Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
TANTO RUMORE PER NULLA: ALLA FINE, INVECE DEGLI ATTUALI 91 MILIONI, I PARTITI INCASSERANNO INTORNO AGLI 80 MILIONI DI EURO DI CONTRIBUTI PUBBLICI INDIRETTI
“Non esiste nessun complotto per sabotare il ddl sul finanziamento pubblico ai partiti”. Parola di Emanuele Fiano, capogruppo del Pd nella Commissione affari costituzionali e relatore della legge su cui il governo Letta ha investito buona parte della sua credibilità : quella che dovrebbe abolire i contributi dello Stato ai partiti politici.
Sul destino del ddl, secondo Fiano, non c’è motivo di alzare i toni.
Alcuni senatori del Pd (i renziani Laura Cantini, Nadia Ginetti e Roberto Cociancich) sostengono che in commissione ci sia un’alleanza trasversale per ostacolare la legge: “ Pdl e Sel sarebbero disposti a far parlare anche Pippo, Pluto e Nonna Papera pur di perdere tempo”. Non condivide questa preoccupazione?
Onestamente, questa storia dell’asse Pdl-Sel è una sciocchezza colossale. I renziani stanno trasformando la legge sul finanziamento pubblico in una loro bandiera.
Esagerano?
La realtà è un po’ diversa. Ho fatto dei calcoli sull’impatto economico che avrebbe il testo approvato dal consiglio dei ministri.
Cosa ha scoperto?
Che quando questa legge entrerà a regime, tra quattro anni, l’intervento dello Stato resterà molto significativo. Tanto per cominciare, per l’applicazione della norma del 2 x 1000 ci sarà bisogno di una copertura statale che potrebbe arrivare fino a 55 milioni di euro all’anno.
Poi?
Poi ci sono le cosiddette “erogazioni liberali”, ovvero le donazioni volontarie dei cittadini. Danno diritto a una detrazione fiscale fino al 52 per cento della somma versata. Per farla semplice: i donatori possono scaricare metà della somma donata ai partiti dalle tasse. Per lo Stato sono altri 15 milioni di euro l’anno.
In più ci sono le facilitazioni ai partiti per l’affitto delle sedi e per gli spazi televisivi.
Quelle sono le più difficili da calcolare. Stabilire una somma precisa è praticamente impossibile. Secondo le mie stime alla fine lo Stato ci rimetterebbe almeno tra i 5 e i 10 milioni di euro.
In totale, quindi?
In tutto fanno tra i 75 e gli 80 milioni di euro di contributi pubblici indiretti.
L’ultima tranche di finanziamento pubblico in quanto consisteva?
Nel 2013, con il dimezzamento dei fondi, i partiti hanno incassato 91 milioni di euro. Tra quattro anni, se tutto va bene, avremmo a regime una legge che fa risparmiare al massimo una decina di milioni di euro l’anno.
Onorevole Fiano, mi sta dicendo che è il relatore di una legge inutile?
No, non mi fraintenda. L’ispirazione è completamente differente rispetto alle norme attuali. Non è più lo Stato che decide direttamente quanti soldi distribuire ai partiti. C’è una scelta volontaria del cittadino: la logica è ribaltata.
Il finanziamento pubblico però resterà consistente.
Secondo alcuni dei costituzionalisti che hanno parlato davanti alla commissione, il fatto stesso che i partiti siano garantiti dall’articolo 49 della Costituzione giustifica l’esistenza di forme di finanzimento pubblico. Credo che il problema, fino ad oggi, sia stato il modo in cui i partiti hanno gestito il denaro: quando i soldi dipenderanno da un contributo volontario, saranno vincolati a una gestione più onesta e trasparente.
Basterà a convincere i suoi colleghi di partito?
Ai renziani dico che sarebbe grave far entrare il congresso del Partito democratico nel confronto su questa legge. Qui dentro dobbiamo comportarci da legislatori.
E a lei questa legge piace?
Può essere un punto di equilibrio tra le diverse ispirazioni che si stanno confrontando in commissione. Sulla base di quel testo, poi, bisognerà accettare una mediazione.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
LA VERA GUERRA DEI VENT’ANNI E’ QUELLA DI BERLUSCONI CON IL PORTAFOGLIO: DIECI ANNI FA IL CAVALIERE PARLAVA DI UNA SPESA DI 500 MILIARDI IN AVVOCATI
Per essere condannato a una pena più alta di quella chiesta dai pm, bastava un avvocato d’ufficio.
Così sussurrano a Silvio Berlusconi, non senza una buona dose di velenosa malizia, gli amici della sua cerchia più stretta, che ormai non vedono più di buon occhio gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, per anni potentissimi nella gerarchia di Arcore.
“Quelli ti spolpano, senza riuscire mai a vincere una causa”, sibilano suadenti.
Le spese per processi e avvocati, in effetti, sono pesantissime.
Una volta Berlusconi ha buttato lì anche una cifra.
Dopo l’ennesima sconfitta (la Cassazione aveva appena respinto la sua richiesta di spostare da Milano a Brescia i processi “toghe sporche”), si è sfogato così: “Bel risultato, e pensare che ho speso 500 miliardi in avvocati”.
Era il 2003 e l’allora presidente del Consiglio parlava di miliardi di lire.
Una somma imponente, riportata dal Corriere della sera e mai smentita da Berlusconi.
In quegli anni, Silvio dichiarava un reddito personale di circa 10 miliardi di lire l’anno, dunque per pagare gli avvocati avrebbe speso per dieci anni quattro o cinque volte più di quanto guadagnato.
È mai possibile? Se prendiamo per buona quella autocertificazione, riferita al decennio 1993-2003, oggi la cifra andrebbe raddoppiata per coprire il decennio 2003-2013. Otterremmo un totale di mille miliardi di lire, ovvero circa 500 milioni di euro.
Ora, i casi sono due: o Berlusconi, che ama le iperboli, ha sparato una cifra lontana del reale; oppure in quel numero un nucleo di verità c’è.
Se si dà retta a questa seconda ipotesi, bisogna considerare la schiera dei suoi avvocati, penalisti e civilisti, e sommare ai suoi guai giudiziari tutte le inchieste che hanno coinvolto uomini della sua galassia di imprese: Fininvest, Mediaset, Publitalia, Mondadori, Milan calcio, Medusa, Mediolanum, Videotime, Mondadori, Telepiù, il Giornale, Edilnord, Simec…
Berlusconi (come al solito) non fa distinzione tra soldi suoi e soldi delle sue aziende. Stuoli di difensori sono stati coinvolti nei processi intentati in questi vent’anni non solo contro il fondatore, ma anche contro parenti (il fratello Paolo, il cugino Giancarlo Foscale), amici (Adriano Galliani, Fedele Confalonieri, Romano Comincioli e soprattutto Marcello Dell’Utri…) e decine di manager fedeli (come Salvatore Sciascia).
In Italia e anche all’estero, dove schiere di avvocati si sono opposte strenuamente alle rogatorie chieste dai magistrati italiani: in Svizzera e in Gran Bretagna, in Lussemburgo e nel Liechtenstein, fino alla Spagna dove il giudice Baltasar Garzon ha indagato su Telecinco.
Nei primi anni del millennio, quando era coinvolto nei processi sulle tangenti alla Guardia di finanza, il gruppo Fininvest fatturava poco più di 4 miliardi di euro e metteva a bilancio per spese legali 32 milioni, pari allo 0,8 per cento del fatturato.
Un’enormità , se si pensa che in quegli stessi anni il gruppo Fiat, che fatturava 57 miliardi di euro, indicava a bilancio spese legali per 60 milioni di euro, cioè soltanto lo 0,1 per cento.
La prima ondata di processi degli anni Novanta (tangenti Gdf, maxi-mazzetta a Craxi, Medusa, Macherio, acquisto di Gigi Lentini) è stata affrontata con principi del foro come Ennio Amodio e Giuseppe De Luca, con difesa prevalentemente tecnica e buoni risultati: l’imputato Silvio Berlusconi è riuscito a uscirne sostanzialmente indenne, anche se con una buona dose di prescrizioni, un pizzico di insufficienza probatoria e una spruzzata di depenalizzazioni procurate dalla nuova legge sul falso in bilancio.
Poi è arrivata la difesa, più “politica”, di Gaetano Pecorella. Infine quella, molto “politica”, di Ghedini e Longo, giocata su più tavoli, nelle aule di giustizia e in quelle del Parlamento.
Con risultati, come abbiamo visto, modesti.
In campo sono scesi, nel tempo, anche Oreste Dominioni e Guido Viola, in difesa del fratello Paolo. Domenico Contestabile contro due giornalisti, Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, autori di Berlusconi: inchiesta sul signor tv.
Tra i civilisti, Vittorio Dotti ha condotto dal suo studio di Milano la battaglia per la conquista della Mondadori (ripudiato da Silvio dopo il “tradimento” di Stefania Ariosto, allora sua compagna).
Intanto, dal suo studio di Roma, lavorava un altro civilista, Cesare Previti, che si dava da fare per comprare giudici e sentenze.
Ci sono anche i soldi incamerati e distribuiti da Previti, nella somma che Berlusconi indica come spese per i suoi legali? Massimo Maria Berruti, civilista anch’egli, era specializzato in affari offshore, lavorava per l’acquisto di Lentini e teneva soprattutto i rapporti con l’avvocato londinese David Mills, che ha costruito il sistema di società estere di Berlusconi, la Fininvest-ombra “Group B”.
Nel caso Tarantini-Lavitola, sono scesi in campo gli avvocati Nicola D’Ascola, Nicola Quaranta e Giorgio Perroni.
Poi ci sono i risarcimenti: come quello record pagato da Paolo Berlusconi per uscire con un patteggiamento dal processo sulle discariche lombarde: 55 milioni di euro più 38 milioni al fisco.
Per raggiungere l’astronomica cifra di 500 milioni, si possono infine mettere nel conto anche i soldi spesi per risarcire i danni a chi è stato diffamato dalle campagne condotte dai giornali e dalle tv di famiglia.
Costosissimi gli attacchi di Vittorio Sgarbi, di Vittorio Feltri, di Alessandro Sallusti, di Giuliano Ferrara, dei giornalisti di Panorama .
Per difenderli, si sono schierati in campo avvocati come Grazia Volo, Francesco Vassalli, Guglielmo Gullotta, lo studio Brambilla Pisoni.
E Romano Vaccarella, poi diventato giudice della Corte costituzionale e infine tornato ad assistere Silvio nella vertenza sul Lodo Mondadori.
Insomma: Silvio quando spara cifre sarà anche un po’ “bauscia”, come dicono a Milano, ma non va tanto lontano dal vero.
In fondo, per vent’anni il sistema è stato costoso, ma ha tenuto.
Oggi si sfalda, tanto che Berlusconi torna, per la causa Mediaset in Cassazione, alla difesa “tecnica” di un avvocato come Franco Coppi.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
COME FUNZIONEREBBE LA STAFFETTA: 1,5 MILIARDI PER 190.000 GIOVANI
Non più i figli che lavorano per pagare le pensioni ai padri. Ma i padri che si mettono in part-time per fare posto ai figli.
La staffetta generazionale in tempo di crisi torna in pista.
A rilanciarla, di nuovo, il ministro del lavoro Giovannini che conferma l’intenzione del governo di riprendere il dossier in autunno.
«È un intervento strutturale che ha dei costi però e non si può fare con i fondi europei», ha scandito il ministro.
Se ne riparlerà dunque in sede di legge di stabilità , la ex finanziaria.
Anche perchè secondo alcune simulazioni, l’ultima elaborata dagli economisti di lavoce.info, per creare 190 mila posti “giovani” serve almeno un miliardo e mezzo di euro, sufficiente a coprire il “delta contributivo” degli adulti che, a tre anni o meno dalla pensione, rinunciano a metà stipendio, ma non ai contributi previdenziali.
Pagati dallo Stato, dunque.
Il modello è quello francese, avviato in questi mesi da Hollande. Il contrat de gènèration punta a 500 mila under 26 assunti da qui a cinque anni, in aziende con meno di 300 dipendenti, assistite dall’aiuto fiscale pubblico: 4 mila euro all’anno, 12 mila nel triennio, per tenere nella struttura il senior (over 57) che farà da tutor a nuovi apprendisti.
Le aziende più grandi (sopra i 300 addetti), prive di bonus, saranno obbligate a negoziare l’integrazione dei giovani e il part-time degli adulti con le parti sociali, sotto minaccia di sanzione.
Funzionerebbe anche in Italia? Gli economisti sono scettici.
Intanto il modello italiano sarebbe diverso: nessun obbligo. Si incentiva il part-time di fine carriera per tutti quei lavoratori che sono a tre anni dalla pensione, circa 288 mila nel settore privato secondo i calcoli di lavoce.info.
Se tutti accettassero una busta paga dimezzata (cosa non scontata), in cambio del versamento dei soli contributi (1,5 miliardi il costo per lo Stato, 3,2 miliardi il risparmio per le aziende), 190 mila giovani sotto i 26 anni potrebbero entrare in azienda (con salario d’ingresso degli apprendisti, circa 17 mila euro lordi annui).
Quali le perplessità ? Non si crea lavoro aggiuntivo, la prima. Ma si redistribuiscono solo le ore lavorate.
È un processo volontario, la seconda. E il 71% delle aziende non si pone il problema generazionale (dati Manageritalia).
Le risorse pubbliche, ingenti, consumate senza creare un solo posto in più, la terza. Anzi usate per introdurre una forma surrettizia di pre-pensionamento a favore della grande impresa.
Senza pensare alle possibili degenerazioni nel sommerso del senior pagato a metà .
E alla inevitabile collisione con la riforma Fornero delle pensioni.
«Si era spiegato agli italiani che avrebbero dovuto lavorare più a lungo per mantenere in equilibrio i conti dell’Inps», sostiene il giuslavorista Michele Tiraboschi.
E poi però si spendono miliardi per coprire i contributi figurativi dei “padri” con la promessa di un posto per i “figli”.
Precario?
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL TESORIERE BIANCONI: “IL 60% DEI CONS. REGIONALI, IL 20% DEI PARLAMENTARI NAZIONALI E IL 100% DI QUELLI EUROPEI NON HANNO MAI VERSATO UN EURO”
Il Pdl senza più un euro. È lo sfogo di Maurizio Bianconi, tesoriere del partito di Silvio Berlusconi, al Corriere della sera.
Colpa anche di quei sei milioni di contributi che dovevano arrivare d dagli eletti alle casse del partito e che invece non sono mai arrivati.
“Io i nomi non glieli posso proprio fare perchè violerei le leggi sulla privacy”, scandisce uno sconsolato Bianconi, che tutto immaginava anni fa meno che avere degli “evasori” tra i colleghi di partito.
“Certo”, aggiunge, “quella voce l’abbiamo un po’ enfatizzata anche perchè adesso abbiamo davvero un bisogno disperato di soldi. Ma il problema c’è. Eccome se c’è. Berlusconi dovrebbe intervenire subito”. Tra i consiglieri regionali il 60 per cento non ha mai sborsato un euro.
E quando il discorso arriva a deputati e senatori, Bianconi prima smorza (“Diciamo che quelli che non versano i soldi al partito sono più o meno il 20 per cento”), poi attacca: “Sapesse quanti tirchi ci sono tra noi. Alcuni sono tirchi celebri, altri tirchi meno. Ma sempre tirchi sono…”.
E dire che la cifra da versare al Pdl non sarebbe neanche alta, soprattutto se confrontata con i guadagni. Cinquecento euro al mese per i consiglieri regionali, ottocento per i parlamentari nazionali ed europei.
Tra questi ultimi, dice il tesoriere, “praticamente non c’è nessuno che ci paga. Credo che uno, tale Silvestri (in realtà si chiamo Sergio Silvestris ed è pugliese, ndr), fino a un certo punto ha pagato, poi non so”.
Il bilancio 2012, che il tandem Bianconi-Crimi ha confezionato rispettando il termine del 30 giugno, è la fotografia di una valle di lacrime.
Colpa di entrate ridotte all’osso, anche per i tagli ai rimborsi elettorali e al finanziamento pubblico.
E anche di un Berlusconi, che comunque continua a garantire sui 75 milioni di debito della vecchia Forza Italia, fermamente intenzionato a chiudere i cordoni della borsa.
Un quadro abbastanza allarmante dal momento che, solo due giorni fa, il Cavaliere ha deciso di rilanciare Forza Italia e “rottamare” il Popolo delle libertà .
Che rischia sempre di più il destino di bad company.
(da “Huffington Post“)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
PER SOSTITUIRE LUPI, IL PDL INDICA UNA CANDIDATURA “MODERATA” PER FAR CADERE IL GOVERNO… MALUMORI NEL PD, MA ANCHE NEL PDL SI PREVEDONO CECCHINI… PER RASSERENARE GLI ANIMI LA PASIONARIA OGGI ATTACCA I MAGISTRATI “CRETINI” E IL PRESIDENTE DEL SENATO GRASSO
Come se non bastasse anche il voto per la vicepresidenza della Camera potrebbe logorare le fondamenta delle larghe intese.
All’ombra dell’enorme spada di Damocle delle questioni giudiziarie di Silvio Berlusconi, con il tavolo ancora ingombro delle vicende (non ancora del tutto superate) su Imu e Iva e il tema F35 che per il momento è l’unico ostacolo apparentemente superato, ecco che il Pdl — martedì 2 luglio – vorrebbe eleggere vicepresidente dell’assemblea di Montecitorio al posto di Maurizio Lupi (nominato ministro) una figura senz’altro istituzionale: Daniela Santanchè.
Il nome, si può capire, ha provocato più che un malumore tra i parlamentari del Pd e qualcuno è già venuto allo scoperto.
I “franchi tiratori” stanno già prendendo la mira, ma la “pasionaria” — sempre in prima linea in difesa del Cavaliere — si dice “serena e tranquilla”.
“E’ vero — spiega — sono combattiva, ma sulle cose importanti e questa non è la battaglia della mia vita”.
Insomma, esclude che possano esserci conseguenze politiche per governo e maggioranza.
Ma pare più una prova di forza che non una vera e propria previsione: “Questo è un governo di coalizione o no? Io a quello sono rimasta — dichiara in un’intervista a Repubblica l’ex candidata premier della Destra — Mi stupirei se qualcuno pensasse di piazzare trappole. Se poi non mi voteranno, pazienza. Sarà un problema politico, non di Daniela Santanchè”.
D’altronde chi meglio della Santanchè può ricoprire un ruolo di garanzia come presidente dell’Aula.
Per esempio oggi la parlamentare del Pdl è tornata sul tema della giustizia. Ha attaccato intanto i magistrati chiedendosi “perchè non si può dire che un giudice è un cretino o un incapace”.
Poco dopo se l’è presa con il presidente del Senato Piero Grasso: ”Per me il presidente del Senato è un arbitro e non dovrebbe essere un giocatore. Sino a pochi mesi fa era un magistrato e apparteneva a quella casta e fa gli interessi di quella casta. Io non ci sto. In Italia si può parlare male di tutti, politici ladri, idraulici ladri, ma non si può dire che ci sono magistrati incapaci…”.
Cosa fa il Pdl se Berlusconi viene condannato e magari finisce ai domiciliari?
“E’ una ipotesi che non abbiamo fatto — risponde la candidata vicepresidente — Voglio continuare a sperare che alla fine anche per Berlusconi ci sarà una giustizia giusta, ma nel caso noi combatteremo, non staremo a pettinare le bambole fino alla sentenza. Berlusconi è una persona responsabile e continua a dire non pensate a me ma all’Italia, ma noi non staremo fermi. Berlusconi ha dalla sua una forza di 10 milioni di voti. Ci batteremo per la libertà e perchè non ci sia un ordine dello Stato che segue una parte politica che usa la magistratura per farlo fuori dalla politica. Si legge che ‘la legge è uguale per tutti’, ma non lo è per Berlusconi”.
Infine l’ultima dimostrazione di equilibrio quando torna a parlare di politica: “Dobbiamo rispondere ai nostri elettori: non ci piace governare col Pd. Credo che un movimento politico come il nostro deve rispondere ai suoi elettori. Avevamo un programma rivoluzionario. E il ‘niente Imu’ sta diventando realtà ”.
Se, in caso di elezione, riuscirà ad avere un profilo sufficientemente istituzionale si vedrà . Di certo sarà una vicepresidente “pitonessa”, come dice lei stessa. “Non sono nè falco nè colomba — sottolinea — Non ci sono divisioni, ma ruoli diversi: chi sta al governo e chi nel partito e deve fare da pungolo al governo. Facciamo ognuno la propria parte”.
La Santanchè parla anche del destino del centrodestra, dell’eventuale ritorno a Forza Italia e della prossima successione dinastica alla guida del Pdl o di quel che sarà . Marina Berlusconi leader, dunque? “Sì, ma non a questo giro bensì al prossimo, perchè a questo giro ci sarà ancora Silvio Berlusconi”.
Alfano potrebbe essere il segretario della nuova Forza Italia, ma l’ex sottosegretario non vorrebbe, spiega, “nessun ruolo politico al di fuori di Berlusconi presidente. Non vorrei la figura di segretario, a noi basta il presidente”.
Difficile capire cosa avverrà martedì in Aula: se, cioè, il Pd resisterà e riuscirà a non votare la Santanchè o far virare il Pdl su un altro nome.
Per intanto Pippo Civati scrive con ironia su Twitter che fa piacere apprendere dai giornali che la parlamentare Pdl è candidata alla vicepresidenza “dopo l’ampia e approfondita discussione, che non c’è stata. Ricordate: se non votiamo la Santanchè ‘potrebbe cadere il governo’. Ogni settimana ha la sua croce”.
Civati è stato fin dall’inizio contro le larghe intese.
Ma questa volta riceve anche il sostegno di un altro deputato, il giovane Francesco Laforgia, uno dei firmatari del cosiddetto “Documento dei non allineati”.
“Immagino che la candidatura della Santanchè sia frutto della fantasia dei giornali, visto che al gruppo non ne abbiamo mai parlato — spiega — Attendiamo con ansia di capire anche quale sarà il nome proposto dal Pd. In ogni caso sono sicuro che sarà scelto sulla base del merito e non dell’appartenenza a correnti”.
E così ecco la controreplica, dell’ex ministro Stefania Prestigiacomo, che ributta la palla nel campo avversario: la colpa è del Pd, sostiene, perchè “non è in grado di gestire le fibrillazioni al proprio interno e diventa favorevole al governo di larghe intese Pd-Pdl solo quando questo avvantaggia il Pd”.
Quindi: “E’ un problema serio”.
E di nuovo la minaccia che possa cadere il governo, come ironicamente aveva previsto Civati: “Se nel Pd quella di Civati e di Laforgia diventano la linea dominante nei fatti, allora sarà complicato continuare a mantenere in vita un governo per il quale la responsabilità viene chiesta al Pdl nel nome degli interessi generali del Paese e non al Pd che nel frattempo bada ai propri interessi di bottega. Non dobbiamo mai perdere di vista le ragioni per le quali questo governo è nato: l’emergenza economica e le riforme. O si fanno davvero, o la ragion d’essere di questo governo viene meno in re ipsa”.
Emergenza economica e riforme, ma anche la vicepresidenza della Camera.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
“E’ STATO SOLO UN ATTO DI AMORE, PER LUI AVEVO RINUNCIATO A GEORGE CLONEY”
Began: “Casa? Regalo del mio fidanzato Silvio. L’inchiesta sulle escort non c’entra nulla. La colpa è la vostra. Guardate sempre tutto con l’odio. E non capite che in questa storia c’entra soltanto l’amore. Un amore puro”.
Sabina Began è appena rientrata da Dubai. E’ stanchissima ed è sorpresa che due procure si occupino di casa sua, via Baccina, quartiere Monti.
Costo, 1,4 milioni di euro. Un regalo di Silvio Berlusconi.
“Vorrei sapere cosa interessa ai magistrati di questo regalo”.
La Banca d’Italia ha segnalato i bonifici che il Cavaliere ha effettuato alle sue società . In un primo momento sospettavano il riciclaggio.
“Riciclaggio? Ma quello è un regalo”.
Poi però è sorto il problema delle date: il bonifico è di ottobre del 2011, qualche giorno dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia con il quale la procura di Bari l’accusava di aver portato escort a Berlusconi.
“Allora, cominciamo a dire che questa storia delle escort è una follia: come ho già detto, io ero innamorata di, come lo chiamate voi?”.
Il presidente Berlusconi?
“Ecco. Io lo chiamo semplicemente Silvio. Per lui avevo rinunciato anche a George Clooney, figuriamoci se potevo portare delle escort. Però non capisco cosa c’entri la storia della casa”.
Un regalo per comprare il suo silenzio?
“Ma figuriamoci! Un regalo e basta! Lo conosco da quasi dieci anni, sono legata a lui da un affetto enorme. Voi vi chiedete perchè un fidanzato fa un regalo alla fidanzata, un padre a una figlia, uno zio a una nipote? Il nostro è un rapporto di questo tipo, ma figuriamoci se poteva mai entrarci un processo. O per caso questa cosa di Bari. Non è giusto chiedere spiegazioni su un atto di amore. E comunque queste cose non le voglio dire, cioè non voglio proprio parlare, perchè è giusto che parli il mio avvocato, insomma lui può spiegare bene tutto quanto. E’ opportuno che io non dica niente”.
Però?
“No, però mi chiedo questi magistrati cosa altro vogliano sapere di me e del povero Silvio. Non so, che altre curiosità possono avere. Mi sembra tutto così esagerato”.
Lei non è stata l’unica ad avere “regali” dal Presidente. Tutte le Olgettine erano a libro paga. E secondo i giudici raccontando delle “cene eleganti” hanno detto il falso. Per questo rischiano il processo.
“Non sono cose che mi riguardano”.
E’ stata lei a presentare Gianpaolo Tarantini al presidente. E’ pentita?
“Certo. Ma io non potevo sapere”.
Sapere cosa?
“Quello che è successo dopo”.
Lei sapeva che le amiche di Tarantini fossero prostitute?
“Non scherziamo. E comunque quello che dovevo dire, l’ho raccontato ai magistrati”.
Lei ha raccontato che “in tutte le serate nelle quali Tarantini è venuto a casa del presidente con le sue amiche, la loro presenza si è limitata alla cena. Dopo, sono andati via”. Ma i magistrati l’accusano di averlo aiutato a portare tre prostitute. Lei rischia un processo ora.
“Basta con l’odio. Io ho raccontato la verità “.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
CON IL 69,1% DEI VOTI CONGRESSUALI HA BATTUTO IL FAVORITO RINALDI
Il congresso dell’Idv ha eletto il nuovo segretario nazionale Ignazio Messina.
Le votazioni si sono svolte nei seggi presenti su tutto il territorio nazionale e on line, dalle 8 alle 13 di oggi.
I votanti sono stati 7957 su 14.145 aventi diritto. Ignazio Messina è stato eletto con il 69.11% dei voti mentre Niccolò Rinaldi ha ottenuto il 30,89%.
“Dobbiamo essere una grande squadra non un’elite, dobbiamo ripartire dalla nostra storia, da Sansepolcro, quando eravamo il partito della legalità “, ha annunciato Messina.
Rivolgendosi agli iscritti ha scherzato: “Vi rovinerò le vacanze perchè ho intenzione di scendere sui territori per ripartire dalla base. Noi vogliamo un Paese diverso non con Berlusconi al governo e con il centrosinistra che glielo permette”.
Ad “incoronare” Messina alla guida del partito è stato il presidente e fondatore dell’Idv Antonio Di Pietro, al termine del congresso straordinario che per tre giorni ha riunito a Roma iscritti e militanti per “far ripartire il partito” dopo gli ultimi scandali e gli insuccessi elettorali.
“In questi giorni – ha detto Di Pietro – ho detto che qualche errore l’ho fatto ma sono orgoglioso di quello che ho fatto: non sbaglia mai chi non lavora mai. Al di là dell’aspetto tecnico – ha aggiunto – mi sento di poter dire che questo è stato un congresso vero: qui non c’è niente di precostituito”.
“Mai come in questo momento – ha sottolineato – c’è bisogno di un Idv della prima ora, quella della speranza, quella che sta nelle piazze”.
Gli auguri dell’avversario.
“In bocca al lupo al neo segretario Ignazio Messina. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, abbiamo fatto una proposta di innovazione, più radicale, sulla quale abbiamo lavorato. Ringrazio tutti quelli che mi hanno sostenuto e tutte quelle persone che, con il passaparola e spontaneamente, hanno firmato la mia mozione. Ringrazio soprattutto Antonio Borghesi, Matteo Castellarin e Nicola Scalera, che con tanta passione hanno voluto unire le loro forze alle mie”, ha detto Rinaldi, europarlamentare e candidato alla segreteria del partito, dopo la proclamazione di Messina.
Chi è Messina.
Ignazio Messina, 49 anni, ha aderito all’Italia dei Valori nel 1998 diventando il portavoce regionale, in Sicilia, fino al 2003.
Si candida per la prima volta con il partito Di Pietro alle elezioni politiche del 2001 alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Sicilia 1 e nel collegio uninominale di Sciacca dove ottiene 4.301 voti ma non viene eletto.
Nel 2004 si ricandida come sindaco del Comune di Sciacca, ripresentando la “Lista Messina” e con l’appoggio di Rifondazione Comunista e Verdi, ma non riesce a superare il primo turno.
Eletto consigliere comunale, al ballottaggio fa apparentare la sua lista con la coalizione di destra che sostiene il candidato sindaco di Forza Italia ed e’ determinante per la sua vittoria, a scapito tutto il resto del cartello di centrosinistra.
Messina diventa vicepresidente del Consiglio Comunale e sostiene la maggioranza per tutto il mandato.
Sul piano nazionale si presenta in Senato per le elezioni del 2006 nelle liste bloccate dell’Italia dei Valori circoscrizione Sicilia e nella circoscrizione Veneto come numero 2 dietro Franca Rame ma non e’ stato eletto.
In Parlamento entrera’ come deputato dell’Idv nel 2008 e diventa responsabile nazionale degli enti locali del partito.
Alle ultime elezioni, nel 2013, si candida alla Camera con il movimento di Antonio Ingroia, Rivoluzione Civile, che pero’non avendo superato la soglia di sbarramento non entra in Parlamento.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI STUDIA L’AZZERAMENTO DEGLI INCARICHI… DOMANI MANIFESTAZIONE AD ARCORE
Tensione a mille dentro il Pdl che sta per essere smantellato.
Silvio Berlusconi si chiude per tutto il week end nel bunker di Arcore per preparare il lancio di Forza Italia da qui a venti giorni, ma già fa sapere che prima dell’autunno non saranno designati gli organi dirigenti del nuovo partito.
Solo un presidente al comando, per ora: lui.
Per evitare che lo scontro falchi- colombe o governativi e antigovernativi deflagri in estate, anche la scelta del coordinatore organizzativo (unico dirigente nazionale previsto dallo statuto di Forza Italia) sarà rinviata.
Di certo, la linea adottata è che chi ricoprirà incarichi governativi o in Parlamento alla guida dei gruppi non ne avrà nella pur snella nomenclatura forzista.
La selezione di imprenditori e manager da lanciare sui territori invece è già a uno stadio avanzato.
Le bandiere di vecchio partito richiamato in servizio torneranno a sventolare per la prima volta domani pomeriggio, proprio ad Arcore.
Una manifestazione di sostegno a Silvio Berlusconi «contro l’accerchiamento di cui è vittima» è stata organizzata dal coordinamento milanese del Pdl guidato da Luca Squeri.
Parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e amministratori locali sono stati precettati dal quartier generale lombardo, ognuno dovrà portare «almeno una ventina di militanti » alle 18 davanti a Villa San Martino, residenza del leader.
Ma ci saranno anche Diego Volpe Pasini e l’“Esercito di Silvio”.
L’obiettivo degli organizzatori è radunare almeno un migliaio di persone davanti alle telecamere.
A Roma si preparano scatoloni per il trasloco dalla sede storica del Pdl di Via dell’Umiltà , sul portone della nuova in Piazza San Lorenzo in Lucina campeggerà già la targa Forza Italia
Sulla metamorfosi il segretario Pdl Alfano – ieri a Lampedusa da ministro dell’Interno – confida che «il passaggio a Forza Italia dovrà avvenire senza frammentazioni, lacerazioni ed emorragie».
E ripete: «Il Pdl sarà la cornice della coalizione, come fu la Casa delle Libertà dal 2001, Forza Italia sarà un grande partito liberale e moderato».
I distinguo della sua area di riferimento persistono.
Dopo Cicchitto, anche il cattolico Sacconi invita «al di là del nome», ad «approfondire l’identità ».
Ma anche gli ex An incassano. «Nessun imbarazzo a cantare meno male che Silvio c’è», ironizza Altero Matteoli, «io vado avanti con Berlusconi» taglia corto Gasparri. Amazzoni e fedelissimi berlusconiani esultano alla riedizione forzista.
Michaela Biancofiore, sottosegretaria e coordinatrice regionale, torna nella sua Bolzano e cambia nome (Forza Italia) alla sede del partito.
«Saremo al fianco di Berlusconi » ripete Gianfranco Miccichè di Grande Sud.
Stefania Prestigiacomo dice che il partito rinnovato sarà «pungolo quotidiano al governo che, se è capace, dovrà fare le riforme».
Per Anna Maria Bernini «Berlusconi conferma la sua capacità di leadership imprimendo una svolta alla politica».
Plaude la coordinatrice dei giovani Annagrazia Calabria. Ma dal futuro centrodestra si sfila il Carroccio.
Al vicesegretario Matteo Salvini importa nulla del nome: «La Lega comunque non si alleerà con nessuno».
(da “la Repubblica“)
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Giugno 30th, 2013 Riccardo Fucile
VOGLIONO APPALTARE LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE A UN CERCHIO RISTRETTO DI TRE PARTITI…OBIETTIVO CONCENTRARE I POTERI DELL’ESECUTIVO E LIMITARE QUELLO LEGISLATIVO E GIUDIZIARIO
Se tutto va male, a fine luglio la maggioranza indecente che sgoverna l’Italia imporrà a tappe forzate la modifica dei regolamenti parlamentari per aggirare l’articolo 138 della Costituzione e appaltare in esclusiva a un ristretto club di 20 deputati e 20 senatori del Pd, del Pdl e di Scelta civica (nessuno di M5S e Sel, cioè dell’opposizione) la riforma della Costituzione che poi il Parlamento non potrà neppure emendare, ma solo approvare o respingere — dunque approvare — alla svelta, senza neppure rispettare gli intervalli temporali previsti dalla Carta.
È un golpe legalizzato che i cittadini potranno respingere solo votando No al referendum confermativo, ma occorrerà una grande mobilitazione perchè tutti i partiti faranno campagna per il Sì, a parte Grillo e Vendola.
Se Pd, Pdl e Scelta civica, alle elezioni di febbraio, avessero avuto i voti per cambiare la Costituzione, se ne potrebbe anche discutere.
Invece nessuno di loro ne parlò, dunque nessun elettore li ha votati per quello.
L’unica riforma istituzionale che riempiva le bocche dei leader era quella elettorale. Tutti giuravano “mai più Porcellum” e questa fu anche la prima scusa con cui la Trimurti giustificò l’inciucio del governo Letta: fare in fretta le cose più urgenti, legge elettorale ed economia, e tornare alle urne. Invece, quanto alla prima, siccome B. non la vuole, l’hanno prontamente accantonata.
Quanto all’economia, le uniche decisioni assunte dal governo più rissoso e inconcludente della storia, sono i rinvii.
Rinviata l’Imu, rinviato l’aumento dell’Iva, rinviati gli F-35.
La stampa di regime, impermeabile anche al senso del ridicolo, titola ogni giorno su mirabolanti “accordi” per “rinviare” questo o quello.
Ma un accordo per rinviare è un ossimoro: gli accordi si fanno sulle soluzioni dei problemi, non sul loro rinvio a data da destinarsi.
I comuni denominatori che tengono insieme la Trimurti sono altri due: la paura di votare e l’allergia per la Costituzione.
Che infatti si accingono a cambiare, concentrando tutti i poteri sull’esecutivo e smantellando i controlli del legislativo e del giudiziario.
I titoli IV e VI della Costituzione, Magistratura e Corte costituzionale, erano stati esclusi dalla legge istitutiva del comitato dei 40.
Ma l’altro giorno, dopo le sentenze della Consulta sul legittimo impedimento e del Tribunale di Milano sul caso Ruby, il Pdl ha tentato di infilarceli con un emendamento.
Il Pd è insorto, parlando addirittura di “pirateria”, ma era tutta una finta: è bastato che B. minacciasse di scassare tutto perchè ieri Lady Inciucio, al secolo Anna Finocchiaro, cedesse su tutta la linea ammettendo sul Corriere che “il problema del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e del titolo VI della Costituzione esiste e va affrontato”.
Come? Con un emendamento da “formulare insieme”.
Del resto il vero padrone del governo, l’unico che potrebbe farlo cadere dall’oggi al domani (e naturalmente lo tiene in piedi per ricattarlo in vista dell’amnistia) e cioè B., fa sapere che “se c’è un settore che ha assolutamente bisogno di una riforma è quello della giustizia”.
È vero che il ministro delle Riforme Quagliariello dice il contrario. Ma, fra il fattorino e il titolare della ditta, tutti sanno chi comanda.
Si ripete così pari pari il copione della Bicamerale: nella legge istitutiva presentata nel ’96, il capitolo Magistratura era escluso.
Poi B. ordinò di inserirlo, minacciò di scassare tutto e D’Alema si calò prontamente le brache.
Tant’è che in Bicamerale si parlò quasi solo di quello.
Poi, siccome in due anni di lavori non veniva fuori l’amnistia, nel ’98 B. fece saltare il tavolo. Anche perchè allora al Quirinale c’era Oscar Luigi Scalfaro, che si battè contro gli inciuci anti-toghe. Ora invece c’è Napolitano, che li patrocina da tempo immemorabile.
E riceve al Quirinale il fresco condannato a 12 anni per frode fiscale, rivelazione di segreti, concussione e prostituzione minorile: il padre prostituente.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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