Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
DOVE SI PARLA DI GIUNGLA, BANANE, ORANGHI E GORILLA…E DI LAUREE ON LINE A TIRANA
“La Kyenge se ne torni nella giungla”….ebbe a dire un consigliere circoscrizionale di Trento Serafini, appartenente a una lista in teoria “moderata” e di “ centro” nata per gareggiare alle elezioni provinciali del prossimo ottobre, che si chiama Progetto Trentino (non male come progetto).
In realtà la Kyenge è nata a Kambove in Katanga nella Repubblica Democratica del Congo.
Qui della giungla richiamata da Serafini non v’è traccia da decenni causa deforestazione.
L’estrazione di rame e cobalto, infatti, hanno privato il territorio della sua foresta pluviale tropicale.
Ad estrarre v’è la compagnia statale Gècamines ed altre compagnie talvolta legate ai ribelli del M23 (23 marzo), esercito costituito in parte da disertori dell’arma congolese ed in parte da mercenari foraggiati dal vicino Rwanda.
Ma è inutile che mi dilunghi in quanto il consigliere circoscrizionale sarà documentatissimo su ciò che è stata definita la “terza guerra mondiale africana” e che, secondo fonti Onu, ha già causato proprio nel Katanga già 4 milioni di morti dal genocidio rwandese ad oggi.
Il collega medico della dott.ssa Kyenge, un tal dott. Calderoli di professione odontoiatra (e poi vi chiedete perchè ho paura quando vado dal dentista?) ha paragonato la ministra ad un orango.
Tutti sanno da studi di secondarie superiori che l’orango appartiene alla superfamiglia degli Hominoidea che comprende le scimmie antropomorfe (dal greco: à nthropos, “uomo” e morphè, “forma”) che per caratteristiche fisiche e intellettive sono le più simili all’uomo.
Come ben raffigurato al Muse di Trento (il nuovo museo di scienze naturali inaugurato sabato scorso) solo le scimmie si sono fermate in alcune zone di Africa ed Asia mentre l’uomo, tra i quali tutti noi, è emigrato abitando il mondo.
Quindi l’affermazione del vicepresidente del Senato è, ad esser benevoli, “fuori luogo”.
Recentemente, a Cantù, un ex consigliere del Carroccio auspicava il tiro di “noci di cocco” anzichè banane alla ministra.
Per ricordare i suoi natali….. evidentemente.
Ebbene; il “cocos nucifera” nasce nelle coste di Asia ed Africa e non certamente nella giungla o ciò che ne resta.
Non si sono mai viste le liane intrecciate alla palma da cocco. Mentre le banane si. Vi sono e v’erano.
V’è testimonianza documentata all’inizio del secolo scorso addirittura nei libri che fanno riferimento all’espansione coloniale belga.
Un interessante opuscolo, datato luglio 1909, e titolato “A travers le Congo Belge” è stato curato dal capitano Renè Rubreucq.
Nel passaggio dei coloni gli indigeni congolesi tiravano loro banane in quanto temevano il contatto con i bianchi e, nel contempo, si preoccupavano che l’occupante avesse di che mangiare.
Forse gli intellettuali che hanno tirato le banane alla ministra a Cervia volevano ricordare quel passaggio storico.
Sempre nel cuore della Padania, questa volta a Varese i consiglieri leghisti abbandonarono l’aula all’entrata del Ministro.
Come dar loro torto? Gli schiavi di colore non disertavano forse i villaggi all’arrivo dell’uomo bianco?
Certamente hanno sceneggiato questo atto simbolico in memoria della tratta che ha visto deportare oltremare 20 milioni di donne e uomini di colore.
Secondo fonti storiche due terzi sono arrivati a destinazione ed allora, come oggi, molti sono stati inghiottiti dal mare.
Dulcis in fundo. Anzi. Aperitivo.
La foto della Ministra Cècile Kyenge appare su facebook con la scritta “Dino dammi un Crodino“ che richiama un famoso gorilla di una pubblicità televisiva.
Il post viene da Andrea Draghi, assessore leghista alla sicurezza del Comune di Montagnana e Consigliere Provinciale.
In verità i gorilla, sempre in Katanga, sono a nord del lago Kivu e non a sud dello stesso ed in particolare nei monti Virunga.
Da recenti ricerche si evince che il gorilla è un animale talmente intelligente che fugge non violentemente il conflitto.
La loro sopravvivenza, infatti, è favorita dal fatto che il parco Virunga si estende dal Congo, fino al Rwanda ed in Uganda.
Quando v’è un conflitto i gorilla si spostano laddove v’è pace.
Interessante, no?
Non v’è invece traccia di banane, noci di cocco, oranghi e gorilla a Tirana ove gli amici leghisti conseguono la loro lauree….on line.
E si vede.
Mamma mia se si vede.
Fabio Pipinato
(da “Unimondo.org“)
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
“CONTINUARE CON GLI STESSI TERMINI PER OPPORSI ALLA DESTRA OFFUSCA LA REALTA'”… “URGENTE E’ IL FARE, RISOLVERE I PROBLEMI, SOLO I BUONI PROGETTI CONTENGONO VALORI”
Sinistra è una parola maldestra. I giochi con le parole possono essere rivelatori.
La parola sinistra è segnata dal marchio dell’insufficienza, condannata da un destino inscritto nella sua stessa etimologia latina: sinisteritas significa inettitudine, goffaggine.
Quando Massimo Cacciari aprì con queste considerazioni uno “scandaloso” convegno romano su “Il concetto di sinistra”, la sua ironia filologica sembrò del tutto fuori luogo: era il 1981, l’era Reagan-Thatcher era all’alba del suo cinico vigore, e di sinistra sembrava esserci un gran bisogno nel mondo.
Trent’anni dopo il filosofo veneziano non ha cambiato idea, anzi è la storia che sembra aver dato ragione alle sue profezie lessicali: se la destra si è destreggiata bene o male, la sinistra appare sempre più sinistrata.
Al punto che «quella parola non ci serve più, è disossata, desemantizzata, continuare a usarla è dannoso, offusca la visione della realtà ».
Eppure, professore, nonostante quella maledizione etimologica, la parola sinistra è sopravvissuta a molte altre etichette della politica, come se lo spiega?
«Tornare alla radice latina della parola sinistra, in quel convegno, fu più che altro un divertissement, ma la provocazione serviva per dimostrare che le parole non sono eterne o neutrali nel loro significato. È vero, la parola sinistra non è scomparsa, anzi ha rimpiazzato altri aggettivi decaduti nelle denominazioni di alcuni partiti, ma è diventata sempre più porosa. Nel senso che assorbe ogni giorno significati e succhi diversi, è una parola instabile e in definitiva inservibile».
Ma quando lei la dichiarò tale, era decisamente più solida, no?
«Indicava qualcosa di storicamente circoscritto. Già allora non si dicevano tutti “di sinistra”, a sinistra. Sinistra indicava socialdemocrazia, welfare postkeynesiano, ridistribuzione del reddito. Gli altri erano comunisti, era difficile che un comunista si definisse “di sinistra”. La parola sinistra, allora, aveva un forte contenuto politico, era una distinzione riconoscibile anche sul piano valoriale, ma tutto questo perchè esisteva la destra, c’erano i non-democratici, c’erano i fascisti. Però, già allora, chi voleva capire sapeva che quella distinzione non era universale, era legata a una stagione della storia e stava ormai evaporando con essa ».
Per quale motivo?
«L’opposizione destra-sinistra è lineare, bidimensionale. Se manca uno dei due termini crolla anche l’altro. Gli ultimi avversari di destra furono appunto Reagan e Thatcher, una destra mondiale agguerrita e molto chiara nei suoi princìpi e molto innovatrice nelle sue tecniche. Fu quella l’ultima grande occasione di “fare qualcosa di sinistra”, ma bisognava coglierla
in modo nuovo, rinunciare al keynesismo, prepararsi al futuro, nei programmi e negli strumenti. Invece la risposta fu conservatrice: rinforzare le basi storiche e ideologiche di una sinistra che si oppone ai “reazionari”. Ma per la scienza politica, reazionario è chi vuole riportare indietro la ruota della storia a prima della rivoluzione francese. E nè Thatcher nè Reagan nè nessun altro che si vedesse in giro proponeva di tornare al Re Sole».
In quel convegno Paolo Flores d’Arcais, pur proponendone la rifondazione concettuale, difendeva la parola sinistra come “stenogramma” dei valori della Rivoluzione francese. Non può essere ancora così?
«Ma dopo la Rivoluzione francese tutta la politica, non solo la sinistra, ha dovuto muoversi nello spazio prospettico definito da quelle parole: uguaglianza libertà fratellanza. Però per ciascuna è stato necessario chiedersi: quale? In che modo? Eguaglianza come opportunità o come diritto, come punto di partenza o di arrivo? Le risposte sono state diverse, storicamente non tutte definibili “di sinistra”».
Neppure Bobbio, dieci anni dopo, la convinse a recuperare il concetto?
«Nel suo sforzo di definire le basi di un “tipo ideale” della sinistra, Bobbio ricorse all’idea guida di uguaglianza. Ma era una base disperatamente povera, non sorreggeva una vera dualità , una vera opposizione. Chi mai oggi promuove la diseguaglianza? Voglio dire, chi la propone apertamente come programma politico? È chiaro che la diseguaglianza esiste, anzi cresce, ma non è un’ideologia, è un fatto. La diseguaglianza non è il programma odioso di un avversario riconoscibile, semmai è la forma che ha assunto la globalizzazione, è l’anonimo che ha preso il volto dello stato di natura, dell’inevitabile, e nessuno se lo intesta. Se poi volete dire che combattere le ineguaglianze è necessario, siamo d’accordo; se volete dire che questo è il senso dell’essere di sinistra, fate pure, ma siamo ancora all’inizio, non abbiamo ancora definito niente. Come si superano le diseguaglianze? Con quali strumenti, istituzioni, aggregazioni politiche?»
Trent’anni fa lei si chiedeva se avesse senso tentare di recuperare la parola sinistra. Ha una risposta oggi?
«Sì: negativa. Quello che ha senso oggi è ridefinire una politica di cambiamento. Le soluzioni non si collocano più a un preciso punto della scala che va da destra a sinistra. Le soluzioni non le trovi nell’apposita casella, le devi cercare nelle trasgressioni della topografia politica, nell’uscita “catastrofica” dal piano bidimensionale. L’elettrone, ci dice la scienza, non ha un luogo, è un fascio di onde. Così deve essere il pensiero politico. Io cominciai a dialogare con gli intellettuali di destra trent’anni fa. Mi maledirono per questo. Urgente è il fare. Rivolgersi ai problemi. Chiedersi cosa è Europa, cosa è nazione, come si affronta la globalizzazione. Non c’è un prontuario di sinistra per queste cose, perchè la disposizione concettuale destra- sinistra è arcaica, lineare, mentre il mondo oggi è multidimensionale ».
Soluzioni pragmatiche. E i valori? E l’etica?
«I valori in politica sono i buoni progetti. Che la politica possa rendere giusto il mondo lo raccontano nei comizi. Se me lo chiede, per me il mondo è un inferno e lo resterà fino a quando ci sarà un solo uomo che muore di fame. Ma se faccio politica il mio compito è cercare soluzioni praticabili e compatibili per far morire di fame un po’ meno persone. Politica è il calculemus di Leibnitz».
Ma l’insieme di questi calcoli pragmatici dovrà pure avere una coerenza, e quella coerenza non può avere un nome?
«E perchè deve averlo? Se il mio progetto politico ha coerenza, bene, chiamalo Geppetto o Tonino, o Partito Riformista, non è quello che importa… In ogni caso, se vuoi fare una cosa nuova devi dire una cosa nuova, o il tuo linguaggio oscurerà la realtà . A me hanno insegnato che una parola ha senso all’interno di una frase, non da sola. Sinistra era una parola della frase keynesiana, democratico-antifascista, che non ci serve più, non ci sono più i fascisti, siamo tutti democratici. Se insisto a dire sinistra, mi porto dietro una dicotomia che è segnata dalla storia, mi ancoro a un passato. Chi si dice “di sinistra” oggi è un perfetto conservatore, si nasconde dietro i simulacri. È la parola rifugio degli apparati, so bene perchè la usano, perchè non hanno altro in zucca, è inerzia pura».
E il militante? Lui ha un’esigenza diversa, e sincera, di identità , di autoriconoscimento.
«Il militante capirebbe benissimo. Il suo scopo è cambiare il mondo, non definire se stesso. Definirsi con una parola porosa e impoverita lo danneggia, lo lascia con una bandierina da sventolare e qualche comportamento virtuoso spicciolo che non è per nulla identitario. Forse qualcuno a destra sostiene che bisogna inquinare o sprecare le risorse della terra? ».
Ma il militante “di sinistra” continua a chiedersi: cosa sono? E perchè sono quello che sono?
«Essere è fare, politica è actuositas. I veri rivoluzionari hanno sempre pensato questo: io sono quel che faccio. Il viceversa, faccio perchè sono, faccio quello che sono, è la radice dei totalitarismi».
Michele Smargiassi
(da “La Repubblica“)
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
LAVORO E ISTRUZIONE, COORDINAMENTO CON ASSOCIAZIONI ED ENTI LOCALI I PUNTI CARDINE DEL PROGRAMMA DEL MINISTRO
Lavoro, istruzione, sport, casa, sicurezza. Un mix di repressione e politiche «progressive».
E un aggancio alle convenzioni internazionali.
Temi fissati, svolgimento aperto: niente norme-manifesto, piuttosto condivisione con altri ministri, associazioni, enti locali.
Il piano anti razzismo che la ministra dell’Integrazione Cècile Kyenge segna una cesura culturale perchè «bisogna recuperare vent’anni di ritardo, in cui il dibattito politico ha ignorato diritti e doveri dei migranti, impedendone l’integrazione».
E completa il profilo scelto dalla ministra di fronte alla sequela di attacchi razzisti: gli ultimi ieri a Cantù, dove i consiglieri comunali leghisti hanno abbandonato l’aula al suo arrivo («Se le avessero lanciato la noce di cocco le avrebbe fatto male, dev’essere contenta delle banane»), sentendosi rispondere senza acrimonia: «La libertà è sacra». Niente polemiche, Kyenge rilancia con il suo piano d’azione.
I punti a cui la ministra si è più dedicata perchè essenziali sono il lavoro e l’istruzione.
Le discriminazioni nella ricerca di un’occupazione producono caporalato, sfruttamento, irregolarità e condizioni disumane.
Le misure repressive saranno amministrative e penali, concordate con i ministeri dell’Interno, del Welfare e della Giustizia.
Oltre ai controlli più stringenti e alle sanzioni inasprite, serviranno misure per organizzare i flussi di manodopera.
Quanto all’istruzione, si sottovaluta che il deficit linguistico induce a ghettizzarsi e ostacola una vita normale, anche nei rapporti con enti pubblici (documenti, pratiche di welfare, controlli di polizia). Kyenge vuole che tutti i migranti possano e debbano imparare l’italiano nei primi mesi.
Come fece lei, a 19 anni, giunta dal Congo: sfumata la borsa di studio, fu costretta ad arrangiarsi un anno in attesa dell’iscrizione all’università .
Si pensa a coinvolgere reti di associazioni, docenti e laureati, per creare un’acculturazione di massa: i costi per lo Stato sarebbero contenuti, i benefici enormi.
Anche l’attività sportiva viene considerata uno strumento di integrazione e la ministra considera inaccettabili discriminazioni come quella recentemente subita dalla bimba di 10 anni, nata in Veneto da genitori tunisini, a cui veniva impedito di tesserarsi per le gare di nuoto sincronizzato.
«Uno spreco di talento non isolato», aveva detto, e il riferimento va alle storie di atleti anche di livello internazionale – Eusebio Haliti, Yadisleidy Pedroso, Daria Derkach – costretti a lunghe e umilianti trafile burocratiche per poter vestire la maglia azzurra. In attesa che una legge sulla cittadinanza risolva il problema alla radice, si possono studiare soluzioni specifiche, in modo da incentivare la pratica agonistica degli immigrati di seconda generazione.
Il ruolo degli enti locali sarà decisivo per l’accesso alla casa.
Le soluzioni di emergenza, per quanto utili, non integrano.
Talvolta migranti disposti ad affittare un alloggio si trovano davanti a discriminazioni. I Comuni possono garantire soluzioni efficaci, anche col patrimonio edilizio inutilizzato.
Infine, il capitolo sicurezza, con il potenziamento della legge Mancino.
In particolare, la stretta dovrebbe riguardare l’uso di Internet per la propagazione virale di odio razziale e istigazione alle discriminazioni.
(da “la Stampa“)
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL NODO DELLE ALLEANZE: IN DISCUSSIONE L’INCARICO DI COORDINATORE
Scelta civica arriva a un bivio e Mario Monti decide di fare chiarezza: questa sera alle 21 è convocata una riunione con all’ordine del giorno la nomina del presidente (l’ex premier stesso) e del coordinatore (Andrea Olivero).
Un’accelerazione che nasconde una forte irritazione contro quest’ultimo, reo di avere partecipato insieme a Lorenzo Dellai al convegno della scorsa settimana, dedicato al popolarismo.
Presenza interpretata da Monti non come una normale partecipazione amichevole a un convegno, ma come un gesto politico, che ammiccherebbe eccessivamente alle posizioni dell’Udc e a una direzione politica evidentemente non gradita.
Monti viene descritto come molto irritato per la mossa di Olivero: «Quello era un convegno dell’Udc – dice ai suoi l’ex premier -. E se Olivero fosse stato un semplice parlamentare non sarebbe stato un problema, ma è il coordinatore di Scelta civica. Andare lì vuol dire mettere in discussione la nostra linea fondativa, che è quella di unire le due anime».
La traduzione off the record di molti è questa: Pier Ferdinando Casini ha bruciato sul tempo Monti, lanciando l’idea di un nuovo partito popolare, che confluirà nel Ppe. Ipotesi resa ancora più concreta dal nuovo nome della festa di Chianciano, che si terrà a settembre: per la prima volta non sarà più la festa dell’Amicizia o dell’Udc ma si chiamerà «Festa popolare» o «Prima festa popolare», come ha proposto Ferdinando Adornato.
Non che l’ex premier sia favorevole all’entrata nell’Alde, il gruppo europeo dei liberaldemocratici.
Semplicemente ritiene «prematura» la scelta e aspettava il momento giusto per conciliare le due anime del suo partito.
L’accelerazione di Casini lo ha colto di sorpresa e rischia di indebolirne l’immagine, non più paragonabile ai tempi d’oro della premiership.
Ma l’appiattimento sui «neo popolari», come vengono chiamati gli esponenti dell’Udc ma anche degli altri cattolici di Scelta civica, a cominciare dalla comunità di Sant’Egidio, non piace a tutti.
Sono in diversi a preferire l’approdo nell’Alde, soprattutto tra gli esponenti di Italia Futura.
Perchè entrare nel Ppe vorrebbe dire entrare nello stesso gruppo del Pdl di Silvio Berlusconi e ipotecare, sia pure simbolicamente, una possibile alleanza con il centrodestra anche alle Politiche nazionali.
Alleanza che non piace all’ala liberale del partito e che rappresenta il vero snodo da affrontare.
Quello che è certo è che Scelta civica è divisa in molti rivoli e la sfida si gioca anche sui personalismi.
Casini ieri ha replicato a Monti: «Olivero ha partecipato ad un incontro dove io ero spettatore, non è un reato, non siamo agli anni 40. Rispetto Monti e i problemi di Scelta civica non mi riguardano, ma credo che con l’Udc possa essere parte di un disegno più alto e che l’approdo sia il Ppe, che non significa l’alleanza con Berlusconi»
Stasera non è detto che si vada davvero al voto sulle cariche.
Monti chiede a Olivero un chiarimento politico: solo se non ci fosse, nella forma di una retromarcia o di un cambio di direzione, ci sarebbe la richiesta di un passo indietro.
E non è escluso che, se fosse messo in minoranza, il passo indietro lo faccia lo stesso Monti.
Molto più probabilmente, però, il dibattito vero e proprio, e quindi lo show down, verrà rinviato a settembre.
Olivero replica, un po’ piccato per le accuse, anche se ribadisce «assoluta lealtà » a Monti: «È ridicolo che si riduca tutto a un confronto tra me e lui. Se mi chiede di dimettermi, lo faccio: a patto, però, che ci sia un confronto politico vero».
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
OLTRE AGLI STALKER SALVATI ANCHE I FALSI TESTIMONI
Adesso toccherà alla Camera dei deputati correggere la rotta.
Perchè, per adesso, è saltato tutto.
Saltata la carcerazione preventiva per il reato di stalking. E, con essa, saltato il carcere per finanziamento illecito ai partiti, per chi rende falsa testimonianza di fronte ai pm e anche per i reati di favoreggiamento e contraffazione.
E tutto per un emendamento al decreto «Svuota carceri», approvato dalla commissione Giustizia e poi dall’aula del Senato, che ha innalzato da quattro a cinque anni le pene dei reati per cui è possibile la custodia cautelare in carcere.
Ma è bastato il colpo di spugna sul reato di stalking a provocare, tanto nel Pdl quanto nel Pd, un’autentica levata di scudi tanto contro l’emendamento quanto contro colui che l’aveva firmato, il senatore Lucio Barani, del gruppo «Grandi autonomie e libertà », in cui ha trovato riparo una piccola pattuglia di parlamentari eletti col centrodestra.
«Quella effettuata al Senato sul decreto carceri in merito al reato di stalking è una modifica aberrante», ha messo a verbale Mara Carfagna.
Non solo. «Alla Camera», ha aggiunto l’ex ministro delle Pari opportunità , oggi portavoce del gruppo pidiellino a Montecitorio, «presenterò una modifica affinchè anche per gli stalker scatti la custodia cautelare. Le tragiche vicende di cronaca degli ultimi giorni, evidentemente non sono sufficienti per far comprendere a certi legislatori la gravità sociale del problema»
Il primo dei legislatori a cui la Carfagna indirizza il suo j’accuse, e cioè il presentatore dell’emendamento Barani, non solo difende il testo. Ma contrattacca.
«Quella contro la carcerazione preventiva è una battaglia di civiltà . A oggi, che io sappia, non c’è nemmeno uno stalker in custodia cautelare. E noi non possiamo punirne cento per educarne uno».
Per Barani, insomma, la soluzione è «aumentare le pene per il reato di stalking».
Una linea che ha il disco verde anche del capogruppo del Pdl in commissione Giustizia alla Camera, Enrico Costa: «Il tetto per la custodia cautelare non si tocca».
Il rischio che il dossier provochi un cortocircuito tra i berlusconiani è per il momento scongiurato. Anche perchè Costa e Carfagna, insieme ai colleghi Sisto e Chiarelli, presentano un emendamento che innalza da quattro a cinque anni le pene per il reato di stalking. Il rischio, semmai, è che il cortocircuito ci sia all’interno della maggioranza. Anche perchè, nel Pd, Walter Verini ha annunciato una serie di «emendamenti al decreto carceri» che riportino a galla il «testo originario del governo». E che facciano tornare a 4 gli anni di pena collegati a reati per cui sarà ancora possibile la carcerazione preventiva.
È come se una miccia avesse acceso l’ennesimo scontro in Parlamento. «Impensabile che non ci sia la custodia cautelare per lo stalking», dice dal Pdl Gabriella Giammanco.
«Lo Stato si schieri con le vittime degli stalker», le fa eco la collega Annagrazia Calabria. E Carlo Giovanardi va oltre: «L’unica vera forma di salvezza per la potenziale vittima è l’avvio di un programma di protezione».
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
LA PITONESSA APOSTROFA I PARLAMENTARI PERPLESSI: “SIETE INDEGNI DI STARE NEL PDL, ORA GUADAGNATE 11.000 EURO AL MESE, VOGLIO VEDERE POI COME CAMPERETE CON 1.200 EURO AL MESE COME I PEZZENTI”… I MILIONI DI ITALIANI “PEZZENTI” RINGRAZIANO
E’ stato proprio Berlusconi a stoppare la manifestazione che Daniela Santanchè aveva convocato per domani davanti a palazzo Grazioli: “Una pazzia”.
E’ una sfiducia pesante, quella di Berlusconi nei confronti della Pitonessa e di Denis Verdini. Che solo un paio d’ore prima avevano convocato tutti i parlamentari del Lazio a via dell’Umiltà .
Più che una manifestazione è apparsa ai presenti, come l’inizio di una resistenza a oltranza: “Fate venire la gente sotto Grazioli alle cinque – è l’ordine dei due – anche organizzando pullman. Dobbiamo stare vicini al presidente quando annunciano la sentenza”.
Parole decise, accompagnate da frasi poco tenere nei confronti dei perplessi parlamentari, dubbiosi sul rischio flop, ancor più dubbiosi sull’opportunità politica dell’iniziativa: “Siete indegni di stare in questo partito se non riuscite a organizzare una manifestazione. State in Parlamento a 11mila euro al mese, quando non ci starete più voglio vedere come camperete con 1200 euro al mese come i pezzenti”.
E’ dopo una telefonata di un Coppi inferocito che il Cavaliere chiede di annullare tutto.
Perchè chiamare a raccolta qualche descamisado sotto palazzo Grazioli suona come un messaggio devastante, per l’avvocato cui l’ex premier ha affidato la partita più difficile.
È come ammettere che la sentenza è già scritta e sarà negativa.
Ed è “politicamente” devastante, per chi vuole tenere il governo a riparo dalla scossa. Per questo il Cavaliere è costretto ad occuparsi di tenere a bada i falchi.
È come se sulla sua sentenza fosse iniziata una resa dei conti tutta interna. È come se qualcuno considerasse una condanna il terreno migliore per mettersi a capo di una Salò azzurra.
Non è lo scenario cui ha lavorato Berlusconi, nell’attesa della sentenza. Per ora il governo non si tocca. Con o senza interdizione.
Già , e il report della Ghisleri racconta che i leader “extraparlamentari” funzionano: Grillo, Renzi, i leader veri sono fuori dal Palazzo.
Ma la sentenza della Cassazione sembra ormai diventata un mezzo per regolare i conti interni al Pdl, con i falchi che si augurano quasi una condanna per far fuori le colombe.
Una pagina davvero poco nobile per un Pdl che, senza il collante del Cavaliere, sembrerebbe destinato a sfasciarsi in pochi giorni.
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
I PARLAMENTARI RENZIANI, TUTTI MIRACOLATI DALLE LISTE BLOCCATE, HANNO ANCORA IL CORAGGIO DI FARE LE PULCI A CHI DISSENTE
«Caro maestro, ti preghiamo di riprovare a crederci, di tornare a leggere i giornali, di ricominciare a seguire la politica e il Partito democratico. Noi conserveremo l’intervista, la ricorderemo come un errore e una critica eccessiva, tenendo a mente che non è da un calcio di rigore sbagliato che si giudica un giocatore».
La confessione di Francesco De Gregori al Corriere, con una lunga e articolata analisi sui motivi per cui il cantautore, da anni icona della sinistra, avrebbe deciso «di non votarla più» suscita le prime reazioni.
«TU SEI LA NOSTRA STORIA»
Quello di cui sopra è infatti l’incipit di una lettera che alcuni deputati del Pd, tutti d’area renziana, hanno voluto indirizzare a De Gregori: Michele Anzaldi, Marina Berlinghieri, Lorenza Bonaccorsi, Ernesto Carbone, David Ermini, Luigi Famiglietti, Davide Faraone, Federico Gelli, Ernesto Magorno, Giovanna Martelli.
Il gruppo scrive ancora: «Il nostro generale annuncia che non voterà più la sinistra. È già accaduto con Ivano Fossati, con Nanni Moretti: oramai siamo avvezzi alle critiche dei nostri artisti e intellettuali di riferimento, anche quelle più cattive. De Gregori, però, non è un semplice artista: De Gregori è la nostra storia, anzi «la storia siamo no».
Le prime manifestazioni, le prime feste, i primi funerali (come quello di Peppino Impastato). Sono passati tanti anni, siamo invecchiati tutti, sicuramente lo siamo noi, ma non possiamo credere che il nostro maestro sia invecchiato così male da dirci “Il verbo credere non dovrebbe appartenere alla politica”».
«DOV’ERI?»
E infine arriva la bacchettata: «Giusto, siamo cambiati – aggiungono i deputati Pd – ma non solo noi. Il De Gregori di ieri non ci avrebbe mai detto: tassatemi quanto volete, ma non pretendete di rappresentarmi. Non ci avrebbe mai preso in giro sulle piste ciclabili e le mancate critiche al sindacato, dimenticando le battaglie ambientaliste, per la salute sui luoghi di lavoro, sulla scuola. Non avrebbe mai semplicemente sostenuto che “con questo sistema, tanto vale scegliere i parlamentari sull’elenco del telefono”, senza aver detto in questi anni neanche una parola sulle battaglie parlamentari contro il Porcellum”
Poveri giovani vecchi, già uccisi negli ideali dall’ambizione, miracolati da Renzi che ha lottizzato i posti con Bersani, ottenendo una cinquantina di poltrone in Parlamento per i suoi giovani virgulti.
E parlano di Porcellum dopo esserne stati i beneficiati.
Tempi duri per De Gregori, meglio una comparsata da “Amici” per i nuovi fighetti della sinistra dei salotti.
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
I CONTI DI VISIBILIA, LA CONCESSIONARIA DI PUBBLICITA’ DELLA PITONESSA SONO FINITI IN ROSSO PER IL CALO DELLA RACCOLTA PUBBLICITARIA DE “IL GIORNALE”
La pitonessa in rosso si affida a Piazza Affari per puntellare i conti, un po’ traballanti, del suo mini-impero imprenditoriale.
Bioera – società quotata in Borsa, partecipata al 14,6% da Daniela Santanchè e controllata dal suo ex compagno Canio Mazzarro — ha annunciato l’acquisto per 900mila euro del 40% di Visibilia, la concessionaria di pubblicità della portavoce del Popolo della Libertà .
L’operazione prelude — spiega una nota — a un’espansione nel mondo dei media.
Il primo risultato, però, è un importante rafforzamento patrimoniale (a spese anche dei soci di minoranza) delle attività della zarina del centrodestra, reduci da un 2012 chiuso in passivo per 32mila euro.
A spedire in perdita la Daniela Santanchè Spa è stato, in una sorta di corto circuito politico-familiare, “Il Giornale” diretto da Alessandro Sallusti.
La raccolta pubblicitaria del quotidiano di Paolo Berlusconi (come quella di tutti i concorrenti) batte in testa.
I ricavi di Visibilia sono così scesi da 26 a 21 milioni e la ristrutturazione avviata dalla vulcanica parlamentare a suon di tagli ai costi è servita solo a tamponare le perdite rispetto ai 311mila euro di buco del 2011.
Il sistema bancario, come spesso accade quando i clienti hanno una certa notorietà , non ha fatto mancare il suo appoggio al deputato del Popolo delle libertà .
L’azienda – dopo aver bruciato i 4 milioni di liquidità in cassa a fine 2011 — ha rinegoziato la sua esposizione con gli istituti di credito trasformando parte dei fidi a breve termine in finanziamenti a lungo termine.
Un salvagente che non è bastato per frenare i debiti netti, saliti da 12 a 14 milioni.
Un po’ di rosso però, come è chiaro a tutti, non basta certo a frenare le ambizioni imprenditoriali (direttamente proporzionali a quelle politiche) della Pitonessa Spa. Santanchè ha già firmato nei primi mesi del 2013 un accordo di raccolta pubblicitaria con 60 radio locali riunite nel nuovo network Radio Visibilia, destinato a garantirle 5 milioni di entrate in più.
Altri tre milioni dovrebbero invece arrivare da un’intesa firmata con Google per la raccolta di spot sul web.
E grazie a queste intese punta a chiudere quest’anno con «un ulteriore miglioramento del risultato operativo».
Si vedrà .
Di sicuro Santanchè, anche nel business, è più falco che colomba. E non pare intenzionata a giocare in difesa.
Negli ultimi mesi ha presentato — senza successo — un’offerta per rilevare parte dei periodici messi in vendita da Rcs. Non solo.
Ad aprile la D1 Partecipazioni, la sua nuova cassaforte personale, ha messo mano al portafoglio, staccando un assegno da 2,4 milioni proprio per rilevare il 14,6% di Bioera, società distributrice di prodotti di cosmesi e biologici, di cui è presidente e che da oggi — grazie ai soliti grovigli armoniosi della finanza tricolore — controlla pure un pezzo degli affari della Pitonessa Spa.
Ettore Livini
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL CANTAUTORE TORNA A PARLARE DI POLITICA SEI ANNI DOPO LE CRITICHE A VELTRONI … “RINGRAZIO DIO CHE IL PD NON GOVERNI CON GRILLO”
Francesco De Gregori, sono sei anni, da quando in un’intervista al «Corriere» lei demolì la figura allora emergente di Veltroni, che non parla di politica. Che cosa le succede?
«Succede che il mio interesse per la politica è molto scemato. Ha presente il principio fondativo delle rivoluzioni liberali, “no taxation without representation?”. Ecco, lo rovescerei: pago le tasse, sono felice di farlo, partecipo al gioco. Però, per favore, tassatemi quanto volete, ma non pretendete di rappresentarmi».
Cos’ha votato alle ultime elezioni?
«Monti alla Camera e Bersani al Senato. Mi pareva che Monti avesse governato in modo consapevole in un momento difficile. Sono contento di com’è andata? No. Oggi non so cosa farei. Probabilmente non voterei. Con questo sistema, tanto vale scegliere i parlamentari sull’elenco del telefono».
Dice questo proprio lei, considerato il cantautore politico per eccellenza? L’autore de «La storia siamo noi», per anni colonna sonora dei congressi della sinistra italiana?
«Continuo a pensarmi di sinistra. Sono nato lì. Sono convinto che vadano tutelate le fasce sociali più deboli, gli immigrati, i giovani che magari oggi nemmeno sanno cos’è il Pd. Sono convinto che bisogna lavorare per rendere i poveri meno poveri, che la ricchezza debba essere redistribuita; anche se non credo che la ricchezza in quanto tale vada punita. E sono a favore della scuola pubblica, delle pari opportunità , della meritocrazia. Tutto questo sta più nell’orizzonte culturale della sinistra che in quello della destra. Ma secondo lei cos’è oggi la sinistra italiana?».
Me lo dica lei, De Gregori.
«È un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità . Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, “en passant”, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me».
Alla fine la sinistra si è alleata con Berlusconi.
«Questo governo non piace a nessuno. Ma credo fosse l’unico possibile. Ringrazio Dio che non si sia fatto un governo con Grillo e magari un referendum per uscire dall’euro. Se poi molti nel Pd volevano governare con Grillo e io non sono d’accordo non è un dramma. Ora il Pd è di moda occuparlo, prendere la tessera per poi stracciarla. Non ne posso più di queste spiritosaggini».
Apprezza Letta?
«Le ho detto che seguo poco. Se mi chiede chi è ministro di cosa, magari non lo so. Quando viaggio compro sei giornali, ma dopo dieci minuti li poso e comincio a guardare fuori dal finestrino…».
Colpa dei giornali o della politica?
«Magari è colpa mia. Mi sento, mischiando Prezzolini e Togliatti, un “inutile apota”. Comunque nutro un certo rispetto per il lavoro non facile di Letta e di Alfano. Sono stufo del fatto che, appena si cerca un accordo su una riforma, subito da sinistra si gridi all'”inciucio”, al tradimento. Basta con queste sciocchezze. Basta con l’ansia di non avere nemici a sinistra; io ho sempre avuto nemici a sinistra, e non me ne sono mai occupato. Ho votato Pci quando era comunista anche Napolitano. Ma viene il momento in cui la realtà cambia le cose, bisogna distaccarsi da alcune vecchie certezze, lasciare la ciambella di salvataggio ed essere liberi di nuotare, non abbandonando per questo la tua terra d’origine. Non ce la faccio più a sentir recitare la solita solfa “Dì qualcosa di sinistra”. Era la bellissima battuta di un vecchio film, non può diventare l’unica bandiera delle anime belle di oggi. Proviamo piuttosto a dire qualcosa di sensato, di importante, di nuovo. Magari scopriremo che è anche di sinistra».
Di Berlusconi cosa pensa?
«Berlusconi è stato fondamentalmente un uomo d’azienda. Nel suo campo e nel suo tempo una persona molto abile, non un vecchio padrone delle ferriere. Ha fatto politica solo per proteggere i suoi interessi, senza avere nessun senso dello Stato, nessun rispetto per le regole e, credo, con alle spalle una scarsa cultura generale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. È imputato di reati gravi e si è difeso dai processi più che nei processi. Che altro vuole sapere? Aveva ragione l’Economist : Berlusconi era inadatto a governare l’Italia. Mi chiedo però anche se l’Italia sia adatta a essere governata da qualcuno».
Un premier non telefona in questura per far liberare un’arrestata dicendo che è la nipote di Mubarak, non crede?
«Certo. Andreotti non si sarebbe mai esposto così. Però, guardi, ho seguito con crescente fastidio e disinteresse l’accanimento sulla sua vita privata. Forse potevamo farci qualche domanda in meno su Noemi e qualcuna di più sull’Ilva di Taranto? Pensare di eliminare Berlusconi per via giudiziaria credo sia stato il più grande errore di questa sinistra. Meglio sarebbe stato elaborare un progetto credibile di riforma della società e competere con lui su temi concreti, invece di gingillarsi a chiamarlo Caimano e coltivare l’ossessione di vederlo in galera. Non condivido nulla dell’etica e dell’estetica berlusconiana, ma mi irrita sentir parlare di “regime berlusconiano”: è una falsa rappresentazione, oltre che una mancanza di rispetto per gli oppositori di Castro o di Putin che stanno in carcere. E ho trovato anche ridicolo che si sia appiccicata una lettera scarlatta al sindaco di Firenze per un suo incontro col premier».
Renzi appare l’uomo del futuro.
«Renzi è uno che ha sparigliato. Se il Pd avesse candidato lui probabilmente avrebbe vinto. Ma la scelta del termine rottamazione non mi è mai piaciuta, mi è sempre parsa volgare e violenta. E poi non sono più disposto a seguire nessuno a scatola chiusa».
Quindi non crede in lui? E non voterà alle primarie?
«Il verbo “credere” non dovrebbe appartenere alla politica. Non basta promettere bene e saper comunicare. E poi penso di non votare alle secondarie, si figuri se voterò alle primarie. Il Pd sta passando l’estate a litigare. E magari anche Renzi ne uscirà logorato».
Aveva acceso speranze Grillo e l’idea della rete come veicolo di partecipazione.
«Ho trovato inquietante la campagna di Grillo, il suo modo di essere e di porsi, il rifiuto del confronto, le adunate oceaniche. Condivido i tagli ai costi della politica e la richiesta di moralizzazione che viene da molti e che Grillo ha saputo ben intercettare. Molti elettori e molti eletti del M5S sono sicuramente persone degne e capaci di fare politica. Ma questa idea della Rete come palingenesi e istituzione iperdemocratica mi ricorda i romanzi di Urania».
Con Veltroni avete fatto pace?
«Per quell’intervista mi saltarono addosso in molti, compresi alcuni colleghi cantanti. Qualcuno mi chiese addirittura “Chi ti ha pagato?”. Con Veltroni ci siamo incontrati per caso un paio di mesi fa al Salone del Libro a Torino, abbiamo parlato qualche minuto e credo che questo abbia fatto piacere a tutti e due. È sempre una persona molto ricca sul piano umano. Ma non mi andava di essere catalogato tra i Veltroni Boys».
Non c’è proprio nessuno che le piaccia?
«Papa Francesco, la più bella notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva anche Ratzinger. Intellettuale di altissimo livello, all’apparenza nemico del mondo moderno e in realtà avanzatissimo, grande teologo e per questo forse distante dalla gente. Magari i fedeli in piazza San Pietro non lo capivano. Ma il suo discorso di Ratisbona fu un discorso importante».
Oggi non canterebbe più «Viva l’Italia»?
«Al contrario. Sono convinto che l’Italia abbia grandi chance per il futuro. E ogni volta che canto quella canzone sento che ogni parola di quel testo continua ad avere un peso. “L’Italia che resiste”, ad esempio; e solo le anime semplici potevano pensare che c’entrasse qualcosa con lo slogan giustizialista “resistere resistere resistere”. “L’Italia che si dispera e l’Italia che s’innamora”. L’Italia che ogni tanto s’innamora delle persone sbagliate, da Mussolini a Berlusconi. Ma il mio amore per l’Italia, e per gli italiani, non è in discussione. Sono stato berlusconiano solo per trenta secondi in vita mia: quando ho visto i sorrisi di scherno di Merkel e Sarkozy».
(da “il Corriere della Sera“)
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