Destra di Popolo.net

VERDINI SALVA LA SANTANCHE’ DA 20/30 FRANCHI TIRATORI PDL

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

IL MOTIVO DELLA RICHIESTA DI RINVIO E’ DA RICERCARE      NEL FATTO CHE CHE PDL, LEGA E FRATELLI D’ITALIA POTEVANO CONTARE SU 120 VOTI, APPENA 14 IN PIU’ DEI CINQUESTELLE CHE AVREBBERO VOTATO UN PROPRIO CANDIDATO

“La prossima settimana ci contiamo. E vediamo chi tradisce”. La caccia al killer della Pitonessa è iniziata. Ed è iniziata dentro il Pdl.
Il falco Denis Verdini ha preso il pallottoliere in mano.
Perchè a questo punto è una questione di principio: Daniela deve passare.
E’ l’ordine diramato da Silvio Berlusconi, che ha incontrato Daniela ad Arcore: “I nostri devono essere compatti”.
La verità  è che l’annuncio dell’astensione da parte del Pd ha portato il Pdl sull’orlo di una crisi di nervi.
È dentro il partitone berlusconiano che si annida i killer della Pitonessa: tra i venti e i trenta parlamentari pronti a non votarla nel segreto dell’urna secondo il pallottoliere di via dell’Umiltà .
È per questo che, nella conferenza dei capigruppo, Renato Brunetta, con la scusa del Pd, opta per il rinvio.
Sulla carta, infatti, i numeri potevano esserci. Eccoli.
Tutto il centrodestra, compresi Lega e Fratelli d’Italia, ha quota 120.
I cinque stelle 106 e Sel 37.
Poichè vince chi arriva primo, e l’accordo tra grillini e Sel è saltato in mattinata — tanto che hanno presentato due candidati alternativi — il centrodestra aveva i numeri per votare la Santanchè.
Con il solito aiutino dei Cinquestelle che non hanno voluto l’accordo anti-Pdl.
Ma alla fine il Pdl ha optato per il rinvio. Per paura del fuoco amico.
Perchè la Pitonessa è diventata il punto di verifica di più partite che si stanno giocando dentro il Pdl. A partire da quella che riguarda il governo.
C’è un motivo se la diretta interessata, prima della votazione ha fatto sapere che era opportuno forzare, anche rischiando di non passare: “Voleva creare il caso” dicono i ben informati. Già , il caso.
A quel punto, infatti, si sarebbe rotta la maggioranza di governo e proprio su di lei.
È la strategia della tensione di Denis Verdini, Daniela Santanchè e Sandro Bondi, insomma dei falchi del Pdl: usare ogni occasione per scuotere il fragile albero del governo.
E arrivare, colpo dopo colpo, all’Incidente che apra la crisi.
Ma c’è anche l’altro campo minato, quello tutto interno al Pdl, con lo scontro tra falchi e colombe per la guida del partito.
C’è un motivo se Angelino Alfano, un minuto dopo la votazione sul rinvio si precipita a dichiarare: “Su Daniela Santanchè — dice Angelino Alfano – nessun passo indietro, anzi si va avanti”.
Ecco, non solo il Pdl non ha intenzione di cambiare cavallo, puntando su uno più digeribile per il Pd ma ormai, dicono tutti, è una questione di principio.
La prossima settimana ci si conta.
E il motivo lo rivela un pidiellino di peso vicino al ministro dell’Interno: “Se la Santanchè non passa, batte cassa al partito, nel ruolo di coordinatore. È meglio tenerla come vicepresidente della Camera”.
Proprio incrociando i due ragionamenti, si arriva al paradosso della Pitonessa.
E cioè che i suoi principali sostenitori sono le colombe.
Perchè, secondo i loro ragionamenti, la sua elezione stabilizza la maggioranza di governo.
E si evita che Daniela occupi il partito.
Uno schema che però non tiene conto di quello su cui si muovono i falchi: “Ma chi ha detto che se uno fa il vicepresidente della Camera non può avere incarichi pesanti al partito?”.
Il precedente evocato riguarda proprio un fedelissimo di Alfano, Maurizio Lupi, che prima di diventare ministro ha ricoperto l’incarico di vicepresidente della Camera e di responsabile dell’organizzazione del Pdl.
Spifferi, veleni, tensione palpabile. Nel Pdl è l’ora del sospetto.
E la Santanchè al termine di una giornata di passione ha già  raggiunto un doppio risultato. È il simbolo della tensione della maggioranza. E ha costretto anche i suoi nemici a sostenerla: “Se non passa — dice un parlamentare pidiellino di lungo corso — il gruppo alla Camera esplode. Abbiamo perso sul segretario d’Aula, se va male anche questa Brunetta si ritrova di fronte alla rivolta” .

(da “l’Espresso“)

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L’EMILIA, GIOVANARDI E LE COSCHE

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

A MODENA IL PREFETTO CERCA DI ESCLUDERE DALLA RICOSTRUZIONE LE IMPRESE IN RAPPORTO CON LA CRIMINALITA’…GIOVANARDI CERCA DI SDOGANARE LE AZIENDE AMICHE, FACENDO PRESSIONI SU ALFANO

Ha trasportato più di mille tonnellate di detriti nel dopo terremoto dell’Emilia. E’ protagonista del maxi appalto Expo 2015.
Ora però nero su bianco ci sono rapporti sospetti, i nomi dei dipendenti vicini alla ‘ndrangheta, le accuse di smaltimenti illegali di amianto nell’area del Cratere sismico.
Elementi che hanno portato la Prefettura di Modena a bloccare la Bianchini Costruzioni di San Felice sul Panaro, comune della Bassa modenese tra i più colpiti dal sisma dello scorso anno.
Un altro colosso emiliano dell’edilizia stoppato per possibili tentativi di infiltrazione nella gestione aziendale.
Nel 2010 ha fatturato quasi 15 milioni di euro.
E compare anche nel maxi appalto da 58 milioni di euro dell’Expo 2015: ha ottenuto un subappalto dalla cooperativa ravennate Cmc.
E’ arrivata la settimana scorsa negli uffici della Bianchini l’interdittiva antimafia.
La prima conseguenza è l’esclusione dalle “White list” prefettizie alle quali devono iscriversi le aziende che intendono partecipare ai lavori della ricostruzione post terremoto.
Un provvedimento destinato ad alimentare aspre polemiche nei salotti della politica locale e nazionale.
Così come è accaduto per la sospensione della società  modenese Baraldi, difesa a oltranza dall’ex ministro Carlo Giovanardi, che qui ha il suo feudo elettorale.
La crociata di Giovanardi
Il senatore azzurro non ha lesinato critiche nè al prefetto di Modena Benedetto Basile nè agli investigatori che devono monitorare gli appalti per la ricostruzione.
E ha portato fin dentro le aule parlamentari il “caso Baraldi” con interrogazioni e proposte di modifica alla normativa sulle interdittive antimafia e sulle “White list”.
Una crociata cominciata l’indomani della notizia pubblicata da “l’Espresso” dell’esclusione della Baraldi dalle liste pulite.
Da maggio l’ex ministro ha iniziato la sua crociata schierandosi a difesa della società  esclusa, storica associata di Confindustria modenese e sospettata di legami con i re delle bonifiche genovesi, i fratelli Mamone, imprenditori con amicizie nella ‘ndrangheta ligure.
I legali di Bianchini faranno ricorso al Tar. Ma i titolari sperano, in cuor loro, nell’interessamento del politico.
Così come ha fatto per la loro concorrente, consigliando al prefetto di interessarsi delle aziende che vengono dai territori del Sud e di lasciare lavorare le aziende locali, fiore all’occhiello del miracolo economico emiliano.
E ora che Benedetto Basile è andato in pensione si apre il totonomine per il suo sostituto.
Verrà  scelto in un clima arroventato dalle dichiarazioni pubbliche di Giovanardi.
Che, e’ innegabile, se pur indirettamente hanno creato un clima di pressione nelle stanze del ministero dell’Interno guidato dal collega di partito Angelino Alfano e dove si deciderà  il prossimo rappresentante del governo sul territorio.
E chiunque arriverà  non avrà  un compito semplice vista la presenza radicata delle cosche e la complicata gestione della ricostruzione.
“Cosa loro”
Mentre la politica locale è distratta dal dibattito sulla bontà  dei provvedimenti prefettizi, i documenti degli investigatori confermano che la ricostruzione post sisma è “Cosa loro”.
‘Ndrangheta e Clan dei Casalesi in prima fila per ricucire l’Emilia ferita nel suo cuore produttivo.
I padrini calabresi specialisti nel trasporto di terra e macerie sono stati i primi a muovere tonnellate di detriti.
Prima i ripetuti allarmi lanciati dagli investigatori, poi le prime avvisaglie, ora la certezza che le cosche stanno lavorando a pieno ritmo nei cantieri della rinascita.
E lo fanno grazie a rapporti costruiti nel tempo con aziende locali. Giganti del settore che improvvisamente si ritrovano nel ventre volti e mezzi targati ‘ndrangheta, braccia e artigiani marchiati Casalesi.
Sono oltre 15 le aziende a cui è stata negata l’iscrizione alle “White list” delle prefetture.
Molte erano già  a lavoro chiamate nei giorni dell’emergenza.
E tante di queste parlano emiliano.
L’ultima fermata è la Bianchini Costruzioni. Fuori dai lavori dunque la società  che fin dai primi giorni dopo le violente scosse ha lavorato senza sosta.
E sulla quale pende un’inchiesta della procura di Modena per smaltimento di illecito di amianto nelle zone del Cratere sismico.
La società  modenese in sei mesi ha trasportato per conto della ex municipalizzata Aimag oltre mille tonnellate di macerie.
La decisione delle Prefetture di Modena e Reggio Emilia arriva in seguito ai dossier del nucleo investigativo dei Carabinieri di Modena e del Girer, il gruppo interforze istituito dal ministero dell’Interno per vigilare sulla ricostruzione.
L’ennesimo colpo che lascerà  dietro di sè uno strascico di polemiche negli ambienti politici emiliani.

Giovanni Tizian
(da “L’Espresso“)

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D’ALEMA CONTRO RENZI: “NON POSSIAMO FARE LE REGOLE PER LUI”

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

“CHIEDE DI DEROGARE SOLO QUANDO BISOGNA FARLO PER LUI”… TENSIONE NEL PD, CON I RENZIANI ALLE CORDE

Il fuoco di sbarramento contro Renzi questa volta parte da D’Alema.
È l’ex premier a ricordare al sindaco fiorentino che proprio lui ha approfittato della fine dell’automatismo per cui nel Pd il segretario è anche il candidato premier.
«Lo Statuto del partito lo abbiamo derogato per Renzi, quando bisogna derogare per Renzi bisogna derogare, quando non bisogna derogare per Renzi non bisogna derogare, mica possiamo sempre usare le regole per Renzi…».
Avverte D’Alema che non è tempo di eleggere il premier, mentre il partito avrà  bisogno di un successore di Epifani alla segreteria.
«Non conosco nessun partito – ironizza – che faccia le primarie per il candidato premier quando non ci sono le elezioni »
E sulla questione, torna la sintonia tra D’Alema e Bersani.
L’ex segretario bacchetta a sua volta il “rottamatore”: «Vuole la regola con cui non poteva concorrere».
Renzi in realtà  cercherà  una mediazione. I renziani nella prossima riunione del comitato per le regole proporranno che lo Statuto resti invariato (il segretario quindi è il candidato premier)prevedendo però la deroga che sarà  comunque il neo segretario a decidere, come già  fece Bersani consentendo a Renzi di sfidarlo.
Il sindaco “rottamatore” è in corsa di fatto per la segreteria, anche se non ha ancora sciolto la riserva.
E a proposito della sua affermazione alla Faz precisa e minimizza: «Ho rilasciato un’intervista al quotidiano tedesco che parlava di Europa e di lavoro, e sui giornali italiani sono finite due righe sulle primarie italiane e sulla norma statutaria del Pd che dice che chi vince il congresso è il candidato leader. È una norma statutaria oggi prevista, domani chissà ».
Giornata di tensione per Renzi.
Che denuncia «il duro attacco politico avuto dal cardinale Betori ».
Nell’omelia l’arcivescovo di Firenze aveva parlato della «voglia improvvida di trasgressione », a proposito dello scandalo escort a Palazzo Vecchio.
Il sindaco se ne è risentito: «È giusto descrivere Firenze come una città  in cui la mission è trasgredire, che vive in una sorta di squallore? … io difendo la dignità  di decine di migliaia di fiorentini perbene che non possono essere descritti come partecipanti a un’orgia».
Se a Firenze il clima politico è rovente, non è da meno a Roma, nel Pd.
Dai bersaniani a Cuperlo, candidato leader (che oggi presenta il suo manifesto) della sinistra del partito, al segretario Epifani, tutti puntano a distinguere leadership (del partito) da premiership.
I renziani cercheranno di evitare il muro contro muro nel “comitatone” per il congresso.
Sono convinti d’altra parte che spetta poi all’Assemblea nazionale decidere, e si vedrà  lì quale linea avrà  la maggioranza.
«No a un segretario- burocrate», afferma Lorenzo Guerini, renziano, nel comitato.
«No a un segretario di serie B», rincara un altro renziano, Davide Faraone. Di certo una leadership (senza premiership) è meno insidiosa per il governo Letta.
«Chi guida il partito deve farlo a tempo pieno», afferma Enrico Rossi, il “governatore” della Toscana, bersaniano.
Uno stop al dibattito sulle regole viene da un altro candidato alla segreteria, Gianni Pittella, europarlamentare, che concorda con Renzi: «Non si capisce perchè le regole debbano essere cambiate ogni sei mesi».

Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)

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DA PONTE VECCHIO AL COLOSSEO: ITALIA (S)VENDESI AI PRIVATI

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

FESTE, CENA E GRAN GALA’: I GIOIELLI ARTISTICI AFFITTATI PER FARE CASSA… UNA STRATEGIA CHE ESCLUDE PERO’ TURISTI E CITTADINI

Matteo Renzi sequestra Ponte Vecchio e lo trasforma in location per una festa della Ferrari. Ecco il progetto politico del futuro leader della Sinistra italiana: un piccolo gruppo di super-ricchi che si appropria dei beni comuni mentre i buttafuori tengono alla larga i cittadini.
Non è un episodio, è la strategia del sindaco commensale di Briatore.
L’assessore al Turismo di Renzi, Sara Biagiotti, ha convocato per giovedì prossimo una riunione che inaugura il “percorso di realizzazione di un brand della città , in prospettiva di una politica di sfruttamento commerciale del brand stesso”.
Firenze non come comunità  civile e politica, nè tantomeno come città  di cultura, ma come brand, marchio, griffe da sfruttare a fini esplicitamente commerciali.
Lo scorso novembre Renzi dichiarò solennemente: “Gli Uffizi sono una macchina da soldi, se li facciamo gestire nel modo giusto”.
Ma gli Uffizi sono — per ora — statali, e Renzi si deve accontentare di sfruttare il “suo” Palazzo Vecchio e le piazze della città .
Così a gennaio il Salone dei Cinquecento è diventato la location di una sfilata di moda di Ermanno Scervino, lo stilista che veste il sindaco e la moglie.
E, in aprile, Piazza Ognissanti e Piazza Pitti sono state chiuse ai fiorentini per la celebrazione del matrimonio bolliwodiano di un magnate indiano.
Ma, come sempre, Renzi non si inventa nulla: si limita a estremizzare il modello corrente.
Nella stessa Firenze, la Soprintendenza riserva gli Uffizi a Madonna per una visita privata (inclusa la guida della soprintendente Cristina Acidini, in veste di personal shopper ‘culturale’), e poco dopo affitta sempre gli Uffizi allo stilista Stefano Ricci per una sfilata di moda “neocoloniale” aperta da una tribù di Masai, che corrono brandendo scudi e lance di fronte al Laocoonte di Baccio Bandinelli, sotto lo sguardo incredulo dei ritratti cinquecenteschi della Gioviana.
Per la gioia di un Occidente narcisista che balla sull’abisso, tutto è merce, tutto è in vendita: gli abiti griffati, il museo e perfino i Masai, portati a Firenze come bestie da serraglio e numero da circo.
Segue una cena stile “cafonal” sul terrazzo degli Uffizi: con gli invitati che arrivano sui jet privati e con Matteo Renzi ospite d’onore
Ma anche la Curia arcivescovile non è da meno.
La sfilata inaugurale di Pitti 2011, per esempio, si è tenuta nella chiesa di Santo Stefano al Ponte: una chiesa sconsacrata, ma perfettamente leggibile come luogo sacro e appartenente alla Curia stessa.
Le modelle si sono spogliate nella cripta, hanno sfilato nella navata dove un tempo spirava l’eterea spiritualità  di una pala del Beato Angelico, e hanno posato — seminude — per i fotografi su un altare dove per secoli si è celebrato il sacrificio eucaristico.
E non è stato un incidente. Il sito www. santostefa  noal-ponte.com   definisce la chiesa “una location elegante e singolare, ideale per organizzare eventi esclusivi nel cuore di Firenze”, “mentre la cripta sottostante, ideale per gli eventi più ristretti, ha una capacità  massima di novanta persone”. Amen.
Ma lo stesso vento spira in tutta Italia.
A Venezia la Punta della Dogana è da tempo trasformata nella showroom personale di Franà§ois Pinault, e l’anno scorso i veneziani non hanno potuto guardarvi i fuochi d’artificio per la Festa del Redentore, perchè il milardario francese, proprietario di Christie’s, dava una cena-privata-in-spazio-pubblico.
A Roma il Colosseo, anch’esso ridotto a un brand, è al centro di una privatizzazione targata Della Valle.
Sempre a Roma don Alessio Geretti, sacerdote organizzatore di mostre assai vicino al cardinal Bertone, celebra numerose serate mondane a pagamento alla Galleria Borghese.
A Napoli, invece, la stessa cosa avviene in salsa nazional-popolare: Piazza Plebiscito viene recintata e resa accessibile solo a pagamento per il concerto di Bruce Springsteen, tra roventissime polemiche
Ma la privatizzazione non riguarda solo gli spazi pubblici.
Il governo Letta ha appena presentato un disegno di legge che permetterebbe di noleggiare a pagamento i quadri contenuti nei depositi dei musei italiani (un’idea di Domenico Scilipoti), e la sottosegretaria ai Beni culturali Ilaria Borletti Buitoni (eletta in Parlamento come capolista lombarda di Lista Civica, cui aveva donato ben 710.000 euro) continua a ripetere che siccome lo Stato non funziona bisogna lasciargli solo la tutela, e affidare la gestione ai privati (come il Fai, di cui la Borletti era fino a ieri presidente).
Il crimine più grande del corrottissimo Verre, scrisse Cicerone nel 70 avanti Cristo, non era stato l’aver saccheggiato il patrimonio artistico delle città  siciliane, ma quello di aver fatto mettere agli atti che i siciliani l’avessero “privatizzato” spontaneamente: e per di più che lo avessero fatto parvo pretio, cioè per una somma irrisoria.
Ed è quel che accade anche oggi: affittare Piazza del Plebiscito per un evento commerciale costa meno di 5000 euro; per visitare gli Uffizi come ha fatto Madonna ce ne vogliono meno di 10.000; per farci correre i Masai, 30.000.
Ma anche privatizzare Ponte Vecchio non è carissimo: 100.000 euro e sei granduca per una notte (cultura e buon gusto esclusi, ovvio).
Ma il punto non è questo: il punto è che la missione che la Costituzione assegna al patrimonio è essere inclusivo, non esclusivo; è costruire l’eguaglianza, non celebrare il lusso di pochi; è renderci tutti più civili, non umiliare chi non arriva alla fine del mese. In nuovo, feroce feudalesimo gli spazi pubblici delle città  italiani che ci hanno fatto, per secoli, cittadini tornano oggi a farci sudditi, anzi schiavi: del mercato, del denaro, di una politica senza progetto.

Tomaso Montanari
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LE ASSURDE SPESE “SPAZIALI” DELLE REGIONI A PARIGI

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

ALL’AIR SHOW DI LE BOURGET PADIGLIONI DEL PIEMONTE, DI “UMBRIA TRADE AGENCY” E PERSINO DI “APULIA REGIONE”…LE REGIONI ITALIANE HANNO 178 SEDI ESTERE

Lo slogan dice: «Per rafforzare il Made in Piemonte nel mondo».
Il Made in Piemonte? Proprio così.
Questa   è la missione del Centro estero per l’internazionalizzazione.
Come stupirsi, allora, davanti a uno stand del Ceipiemonte all’Air Show di Le Bourget, Parigi?
E passi che sia anche quello uno dei tanti organismi pubblici regionali. Quando all’estero c’è   da mostrare i muscoli, la Regione Piemonte non si è mai tirata indietro. Sinistra o destra, non fa differenza.
La precedente amministrazione della democratica Mercedes Bresso seguiva con affetto ed entusiasmo le imprese dei piloti piemontesi in MotoGp, tanto da presentarsi con un proprio spazio espositivo al Gran Premio di Turchia del 2005?
L’attuale governatore leghista Roberto Cota ha scatenato un’offensiva senza precedenti nel settore aerospaziale.
Per apprezzarne la portata è sufficiente scorrere la lista degli espositori al salone parigino che si è appena concluso. Dove non mancava, appunto, la Regione Piemonte.
Ma anche il suddetto Ceipiemonte. E la finanziaria regionale Finpiemonte. Poi la Camera di commercio di Torino, che di Finpiemonte è anche azionista. Il Politecnico di Torino, che partecipa a una società  con Finpiemonte. Nonchè Torino Piemonte aerospace, ovvero «un progetto della Camera di commercio di Torino gestito da Ceipiemonte al servizio delle imprese piemontesi eccellenti della filiera aeronautica», spiega il sito Internet. Per un totale di sei – soggetti pubblici – sei.
Sbaglierebbe, però, chi pensasse a un’esperienza unica.
Nell’elenco degli espositori italiani a Le Bourget, accanto all’Università  di Perugia, figura infatti lo stand dell’Umbria trade agency, o Centro estero Umbria.
Di che cosa si tratta? È un organismo costituito dalla Regione Umbria nel 2009 insieme alle Camere di commercio di Perugia e Terni, per promuovere «l’internazionalizzazione delle imprese umbre».
Una specie di Ice regionale, insomma.
Peccato che al salone parigino ci fosse anche uno stand di Umbra aerospace, l’associazione delle imprese di settore che ha come «partner istituzionali» tanto la Regione Umbria quanto L’Umbria trade agency. Poco male. Melius abundare.
Del resto, si sarebbe potuto rinunciare a una presenza all’Air show della «Apulia Region» (Regione Puglia) causa presenza a poca distanza di un padiglione Alenia aeronautica del gruppo Finmeccanica, che ha stabilimenti a Foggia, Brindisi e Grottaglie, in Provincia di Taranto?
«Stimolare i processi di innovazione e competitività  nel settore aerospaziale pugliese con un attenzione particolare per la formazione: questo l’obiettivo della partecipazione della Regione Puglia» secondo il sito Puglialive.net.
Un salto di qualità  rispetto a quando gli assessori regionali, come l’ex vicepresidente della Giunta pugliese Sandro Frisullo, nel 2007, si limitavano alle «visite istituzionali» al salone dell’aeronautica.
Ma ancora ben distante dalle vette toccate da alcuni enti come la Regione Lazio, che nel 2005 contribuì al finanziamento della missione spaziale Soyuz con a bordo il cosmonauta viterbese Roberto Vittori e un seguito di prodotti tipici laziali: dalle olive di Gaeta al pecorino della Sabina.
Un accoppiamento, quello fra le stelle e le prelibatezze alimentari, sperimentato anche dalla Regione Campania nell’ottobre 2011 al Congresso internazionale di astronautica di Cape Town, in Sudafrica.
Nell’ambito del programma «Campaniaerospace».
Da quando le Regioni hanno preso a gestire valanghe di denaro, la tentazione di comportarsi come Stati sovrani è stata inarrestabile.
Ecco allora le ambasciate regionali, gli assessorati all’internazionalizzazione (ce l’ha, per esempio, la Regione Calabria), le agenzie di promozione all’estero, fino all’esplosione di una selva di surreali marchi territoriali: Made in Piemonte, Made in Lombardy…
Alcuni finiti sotto la tagliola della Consulta, che nel luglio del 2012 ha dichiarato l’illegittimità  costituzionale di una legge della Regione Lazio approvata durante la giunta di Renata Polverini che aveva istituito un elenco di prodotti «Made in Lazio» realizzati con materie prime laziali.
Una corsa a perdifiato, nell’indifferenza istituzionale più assoluta.
Non sono riusciti ad arginarla nè i governi che da vent’anni a questa parte si sono alternati alla guida del Paese, tantomeno i politici locali.
Nel 2010 il ministro dell’Economia Giulio Tremonti fece il conto, scoprendo che fra ambasciate, consolati, uffici di promozione, antenne commerciali e punti d’appoggio, le Regioni italiane potevano contare su 178 sedi estere.
Il solo Piemonte poteva contare su 23 basi oltrefrontiera, attivate da «accordi con realtà  locali», rispose così a Monica Guerzoni del «Corriere» l’assessore della giunta di Roberto Cota, Elena Maccanti, proprio grazie al Ceipiemonte.
Nell’elenco, Corea del Sud, Lettonia, Costa Rica…
Una trentina, invece, quelle della Lombardia: dal Brasile alla Cina, passando per Russia, Israele, Giappone, Perù, Uruguay, Polonia, Moldova, Kazakistan.
Mentre la Regione Lazio poteva contare su un contact point a Bucarest, Romania.
Il sito dice che c’è tuttora un consiglio di amministrazione di tre persone, una struttura tecnica con un direttore e tre dipendenti oltre a quattro consulenti.
Ben 21 sedi delle Regioni italiane erano poi nella sola Bruxelles, dove l’ex viceministro Adolfo Urso avrebbe voluto razionalizzarne la presenza, concentrandole almeno tutte nello stesso luogo fisico, una specie di «Palazzo Italia».
Com’è andata a finire? Indovinate…

Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)

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ANCHE LA RESTITUZIONE DELLA DIARIA FA LITIGARE I GRILLINI TRA “VIRTUOSI” E “SPRECONI”

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

COME DA COPIONE, ORA SI ASSISTERA’ ALLA LAPIDAZIONE SUL WEB DI CHI HA SPESO PIU’ DEGLI ALTRI, MEGLIO SE SONO TRA I “CRITICI”… PER ANDARE IN UNA TV PRIVATA CI VUOLE LA CARTA DA BOLLO… TRA POCO DOVRANNO INDICARE ANCHE IL NUMERO DEGLI STRAPPI DELLA CARTA IGIENICA?

«Non fate gossip, evitate di attaccare i vostri colleghi sulle cifre della diaria. Lasciate che sia la Rete a giudicare».
La comunicazione interna diretta ai parlamentari a 5 Stelle, una sorta di decalogo intitolato «Istruzioni per evitare un nuovo caso diaria», è l’indice di una paura e il tentativo di porre rimedio a un possibile effetto boomerang: perchè, nel clima turbolento e ancora non del tutto pacificato dei gruppi, la diffusione dei dati personali, con la cifra individuale sui rimborsi, può scatenare l’ennesima caccia alle streghe, tra i virtuosi della rendicontazione e gli «spreconi» o presunti tali.
Per questo, lo staff invita a evitare la guerra intestina e a lasciare qualche, eventuale, lapidazione a quell’implacabile plotone di esecuzione che è la Rete.
Chi è invece già  sottoposto al gioco al massacro è il deputato Alessio Tacconi, «lo svizzero», che si rifiuta di restituire diaria e indennità , giustificando le spese elevate con il costo della vita di Zurigo, dove abita con la moglie.
Per lui i giorni sono contati.
La somma ancora non è stata fatta, è questione di ore, ma l’ammontare si annuncia ingente: oltre un milione di euro, forse un milione e 200 mila euro.
Tutti soldi che i parlamentari a 5 Stelle hanno bonificato in un conto e che apparirà  nel gigantesco assegno simbolico che verrà  esposto il giorno del «Restitution day».
Slittato ormai molte volte («per difficoltà  pratiche con le banche», giurano dalla comunicazione) sarà  giovedì: prima una conferenza stampa e poi la cerimonia davanti a Montecitorio (assente, pare, Grillo).
Prima di allora, l’ufficio comunicazione renderà  noto l’ammontare complessivo dei bonifici, con il risparmio in percentuale.
E il blog di Beppe Grillo dettaglierà  i conti dei singoli parlamentari (a cui è stato «vietato» di pubblicare i dettagli su Internet), entrando nello specifico delle macrocategorie (affitto, vitto, trasporti etc).
Difficile pensare che non si chieda conto delle differenze nei bonifici, che già  appaiono ingenti. La senatrice più parsimoniosa pare essere Giovanna Mangili, che si dimise (per una lite locale) poco dopo l’elezione e che però è rientrata, visto che le dimissioni furono respinte: 25 mila euro la somma restituita.
Pari a zero, invece, la diaria restituita da Tommaso Currò, noto per le sue posizioni critiche. Non per protesta o perchè sia particolarmente scialacquatore, ma semplicemente perchè ha dovuto anticipare la caparra e pagare l’agenzia immobiliare.
Tra i più virtuosi, ci sono i romani, come Alessandro Di Battista, che hanno già  casa.
Luigi Di Maio ha restituito 11 mila euro.
Il fatto che tutti, Tacconi a parte, abbiano ottemperato il loro dovere a 5 Stelle, non vuol dire che tutto vada bene.
Perchè altri parlamentari sono pronti a uscire: «Del resto – spiega il capogruppo Nicola Morra – lo stesso Grillo aveva calcolato che avremmo perso un 10-15 per cento di parlamentari. Se calcoliamo il 10 per cento, sono 16 parlamentari».
Ne mancano, insomma, una decina.
All’assemblea dei senatori, in diretta streaming, si è assistito allo sfogo di Elena Fattori: «Non sto tranquilla», ha detto, riferendo la sua inquietudine all’uscita della senatrice Paola De Pin.
Insolitamente positiva, invece, Serenella Fucksia, che in passato non ha lesinato critiche: «Uscite in vista? Ma io veramente so di gente che vuole entrare. Con tutti i nostri difetti, e di difetti ne abbiamo, mi sembra che possiamo ancora crescere. La diaria? Non vorrei che il Movimento venisse ricordato perchè ha restituito dei soldi, ma perchè ha migliorato la vita della gente».
Posizione ragionevole. Che fa a pugni con i pasdaran sempre pronti a cavalcare l’ortodossia. Ma l’occasione del «Restitution day» è troppo ghiotta per non coglierla.
Poter affrontare gli italiani e raccontare che i parlamentari a 5 Stelle, unici in tutta la storia della Repubblica, hanno restituito denaro, e non un euro ma oltre un milione, è una mossa propagandistica non trascurabile, che non va oscurata da polemiche.
Anche per questo continuano i corsi di comunicazione: l’altro ieri un gruppo di parlamentari (tra i quali Paola Taverna) è tornato a Milano, da Gianroberto Casaleggio, a lezione di comunicazione tv.
Intanto, però, i rapporti con il piccolo schermo continuano a non essere buoni.
Quattro deputati – Massimo De Rosa, Claudio Cominardi, Giorgio Sorial e Maria Edera Spadoni – avevano dato la loro disponibilità  per partecipare a Iceberg , su Telelombardia.
Ma sulla loro presenza è arrivato il veto della comunicazione.
Perchè i quattro avevano concordato la partecipazione con Daniele Martinelli, che nel Movimento ha compiti solo da videomaker.
E che, spiega Rocco Casalino, «non ha l’autorità  per decidere queste cose. Abbiamo bloccato tutto perchè non ne sapevamo nulla».
Una «vicenda imbarazzante per i 5 Stelle», commentano dall’emittente.

Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)

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BOSSI A CALDEROLI: “SEI UN DEMOCRISTIANO, NON DIRE STRONZATE”

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

LITE SUL PALCO ALLA FESTA DELLA LEGA A SPIRANO… IL SEGRETARIO PROV. BELOTTI ALLIBITO: “UNA COSA MAI VISTA”

Quando la banda del liscio si è fermata per il comizio, il palco era solo la più banale delle strutture assemblate per l’occasione.
Sono bastati venti minuti per trasformarlo nel palcoscenico di una terapia di gruppo, di uno psicodramma collettivo in cui due dei pezzi più grossi della Lega si sono detti pubblicamente in faccia quello che pensavano del partito e di loro stessi.
La scena: Festa della Lega di Spirano, nei campi attorno a San Rocco, domenica sera. Prima uscita pubblica del segretario provinciale Daniele Belotti, per il quale è stata preparata una torta a sorpresa, comizio di Umberto Bossi come pezzo forte della serata, e ospite a sorpresa Roberto Calderoli: «Non ci dovevo nemmeno venire», dice con l’aria di uno capitato per caso.
L’Umberto arriva con il canonico ritardo, sferra pugni alle mani di chi le porge, bacia i bambini.
Padrone di casa il sindaco Giovanni Malanchini che, forse fiutando l’aria, sfoggia una maglietta con Bossi e Maroni che si stringono la mano.
Il vecchio leader va direttamente al palco e comincia stroncando il governo e difendendo tra la perplessità  generale l’acquisto degli aerei F35 che «avrebbero portato lavoro in Piemonte».
Poi passa a un pezzo forte di questi giorni, l’attacco alla gestione Maroni: «C’è gente che manda circolari per dire di mettersi in cravatta e non indossare niente di verde, che preferisce lo slogan Prima il Nord, mentre invece solo la Padania può dare la vera identità . Non si sbatte fuori la gente, perchè se non si può parlare non c’è democrazia». Calderoli, subito dopo, inizia elogiando il neoeletto Belotti e promette: «Se va in galera per avere difeso la Lega e l’Atalanta io vado in galera con lui».
Bossi sembra inquieto: quando Calderoli elogia Invernizzi per la «serata delle ramazze» fa un’espressione schifata, e quando sente parlare di Flavio Tosi, invita il segretario del Veneto ad andare a quel paese (eufemismo).
Ed è qui che l’ex ministro decide di parlare chiaro: «Tosi è un fratello padano. Noi abbiamo perso il senso di fratellanza. Umberto, quello che dici tutti i giorni su Maroni non va d’accordo con la fraternità  e la riconoscenza».
Bossi si fa ridare il microfono e chiarisce: «Nella Lega attuale la riconoscenza è la virtù del giorno prima. Qui c’è gente che tratta la base a calci. Adesso ti ridò il microfono ma non dire stronzate».
Ma Calderoli non si ferma, cercare di assumere un tono scherzoso ma va giù pesante: «Avevi detto che non volevi fare come Salomone che rischiava di dover tagliare il bambino in due. Ma con quello che dici ogni giorno su Maroni, qui tagli il partito a pezzi con lo spadone. Dovresti ringraziare Maroni, che ha anche vinto in Lombardia». E Bossi: «Sì, grazie a Berlusconi».
Calderoli: «Ma va. Maroni ha vinto e se il partito è al 4% è perchè la gente vede che litighiamo. Basta litigi a casa nostra. Chi se ne frega se lo slogan è Prima il nord o la Padania, l’importante è la libertà  e tenere i soldi a casa nostra».
E allora il senatùr si lancia: «Sei un democristiano».
L’ex ministro tiene botta («Ho pensato di mollare): «Questa non me l’avevano ancora detta. Ma ti sfido: al prossimo congresso tu e Maroni ve ne andate con un sorriso e lasciate il posto a un giovane, che ho già  in mente».
Come risposta Bossi si affaccia al palco e grida tre volte “Padania!”, per sentire il pubblico rispondere ogni volta: “Libera!”.
Poi si gira soddisfatto: “Questo è il vero partito, non quello dei cravattari. Io metterò una norma contro le espulsioni».
Calderoli non si placa: «Sono state espulse in tutto dieci persone, dici che sono troppe, magari erano poche. Ma senza quella norma avremmo ancora Belsito».
Bossi: «Chi espelle ha solo paura».
Calderoli: «Ma sei d’accordo almeno sulla fratellanza?». Bossi: «Certo».
Calderoli: «Allora Maroni è tuo fratello?». Bossi: «Maroni l’ho creato io».
Calderoli: «Io vi avviso: se mi fate girare le scatole vi espello tutti e due. Lo so anche io che era più facile essere fratelli quando si era in un partito che aveva il 12%.
Bossi: «Forse perchè una volta c’era un certo Bossi come segretario».
Calderoli: «Tu sei il papà  e noi siamo tutti tuoi figli. Ma bisogna essere un papà  vero, non di quelli che vanno tutte le sere al bar a giocare a carte».
Con un certo sollievo alla fine il microfono arriva nelle mani di uno stupefatto Belotti, al quale tocca la chiosa finale: «In vent’anni di Lega non avevo mai visto niente del genere».

Fabio Paravisi
(da “il Corriere della Sera“)

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INTERVISTA A BARBARESCHI: “IO VENDUTO? FALSO, IN SILVIO HO VISTO LA LUCE E IN FLI C’ERANO DEI CAMORRISTI”

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

MENTRE LA PROCURA INDAGA SUL RITORNO DELL’ATTORE ALLA CORTE DI BERLUSCONI: SECONDO DE GREGORIO IN CAMBIO DELL’ACQUISTO DI DUE FICTION PER 15 MILIONI DI EURO

Eletto in Parlamento alle Elezioni politiche del 2008 con il Popolo della Libertà , nel luglio 2010 lascia il partito di Berlusconi per aderire a Futuro e libertà .
Ma nel febbraio 2011 annuncia la sua uscita anche dal movimento politico fondato da Gianfranco Fini ed entra nel gruppo misto.
Ora l’ex senatore azzurro Sergio De Gregorio lo accusa di essersi lasciato comprare dal Cavaliere per cambiare casacca
Inizio con Parmenide”. Si migliora stando lontano dalla politica. Un bell’esempio di pulizia interiore, riflessione, apertura al mondo classico e recupero della memoria lo mostra Luca Barbareschi, chiamato in causa per traffico di fiction da Sergio De Gregorio, il maggior trasformista vivente. “Opinione da un lato, verità  dall’altro”.
Il pensiero intramontabile del fondatore della scuola eleatica.
Canaglie, spargitori di merda, lordume.
Eravamo a Parmenide.
Voi giornalisti dovreste stare lontani dalle canaglie. Puntare alla verità  dei fatti. Come è stato possibile che abbiate creduto a un uomo che ha venduto la sua anima, come egli dice, e accusa altri senza un perchè?
Il nome di Barbareschi dentro il mercato berlusconiano è parso plausibile. Perchè è successo?
Lo chiedo a lei.
Domandiamocelo insieme.
La politica mi ha ridotto alla fame. Sa a quanto ammontava la mia dichiarazione dei redditi prima di entrare in politica? Un milione e mezzo di euro. Sa dopo? Duecentomila euro.
Orribile svalutazione.
Sono socialista a sangue perchè amo la socialità . Amavo Craxi come Silvio lo ha amato. E infatti in Berlusconi ho ritrovato la luce perduta. Lo conoscevo ben prima, e il mio curriculum cinematografico, fiction comprese, è così sterminato da non avere bisogno del tradimento per alcunchè. Ho perso non ho ricevuto. Altro che sette fiction in cambio del sì al suo governo. Il mio è stato un gesto deliberato, fondato sul sentimento e sulla ragione, appena mi sono accorto… vogliamo dirci tutto?
Diciamoci tutto. Barbareschi ha gareggiato alle elezioni della scorsa legislatura con il cartello appeso al collo Silvio mi manchi.
Sapesse quanto mi è costato. Parlo quattro lingue, ho dato tanto al teatro, al cinema. Ho una personalità  forte e riconosciuta. L’amor proprio, il senso dell’integrità , dell’identità .
È andato tutto a ramengo.
Ecco, stavo per dirlo. Cammin facendo nella legislatura mi convinco che è tempo di una rivoluzione liberale e aderisco al progetto di Fini. Scrivo il famigerato discorso all’Italia. Di più: gli creo il nome. Futuro e libertà  è una mia idea.
Questo non si sapeva.
Logico, non conosce International, un mio film in cui il protagonista parlava di Futuro nella libertà .
Ma perchè De Gregorio si è incarognito
Mi creda: non lo conosco. Un giudice riceve una deposizione, fa il suo mestiere. Sa cosa mi è capitato?
È stato convocato dal giudice.
Intercettano una telefonata in cui dico ad Alemanno che voglio fare qualcosa per il Paese. Fammi fare l’assessore alla Cultura, il viceministro, oppure il ministro. Sono in Parlamento, voglio rendermi utile.
Giustissimo.
Alemanno mi dice che queste cose le organizza Bisignani.
Ma va!
E chiamo Bisignani, che conosco da una vita.
Giusto
Il senso del mio impegno era di dare qualcosa all’Italia. Ho rinunciato a fare film perchè non volevo che si dicesse male. Mi sono ritagliato solo qualche apparizione teatrale, dieci minuti al pianoforte, qualcosa che mi facesse riprendere aria.
La politica è stata una delusione.
Non le ho detto perchè è finita con Fli.
Per divergenze politiche.
Vengo a sapere che in sala, la sala di Bastia Umbra, del discorso all’Italia… c’era un bel po’ di camorristi.
Accidenti!
La fonte è qualificata e io faccio un test di prova, verifico direttamente con Berlusconi che conferma la vocina che mi è giunta.
Da lì sceglie il ritorno all’antico amor.
In tutta libertà  e chiarezza, altro che fiction. Io ho pagato caro e ho rifiutato cose, parlo solo dell’ultimo lavoro, di Olivetti. Andrà  in onda su Rai l’anno prossimo.
È una fiction!
Ma è del 2012! E io non ho fatto Olivetti. La parte l’ho ceduta a Zingaretti.
Non so gli altri, ma io le credo.
Non capite il danno d’immagine della mia vicinanza a Fini. Per un mese, come effetto collaterale dell’inchiesta sulla casa a Montecarlo, mi sono ritrovato Il Giornale che mi ha fatto le pulci sulla mia casa di Filicudi. Una vasca per l’acqua di trent’anni fa ritenuta abusiva.
La sua casa è bellissima.
La più bella dell’isola.
Muoio d’invidia.
Può essere mio ospite, se ritiene.
La ritorsione è tra le ingiustizie quella più ingiusta.
Assolto da tutto naturalmente.
La verità  vince sulla bugia.
Solo che adesso hanno ripreso in mano l’inchiesta perchè dicono che avrei fatto pressioni su chissà  chi fregiandomi del mio status di deputato.
Militi indomiti.
Verrà  fuori la verità .
La politica sporca.
Mi trovavo a Porta a Porta e avevo di fronte un politico ladro che pontificava. Ladro condannato come tale. Allora gli dissi: spero che la mettono in cella e buttino la chiave. Sa che il ladro mi ha fatto causa ?
E perchè?
Perchè non potevo dirgli che era un ladro. Quarantamila euro gli ho dovuto risarcire.
Che ladro.
Mi raccomando a lei.
Non ritorni più in politica.
Mai.
Solo guai.
Mi sento liberato.
Però qualcosa mi dice che invece
Sbaglia. L’unico mio piacere è fare qualcosa per l’Italia, per il bene comune.

Antonello Caporale
(da “il Fatto Quotidiano“)

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PER LA SANTANCHE’ VICE-PRESIDENTE DELLA CAMERA PROBLEMI NELLA MAGGIORANZA, SI PARLA DI RINVIO

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

FALLITA OGNI MEDIZIONE: SONO 120 I DEPUTATI DI PDL E LEGA, IL PD VOTERA’ SCHEDA BIANCA, MA CINQUESTELLE PIU’ SEL ARRIVANO A 140… CONTERANNO I FRANCHI TIRATORI DI PDL E LEGA… IN CORSO UNA RIUNIONE DEI CAPIGRUPPO PER CHIEDERE UN RINVIO

Alla Camera già  si rispolvera il pallottoliere.
L’elezione di Daniela Santanchè alla vicepresidenza di Montecitorio resta infatti in bilico e i franchi tiratori del Pdl si preparano a entrare in azione.
Di certo, l’ex sottosegretaria non potrà  contare oggi pomeriggio sul sostegno del Pd.
I democratici, infatti, si limiteranno a votare scheda bianca.
Come se non bastasse, un inedito asse tra il Movimento cinque stelle e Sel rischia di battere sul traguardo la pasionaria.
Comunque vada, per la maggioranza si annuncia una giornata di fuoco.
E a poche ore dalla battaglia, la candidata confida: «Se non passo, nella maggioranza si apre un problema politico».
È una telefonata tra Roberto Speranza e Renato Brunetta a sancire la frattura tra i due pilastri del governo.
Tocca infatti al capogruppo democratico “scaricare” telefonicamente la candidata berlusconiana: «Per i nostri è indigeribile», confida.
Nel Pdl, in realtà , sono in molti a remare contro Santanchè.
Ma l’ordine di scuderia imposto da Silvio Berlusconi comunque non cambia: «I patti vanno rispettati».
A sera, poi, non sortisce effetto neanche la proposta di mediazione recapitata a via dell’Umiltà  dagli ambasciatori del Pd.
Propongono un cambio del cavallo in corsa: «Lasciate perdere Santanchè e vi votiamo Antonio Leone». La risposta è netta: idea irricevibile.
In questa sfida contano soprattutto i numeri.
Lo sa Nichi Vendola, che infatti ha chiesto ai grillini di sostenere un uomo di Sel per mettere in ginocchio la maggioranza.
Sulla carta, M5S e vendoliani contano su 140 voti.
Forse qualcuno in più, se davvero dovessero aggiungersi alcuni malpancisti del Pd. Ma a tarda sera l’assemblea grillina boccia l’inedita “alleanza” e propone la deputata Francesca Businarolo alla vicepresidenza.
Toccherà  a Sel decidere se appoggiarla.
Di fronte a questo scenario, i 120 deputati di Pdl e Lega potrebbero non bastare. Anche per questo, gli uomini di Maroni hanno proposto ai berlusconiani di abbandonare Santanchè a favore di un candidato padano.
E poi c’è Scelta civica, pronta a correre in soccorso della parlamentare.
Ma il vero timore del Pdl sono i franchi tiratori.
In tanti, nelle file berlusconiane, hanno duellato in passato con la deputata.
E la pattuglia “moderata” guidata da Angelino Alfano e Maurizio Lupi tenta da tempo di ostacolare l’ascesa di Santanchè.
Il Pd, intanto, si avvicina al passaggio parlamentare con l’unico obiettivo di evitare sgradevoli incidenti di percorso.
Per questo, il gruppo darà  indicazione di votare scheda bianca.
Una soluzione studiata per tenere sotto controllo i parlamentari ed evitare spaccature interne.
Eppure, nel segreto dell’urna qualche dem potrebbe comunque sostenere la candidata berlusconiana in nome della stabilità  di governo.
Fra i democratici, intanto, cade la candidatura di Francantonio Genovese a segretario d’Aula.
In campo restano i nomi di Enrico Gasbarra o Giovanni Sanga.
Ultima ora
A quanto si apprende da fonti di maggioranza, i partiti che sostengono il governo sono orientati a far slittare l’elezione del vicepresidente e di un segretario della Camera, in programma per il pomeriggio di oggi.
Ancora nessuna decisione ufficiale, che spetta alla conferenza dei capigruppo prendere.
Ma a quanto si apprende tra Pd, Pdl e Scelta Civica c’è l’intesa a rinviare il nodo, in modo da cercare di uscire dall’impasse causata dal nome non condiviso da tutti di Daniela Santanchè.
“Nella capigruppo delle 13 Pd e Pdl porranno la questione se sia corretto che forze diverse presentino candidati alternativi, se questo sia ‘fair'”, ha annunciato intanto Renato Brunetta.   “E’ possibile presentare candidature alternative quando le cariche da eleggere sono chiaramente ‘destinate’?”, ha chiesto il capogruppo Pdl alla Camera.

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