e Pd su questa seconda ipotesi trova un forte riscontro “nell’insofferenza che Napolitano ormai prova per Monti”, cui il capo dello Stato vuole togliere l’ordinaria gestione che ancora sbriga da premier dimissionario.
Fon qui il resoconto autentico della convulsa giornata di ieri nel Pd bersaniano.
Resta da capire quale sarà  l’atteggiamento di Napolitano, che da un anno e mezzo, cioè dall’imposizione del governo Monti, viene considerato con molto sospetto dal cerchio magico del segretario democrat.
Il vero dominus di questa snervante partita a scacchi è Napolitano e per qualcuno questo sarà  l’ultimo e decisivo duello tra “Giorgio” e “Pier Luigi”.
Lo scontro potrebbe essere molto duro.
La prima mossa di sbarramento del capo dello Stato sarà  quella di fare piazza pulita delle voci su “esplorazioni” e “pre-incarichi” e attenersi alla Costituzione, che “prevede solo un mandato pieno”.
E dare un mandato pieno a Bersani è impresa quasi impossibile, visti i numeri.
Di qui il “sentiero stretto” del mancato smacchiatore del Giaguaro di Arcore.
Le subordinate dei vari piani B e C (Grasso, ma anche Onida, Saccomanni, Cancellieri) dipendono dall’esito dello scontro tra il capo dello Stato e il segretario del Pd, alla luce di quanto il giovane turco Matteo Orfini ha detto la settimana scorsa: “Non ci faremo dettare la linea da Napolitano”.
E la questione della linea, al di là  del tormentone su Bersani, potrebbe scavare un abisso tra i due ex compagni del Pci.
Il motivo per cui ieri il candidato premier del centrosinistra ha blindato il suo programma di otto punti spedendolo a tutti i deputati e senatori è chiaro: Bersani non dirà  mai sì a un governo di larghe intese che includa anche il Pdl del Cavaliere.
E su questo il Pd dovrebbe mostrarsi compatto sino in fondo.
Anche perchè B. chiede “un patto lungo” e garanzie sull’elezione del successore di Napolitano. Condizioni improponibili, “pena il suicidio elettorale del Pd”.
Al contrario, la linea di Napolitano, prima di dare l’incarico domani mattina, è “quella di aggregare il maggior numero di forze possibili”.
In questa direzione il Colle già  poteva contare sulla sponda di Berlusconi, cui ha concesso un “legittimo impedimento” almeno fino a metà  aprile.
Ieri si è aggiunta la disponibilità  di Scelta civica, il polo montiano.
In pratica, il Professore non si acconcerebbe mai a fare la stampella di Bersani in funzione dei grillini.
La soluzione più responsabile, per i centristi, è la riedizione della strana maggioranza in versione grande coalizione.
Insomma, la partita a scacchi potrebbe delineare un asse Napolitano-Berlusconi-Monti per fronteggiare il disperato tentativo di Bersani. Grasso permettendo.

Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)

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LA CARTA SEGRETA DI BERLUSCONI: “PRONTI A UN GOVERNO GRASSO”

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

NELLE CONDIZIONI IL SALVACONDOTTO E L’AMNISTIA

Disposto a tutto, pur di restare in partita, di continuare a dare le carte.
Fosse pure per i prossimi mesi, ancora meglio se per uno o due anni.
A patto che nel pacchetto, nel “do ut des” sia incluso il suo salvacondotto: in Parlamento, congelando qualsiasi blitz sulla ineleggibilità , e nelle aule di giustizia (nel quartier generale si inizia parla anche di amnistia).
Silvio Berlusconi varcherà  questa mattina la soglia del Quirinale, con Alfano e i capigruppo Schifani e Brunetta e i capigruppo della Lega.
Porteranno una carta destinata – nella loro ottica – a sparigliare gli avversari.
E a offrire una sponda «solida» al presidente Napolitano.
La formula è quella neoconiata del «governo di concordia nazionale».
Ma siccome le formule ormai vanno riempite con nomi e cognomi, la soluzione che il Cavaliere indicherà  al Colle ne comprenderà  uno di levatura «istituzionale »: Pietro Grasso.
«Bersani si è intestardito, vedrete che in prima battuta il presidente darà  a lui l’incarico esplorativo» ha spiegato ieri il capo agli stessi capigruppo e al segretario Alfano, nel pranzo- summit avuto con loro a Palazzo Grazioli.
Il Pdl però confida e già  scommette in un fallimento della «esplorazione».
A quel punto, prenderebbe piede l’opzione che porta appunto all’attuale seconda carica dello Stato, fresca di elezione, benchè proveniente dalla vituperata magistratura e dalla chiara impronta «democratica ».
Nelle ultime 48 ore sembra sia stato Giuliano Ferrara, consigliere di vecchia data, a esercitare tutta la sua influenza sulla strategia del Cavaliere.
La contropartita, per un sostegno a un governo di «alto livello», dovrà  essere l’inevitabile coinvolgimento nelle trattative per il Quirinale.
Col nuovo presidente che – nelle aspettative di Palazzo Grazioli – dovrà  garantire che Berlusconi non venga tagliato fuori dai giochi, se non messo in galera.
Sembra che i legali del leader siano già  al lavoro, tra le altre cose, sulla percorribilità  di un’amnistia, che altrettanti però ritengono di difficile adozione, non fosse altro perchè richiederebbe un voto del Parlamento (a maggioranza Pd-M5s).
Insomma, la parola chiave, prima ancora che concordia, per il leader-imputato Berlusconi, resta sempre la stessa: salvacondotto. Non solo.
Al presidente Napolitano – che già  è intervenuto due settimane fa dopo il blitz al tribunale di Milano – il leader Pdl chiederà  anche «garanzie» sul minacciato intervento in giunta per le elezioni, affinchè democratici e grillini «non si sognino» di cancellarlo dalla mappa politica decretandone l’ineleggibilità .
Nell’ottica “governissimo” il titolo della manifestazione di Piazza del Popolo di sabato pomeriggio potrebbe cambiare.
«Con Silvio», ma non più «Contro l’oppressione burocratica, fiscale e giudiziaria», bensì «Per una nuova Italia». Sarebbe la svolta «ecumenica».
Ma molto dipenderà  dall’esito delle consultazioni.
Tutto però resta confermato: previsti quasi 200 mila militanti da tutta Italia, 2500 pullman, 5 treni speciali, Berlusconi intenzionato a effettuare un sopralluogo già  domani.
Toni e linea ultimi della piazza saranno definiti dall’ufficio di presidenza fissato per la stessa mattina di sabato.
Il Cavaliere è assai galvanizzato anche per l’ultimo report consegnatogli dalla sondaggista Ghisleri e che dà  il centrodestra attestato al 30 e avanti ora di un punto rispetto alla sinistra, col M5s poco dietro.
Ecco perchè, se tutto tracolla, allora Berlusconi è già  in campagna elettorale: «Stavolta il premio di maggioranza sarebbe nostro» ripete.
Sarà  un caso, ma alle casse del Pdl il capo avrebbe fatto pervenire in questi giorni un bonifico da 15 milioni di euro.
La macchina è già  in moto.
Il bastone e la carota.
Nell’intervista a Studio Aperto ribadisce la tesi che «per uscire dalla recessione occorrono interventi forti e precisi, e solo un governo stabile, autorevole, un governo di concordia nazionale che scaturisca da una collaborazione concreta sul da farsi tra Pd e Pdl può realizzare interventi nell’interesse del Paese ».
Se la prende ancora con Bersani che corteggia Grillo «in un teatrino tragico e irresponsabile» e avverte che la piazza sarà  conseguenza diretta della «occupazione militare di tutte le istituzioni». In scia, tutti i dirigenti, dalla Gelmini alla Bernini, fanno appello a Bersani perchè «si metta l’anima in pace».
Ma lo scenario resta complesso e anche il portavoce Paolo Bonaiuti è pessimista: «Speriamo ancora che il Pd ritrovi la bussola di un governo senza i grillini, di concordia, appunto, ma sarà  difficile».
Di battaglia, così, sarà  anche il vicepresidente scelto per il Senato: Maurizio Gasparri.
Mentre alla Camera sarà  confermato Maurizio Lupi.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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BERSANI CORREGGE LA ROTTA E VALUTA IL PASSO LATERALE

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO PD POTREBBE LIMITARSI A FARE DA “REGISTA”

L’obiettivo resta chiarissimo, e non muta: un governo per il cambiamento.
Di tutto il resto – a chi l’incarico, in che tempi e con quale mandato – Pier Luigi Bersani discuterà  oggi al calar del sole con Giorgio Napolitano: senza rigidità  o, addirittura, impuntature.
«Pier Luigi, naturalmente, se la sente di gestire questa fase – annota Stefano Di Traglia, fidatissimo portavoce -. Ha inviato a tutti i parlamentari gli otto punti base del possibile programma, e questo vuol dire che vuole ed è pronto a governare. Ma adesso occorre abbassare la tensione su chi e quando avrà  un mandato dal Quirinale: perchè questo è compito di Napolitano, di cui ci fidiamo pienamente».
E così, alla vigilia dell’incontro che Bersani, Zanda e Roberto Speranza avranno oggi col Capo dello Stato, il Pd sembra correggere un po’ quella che era parsa, fin qui, la linea da tenere: e cioè, incarico pieno al segretario dei democratici per tentare di formare subito un governo.
L’operazione-«sfondamento» nei confronti dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle, infatti, non è riuscita.
Nonostante l’elezione di Grasso e Boldrini – presidenti più che nuovi – Beppe Grillo insiste nel no alla fiducia ad un esecutivo Bersani: e dunque occorre battere altre strade.
Martedì sera, il leader Pd ne ha discusso fino a notte fonda con alcuni fedelissimi (Errani e Migliavacca) oltre che con Enrico Letta e Dario Franceschini.
Approdi definiti ancora non ce ne sono: ma più d’uno dei partecipanti all’incontro avrebbe consigliato a Bersani di far precedere il suo tentativo dalla ricognizione di un “esploratore” (e il nome di Piero Grasso continua ad esser il più accreditato).
Se la correzione di rotta venisse oggi confermata nel colloquio tra la Napolitano e la delegazione Pd, la novità  troverebbe un positivo riscontro al Quirinale.
Sul Colle, infatti, l’idea resta quella di avvio: seppur insufficiente ad assicurargli una maggioranza, il risultato elettorale ha indicato in Bersani il leader della coalizione vincente: e se dunque chiedesse per sè l’incarico per tentare di formare un governo, non vi sarebbero obiezioni.
Ma il punto è: troverebbe poi una maggioranza in Parlamento?
E in un quadro così, al segretario del Pd non converebbe – forse – una esplorazione preventiva, o addirittura ritagliare per se stesso il ruolo di king maker in una fase tanto complessa?
Bersani e Napolitano ne discuteranno appunto oggi: e l’incontro servirà , magari, per chiarire altre questioni sul tappeto.
Una su tutte, forse: e cioè l’ipotesi che, di fronte al perdurare di una situazione di stallo, Napolitano possa passare la mano con un po’ di anticipo al suo successore. «Possibilità  inesistente – spiegano fonti del Quirinale -. Il presidente ha più volte ripetuto che resterà  al suo posto fino all’ultimo giorno. A meno di situazioni imprevedibili e, soprattutto, ingestibili».
Come, per esempio, quella di un presidente incaricato che sciolga la riserva, vada alle Camere ma poi non ottenga la fiducia del Parlamento.
Ipotesi più di scuola che concreta: ma eventualità  impossibile da escludere in una situazione ancora così confusa.
Tutti i partiti, per altro, cominciano a fibrillare: Pd compreso, naturalmente, soprattutto in ragione della linea proposta da Bersani (e accolta dalla Direzione) circa l’impossibilità  di unire i voti dei democratici a quelli di Berlusconi.
Di fronte al perdurare del no di Grillo a qualunque alleanza, infatti, sullo sfondo comincerebbero a stagliarsi con nettezza le elezioni anticipate.
Ed è questa la seconda partita che potrebbe lacerare il Pd.
Al voto quando? Alleati con chi? E con quale candidato premier?
Bersani immagina di poterci riprovare, se si votasse a giugno: anche per l’impossibilità  di fare nuove primarie.
Ma Matteo Renzi non è d’accordo: «In un paio di settimane potremmo organizzarle», ha spiegato ai suoi.
Si profila un nuovo braccio di ferro, insomma: come a dire sale su ferite ancora aperte.

Federico Geremicca
(da “la Stampa“)

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LA PASIONARIA DEL CAVALIERE NON PAGA I VESTITI: INGIUNZIONE DI PAGAMENTO PER 11.000 EURO

Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile

LA SENATRICE PAOLA PELINO SI ERA FATTA CONSEGNARE GLI ABITI IN ALBERGO, MA NON HA MAI SALDATO IL CONTO… LEI SI DIFENDE: “NON MI HANNO MAI FATTO LO SCONTRINO”

La senatrice del Pdl Paola Pelino ha comprato 11 mila euro di abiti firmati in una boutique, ma non li ha mai pagati.
Ed ora è stata condannata a saldare il dovuto, con tanto di spese legali. “Se li fece consegnare in albergo, assicurando che poi sarebbe passata per il saldo”, raccontano i titolari del negozio by Gabrielli di Pescara che da tre anni rincorrono la Pelino per farsi pagare.
Prima i solleciti telefonici, poi le lettere dell’avvocato. Infine la causa in tribunale.
Ora c’è una sentenza di primo grado che condanna la senatrice eletta in Abruzzo nelle fila del partito di Berlusconi a saldare il conto.
Una sentenza provvisoriamente esecutiva, con tanto d’ingiunzione in Parlamento che le ha creato non pochi imbarazzi nel suo primo giorno a palazzo Madama.
Non solo, la vicenda imbarazza anche il gruppo imprenditoriale di famiglia dell’onorevole, l’azienda di confetti Pelino di Sulmona (nota in tutto il mondo).
Senatrice, come mai non ha saldato quel conto?
Guardi, è tutta una montatura dei giornali di sinistra e dei miei avversari politici in Abruzzo.
Ma c’è una sentenza…
Mi risulta che il mio avvocato abbia presentato ricorso in appello in quanto quel negozio non mi ha mai rilasciato lo scontrino.
Il negozio replica sostenendo che “le vendite alla senatrice sono avvenute in ossequio alla disciplina tributaria” e che lei solo oggi parla di mancata emissione degli scontrini fiscali, mentre nulla aveva mai eccepito a riguardo, nonostante i diversi solleciti che le erano stati avanzati “tutti ampiamente documentabili” sostengono.
Saprò replicare nella sede dovuta.
Quei vestiti però lei li ha presi. Perchè non li ha pagati?
Ma questo cos’è, un interrogatorio? Che domande sono…
L’Espresso racconta che nella vicenda è rimasto coinvolto anche il senatore Gaetano Quagliariello.
Lasciate fuori da questa storia Quagliariello, non c’entra proprio nulla. E’ stato tirato in ballo solo perchè il giorno dell’inaugurazione del suo comitato elettorale a Pescara, la titolare del negozio mi è venuta incontro inveendo. Non l’aveva nemmeno riconosciuta.
Eppure i legali della boutique hanno dichiarato in un comunicato che il senatore Quagliariello si è recato nel negozio nel periodo pre-elettorale auspicando una composizione bonaria della vicenda.
Io sono una persona trasparente… Adesso però basta, dovete parlare con il mio avvocato.

Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica“)

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