Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
SORPRESO DAI CRONISTI, IL CINQUESTELLE ZACCAGNINI CHEDE SCUSA: “NON LO SAPEVO, RESTITUIRO’ I SOLDI”… O VIVE SULLA LUNA O CI PRENDE PER I FONDELLI, FATE VOI
“Ammetto il mio errore e sono pronto a restituire la parte eccedente del conto, che non ho pagato”.
Adriano Zaccagnini, deputato del Movimento 5 Stelle, chiede scusa ai cittadini e ai militanti, indignati dopo la foto pubblicata da “Chi” che lo ritrae a pranzo nel ristorante della Camera.
Ricordiamo che i Cinquestelle avevano fin dall’inizio affermato che avrebbero pranzato presso la mensa dei dipendenti per dare un segnale di morigeratezza.
Zaccagnini, beccato sul fatto, ora spiega ai cronisti che non sapeva “che in quel ristorante di lusso la quota a carico del deputato è di 15 euro e il resto del conto, probabilmente 80-90 euro, è a carico dei contribuenti”.
Pazienza che non lo sappia l’uomo comune, poco incline a ricordare i privilegi della casta, ma che il deputato di un partito che ha fatto della lotta agli sprechi una bandiera (troppo spesso ammainata peraltro) faccia finta di cascare dal pero è davvero il massimo dell’ipocrisia.
“In totale sono stato a mangiare lì tre volte. Pensavo che in quel ristorante si risparmiasse in confronto a un locale del centro di Roma”.
Certo che si risparmia, la quota maggiore la paga il contribuente, lo sanno tutti salvo Zaccagnini.
Il quale evidentemente non si è mai posto la domanda su dove andassero a pranzo i colleghi e il motivo per cui non hanno diviso il tavolo con lui.
L’ennesimo episodio che sta dimostrando che la selezione della classe dirigente grillina fa acqua da tutte le parti, non solo i curriculum via internet, ma anche le scelte dirette.
Ora si scopre che pure i due badanti chamati a sorvegliare i deputati sono poco consoni al “non statuto”: uno è indagato per ricettazione e pontifica che l’Aids non è contagioso, l’altro era stato già candidato dell’Idv.
E’ il nuovo che avanza.
argomento: Grillo | Commenta »
Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
“IL PIL CRESCEREBBE DELL’1% PER I PRIMI TRE ANNI, FINO AD ARRIVARE ALL’1,5% NEL 2018″… GLI INDUSTRIALI CHIEDONO AL GOVERNO UN PROVVEDIMENTO PER IL PAGAMENTO IMMEDIATO
La liquidazione dei crediti delle imprese da parte della Pubblica amministrazione potrebbe portare a una creazione, in 5 anni, di 250mila nuovi occupati e a una crescita del Pil dell’1% per i primi 3 anni, fino ad arrivare al +1,5% nel 2018.
Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, citando i dati del centro studi di Viale dell’Astronomia e chiedendo al Governo un provvedimento per il pagamento immediato.
Confindustria “auspica che il governo in carica provveda tempestivamente ad adottare, già dal prossimo consiglio dei ministri, tutti i provvedimenti necessari per la liquidazione di quanto spetta alle imprese, come indicato dalla Commissione europea e chiaramente emerso dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio”.
Lo stesso premier Mario Monti, infatti, ricorda ancora Squinzi, “aveva manifestato la disponibilità a lavorare con la Commissione per identificare le soluzioni e avviare la liquidazione del debito nel più breve tempo possibile”.
La restituzione “immediata” dei crediti che le aziende vantano nei confronti della Pa “determinerebbe una serie di ricadute positive, e non scontate, sull’economia reale”, insiste ancora Squinzi che calcola come la restituzione debba ammontare ad almeno 48 miliardi, i due terzi di quanto complessivamente dovuto a fine 2011.
Ieri l’Agenzia delle Entrate aveva annunciato la restituzione di un miliardo di crediti Iva, lunedì, invece era arrivata l’apertura Antonio Tajani e Olli Rehn, vicepresidenti della Commissione Ue che avevano dato il via libera all’Italia per il pagamento dei debiti pregressi della Pubblica amministrazione attraverso l’emissione di nuovi titoli di Stato.
La Ue ha riconosciuto che se lo Stato italiano utilizzerà questa modalità per pagare i debiti con le aziende non scatterà la procedura di infrazione per avere sforato il limite del deficit.
Tra l’altro, i debiti della Pubblica amministrazione verso le aziende sono debiti già iscritti in bilancio e già contabilizzati nel debito pubblico.
Il problema del pagamento di questi debiti alle aziende è che, se fosse effettuato tutto in un’unica soluzione, andrebbe ad impattare sul deficit e sui relativi parametri imposti dalla Ue (deficit al di sotto del 3% del Pil).
Pagando invece le imprese con titoli di Stato (che poi potrebbero rivendere sul mercato), lo Stato non avrebbe un esborso immediato di cassa e quindi la misura non impatterebbe sul deficit mantenendo invariato il Debito pubblico.
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
VORTICOSO GIRO DI POLTRONE PER ASSICURARE UN POSTO A DUE TROMBATI DALLA POLITICA
Il Cota II nasce con l’obiettivo di dare “nuovo slancio alla giunta per portare a termine la legislatura, vogliamo dar volto ad un governo dei migliori e abbiamo selezionato la miglior classe politica, spiega il presidente prima di firmare la nomina degli assessori e le loro deleghe.
Quattro nuovi assessori: Pichetto (Pdl), Ghiglia (Fratelli d’Italia), Vignale (Progett’Azione) e Molinari (Lega Nord).
Escono dalla giunta Casoni, Maccanti e Monferino che resta consulente a titolo gratuito del governatore.
I rapporti con il Consiglio sono affidati a Giovanna Quaglia che si occuperà di Urbanistica al posto di Cavallera dirottato alla Sanità .
A Pichetto il Bilancio, Programmazione economico finanziaria e Patrimonio, mentre Agostino Ghiglia assume le deleghe alla ricerca, partecipate, commercio e artigianato. I rapporti con l’Università saranno affidati a Molinari che si occuperà anche di rapporti istituzionali e polizia locale.
Vignale si occuperà invece del personale e modernizzazione della pubblica amministrazione, parchi, attività estrattive ed economia montana.
Restano immutate le altre deleghe: Bonino (Infrastrutture), Porchietto (Lavoro), Sacchetto (Agricoltura), Ravello (Ambiente), Coppola (Cultura) e Cirio (Turismo). Tra le deleghe spunta anche quella ai tartufi, la tartificoltura, affidata proprio quest’ultimo.
Cota ha spiegato che serve per dar forza alla candidatura di Langhe e Roero come patrimonio Unesco.
Ma l’opposizione ha le idee chiare: «Cota è come Pinocchio: promette di ridurre il numero degli assessori e non lo fa. Anzi spende in più per la scelta di tre esterni. Hanno scelto come assessori due trombati alle politiche”
Maurizio Tropeano
(da “la Stampa”)
argomento: LegaNord | Commenta »
Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
I DUE VETTORI RISCHIANO IL FALLIMENTO, MENTRE LO LOW COAST PROSPERANO
Mentre secondo l’associazione internazionale del trasporto aereo (Iata) le prospettive di crescita dei ricavi del settore aereo per il 2013 migliorano leggermente (+1,6% a 10,6 miliardi di dollari l’utile atteso dal settore a fine anno contro gli 8,4 miliardi stimati in precedenza) per le compagnie aeree italiane i tempi restano difficili.
Da Alitaliaa Meridiana Fly, passando per la chiusura nella scorsa estate di WindJet, le perdite nel settore aereo italiano sono molto ingenti. Il 2012 è stato l’anno orribile per queste compagnie, sotto la pressione concorrenziale dei vettori low cost. In particolare Ryanair ed Easyjet, che continuano incessantemente il loro sviluppo facendo buoni profitti.
La compagnia low cost irlandese, Ryanair, ha annunciato nei giorni scorsi di essere diventata leader del mercato italiano con 22,9 milioni di passeggeri, davanti proprio al vettore di bandiera Alitalia che avrebbe trasportato “solo” 22,3 milioni di passeggeri. Questa leadership è veritiera, ma bisogna tenere conto che Alitalia, con l’aggiunta dei passeggeri trasportati da Airone, rimane comunque leader del solo mercato italiano con 24,3 milioni di passeggeri.
Quindi Ryanair ha sorpassato Alitalia, ma non il gruppo Alitalia.
La leadership è tuttavia poco importante, perchè mentre Ryanair ha annunciato ancora una volta utili, Alitalia si trova nella situazione finanziaria più complicata dalla rinascita della “Fenice” degli imprenditori italiani, i cosiddetti capitani coraggiosi di Silvio Berlusconi capitanati da Roberto Colaninno e finanziati da Banca Intesa allora nelle mani di Corrado Passera.
Le perdite accumulate dal 2009 alla fine del 2012 ammontano infatti a 844 milioni di euro, con un netto peggioramento nell’ultimo bilancio.
Il rosso dell’ultimo esercizio è stato di 280 milioni di euro, contro i 69 milioni dell’anno precedente.
Anche il numero complessivo di passeggeri è diminuito, passando da 25 milioni di persone del 2011 ad appunto 24,3 milioni, in discesa quindi del 2,9 per cento.
Anche il mercato aereo complessivo italiano è in leggera decrescita, ma la riduzione Alitalia è stata maggiore di quella del mercato, facendo così scendere la quota di mercato sotto il 21 per cento, ai minimi di sempre.
Prima del fallimento, la vecchia Alitalia aveva quote di mercato di circa il 30 per cento, senza oltretutto conteggiare Airone che è stata assorbita dalla nuova compagnia.
Il nuovo vettore è dunque molto piccolo, tenendo in considerazione che i principali competitor hanno ormai tutti oltre 50 milioni di passeggeri.
In particolare Lufthansa supera i 100 milioni di passeggeri l’anno, mentre AirFrance — KLM e Ryanair si avvicinano agli 80 milioni.
La principale debolezza di Alitalia rimane la sottocapitalizzazione e il prestito di quasi 150 milioni di euro dei soci non cambia la situazione.
La compagnia era scesa a fine dello scorso anno sotto gli 80 milioni di disponibilità finanziaria netta, con delle chiare problematiche per arrivare alla fine dell’inverno.
È la ragione per cui si è reso necessario un intervento urgente.
L’ipotesi che avrebbe dato maggiore stabilità sarebbe stata quella di mettere i soldi direttamente nella compagnia, tramite una ricapitalizzazione, in modo che la continuità operativa fosse stata certa anche dopo l’estate.
Un prestito infatti deve essere restituito, anche se sono i soci a farlo.
Problemi finanziari li ha avuti anche Meridiana, la seconda compagnia di bandiera italiana.
Il principale azionista, l’Aga Khan, è stato costretto a ricapitalizzare, viste le perdite pari a 190 milioni di euro nel 2012.
Conteggiando le perdite Alitalia con quelle di Meridiana si arriva alla cifra astronomica di 470 milioni di euro.
Da cosa deriva questo “buco” tutto italiano? In primo luogo da fattori esterni. Il mercato italiano è maggiormente in crisi rispetto ad altri a causa della forte caduta del prodotto interno lordo.
La crisi economica è più forte in Italia che in altri Paesi europei e la conseguenza è quella che le compagnie con il business maggiormente concentrato nel nostro Paese, soffrono in maniera più forte.
Inoltre il prezzo del carburante rimane estremamente elevato, sempre sopra i 100 dollari al barile, di fatto rendendo inutili le azioni delle compagnie di riduzione di tutti gli altri costi.
Vi è anche l’effetto dollaro, dato che un euro un po’ più debole provoca un aumento dei costi delle compagnie europee che acquistano il carburante nella valuta americana.
La crisi non è tuttavia solamente italiana, dato che tutti i vettori europei sono in forte difficoltà , da AirFrance-KLM, alle prese con un duro piano di ristrutturazione, fino ad Iberia che sta attraversando il peggior periodo della propria storia con perdite per centinaia di milioni di euro e con un taglio del personale che supera i tremila dipendenti.
La crisi, però, è maggiormente delle compagnie italiane, dato che i vettori low cost tendono a prosperare e a crescere nel mercato italiano.
Quali sono dunque le particolarità dei due vettori?
Alitalia soffre di una mancanza di investimenti da parte dei propri soci.
Dopo l’investimento iniziale, la compagnia ha cominciato a bruciare tutto il capitale con quattro anni di seguito di perdite nette.
La flotta di Alitalia è stata rinnovata nel medio raggio, mentre è rimasta molto esigua nel settore a lungo raggio, che è quello maggiormente profittevole.
Meridiana invece ha sempre avuto un socio forte, l’Aga Khan, che fino adesso non si è mai tirato indietro nel ricapitalizzare l’azienda.
Tuttavia una situazione stand alone per il vettore sardo non è più sostenibile, in un mercato aereo come quello mondiale che vede una competizione sempre più accesa.
Vi può essere allora un problema di management?
Alitalia ha cambiato per la seconda volta in un anno il proprio amministratore delegato.
Andrea Ragnetti, che aveva sostituito Rocco Sabelli alla guida del vettore solo un anno orsono, si è dimesso nelle scorse settimane. Al suo posto ha preso la cloche della compagnia il presidente Roberto Colaninno.
Anche Meridiana ha visto un cambio al vertice abbastanza rapido e questa instabilità certo non giova allo sviluppo di strategie continuative da parte delle compagnie aeree.
Questo problema allora è solo uno dei tanti che colpiscono questi due vettori che rischiano nel corso del 2013 di arrivare vicini al fallimento.
Sono più particolarità che costruiscono un quadro davvero molto incerto.
E l’insieme delle problematiche rende molto oscuro il futuro delle compagnie italiane.
Andrea Giuricin
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Alitalia | Commenta »
Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
SI ALLARGANO LE DISTANZE SOCIALI: A RISCHIO POVERTA’ 39 FAMIGLIE SU 100
La crisi degli ultimi anni ha allargato il divario Nord-Sud. Ad affermarlo è il Censis, che oggi a Roma ha presentato il rapporto “La crisi sociale del Mezzogiorno”, realizzato nell’ambito dell’iniziativa annuale “Un giorno per Martinoli.
Guardando al futuro”. La ricerca è stata presentata da Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, presidente e direttore generale del Censis.
Secondo lo studio, tra il 2007 e il 2012 nel Mezzogiorno il Pil si è ridotto del 10 per cento in termini reali a fronte di una flessione del 5,7 per cento registrata nel Centro-Nord.
“Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro — afferma il Censis -, 5 anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi. Nella crisi abbiamo perso quindi 113 miliardi di euro, molto più dell’intero Pil dell’Ungheria, un Paese di quasi 9 milioni d’abitanti. Di questi, 72 miliardi di euro si sono persi al Centro-Nord e 41 miliardi (pari al 36 per cento) al Sud”.
Ma per il Censis, la recessione attuale è solo l’ultimo tassello di una serie di criticità che si sono stratificate nel tempo: “Piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a spezzarlo. Negli ultimi decenni il Pil pro-capite meridionale è rimasto in modo stabile intorno al 57 per cento di quello del Centro-Nord, testimoniando l’inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo messe in atto, che non hanno saputo garantire maggiore occupazione, nuova imprenditorialità , migliore coesione sociale, modernizzazione dell’offerta dei servizi pubblici”.
Per il Censis, la bassa crescita del nostro Paese è fortemente influenzata dal dualismo territoriale. “Fra i grandi sistemi dell’euro zona l’Italia è il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali. Se si confronta il reddito pro-capite delle tre regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell’area dell’euro emerge che l’Italia ha il maggior numero di regioni con meno di 20 mila euro pro-capite: sono 7 rispetto alle 6 della Spagna, le 4 della Francia e una sola della Germania.
All’estremo opposto, la Germania ha 10 regioni con oltre 30 mila euro pro-capite, la Francia la sola Ile-de-France, mentre l’Italia ne ha 5 e la Spagna nessuna. Il Centro-Nord (31.124 euro di Pil per abitante) è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro.
Mentre i livelli di reddito del Mezzogiorno sono inferiori a quelli della Grecia (17.957 euro il Sud, 18.454 euro la Grecia)”.
Il mercato del lavoro si destruttura e si impoverisce.
Dei 505 mila posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60 per cento ha riguardato il Mezzogiorno (più di 300 mila).
Il Sud paga la parte più cospicua di un costo già insopportabile per il Paese e si conferma come un territorio di emarginazione di alcune categorie sociali, come i giovani e le donne.
“Un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro (in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 25 per cento) — sottolinea il Censis -.
Se poi oltre a essere giovani si è donne, la disoccupazione sale al 40 per cento.
Il tasso di disoccupazione femminile totale è del 19 per cento al Sud a fronte di un valore medio nazionale dell’11 per cento.
I disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7 per cento a fronte del 10 per cento nel Mezzogiorno”.
Un sistema imprenditoriale già fragile e diradato quello del Meridione, se messo a confronto con quello del Centro-Nord.
Un sistema che “è stato sottoposto negli ultimi anni a un processo di progressivo smantellamento, costellato da crisi d’impresa molto gravi come quelle dell’Ilva di Taranto e della Fiat di Termini Imprese”.
Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell’industria meridionale si sono ridotti del 15,5 per cento (con una perdita di oltre 147 mila unità ) a fronte di una flessione del 5,5 per cento nel Centro-Nord.
Oltre 7.600 imprese manifatturiere del Mezzogiorno (su un totale di 137 mila aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1 per cento e punte superiori al 6 per cento in Puglia e Campania.
Si allargano le distanze sociali.
Secondo lo studio del Censis, “il Mezzogiorno resta un territorio in cui le forme di sperequazione della ricchezza non diminuiscono, ma anzi si allargano.
Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza più elevati della media nazionale.
Il 26 per cento delle famiglie residenti nel Mezzogiorno è materialmente povero (cioè con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate a sostenere tali spese per mancanza di denaro) a fronte di una media nazionale del 15,7 per cento.
E nel Sud sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6 per cento”.
Con un aggravio, secondo il Censis: “Il persistere di meccanismi clientelari, di circuiti di potere impermeabili alla società civile e la diffusione di intermediazioni improprie nella gestione dei finanziamenti pubblici contribuiscono ad alimentare ulteriormente le distanze sociali impedendo il dispiegarsi di normali processi di sviluppo”.
Fondi europei: risorse non spese e programmi inefficaci.
I contributi assegnati per i programmi dell’Obiettivo Convergenza destinati alle regioni meridionali ammontano a 43,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013.
A meno di un anno dalla chiusura del periodo di programmazione risulta impegnato appena il 53 per cento delle risorse disponibili e spesi 9,2 miliardi (il 21,2 per cento). “Anche l’efficacia dei programmi attivati con i fondi europei è discutibile. Al contrario di ciò che è accaduto in altri Paesi con un marcato dualismo territoriale, in Italia la convergenza tra Sud e Nord non si è mai realmente affermata. Prova ne è il fatto che nel prossimo ciclo di programmazione l’Ue stima che la popolazione sottoposta all’Obiettivo Convergenza passerà in Italia dall’11 per cento al 14 per cento del totale, mentre altri Paesi vedranno calare drasticamente tale quota: la Germania passerà dal 5,4 per cento allo 0 per cento e la Spagna dal 9,1 per cento allo 0,9 per cento.
(da “Redattore Sociale”)
Scuola e formazione: si spende di più che nel resto del Paese, ma i risultati sono peggiori. Per il Censis, “uno dei principali fattori di debolezza del Sud è ancora oggi l’incapacità del sistema educativo di accompagnare i processi di sviluppo attraverso la formazione di un capitale umano qualificato, contribuendo così a contrastare il disagio sociale ed economico della popolazione”. La spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel Mezzogiorno è molto più alta di quella destinata al resto del Paese: il 6,7 per cento del Pil contro il 3,1 per cento del Centro-Nord, ovvero 1.170 euro pro-capite nel Mezzogiorno rispetto ai 937 del resto d’Italia (ovvero il 24,9 per cento in più). Eppure, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2 per cento al Sud e del 16 per cento al Centro-Nord, i livelli di apprendimento e le competenze sono decisamente peggiori, tutte le regioni meridionali si caratterizzano per una incidenza del “fenomeno Neet” superiore alla media nazionale: il 31,9 per cento dei giovani di 15-29 anni non studiano e non lavorano, con una situazione da emergenza sociale in Campania (35,2 per cento) e in Sicilia (35,7 per cento). E il 23,7 per cento degli iscritti meridionali all’università si è spostato verso una localizzazione centro-settentrionale, contro una mobilità di solo il 2 per cento dei loro colleghi del Centro e del Nord.
L’abbandono della sanità pubblica e i bisogni assistenziali crescenti. “Il progressivo deterioramento dei servizi sanitari negli ultimi cinque anni è riferito dal giudizio dei cittadini: lo afferma il 7,5 per cento al Nord-Ovest, l’8,7 per cento al Nord-Est, il 25,6 per cento al Centro e addirittura il 32,1 per cento al Sud. Il 17,1 per cento dei residenti meridionali si è spostato in un’altra regione per farsi curare, non fidandosi della qualità e della professionalità disponibili nella propria. Forte è la tendenza all’aumento della longevità . Si prevede al 2030 un incremento della popolazione anziana di oltre il 35 per cento contro dinamiche di crescita meno marcate nelle altre aree geografiche. In parallelo crescerà molto anche il numero dei non autosufficienti, destinati a superare i 783 mila, con un balzo di oltre il 50 per cento”.
(da “Redattore Sociale“)
argomento: Lavoro | Commenta »
Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
“BERGOGLIO SI CONCEPISCE PRIMUS INTER PARES”…”SAN FRANCESCO NON USCI’ MAI DALLA CHIESA MA LA RIBALTO'”
«Francesco mi ricorda Carlo Maria Martini. Come l’ex arcivescovo di Milano, egli ha capito che la Chiesa prima di giudicare deve perdonare. Prima viene la misericordia, poi il giudizio».
Massimo Cacciari, filosofo, si aspettava un Papa di nome Francesco?
«Me lo auguravo. Ritenevo che la Chiesa ne avesse estremo bisogno. Perchè il nome Francesco evoca, naturalmente, la possibilità che si apra una riforma interna della Chiesa e, insieme, un nuovo dialogo con i non credenti, due missioni oggi ineludibili. San Francesco d’Assisi uscì dal recinto della Chiesa e andò incontro al mondo. Sapeva bene cosa era il mondo, quali le sue pratiche, ma prima di puntare il dito perdonava. Sapeva che Dio è amore e che l’amore deve venire prima del giudizio. Certo, non tradiva la Chiesa, non tradiva ciò in cui credeva, conosceva bene chi era il nemico della Chiesa, ma cercava l’abbraccio prima di altro»
Papa Francesco farà allo stesso modo?
«Le premesse sembrano dire di sì. Sbaglia però chi pensa che andrà oltre il consentito, oltre la dottrina per intenderci. Non dimentichiamo che San Francesco, seppure potesse essere scambiato per un cataro per la sua povertà e la predicazione ai ceti subalterni, non abbracciò mai quella eresia. Così Bergoglio, come molti suoi confratelli vescovi latino americani, non farà tradimenti dottrinali. Le aperture della teologia della liberazione, insomma, non gli appartengono. Eppure nella forma credo che tutto sarà diverso».
Quale gesto del Papa l’ha colpito di più in questa prima settimana di pontificato?
«Senza dubbio il fatto che continuamente dice di essere il “vescovo” di Roma e mai il “Papa”, il “Pontefice”. È un cambio sostanziale. Significa che egli si concepisce “primus inter pares”, una visione di sè che può avere ripercussioni enormi su tutta la cristianità ».
Nella messa d’inizio pontificato, ha definito il potere come un servizio. Inizia un’epoca diversa anche nei rapporti fra Chiesa e politica?
«Sono convinto che nei confronti delle vicende politiche, specie italiane, egli manterrà una sovrana indifferenza».
Sul piatto del pontificato ci sono i non semplici rapporti fra Chiesa e contemporaneità . Sfide delicate, che spesso portano allo scontro. Come agirà Francesco?
«L’auspicio è che imiti Martini. Aveva capito che certe sfide che toccano nel profondo la vita di credenti e non credenti, pensiamo anche soltanto al tema della sessualità , non vanno affrontate una a una, di trincea in trincea. Se la Chiesa agisce così viene fatta a pezzi. Piuttosto dovrà cercare di aggirare gli ostacoli annunciando anzitutto Cristo. Nel Vangelo non ci sono massime precise di comportamento, il messaggio insomma non viene mai ridotto a misura etica».
Ratzinger, nelle meditazioni alla via crucis del 2005, parlò della «sporcizia» presente nella Chiesa. Per molti il nome Francesco evoca anzitutto la volontà di riformare la Chiesa dal carrierismo e dalle sporcizie interno. Condivide questa prospettiva?
«San Francesco non uscì mai dalla Chiesa eppure la ribaltò. Lo fece nella consapevolezza che la Chiesa tende a essere città di Dio senza riuscire a esserlo compiutamente in questo mondo. Nella Chiesa esiste il peccato e San Francesco lo sapeva bene. Così il nuovo Papa senz’altro cercherà di sradicare il male interno, ma lo farà anche qui con misericordia, consapevole che la Chiesa è santa e insieme peccatrice».
Paolo Rodari
(da “la Repubblica“)
argomento: Chiesa | Commenta »
Marzo 21st, 2013 Riccardo Fucile
IN TRE CASI SI TRATTA DI SUICIDIO, NEGLI ALTRI TRE LE CAUSE NON SONO STATE ANCORA ACCERTATE
Nelle carceri italiane si continua a morire: sono 6 i decessi nei primi 15 giorni di marzo. In tre casi si tratta sicuramente di suicidio, mentre per gli altri 3 casi le cause non sono ancora state accertate.
Ecco i casi riportati dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti Orzzonti.
Opg di Reggio Emilia, 16 marzo 2013: un detenuto ghanese di 47 anni si toglie la vita. L’uomo si è inferto una ferita allo stomaco ed è stato portato d’urgenza al pronto soccorso dell’Arcispedale Santa Maria Nuova.
I medici hanno tentato di operarlo per salvargli la vita, ma la ferita era troppo profonda. Il 47enne si è spento sabato mattina presto nel reparto di Chirurgia.
Casa di Reclusione di Massa Carrara, 18 marzo 2013: detenuto muore in cella il giorno prima di uscire in permesso premio. Non si hanno ulteriori notizie.
Casa Circondariale di Milano San Vittore, 15 marzo 2013: detenuto muore nella notte. Era rinchiuso nel terzo raggio e di nazionalità straniera.
Opg di Reggio Emilia, 13 marzo 2013: Daniele De Luca, 29 anni, originario di Roma, detenuto per “reati minori”, viene ritrovato morto in cella. Il corpo viene trasferito all’obitorio di Coviolo.
Casa Circondariale di Pescara, 8 marzo 2013: un detenuto tunisino viene ritrovato senza vita nella sua cella. Secondo i primi risultati dell’autopsia la morte è dovuta ad “asfissia acuta”.
Casa Circondariale di Crotone, 6 marzo 2013: Pasquale Maccarrone, 27 anni, si impicca al letto a castello della cella (nella quale era rinchiuso da solo!). Era stato arrestato il giorno precedente con l’accusa di aver preso parte ad una rapina.
(da “Redattore Sociale“)
argomento: Giustizia | Commenta »