Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
MARIO SBERNA (SCELTA CIVICA) MANTIENE LA PROMESSA FATTA IN CAMPAGNA ELETTORALE… IL PRIMO GIORNO ALLA CAMERA CON I SANDALI
Detto fatto.
Come annunciato in campagna elettorale, Mario Sberna ha mantenuto la promessa.
Parte del suo stipendio in beneficenza.
Bresciano, cinque figli, deputato di Scelta Civica, Sberna è quel deputato che appena eletto, si presentò alla Camera con ai piedi dei sandali.
Novità : un «onorevole francescano» proprio nei giorni dell’elezione del papa Francesco. Sembrava uno auto-spot.
Lui spiegava: «In quaresima indosso sempre i sandali» e svelava anche che nella Capitale aveva scelto un convento di suore (le Pie operaie) come dimora.
Ora torna si torna a parlare di lui perchè sabato scorso ha ricevuto il primo stipendio da deputato: 7.268,53 euro per il mese di marzo e 11.657,24 euro per il mese di aprile.
E cosa fa Sberna?
Trattiene per sè solo 2.500 euro mensili, ovvero lo stipendio percepito prima che entrasse in politica, oltre alle spese vive sostenute per il soggiorno a Roma, variabile da mese a mese e comunque tutto documentato.
E il resto della cifra?
Tutto devoluto in beneficenza.
Sberna in una nota precisa che tutta la lista dei movimenti del conto corrente è pubblicata sul suo sito (www.mariosberna.it).
Tra i maggiori destinatari: il conto dedicato dall’Associazione nazionale famiglie numerose all’aiuto diretto alle famiglie in difficoltà , di cui era presidente (ha inviato 4000 euro).
Dom Pedro Josè Conti, vescovo missionario in Amazzonia (cui ha inviato 1.500 euro), la Medicus Mundi Attrezzature, cooperativa sociale Onlus che realizza ospedali e posti di salute nel sud del mondo (destinataria di 1.000 euro).
Alcune spese sono già state anticipate, destinate a famiglie bisognose che non sapevano come pagare l’affitto o bollette per utenze domestiche.
Forse cambieranno i destinatari ma sarà così tutti i mesi. I
nfine, una curiosità : Mario Sberna tiene con sè tante monete da due euro, per fare elemosina di strada: «Roma è una città che impressiona per il numero di poveri che dormono e vivono in strada».
Nino Luca
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
CAMUSSO: “POLITICHE DEL LAVORO SONO PIU’ IMPORTANTI”… LA SINISTRA TACE COME SEMPRE…ALLA FINE PER NON FAR PAGARE 250 EURO DI MEDIA A FAMIGLIA TASSERANNO I PANINI CHE LA CARITAS DISTRIBUISCE AI POVERI, COSI’ BRUNETTA SI SENTIRA’ REALIZZATO
Promessa ieri nel discorso programmatico dal premier Enrico Letta, l’abolizione dell’Imu potrebbe trasformarsi in un boomerang.
E già adesso comincia a creare le prime grane al nuovo esecutivo.
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini di buon mattino precisa: “Quella annunciata ieri dal premier è solo una proroga della rata di giugno”.
Insorge il Pdl, con il senatore Altero Matteoli che chiede al governo di chiarire in sede di replica al Senato prima del voto di fiducia.
E interviene il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio: “La rata di giugno verrà sospesa in attesa di un nuovo regime che possa aiutare le famiglie meno abbienti”.
Ma a Silvio Berlusconi non basta. “Se non c’è la cancellazione dell’Imu, non ci stiamo”.
E, arrivando in Senato, dice ai giornalisti di essere “fiducioso,” sia sull’abrogazione per il futuro che sulla restituzione dell’Imu: “Non sosterremmo un governo che non attua queste misure nè lo sosterremmo dall’esterno. Abbiamo preso un impegno con gli elettori e vogliamo mantenerlo”.
A ribadire il concetto il coro dei fedelissimi: da Renato Brunetta, presidente dei deputati del Pdl, alla senatrice Anna Maria Bernini, tutti sono concordi nel ritenere l’eliminazione della tassa una condizione “imprescindibile”, su cui “non si può tornare indietro”.
Ma dall’Ue arriva già un monito neanche troppo sottinteso, il cui senso è “attenti a quello che fate”.
Un portavoce della Commissione Ue, a chi gli chiedeva se Bruxelles accetterebbe l’abolizione della tassa sulla casa, ha risposto: “Gli obiettivi di bilancio per l’Italia non cambiano e il nuovo governo dovrà dire come intende rispettarli senza nuovo indebitamento”.
Neanche ai sindacati Cgil, Cisl e Uil va bene l’idea che si abolisca tout court l’Imu sulla prima casa: “Così vengono sottratte risorse a politiche più necessarie – sostiene Susanna Camusso, segretario Cgil – Bisogna scegliere e dire che si difendono le persone con una sola casa, non chi ha 20 ville e 37 appartamenti, e con valore basso”.
Le facili promesse sono come le bugie: hanno le gambe corte.
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
OLTRE AGLI ELETTORI DI SINISTRA, SONO STATI TAGLIATI FUORI ANCHE I DIRIGENTI STORICI… DURA DA DIECI ANNI L’INCAPACITA’ DEI VERTICI DI INTERPRETARE I SENTIMENTI DELLA BASE: L’ESEMPIO DEI REFERUNDUM
A parziale consolazione di quei milioni di elettori di sinistra che si sentono tagliati fuori dalla scena politica (no, non avevano votato per fare un governo con Berlusconi), va detto che una sorte analoga è toccata alla classe dirigente della sinistra storica quasi al completo.
Il “quasi” è dovuto all’autorevolissima eccezione di Giorgio Napolitano, riconfermato al Colle e primo artefice del nuovo governo.
Meritato coronamento della vocazione governativa e lealista della destra comunista, da sempre capace di interpretare, nella lunga storia repubblicana, il punto di vista dello Stato ben più di quello della società , dei movimenti, degli umori popolari.
Di tutto il resto — quel cospicuo resto che è la sinistra di Berlinguer e di Occhetto, della Bolognina e della “svolta maggioritaria” di Veltroni al Lingotto, dell’Ulivo, dei sindacati e dei movimenti di massa, dei due milioni di persone con Cofferati al Circo Massimo, dei cortei infiniti e delle infinite attese di “cambiamento” — non rimane, nel consociativismo lettiano, alcuna presenza riconoscibile e significativa.
Almeno in questo senso il principio di rappresentatività è rispettato: eletti ed elettori di quel grande ceppo fondante del Pd che fu la diaspora comunista non fanno parte del governo Letta. Non un solo leader della generazione di mezzo (i D’Alema, i Veltroni, i Bersani) è direttamente partecipe di una compagine che pure pretende di reggersi su tante gambe quante sono quelle all’altezza dell’emergenza politica, e dunque della responsabilità istituzionale.
Domina la componente popolare e cristiano sociale; e nei pochi casi (vedi le neoministre Kyenge e Idem) in cui la sinistra italiana può riconoscere almeno qualcuna delle proprie migliori aspirazioni, non si tratta di dirigenti politiche ma di una sorta di evidenza sociale che bypassa il partito: è il partito che le porta in spalla, ma sono loro a salutare la folla.
A meno che, in questo scomparire di una intera generazione di capi politici della sinistra, ci sia un sottile calcolo (“meglio, in questa fase, farsi notare il meno possibile”), se ne deve dedurre un fallimento epocale.
Quello di una classe dirigente logorata dal tatticismo e sfibrata dalle rivalità interne; e di un modello di partito così poco permeabile alla società che, evidentemente, non ha potuto selezionare i propri uomini e le proprie donne nel vivo dei conflitti, e si è illuso di potere coltivare in vitro, nel chiuso dei propri ruoli di competenza, una èlite che invecchiava, perdeva mordente, perdeva sguardo su una società che guardava a sua volta altrove.
In una recente intervista al “Manifesto” di Stefano Rodotà , al netto delle opinioni che si possono avere sulla persona e sul tentativo politico di portarlo al Colle, ci si riferiva a un episodio che fotografa con assoluta spietatezza la crisi strutturale della sinistra italiana, e del Pd in particolare. Subito dopo la clamorosa e inattesa vittoria nei cinque referendum del 2011 sull’acqua pubblica e altro (quorum ottenuto, dopo molti anni, grazie all’auto-organizzazione sul territorio), Rodotà racconta di avere inutilmente sollecitato un incontro tra i Comitati vittoriosi (con i quali aveva lavorato) e i dirigenti del Pd.
Quell’incontro non ebbe luogo, forse non interessava o forse nel Pd c’erano cose più urgenti da fare.
Fatto sta che, con il senno di poi, possiamo ben dire che in quel caso la sinistra perdente (quella degli apparati) perse l’occasione di confrontarsi con la sinistra vincente, quella auto-organizzata, vivace, attiva che ebbe tante parte, tra l’altro, anche nella vittoria di Pisapia a Milano e nella caduta del centrodestra in molte città italiane.
Perchè quell’episodio è amaramente simbolico?
Perchè da molti anni — diciamo, per comodità , dalla Bolognina a oggi: e sono più di vent’anni — ogni tentativo di osmosi tra la sinistra-partito e la sinistra-popolo ha cozzato una, dieci, cento, mille volte contro finestre e porte chiuse.
La domanda è semplice, ed è tutt’altro che “populista”, riguardando, al contrario, il tema cruciale della formazione di una èlite: quanti potenziali leader, quanti quadri politici appassionati, quante nuove idee, quanta innovazione, quanta energia è stata perduta dalla sinistra italiana a causa, soprattutto, della sua incapacità di fare interagire le sue strutture politiche e il suo popolo, i dirigenti e i cittadini?
Quante di quelle energie sono confluite nelle Cinque Stelle, portandosi dietro altrettanti voti? Quanto alto è stato il costo politico di un partito che per timore di perdere “centralità ” ha perduto realtà , e infine ha perduto competenze, autorevolezza, e con l’autorevolezza il senso stesso della missione di qualunque vera avanguardia politica?
Infine e soprattutto: per quanti anni ancora varrà , a sinistra, il pregiudizio contro il “radicalismo minoritario” (sono state queste, più o meno, le ragioni addotte da alcuni per spiegare il loro no a Rodotà ), quando le sole vittorie recenti, dall’acqua pubblica alle amministrative, sono il frutto evidente di scelte radicali, e non per questo meno popolari, e infine maggioritarie?
Chi è più snob — per usare un termine tanto di moda — Rodotà che lavora con i Comitati per l’acqua e vince il referendum o un partito così castale, così impaurito da rinserrarsi a litigare, per anni, nel chiuso delle proprie stanze?
Michele Serra
(da “la Repubblica“)
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
LA MAPPA DI ROMA SEGNATA, LA PUNTA DI TRAPANO, IL VESTITO, IL MODO PROFESSIONALE CON CUI HA SPARATO
Una punta da trapano nascosta nella borsa.
È il dettaglio nuovo che conferma i dubbi sulla ricostruzione fatta da Luigi Preiti, l’uomo che domenica mattina ha sparato contro i due carabinieri in servizio di sorveglianza davanti palazzo Chigi.
Proprio con quell’attrezzo l’attentatore potrebbe aver cancellato i numeri di matricola della pistola Beretta 7,65 utilizzata per ferire i due militari.
E questo dimostra che ha mentito quando ha raccontato di aver acquistato l’arma già «punzonata» al mercato clandestino di Genova quattro anni fa.
Mentre avvalora l’ipotesi, già seguita dagli investigatori dell’Arma, che se la sia procurata in Calabria prima di partire alla volta di Roma.
Sono tre gli indizi chiave che fanno comprendere come il caso non sia affatto chiuso.
Tre elementi che segnano la ricostruzione dei suoi spostamenti, fino alle 11.34 di due giorni fa. Perchè la Beretta rimane al centro delle indagini.
Ma poi ci sono anche il vestito e una cartina di Roma «segnata» nei punti chiave, che l’uomo custodiva nella borsa rimasta a terra dopo l’agguato.
La mappa segnata in tre punti
Preiti parte da Gioia Tauro alle 9.35 di sabato. All’altezza di Praia a Mare la polizia ferroviaria gli chiede una verifica dei documenti.
È un controllo di routine, lui non si scompone. Ha probabilmente l’arma nella borsa, però non ha precedenti penali ed è difficile che possa subire una perquisizione.
Rimane tranquillo e tutto fila liscio. Arriva alla stazione Termini alle 15.
Poco dopo entra all’Hotel Concorde, appena dietro piazza dei Cinquecento. Prende l’ultima stanza disponibile. Esce dopo poco.
Racconta il portiere dell’albergo: «È uscito verso le 17. Tra le 18 e le 19 è entrato nella stanza senza uscirne più».
Quando viene immobilizzato e buttato a terra dopo aver sparato, Preiti lascia cadere una borsa. All’interno ha una cartina di Roma segnata in tre punti.
Sono le zone chiave che segnano il suo percorso dall’arrivo fino all’agguato.
Adesso bisognerà capire se sia stato lui a evidenziarlo oppure se qualcuno gliel’abbia suggerito. Non si sa che cosa abbia fatto in quel lasso di tempo trascorso fuori dall’hotel, ma non è escluso che abbia compiuto un sopralluogo.
L’esame dei filmati potrebbe aiutare a scoprirlo.
Quelli già visti dimostrano che domenica mattina ha effettuato almeno due tentativi per arrivare sotto la sede del governo, prima di sparare.
Vestito scuro per forzare il varco
Sono ancora le parole del portiere ad aiutare gli investigatori dell’Arma nella ricostruzione: «Quando è rientrato non ha chiesto la sveglia, non ha fatto colazione, non ha lasciato niente nella stanza. La domenica, verso le 9.30 è venuto da me e ha pagato il conto dicendomi che partiva. Mi sembrava tranquillo, ben vestito, con una giacca blu».
Dal telefono della camera d’albergo Preiti non fa nessuna chiamata, si sta analizzando il suo cellulare per capire se l’abbia usato per mettersi in contatto con qualcuno.
Il completo che indossa è identico a quelli utilizzati dagli addetti alla sicurezza delle sedi istituzionali.
La scelta accurata dimostra che l’uomo non ha affatto agito d’impeto perchè disperato.
Ogni sua mossa appare lucida e studiata, quasi da professionista. Quando arriva in piazza Colonna cerca di passare un primo varco presidiato dai poliziotti.
Lo bloccano perchè hanno già sistemato le transenne in vista del primo consiglio dei ministri che deve cominciare subito dopo il giuramento del nuovo governo guidato da Enrico Letta fissato per le 11.30 al Quirinale.
Lui gira intorno alla piazza e fa un ulteriore tentativo di fronte ad un secondo varco.
Anche qui trova la strada sbarrata. Ma non si arrende. È determinato ad arrivare fino a palazzo Chigi. Decide così di far il giro dell’isolato e di arrivare dal retro.
Passa di fronte a Montecitorio, sbuca di fronte alla garitta dei carabinieri
Posizione di tiro e proiettili
Riesce ad avvicinarsi, probabilmente proprio perchè è vestito in giacca e cravatta.
Ma quando è al limite della piazza i militari lo fermano. A questo punto esplode la sua rabbia. Chi ha visionato i filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza che sono sistemate in tutta l’area afferma che si sarebbe addirittura messo in posizione di tiro.
Di certo c’è che Preiti ha mirato in quelle parti del corpo non protette dal giubbetto antiproiettile. Il brigadiere Giuseppe Giangrande viene colpito al collo.
Il suo collega Francesco Negri è ferito a una gamba. «Non volevo uccidere», ha dichiarato l’attentatore nel suo primo interrogatorio.
La dinamica sembra dimostrare il contrario.
Nei prossimi giorni i carabinieri del Racis dovranno verificare se la Beretta avesse sparato prima e soprattutto se sia possibile ricostruire i numeri di matricola.
Secondo un primo esame nella pistola sarebbero rimasti tre colpi inesplosi. «Volevo uccidermi», ha anche dichiarato Preiti.
Non c’è alcun elemento che avvalori questa sua intenzione. Anzi.
L’ipotesi più probabile è che volesse arrivare fin dentro l’androne di palazzo Chigi e lì aprire il fuoco.
Nella borsa aveva altri nove proiettili.
Possibile che la sua intenzione fosse di ricaricare l’arma durante l’azione?
Misteri, dubbi, dettagli da chiarire per scoprire se Preiti è davvero il disperato che dice di essere o se invece dietro il suo gesto ci sia qualcosa di più.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
MATTEOLI INSORGE: “LETTA CHIARISCA”…DEL RIO: “PER ORA SOLO SOSPESA LA RATA DI GIUGNO, CON L’IMPEGNO DI ALLEGGERIRLA”… LETTA: “ASPETTATIVE ECCESSIVE”
Dopo la giornata di ieri in cui quasi tutti i media hanno suonato la grancassa dell’abolizione dell’Imu, oggi pare si sia tornati con i piedi per terra.
Ma il risveglio è stato brusco e il centrodestra è furibondo per la brutta figura che ora rischia di fronte ai propri elettori.
Sono le 9.21 quando Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il Parlamento precisa: “L’Imu non verrà tolta, ci sarà una proroga per la rata di giugno. Avremo quindi un problema di cassa per i comuni e ci sarà anche la questione di evitare l’aumento dell’Iva nell’estate 2013. Ci siamo appena insediati, ma la prossima settimana vareremo un provvedimento apposito. E’ comunque nostra intenzione evitare decreti legge omnibus”.
Ci vuole un’ora prima che il Pdl, accusato il colpo, tenti una reazione.
Se ne fa portavoce il sen. Altero Matteoli che alle 10.43 dichiara: ”Le parole del ministro Franceschini sull’Imu non le possiamo condividere e chiediamo al presidente del Consiglio Letta che chiarisca le intenzioni del governo in sede di replica al Senato prima del voto di fiducia”.
Trascorrono dieci minuti e alle 10.53 Graziano Delrio, ministro per gli Affari Regionali, tenta una imbarazzata risposta che avalla di quanto sostenuto da Franceschini: ”Il presidente Letta ieri ha detto chiaramente che la rata di giugno dell’Imu verrà sospesa in attesa del nuovo regime che possa aiutare le famiglie meno abbienti”.
Delrio precisa: “E’ una revisione da fare con il Parlamento, non possiamo prevedere il punto di approdo. Certamente c’è il nostro impegno ad alleggerirla”.
Impegno generico quindi, nulla di più e solo per pochi.
Concetto confermato alle 11,35 quando Letta, nel suo discorso al Senato, usa concetti quali quelli di un “carico di aspettative eccessivo sul governo” e di “guardiamo la realtà , non raccontiamoci favole”.
L’Imu è servita.
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
LO YACHT DI 21 METRI DEL VALORE DI 2,5 MILIONI FU COMPRATO CON I SOLDI DELLA LEGA… BOSSI JR RICONOSCIUTO DA TUTTI COME IL PROPRIETARIO: “E’ UN ARROGANTE”
Lo «yacht del valore di 2,5 milioni di euro» che Riccardo Bossi, primogenito del fondatore della Lega Nord Umberto, per il gip di Milano «avrebbe acquistato avvalendosi di un prestanome e grazie a un’ulteriore appropriazione indebita di Belsito», esiste davvero.
Il Corriere della Sera lo ha trovato in Tunisia, a Port El Kantaoui, a una settantina di chilometri a sud di Hammamet, la città dove è sepolto Bettino Craxi.
Lunghezza 21,01 metri, due motori da 1.550 cavalli, 45,58 tonnellate di stazza, tre cabine lussuose e tre bagni per 6 persone più due membri dell’equipaggio, scafo blu-notte e bianco, ponti in teak, due potenti moto d’acqua nella stiva: è la «Stella», la barca più ammirata a Port El Kantaoui dove per tutti è lo yacht di Riccardo Bossi, quello che sarebbe stato pagato con i soldi sottratti ai finanziamenti elettorali della Lega Nord e che il giudice Gianfranco Criscione mette al centro degli ultimi affari dell’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, e del procacciatore d’affari Romolo Giradeli.
Sono stati entrambi arrestati il 24 aprile con altri due per associazione per delinquere in una costola dell’inchiesta dei pm milanesi Paolo Filippini e Roberto Pellicano, coordinata dall’aggiunto Alfredo Robledo, sull’uso di 18 milioni di fondi elettorali della Lega che vede indagati Belsito e Umberto Bossi per truffa ai danni dello Stato.
Un’informativa della Guardia di finanza ipotizzava si potesse trattare di una barca battente bandiera inglese costruita nei cantieri inglesi Sunseeker e che fosse stata ormeggiata per un po’ in un porto della Costa azzurra, ma c’era chi addirittura dubitava della sua esistenza. Invece c’è ed è ormeggiata nella banchina sud di Port El Kantaoui, proprio di fronte al ristorante «Mediterranee».
Dicono i pescatori locali che nel porto di El Kantaoui, considerata una delle mete più esclusive della costa orientale della Tunisia, più di una della magnifiche imbarcazioni da milioni di euro ormeggiate tutto l’anno appartenga a quella che loro genericamente chiamano la «Mafia» italiana, per dire gente misteriosa e poco raccomandabile.
Costi di rimessaggio bassi (anche la metà di quelli italiani), discrezione e riservatezza fanno di questa «marina» il posto ideale per coloro che non vogliono farsi notare, tra i quali non mancano molti armatori onesti.
Anche da qui nei giorni caldi e pericolosi della primavera araba fuggirono quegli stessi natanti che esponenti della Lega Nord volevano «mitragliare» per impedire che raggiungessero le coste italiane.
I documenti trovati dal Corriere della Sera in Tunisia confermano che si tratta di uno yacht Sunseeker, modello «Predator 72», immatricolato il 21 luglio 2008 con il numero 914674 e il nome di «Stella delta».
Ha attraccato qui il 16 marzo 2012, mentre in Italia infuriava lo scandalo sui fondi della Lega finiti nella sede di Cipro della banca della Tanzania e, si accerterà poco dopo, usati anche per pagare spese della famiglia Bossi.
Doveva stare tre mesi, invece è ancora lì.
Dalle carte emerge che lo yacht appartiene alla società «Stella luxury charter ltd» fondata nel 2007 in Inghilterra, dove ha sede con un patrimonio in beni di oltre un milione e 172mila sterline.
Le sue azioni sono possedute da un imprenditore italiano che corre in auto, come Riccardo Bossi, nelle serie minori.
La documentazione dice anche che prima di ormeggiare in Tunisia la barca era stata in Sardegna proveniente dal porto di Mentone (Francia).
A terra quel 16 marzo scesero due donne e quattro uomini, tra i quali «Bossi Riccardo, nato il 6 maggio 1979, italiano», e il socio unico della «Stella Luxury», definito «utilizzatore» dell’imbarcazioni, colui che paga anche circa novemila euro l’anno per lo stazionamento in banchina.
Almeno tre persone confermano altre presenze di Riccardo Bossi a bordo.
Testimoni diversi che, solo sotto garanzia dell’anonimato, raccontano che sul molo tutti sanno che è il figlio di un uomo «molto potente in Italia».
Basta far vedere la foto di Riccardo Bossi e arriva la conferma: «È lui, al mille per cento. Ha un’aquila sulla schiena», afferma con decisione il primo testimone, uno che lavora qui intorno da anni e conosce tutto e tutti.
Ed infatti Bossi jr. si è fatto tatuare una vistosa aquila sulla schiena. «Viene sempre con ragazze diverse, belle e giovani, sui vent’anni. Va in giro mettendo in mostra il fisico e tratta tutti in modo brusco. Lui comanda come fosse il padrone, l’altro (l’utilizzatore, ndr ) sembra ubbidire. Qualche volta prende la moto d’acqua e se ne va in giro a tutta velocità ».
L’uomo sulle prime non parla volentieri, poi si scioglie: «Bisogna stare attenti, io sono un uomo timorato di Dio e onesto. Non nascondo mai la verità ».
Bossi non ha lasciato un buon ricordo neppure a Mentone, dove «Stella» è stata ormeggiata un paio di anni fino al 2012.
Un altro testimone, sempre dietro l’anonimato, racconta di battibecchi tutte le volte che con la moto d’acqua faceva lo slalom la tra le barche ormeggiate a Cap Martin, uno degli scorci più belli della zona: «Abbiamo protestato, minacciato di chiamare la guardia costiera. La risposta è stata un dito medio alzato».
E rude Riccardo Bossi lo è anche al telefono con il cronista che gli chiede se vuol parlare dello yacht: «Non ho niente da dire, non mi può interessare quello che ha da dirmi».
Nell’ultima settimana non ha mai sentito la necessità di smentire la storia della barca, a differenza di Belsito che ai pm avrebbe detto di non saperne nulla.
A Port El Kantaoui dicono che da un paio di mesi «Stella» è in vendita, pare per una cifra tra 1,1 e 1,6 milioni.
Per tutto il giorno sulla barca non è salito nessuno, nemmeno l’uomo addetto alla pulizia. Dallo scafo è anche sparito il numero di matricola.
Giuseppe Guastella
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
PREMIER DELLE LARGHE INTESE RILANCIA LE PROMESSE ELETTORALI, MA NON CHIARISCE TEMPI, MODI E COPERTURE DELLE OPERAZIONI “SOCIALI”
Governo di larghe intese e larghissime promesse.
Il presidente del Consiglio Enrico Letta parla per 45 minuti e presenta un programma economico molto costoso, che comincia dalla richiesta principale del Pdl e di Silvio Berlusconi: a giugno gli italiani non pagheranno la prima rata 2013 dell’Imu.
Non si tratta dell’abolizione o della restituzione di quanto versato nel 2012, ma di una sospensione in vista di una “riforma complessiva”.
Il risultato immediato, comunque, è che tra un mese l’Imu sulla prima casa non si pagherà e lo Stato avrà in cassa 2 miliardi in meno.
“Per molti di noi non è giusto sospendere l’Imu sulla prima casa”, dice Rosy Bindi, del Pd.
Renato Brunetta, capogruppo del Pdl, è invece entusiasta e offre un’interpretazione estensiva delle parole di Letta: “Garantisco che l’Imu non sarà pagata nè a settembre e nè a dicembre e quella pagata nel 2012 sarà restituita ai cittadini”.
Pare improbabile che un governo con una durata prevista di almeno 18 mesi voglia sottoporre i cittadini a una stangata terribile prima di Natale, facendo pagare tutta l’Imu più la Tares maggiorata (rinviare anche quella costa un altro miliardo).
Più probabile che si arrivi a una revisione dell’imposta, magari con detrazioni per chi ha redditi bassi, come chiesto dal Pd.
Ma è chiaro che l’ultima parola in materia ce l’ha Berlusconi
Letta non risarmia gli altre promesse: non ci sarà l’aumento dell’Iva (che vale 2 miliardi nel 2013 e 4 miliardi nel 2014) e i soldi per la Cassa integrazione in deroga si troveranno senz’altro, e si parla di 1,5 miliardi, forse di più.
Anche gli esodati sono un problema “prioritario”, forse l’impatto sul bilancio si può rimandare al 2014 ma è almeno 1 miliardo.
Infine, sempre nel 2013, bisogna trovare altri 2-2,5 miliardi per rinnovare i contratti in scadenza dei precari della pubblica amministrazione, cui Letta promette tranquillità . Non è finita, ovviamente.
Il premier si richiama al programma dei “saggi” riuniti da Giorgio Napolitano e quindi annuncia le risorse per il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese: soldi preziosi, bastano 2 miliardi, sostengono i saggi, per sbloccare 30 miliardi di finanziamenti alle aziende che li anelano.
Ma quei 2 miliardi bisognerà pur trovarli.
L’ultima delle spese quantificabili è quella per il rinnovo delle agevolazioni fiscali alle ristrutturazioni edilizie: strumento efficace, che a lungo andare si ripaga mettendo in moto il settore, ma che allo Stato costa nell’immediato almeno 2 miliardi.
Poi si entra in una terra incognita, quella dei sogni senza numeri.
Chissà quanto vale l’ipotesi di reddito minimo garantito alle famiglie bisognose con figli piccoli?
Secondo l’Istat i nuclei familiari in difficoltà sono oltre 2,7 milioni, troppi per ricevere tutti un aiuto concreto.
E chissà come funzioneranno i bonus per le giovani coppie che hanno bisogno di un mutuo.
Letta recupera anche altre indicazioni del rapporto dei saggi, temperate con la linea del Pd: sgravi fiscali al lavoro a tempo indeterminato per facilitare le assunzioni, sostegno ai redditi bassi (cioè restituzione di una parte delle tasse pagate), incentivi fiscali per chi investe in innovazione.
Un programma keynesiano, una manovra espansiva senza precedenti (molto di sinistra, se non fosse per l’intervento sull’Imu).
Peccato che il discorso di Letta sia iniziato annunciando il rispetto degli obiettivi previsti dal Documento di economia e finanza all’esame del Parlamento: il deficit non può superare il 2,9 per cento del Pil.
Certo, Letta promette anche di andare in Europa a spiegare che “di solo risanamento l’Italia muore” (oggi va a Berlino da Angela Merkel, poi a Bruxelles), però intanto parla di “riduzione fiscale senza indebitamento”.
Può essere che, una volta che l’Italia sarà fuori, tra poche settimane, dalla lista dei Paesi sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo Letta riesca a ottenere qualche sconto.
Ma i margini sono molto stretti, anche perchè le previsioni di crescita dei documenti ufficiali del governo sono ottimistiche: Pil in calo dell’ 1,3 per cento d nel 2013 (Moody’s stima -1,5) e super ripresa nel 2014 da +1,3 (Moody’s dice soltanto +0,2).
Di interventi per lo sviluppo a costo zero non se ne trova traccia: Letta non parla di privatizzazioni o liberalizzazioni, gli accenni alla lotta all’evasione sono più per assicurare che Equitalia sarà un po’ ammorbidita.
Perfino l’annunciata riforma della riforma Fornero (che per cortesia Letta chiama “legge 92”) potrebbe avere costi: il premier spiega che nell’emergenza vanno sospesi i limiti al ricorso a contratti precari, perchè stanno soltanto creando disoccupati, e va introdotta una “staffetta generazionale”: i lavoratori anziani ridurranno l’orario per lasciar spazio all’assunzione dei giovani, ci saranno pre-pensionamenti e così via. L’agenzia di rating Standard&Poor’s ha confermato il giudizio sull’Italia, ieri, ma resta cauta.
Non si fidano che la politica possa fermare la recessione.
E il discorso di Letta non deve aver eliminato i loro dubbi.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
“ORA I GIUDICI DEVONO DEPORRE LE ARMI”…. LA GRAVE SITUAZIONE CARCERARIA POTREBBE FAVORIRE IL PROVVEDIMENTO
Il governo è fatto, la fiducia in Parlamento quasi una formalità , resta sempre quel problemino.
Quale? I processi di Silvio Berlusconi, attualmente statista.
Tralasciando quello per le intercettazioni Unipol (condanna a un anno in primo grado), a preoccupare davvero il Cavaliere sono due procedimenti: quello sulla compravendita di diritti tv (anche qui primo grado chiuso “in svantaggio” di quattro anni) e quello per concussione aggravata e “altro” nell’affaire Ruby, non lontano dalla sentenza.
La faccenda non è tanto il rischio di andare effettivamente in prigione – nel breve periodo quasi inesistente tra indulto del 2006 e veneranda età dell’interessato (vedi legge ex Cirielli) — quanto quella brutta abitudine dei magistrati di comminare pene accessorie, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici: per i diritti tv già gli hanno dato cinque anni, di cui tre indultati, che rischiano di diventare definitivi ad inizio 2014 e impedire all’ex premier di candidarsi in caso di elezioni.
Ovviamente non tutti si sono distratti in queste settimane e l’ostacolo che si frappone tra il Belpaese e le sue magnifiche sorti, e progressive, è ben presente a più di qualcuno.
Ieri, per dire, Giuliano Ferrara ha dimostrato di ricordarselo pubblicando una sorta di arringa finale su Il Giornale.
Titolo: “Ora i giudici devono deporre le armi”.
Svolgimento: “Una condanna risulterebbe ad un numero impressionante di cittadini semplicemente ingiusta, il timbro finale di una storia accanita di eccessi legalistici e di tentativi maldestri di mascariamento”, “un modo per prolungare l’intenibile guerricciola civile contro persone simbolo”.
Conclusione: “Assolvete dunque, in nome e per conto dell’etica della responsabilità ”.
Purtroppo per il Cavaliere, però, infinite cantonate sui tentativi di appeasement con la magistratura tramite i buoni uffici di quel presidente della Repubblica o vicepresidente del Csm o Guardasigilli hanno dimostrato che questa strada non sempre funziona: basti ricordare il Berlusconi che rinfacciava al Quirinale la garanzia sulla non bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta.
E allora?
I migliori avvocati del nostro, come si sa, stanno nelle commissioni Giustizia, e non in Tribunale, e potrebbero sfruttare il nuovo clima di concordia per risolvere (di nuovo) il problema con una bella legge.
E ce n’è una sola, data l’eterogeneità delle accuse a Berlusconi, che possa funzionare: concessione di amnistia e indulto.
Questa via, peraltro, ha il pregio di permettere ai berluscones di mimetizzarsi nella sacrosanta battaglia di quei parlamentari — tutti di estrazione radicale o comunque vicini al partito del neoministro Bonino — che fanno una sacrosanta battaglia sulle condizioni carcerarie nel nostro paese: 139,7 detenuti ogni 100 posti, oltre 65mila il numero totale, il 30% tossicodipendenti, il 40% in attesa di giudizio definitivo.
In parlamento, peraltro, ci sono già due ddl sul tema: uno del prodiano Sandro Gozi alla Camera, uno in Senato firmato da Luigi Manconi del Pd e Luigi Compagna del Pdl (in prestito al minigruppo sudista), l’uomo che la scorsa legislatura tentò di restaurare l’immunità parlamentare con un altro ddl bipartisan.
Del primo ddl ancora non è disponibile il testo, del secondo sì e la soluzione sarebbe davvero radicale: amnistia per i reati commessi fino al 14 marzo 2013 (esclusi alcuni, ma non quelli che riguardano Berlusconi), più un indulto di quattro anni con automatica cancellazione “per intero per le pene accessorie temporanee”.
Insomma, dovessero condannarlo nel frattempo (e quindi l’amnistia va a vuoto), arriva la seconda lama dell’indulto.
C’è un problema.
Amnistia e indulto, da Costituzione, si approvano coi due terzi dei voti nelle due Camere: per un ddl senza il Cavaliere dentro i numeri probabilmente ci sono, in questa formulazione “corretta” col famoso salvacondotto è assai difficile.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 30th, 2013 Riccardo Fucile
IN UN’INTERVISTA ANNUNCIA: “SE NON CAMBIA QUALCOSA, A SETTEMBRE LASCERO’ L’ITALIA”
«Non è un bel periodo. Per fortuna ho la mia famiglia accanto. Mio padre Antonio è quello a cui mi sorreggo quando impazzisco, mia sorella Angelica la mia confidente. La politica? Solo a pensarci mi viene il vomito. Nell’ultimo periodo per me era diventato un massacro quotidiano. Arrivavo in aula e dicevo a me stessa: “Vediamo oggi che cosa mi succederà ?”. Ogni mia azione, anche la più stupida, suscitava una reazione. Reazione quasi sempre negativa, che ha scatenato una sorta di odio sociale nei miei confronti, almeno da parte di alcuni».
Sono parole di Nicole Minetti, l’ex consigliera regionale della Lombardia, in un’intervista a tutto campo che appare sul numero di “Chi”.
ROVINATA
«Ho 28 anni e vedo la mia vita rovinata – confida – la mattina mi sveglio e non so che cosa fare. Mi manca avere la testa occupata, mi manca il fatto di potere lavorare. Per questo potrei tornare a fare l’igienista dentale».
Del processo che l’attende, in cui è accusata di favoreggiamento della prostituzione, non ha paura. «Se la legge è uguale per tutti, io verrò assolta», dice.
Quanto al futuro, confessa di darsi «tempo fino a settembre, poi potrei pensare davvero di lasciare l’Italia per sempre».
CORONA
Di Fabrizio Corona, con cui ha avuto un flirt la scorsa estate, afferma che si è trattato di un «sogno di una notte di mezza estate. La “motorata” in giro con Corona mi mancava, dovevo farmela e comunque a lui voglio un bene che non si spegnerà ».
I RITOCCHINI
Infine Nicole non nasconde di essersi sottoposta a interventi di chirurgia estetica.
«Ammetto di avere fatto qualche ritocco. Non sono come le mie colleghe politiche o dello spettacolo, che dicono: io sono come mamma mi ha fatto. Tanto tra noi rifatte ci riconosciamo tutte. E quando la gente per strada mi urla ” rifattona!”, io sorrido».
(da “il Corriere della Sera”)
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