Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile “O CAMBIATE REGISTRO OPPURE TENETEVI GHEDINI”: L’AUT AUT DEL FAMOSO LEGALE… CICCHITTO PLAUDE: “FORZA ITALIA DOVRA’ ESSERE UN PARTITO MODERATO, NON UN GRUPPUSCOLO CHE URLA, SBRAITA, INSULTA E MINACCIA AZIONI DA NO TAV”
Parole di miele per Enrico Letta, promesse di sostegno duraturo al governo, ma soprattutto un caldo, caldo invito ai falchi del suo partito a smettere di giocare ai rapaci con le penne degli altri: «Certe volte quelli che vorrebbero agire come miei sostenitori accaniti, quelli più schierati e magari anche affettuosi, prendono posizioni esterne ed estreme che poi vengono attribuite a me. E questo certe volte mi fa venire i brividi». Silvio Berlusconi dixit, intervistato ieri a tutta pagina dal suo Giornale.
Lo stesso quotidiano, per intenderci, che titolava il giorno prima «Banditi di Stato» rivolto agli ermellini della Corte di Cassazione.
A dar credito ai brusii di radio Pdl questa secca smentita della linea dura, questo tentativo estremo di conciliazione e di dialogo, sarebbe dovuto al netto intervento dell’avvocato Franco Coppi.
Raccontano che il principe del foro ne avrebbe avuto abbastanza delle sparate sempre più grosse, fino alla minaccia dell’Aventino parlamentare, delle manifestazioni intorno ai palazzi di giustizia.
Per chi sta provando a impostare da settimane una strategia difensiva «nel» processo questa canea rischiava di far saltare tutto.
Così Coppi avrebbe messo il Cavaliere di fronte a una scelta secca: o cambiate registro oppure tenetevi Ghedini e tanti saluti.
Sarebbe stato il timore di perdere il celebre penalista insomma la ragione dei «brividi» denunciati dal leader Pdl.
Ma insomma, quale che sia il motivo, la bacchettata ai falchi c’è stata.
Tanto che qualcuno di loro – le colombe sono strasicure nell’indicare Daniela Santanchè – ieri ha telefonato a Berlusconi in Russia per chiedergli almeno di mitigare la rampogna.
Ecco dunque arrivare puntuale nel pomeriggio una piccola marcia indietro, una precisazione dell’interessato: «Nel colloquio con Paolo Guzzanti sul Giornale rilevo un’inesattezza che potrebbe dar luogo a spiacevoli equivoci. Quandosi parla di danni provocati da “tutto ciò che è urlato”, è evidente che mi stavo riferendo a quanto proviene dall’esterno del nostro movimento e non certamente a voci interne al Pdl».
Il Cavaliere prova a definirlo un «equivoco» ma il senso di tutta l’intervista era invece moltochiaro.
Tanto che Fabrizio Cicchitto, principale avversario interno della Santanchè e dei falchi, di primo mattino, letto il Giornale, si godeva la vittoria: «In tutta l’intervista di Berlusconi e nello spirito che la anima c’è un richiamo di fondo a quello che dovrà essere nel futuro la natura di Forza Italia, un grande partito moderato e riformista, non un gruppuscolo estremista e autolesionista che urla, sbraita, insulta e minaccia cosiddette azioni esemplari prese a prestito dal repertorio dei No-Tav».
Da notare l’ultima frase, richiamo implicito all’occupazione delle autostrade che sarebbe stata suggerita, durante una riunione dell’ufficio di presidenza, dall’ala dei falchi. Maurizio Gasparri, un’altra colomba (è così, almeno sul piano interno) plaude alla nouvelle vague berlusconiana «più volte comunicataci nelle numerose riunioni di vertice, sempre improntata alla trasparenza, alla lealtà ed alla moderazione».
Sarà così per altri quindici giorni, fino alla sentenza della Cassazione.
Poi si vedrà se lo “Statista” si trasformerà in “Caimano”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile “BERLUSCONI E’ PIU’ GARIBALDI CHE CAVOUR”…”HA CAPITO CHE LA FINE DELLA SUA PERSECUZIONE COINCIDE CON LA FINE DELLA SUA MANIA DI PERSECUZIONE”
Ancor prima del Trenta Luglio in Cassazione, Silvio Berlusconi non vuole farsi stritolare dal
Pitone (Sallusti) e dalla Pitonessa (Santanchè): “Spero solo che i giudici non si incazzino per l’eccesso di urla e di titoli di giornale”.
Lo dice, B., proprio al quotidiano pitonesco, il Giornale.
Poi la solita smentita: “Mi riferivo a chi urla dall’esterno del movimento, il partito è unito”.
Una frittata con uova di pitone.
Giuliano Ferrara ride. Il direttore del Foglio alias l’Elefantino cesella una tripartizione pennuta per il Pdl: falchi, colombe e polli.
“Nel cortile di B. ci sono molti polli, tanti galli che cantano”.
Polli, non pitoni. La faccia di Sallusti quando ha impaginato l’intervista a B.
E la firma dell’intervistatore?
Paolo Guzzanti.
Quello che aveva indicato Berlusconi come capo della mignottocrazia, ma si rende conto?
Dialettica liberale.
La verità è che a Berlusconi non gliene importa nulla. Ed è una persona che non nutre risentimento.
Aspetta il Trenta Luglio come una colomba appollaiata. Da statista, più nobilmente.
Berlusconi è come Garibaldi, ha fatto un sacco di pasticci. Non a caso si dice “alla garibaldina”. Poi alla fine B. cede e dice: “Obbedisco”.
A cosa?
Ai compromessi. È la sua storia politica. È un uomo di umori, un condottiero con un senso avventuroso dell’esistenza. Più Garibaldi che uno statista come Cavour.
Stavolta è la paura a fargli dire “Obbedisco”.
È vero che ha paura, come qualunque imputato. Ma il suo errore è stato sempre mescolare la paura con il suo mestiere di politico.
Adesso fa finta di non mescolare.
Non fa finta. È proprio così. In questo è la persona più trasparente del mondo. Lui ha sentito tutti e poi ha deciso. Per lui la pacificazione è un evento epocale.
Una conversione come quella di San Paolo.
Ha capito che la fine della sua persecuzione coincide con la fine della sua mania di persecuzione.
E i falchi?
Falchi e colombe continueranno a levarsi in volo. Noi del giro di Berlusconi diciamo sempre quello che pensiamo. Lui lascia correre, sente tutti, verifica e poi tira una linea. Pensa all’ultima campagna elettorale.
Contro il governo Monti.
Una campagna da ultra-irresponsabile. Dopo ha fatto le larghe intese. È un imprenditore lombardo. Lui aveva già Montanelli e volle prendersi anche Scalfari. Gli dissero che non poteva comprarsi tutti.
Il Caimano
Voi ne siete ossessionati, ma B. è un uomo normale che ha staccato un assegno di 500 e passa milioni di euro a De Benedetti.
Normalissimo
La realtà non è la fiction di Cordero, del cui stile sono un sostenitore, oppure la profezia ridicola di Moretti, con il tribunale di Milano in fiamme.
Se la colomba è condannata?
Vorrà dire che recupererà la sua vita privata, che la politica gli aveva tolto.
Provocazione alla Ferrara.
Berlusconi è condannato a essere Berlusconi. Lei sa dov’è Qom?
In Iran.
È la città santa dei teologi. Sono loro che comandano, nei palazzi di Teheran ci sono solo pupazzi.
Arcore nuova Qom.
Senza un seggio senatoriale e senza la libertà personale, Berlusconi farà l’ayatollah. Lo vedo nel salottino, in tuta blu, a fare telefonate, prendere appunti, costruire il consenso elettorale.
Un ayatollah in tuta blu. Non è meglio la fuga?
Io che faccio distinzione tra legalità e giustizia, suggerisco sempre all’imputato di andare all’estero.
Il caso Craxi.
Esatto. Ma non faccio l’indovino, non so cosa accadrà . In ogni caso mi pare più probabile la soluzione dell’ayatollah.
I pupazzi del Pdl continueranno a litigare e a dividersi.
Il cortile o la corte di B. è il luogo dove si esprime la classe dirigente del Pdl. Berlusconi sa giudicare le persone ma sbaglia moltissimo.
Per Il Foglio la Pitonessa è strepitosa.
Io sono lo Scalfari della Santanchè, scrivo per il Giornale della domenica. Daniela è una senza remore a differenza degli altri.
Gli altri chi?
Tutti. Sallusti ha delle remore perchè stava con Mieli quando arrivò a B. il famoso avviso di garanzia, il mio amico Vittorio Feltri perchè dirigeva giornali giustizialisti, io perchè sono una vecchia pantegana del Pci. La Santanchè no, quando c’è lei in tv non passa nessuno.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile PERSINO LA BONINO, FIGURA UNA VOLTA LEGATA ALLA TUTELA DEI DIRITTI, E’ “RIUSCITA A NON SAPERE”
A sua insaputa, infatti, il ministro dell’Interno, che è il delfino di Berlusconi, vale a dire dell’amico per la pelle del dittatore del Kazakistan, il famigerato Nazarbayev, ha consegnato una madre e una bimba, moglie e figlia del dissidente Muhktar Ablyazov, al satrapo centro-asiatico.
Angelino Alfano esibisce meno sfrontatezza comica di Scajola ma certamente più goffaggine politica nel riprodurre la stessa linea di difesa minchioneggiante: «non sapevo nulla», «il mio capo di gabinetto mi ha cercato ma ero alla Camera (a litigare con Brunetta) e non mi ha trovato », «sono stato informato a cose fatte dal ministro degli Esteri»
C’era comunque un cinismo che sconfinava con l’ironia nella scelta disperata di Scajola che, beneficiario di una casa con vista sul Colosseo, disse che gliel’avevano regalata appunto a sua insaputa, per sempre rinnovando il frasario della ribalderia politica italiana.
È invece drammatico il ministro che ha destinato, a sua insaputa, la signora Alma alla privazione della libertà personale e a processi penali senza garanzie, e la piccola Alua, sempre a sua insaputa, all’orfanatrofio
“A mia insaputa” è una sindrome così contagiosa che anche il ministro degli Esteri Emma Bonino, la cui figura fiera e febbrile è legata alla tutela dei diritti, dei dissidenti, dei perseguitati, degli ultimi…, ecco persino la leader radicale, la donna faber, la donna sapiens, è riuscita a non sapere.
E però non è dignitoso e non è accettabile che i diplomatici del Kazakistan, i quali hanno messo a disposizione l’aereo che ha sequestrato la donna e la bambina, abbiano trattato e concordato tutto e solo con la polizia e non anche con la diplomazia e con la politica italiane da cui traggono legittimazione e con cui hanno consuetudine, colleganza, amicizia.
Dicono alla Farnesina: «Non potevamo fare nessun collegamento tra questa signora indicata con il suo nome da ragazza e di cui ci veniva solo chiesto se godesse o meno di copertura diplomatica, e la moglie di Ablyazov».
Ma così è anche peggio, visto che l’espulsione è stata velocissima, efficientissima, impiegando più di trenta poliziotti, con un aereo subito pronto.
Bisognava fare un’indagine accurata prima di consegnare una donna e una bambina a un dittatore, prima di «deportarle » scrivono i giornali inglesi
Qui in gioco non c’è l’onestà personale e la rettitudine morale di Emma Bonino che non c’è neppure bisogno di garantire personalmente, ma c’è il rifugio nella strategia dell’“a mia insaputa”, come via di fuga dalla battaglia.
Non è vero che è meglio rischiare di fare la figura dei fessi che non hanno capito e ai quali l’hanno fatta sotto il naso, invece di impegnarsi in una denunzia che potrebbe rivelarsi politicamente mortale.
È vero il contrario: è sempre meglio ammettere che la politica è stata umiliata e bastonata, ma in piena coscienza.
È meglio confessare che i diritti sono stati venduti a interessi economici ma comunque e sempre dentro una politica consapevole.
È meglio essere protagonista che fantasma della storia
D’altra parte c’è la solita Italia dell’otto settembre nel ritiro a cose fatte del decreto di espulsione, nella trasformazione badogliana del volenteroso carceriere in severo censore.
Lo stesso governo che, a sua insaputa, ha consegnato la moglie e la figlia del dissidente al despota di Astana, adesso condanna, si scandalizza, non permetterà …
Ma bisogna pur dire al presidente Letta che il farsi paladino dei diritti umani subito dopo aver pestato a sangue il cognato della signora e averle dato della «puttana russa» non solo non corregge l’errore ma ne esalta la violenza.
È appunto questa la furbizia dell’“a mia insaputa”: meglio esporsi allo scherno pur di non affrontare la responsabilità , meglio offrirsi all’imbarazzo e alla risatina come quella che cercava Scajola quando decise di farsi citrullo e inventò l’antropologia dei politici “a mia insaputa”.
È questo il loro destino, questa la loro ultima spiaggia: provocare una soffocata ilarità pur di evitare l’indignazione, pur di non fare autocritica e pagare di persona.
Serve anche, la strategia dell’“a mia insaputa”, a non far scoppiare, come dovrebbe, lo scandalo internazionale, coinvolgendo l’Europa e, se del caso, le Nazioni Unite e ricordando a tutti che la legge italiana prevede la tutela dei rifugiati politici.
Le operazioni di polizia illegali sono tipiche dei Paesi che non hanno sovranità e dei Paesi dove regna l’arbitrio.
E va bene che gli italiani non conoscono la geografia e nessuno si impietosisce per il destino di due anime esotiche, per giunta non legate alla dissidenza culturale come potevano essere Sacharov o Brodskij, o come la premio Nobel birmana Aung San Suu Kyi, e mai ci saranno Inti Illimani che canteranno per Alma e per Ula.
Ma dal punto di vista del diritto è come se, all’epoca, la moglie e la figlia di un dissidente cileno fossero state consegnate a Pinochet.
Con in più il sospetto, certo non provabile, che lo scandalo sia legato agli interessi di Berlusconi, il quale da ieri è in Russia, nel cuore della Gasprom appunto, dall’amico Putin che con il Kazakistan è uno dei motori della politica energetica dell’Oriente.
Anche l’Eni, a cui la vulgata attribuisce più forza del ministero degli Esteri, è ovviamente amico del Kazakistan e si capisce che le ragioni economiche potrebbero davvero avere giocato un ruolo non solo nella gestione dello scandalo ma anche nella scelta della soluzione scajoliana di “a mia insaputa”
Il solo innocente qui è il capo della polizia perchè davvero non poteva sapere: quel giorno, infatti, il nuovo capo non si era ancora insediato, e il vecchio non c’era più.
E però anche in questa vacatio si intravede la furbizia degli strateghi dell’“a mia insaputa”, perchè nell’interregno è più facile non sapere ed è più semplice dribblare i controlli di legittimit�
Come si vede, erano tempi ingenui di pionieri quelli di Scajola.
Solo adesso, con il debutto nello spionaggio internazionale, “a mia insaputa” è diventata una branca collaudata e matura della scienza politica italiana.
Sotto a chi tocca, dunque.
Francesco Merlo
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile PER UN MESE E MEZZO IGNORATO IL DOSSIER SULLA NOTTE DEL BLITZ… E’ CREDIBILE CHE L’AUTORITA’ POLITICA FOSSE STATA TENUTA ALL’OSCURO DAL SUO STAFF?
Dopo l’inchiesta pubblicata ieri, “Repubblica” è tornata a sollecitare fonti ministeriali, di
polizia e legali.
E il proscenio dell’affaire si popola di nuove figure e dettagli cruciali, utili a comprendere come, in attesa delle conclusioni dell’indagine interna del Capo della Polizia Alessandro Pansa, il tentativo di trovare un capro espiatorio, di far volare qualche straccio sarà strada tutt’altro che agevole.
IL GABINETTO DI ALFANO SAPEVA
Bisogna tornare al 28 maggio. Sappiamo già che quel giorno l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere visitano la Questura e il Viminale per sollecitare la cattura di Mukhtar Ablyazov, dissidente che i due diplomatici pittano come spregiudicato malfattore, per giunta legato al terrorismo internazionale.
Ma, scopriamo ora, la visita al Viminale non è in un ufficio qualunque. A ricevere i diplomatici è infatti il prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Ministro dell’Interno.
L’oggetto della riunione è la cattura di Ablyazov e Procaccini si assicura che alla compagnia si aggreghi anche il prefetto Alessandro Valeri, capo della segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, l’ufficio al cui vertice siede il capo della Polizia (in quei giorni, Pansa non è ancora insediato).
La riunione – per quanto ne riferiscono tre diverse fonti qualificate – non va per le lunghe.
Di fatto, Procaccini sollecita Valeri a fare in modo che quanto i kazaki chiedono con insistente petulanza venga fatto. Rapidamente.
Che insomma quel Mukhtar venga arrestato se è vero, come dicono i due diplomatici mostrando prove raccolte dall’agenzia di investigazione privata Syra, che, tre giorni prima, l’uomo era certamente a Casal Palocco.
Ora, perchè Procaccini riceve i kazaki? Lo fa di sua iniziativa? È stato incaricato dal ministro?
Riferisce ad Alfano quale è stata la loro richiesta e l’incarico dato al Dipartimento di pubblica sicurezza di risolverla celermente?
Procaccini non è di aiuto. “La prego di comprendere che la vicenda è oggetto di un’indagine interna – dice – e dunque non posso entrare nel merito”.
Certo, quella riunione del 28 c’è stata.
Certo, non fu una sua iniziativa convocarla. Ma poi?
“IL PREFETTO TACQUE CON IL MINISTRO”
Più loquace è l’entourage di Alfano. Nel confermare quella riunione, il ministro dell’Interno ricorda semplicemente di aver girato al suo capo di gabinetto Procaccini l’incombenza di parlare con i due kazaki dopo che, insistentemente, lo avevano cercato al telefono nel corso della mattinata per ottenere un appuntamento “urgente”.
Ma lo stesso Alfano nega di essere mai più tornato sulla questione con Procaccini. Non il 28 sera, non il 29, non il 31.
Insomma, liberatosi degli scocciatori, Alfano – se è corretto quanto sostiene – avrebbe semplicemente rimosso la faccenda e Procaccini non gliene avrebbe più parlato (in questo caso, resterebbe da comprendere per quale misteriosa ragione un capo di gabinetto non dovrebbe riferire l’esito di una riunione con due diplomatici che è stato incaricato di ricevere proprio dal ministro).
Almeno fino a quando, l’1 giugno o forse la sera stessa del 31 maggio (sul punto, l’entourage del ministro non è in grado di essere esatto), Alfano non riceve una telefonata.
LA TELEFONATA DELLA BONINO
A cercare Alfano è il ministro degli esteri Emma Bonino. È stata contattata dai legali dello studio Vassalli-Olivo, che hanno assistito Alma Shalabayeva, e vuole avere lumi su quello che le è stato prospettato come una grave violazione dei diritti umani.
Il ministro dell’Interno – sempre a stare alla ricostruzione proposta dal suo entourage – trasecola.
Ascolta la Bonino e le promette di informarsi.
A quanto pare, non parla della faccenda con il suo capo di gabinetto Procaccini, non gli sovviene il ricordo dell’insistenza con cui i kazaki lo avevano cercato solo tre giorni prima. Niente di niente, insomma.
Più semplicemente, Alfano alza a sua volta il telefono e chiede all’appena insediato capo della polizia Alessandro Pansa di informarsi su quella donna e sua figlia.
IL DIPARTIMENTO PIENAMENTE COINVOLTO
Non è dato sapere quanto tempo impieghi Pansa a venire a capo della questione.
Ma deve essere questione di minuti.
Al Dipartimento di Pubblica Sicurezza anche i sassi sanno infatti che razza di mobilitazione è costata la richiesta kazaka.
Dopo la riunione del 28 con Procaccini e i due diplomatici kazaki, il capo della segreteria del Dipartimento, il prefetto Alessandro Valeri, ha infatti messo rapidamente in moto la macchina che porta al blitz quella stessa notte.
Ha chiesto al capo della Criminalpol e vicecapo della Polizia Francesco Cirillo di dare una svegliata all’Interpol (Mukhtar è ricercato con mandato di cattura internazionale) e ha eccitato il capo della squadra mobile di Roma Renato Cortese accreditando i due diplomatici e le loro farlocche informazioni sulla pericolosità del soggetto.
L’ATTENTATO FASULLO
Del resto, a tal punto la Questura di Roma è convinta di dover “evadere” una pratica che sta a gran cuore al Viminale, che, anche quando si tratterà di mettere su un aereo direttamente per Astana Alma e sua figlia, si decide di non contrariare i kazaki.
I soliti due diplomatici arrivano infatti a sostenere che la donna non può essere espulsa su un aereo di linea con destinazione Mosca perchè lì, all’aeroporto Sheremetevo, un gruppo terroristico legato a tale Poplov, di cui Mukhtar è accusato dal Regime di essere fiancheggiatore, sarebbero pronto a scatenare l’inferno.
LA PRIMA RELAZIONE INTERNA
Il 3 giugno, su richiesta di Pansa, la Questura di Roma e l’Ufficio stranieri inviano al Viminale le prime relazioni di servizio interne su quanto è accaduto.
È un pro-forma, perchè tutti sanno cosa è successo. Anche chi fa finta di non sapere.
E infatti, nulla accade per un mese e mezzo. Fino a venerdì pomeriggio.
Quando il governo decide di uscire dall’angolo facendo volare gli stracci.
Quando Alfano scopre che quel che per 45 giorni gli era apparso “perfettamente rispettoso delle norme”, tale non è più.
Che serve qualche testa.
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile IL RUOLO DEL CAPO DI GABINETTO DEL VIMINALE E DEI VERTICI DELLA POLIZIA… COINVOLTI ANCHE FUNZIONARI DI RANGO DELLA FARNESINA
Il gabinetto del ministro Angelino Alfano ha avuto un ruolo centrale nella vicenda culminata il 31 maggio scorso con l’espulsione dal nostro Paese di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua.
E il resto lo hanno fatto i vertici del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che si sono attivati su richiesta dell’ambasciatore del Kazakistan in Italia, Andrian Yelemessov. L’indagine disposta dal governo e affidata al capo della polizia Alessandro Pansa arriva dunque ai piani alti del Viminale.
E dimostra che anche i funzionari di rango della Farnesina furono coinvolti nella procedura, durata appena due giorni, che si concluse con il rimpatrio della moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov a bordo di un jet privato pagato proprio dalle autorità kazake.
Come è possibile che lo stesso Alfano e la titolare degli Esteri Emma Bonino non siano stati tempestivamente informati?
E soprattutto, se davvero hanno saputo che cosa era accaduto soltanto il 31 maggio scorso come continuano a dichiarare, che cosa hanno fatto sino ad ora?
Perchè hanno ripetutamente assicurato che «le procedure sono state rispettate» salvo essere poi costretti a fare marcia indietro e revocare il provvedimento del prefetto? Proprio per rispondere a questi interrogativi bisogna tornare al 27 maggio scorso e ricostruire la catena di errori, omissioni, possibili bugie che segna questa drammatica storia.
Le riunioni al Viminale
Proprio quella sera, dopo aver cercato di contattare inutilmente il ministro Alfano, l’ambasciatore Yelemessov chiede e ottiene un appuntamento con il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini.
L’obiettivo appare chiaro: sollecitare l’arresto di quello che viene definito «un pericoloso latitante, che gira armato per Roma e si è stabilito in una villetta di Casal Palocco».
Secondo la versione ufficiale, il prefetto spiega che non si tratta di affari di sua competenza e dunque propone al diplomatico di affrontare la questione con il Dipartimento di pubblica sicurezza.
Il contatto viene attivato subito e la pratica finisce sul tavolo del capo della segreteria del capo della polizia, il prefetto Alessandro Valeri.
La mattina successiva, è il 28 maggio, l’alto funzionario incontra l’ambasciatore e il primo consigliere Nurlan Zhalgasbayev.
Di fronte a loro contatta la questura di Roma, sollecita un intervento immediato.
Il caso viene affidato al capo della squadra mobile Renato Cortese che si muove sempre in accordo con il questore Fulvio Della Rocca. Insieme incontrano i due diplomatici kazaki.
Le consultazioni di quelle ore coinvolgono anche l’Interpol, che dipende dalla Criminalpol e dunque dal vicecapo della polizia Francesco Cirillo.
Sono proprio i funzionari di quell’ufficio a trasmettere ai colleghi il mandato di cattura internazionale contro Ablyazov.
L’uomo – risulta dal provvedimento – è accusato di truffa, ricercato per ordine dei giudici kazaki e moscoviti.
Le massime autorità di polizia concordano dunque sulla necessità di intervenire con un blitz nella villetta di Casal Palocco.
Possibile che nessuno si sia premurato di scoprire chi fosse davvero questo Ablyazov?
È credibile che nessun accertamento abbia consentito di scoprire che si trattava di un dissidente che aveva già ottenuto asilo politico dalla Gran Bretagna?
I contatti con la Farnesin
Il blitz scatta poco dopo la mezzanotte del 28 maggio.
Sono una quarantina gli agenti coinvolti.
Finisce come ormai è noto, visto che in casa non c’è Ablyazov e gli agenti trovano soltanto sua moglie e la figlioletta che dorme.
Viene avviata la procedura di espulsione della donna che però fa presente di godere dell’immunità diplomatica grazie al passaporto rilasciato dalle autorità della Repubblica del Centroafricana.
L’ufficio Immigrazione chiede conferma di questa circostanza al Cerimoniale della Farnesina che il 29 pomeriggio invia un fax di risposta che nega questo privilegio. «Non avevamo accesso a questi dati perchè la signora aveva fornito il suo cognome da nubile», hanno fatto sapere ieri dal ministero degli Esteri.
In realtà la comunicazione trasmessa dal capo della Cerimoniale Daniele Sfregola contiene altre informazioni sullo status della signora e dunque appare almeno strano che non si fosse a conoscenza della sua particolare condizione di pericolo e della necessità di accordarle protezione.
In ogni caso, dopo il rimpatrio della signora e della bambina, è proprio alla Farnesina che l’avvocato Riccardo Olivo si rivolge per chiedere assistenza.
Bonino viene dunque a conoscenza di ogni aspetto della vicenda. E contatta Alfano.
La linea del govern
La ricostruzione effettuata in queste ore certifica che quantomeno dal 31 maggio, quindi poche ore dopo il decollo del jet privato, i due ministri sono perfettamente informati di quanto accaduto.
Ma è davvero così?
Possibile che il prefetto Procaccini non abbia ritenuto di dover relazionare ad Alfano il motivo della visita dell’ambasciatore kazako, visto che l’istanza iniziale sollecitava un incontro proprio con il ministro?
E come mai il prefetto Valeri, dopo aver attivato la questura e di fatto concesso il via libera all’intervento sollecitato a livello diplomatico, decise di non parlarne con il prefetto Alessandro Marangoni, all’epoca capo della polizia reggente?
Perchè non lo fece il suo vice Cirillo?
Ed è credibile che non ci fu alcun contatto successivo con la Farnesina, viste le relazioni intessute con l’ambasciatore kazako a Roma?
A questi interrogativi dovrà rispondere l’indagine condotta dal prefetto Pansa, anche tenendo conto che il 3 giugno fu proprio il prefetto Valeri a sollecitare una relazione per ricostruire ogni passaggio della vicenda, che gli fu trasmessa poche ore dopo dal questore Della Rocca.
Il capo della polizia dovrà individuare le responsabilità dei tecnici, ma questo non sarà comunque sufficiente a chiarire i risvolti politici della vicenda.
In questi 40 giorni trascorsi dopo la partenza forzata della signora Shalabayeva e di sua figlia, è infatti sempre stato assicurato che non c’era stata alcuna irregolarità .
Ma nonostante ciò, due giorni fa il governo è stato costretto a revocare il provvedimento di espulsione, assicurando che avrebbe fatto ogni sforzo per far tornare la donna e la bambina in Italia.
Una presa di posizione forte, arrivata però troppo tardi.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile IL RAZZISMO SI COMBATTE APPLICANDO LA LEGGE, CALDEROLI NON SAREBBE STATO PIU’ ELEGGIBILE IN PARLAMENTO DA TEMPO
«Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare alle sembianze di un orango».
Il pesante insulto razzista lanciato dal leghista Roberto Calderoli nei confronti del ministro dell’integrazione Cecile Kyenge scatena un terremoto politico.
I vertici del parlamento condannano l’accaduto, Letta protesta.
Alfano critica l’ex collega di governo e il Pd chiede le dimissioni dell’esponente del Carroccio che ricopre l’incarico di vicepresidente del Senato.
LE PAROLE CHOC
Dal palco della festa del Carroccio a Treviglio, nel Bergamasco, Calderoli è tornato ad attaccare l’esponente del governo già fatta oggetto di attacchi da parte di esponenti leghisti in occasione della sua visita a Bergamo pochi giorni fa.
«Fa bene a fare il ministro – ha dichiarato Calderoli dal palco – ma forse lo dovrebbe fare nel suo Paese. È anche lei a far sognare l’America a tanti clandestini che arrivano qui».
Poi gli insulti: «Io mi consolo quando navigo in Internet e vedo le fotografie del governo. Amo gli animali, ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango».
Dopo la bufera Calderoli non si scusa: «È stata una battuta, nei termini della simpatia. Niente di particolarmente “contro” ma solo legata alle mie impressioni», ha spiegato intervistato da Radio Capital.
Simpatia dire che una donna assomiglia a un orango? «Non l’ho “paragonata”, ho detto – spiega – che, anche se non mi sembra, ha lineamenti in quel senso…».
La replica del ministro è immediata: «Si faccia un confronto serio all’interno della Lega per capire se Calderoli ha intenzione di continuare la sua battaglia politica con le offese».
E le dimissioni? «Non spetta a me decidere questo», precisa Kienge, «ma la Lega e Calderoli traggano le conseguenze».
Per la ministra «le parole di Calderoli non le prendo come un’offesa personale, ma mi rattristano per l’immagine che diamo dell’Italia. Credo che tutte le forze politiche debbano riflettere sull’uso che fanno della comunicazione»
Durissima la replica del premier Letta, che definisce «inaccettabili le parole riportate oggi da organi di stampa e attribuite al senatore Calderoli nei confronti di Cecile Kyenge. – Inaccettabili oltre ogni limite – scrive Letta su Twitter – Piena solidarietà e sostegno a Cecile. Avanti col tuo e col nostro lavoro».
Il vice premier e ministro dell’Interno Angelino Alfano ha chiamato il ministro Cecile Kyenge per esprimere «piena solidarietà e forte vicinanza, da parte dei colleghi di governo del Popolo della Libertà e dell’intero partito, per le ingiuriose parole ricevute».
«Nessuna differenza politica nè di opinione su singoli argomenti può mai giustificare quello che è accaduto», ha affermato Alfano.
Il presidente della Camera Laura Boldrini esprime «solidarietà alla ministra Kyenge. Dal vicepresidente del Senato Calderoli parole volgari e incivili, indegne per le Istituzioni».
«Non ci sono giustificazioni possibili alle offese che il vice presidente del Senato Calderoli ha rivolto al ministro Cecile Kyenge. Ora si scusi», è l’invito del presidente del Senato Grasso.
Il leader del pd Epifani interviene via Twitter: «Quanto detto da Calderoli lascia senza parole e non dovrebbe nemmeno essere pensato. Detto dal vice presidente del Senato, apre un problema che andrà opportunamente affrontato. Con tutti i democratici e con tutti gli i italiani, sono accanto a Cècile Kyenge Kashetu».
Sulla stessa linea anche il commento di Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato:«Non è possibile e non è degno che un importante rappresentante delle nostre istituzioni insulti, con parole volgari e offensive e razziste una cittadina italiana e ancora di più una donna che oggi, da ministro, rappresenta il nostro Paese», ha proseguito. «Domani il Pd in aula a Palazzo Madama chiederà conto a Calderoli delle sue affermazioni. Nel frattempo mi auguro che il vice presidente del Senato trovi la dignità di spiegare e di scusarsi con il ministro Kyenge», ha chiesto.
Per il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda «il senatore Calderoli rappresenta un caso di gravissimo sdoppiamento di personalità . Quando presiede il Senato lo fa con equidistanza. Quando parla da leghista tocca le vette della massima volgarità politica e civile. Il suo insulto al ministro Kienge è totalmente incompatibile col suo ruolo di vicepresidente del Senato».
E anche Vendola chiede la testa dell’esponente del Carroccio: «L’autore della porcata del Porcellum, l’autore della scellerata maglietta con gli insulti anti-islam, si scatena ora con parole vergognose verso il ministro Kyenge. È chiaro ed evidente che Calderoli non può rappresentare degnamente il vertice del Senato».
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile UN MANIFESTO DI INTELLETTUALI CON L’ARTROSI, AUTOCRITICHE GENERICHE, LE SORELLE D’ITALIA PRIME DELLA CLASSE… NELL’ORCHESTRA DELLO “ZERO VIRGOLA” I SOLISTI SUONANO PER SE’ MENTRE IL TITANIC AFFONDA… MENIA COME SCHETTINO: “DI FRONTE AL DISASTRO CHE ABBIAMO COMBINATO, NON VOGLIO CHE LA MIA VITA FINISCA COSI'”… TUTTI SPERANO DI APPRODARE ALL’ISOLA DEL TESORETTO DI AN
Alla fine si sono rivisti (quasi) tutti: nella cornice di Orvieto gli “sfascisti” della Destra
italiana si sono infatti dati appuntamento per la Convention dei trombati e dei tromboni.
C’era in sala più gente che ha perso le elezioni che alla biglietteria della stazione Termini .
Tutti a invocare i tempi belli, che poi sarebbero quelli di An, quando si prendeva il 12% senza fare congressi, senza dibattiti interni, con Fini che portava voti e i colonnelli che gestivano la caserma e fissavano le razioni del rancio per i marmittoni.
Dopo essere stati a servire in livrea a palazzo Grazioli per anni, di fronte al cambio di servitù che si prospetta con il ritorno a Forza Italia, l’unica prospettiva di sopravvivenza per molti pare diventato quello di rilevare un ristorante dal nome conosciuto e con un fondo cassa sostanzioso.
Nulla di meglio che far stilare il menù a qualche intellettuale organico esperto in valori economici, prelevati dalle redazioni del Cavaliere o dai giardinetti dei pensionati, e invitare tanti solisti reduci chi dai fischi della platea dei militanti chi da fiaschi elettorali che avrebbero ucciso un toro.
Gli “zero virgola”, miracolati negli anni da Fini, dopo aver compiuto il parricidio in tempi diversi, risalgono sul palco degli illusionisti in nome dell’unità della destra.
Quella che proprio loro hanno affossato negli anni con scelte suicide e per mere ambizioni personali.
Tutti a parole disposti a fare un passo indietro, ma tutti col pensiero rivolto alle Europee del 2014: dove loro non si ricandiderebbero, come no…ci crediamo tutti.
Ma neanche il revival anni ’90 ha successo, c’è chi vuole fare il prezioso, come il complessino “sorelle d’italia” che avendo venduto qualche disco in più non vuole mollare lo spartito.
E gli altri solisti di Orvieto ci rimangono male perchè vorrebbero partecipare anche loro agli utili della nuova casa discografica.
Alla fine sembra di essere sul Titanic di una destra “minata” da tempo da Silvio che ha piazzato le cariche nei posti giusti.
I solisti dell’orchestra suonano ciascuno uno spartito diverso, mentre la nave affonda e gli elettori hanno abbandonato la sala da tempo.
Non resta che il drammatico appello del comandante Menia, novello Schettino, esperto in manovre sbagliate: “Dopo il disastro che ho combinato, non voglio che la mia vita finisca così”.
In fondo tutti volevano raggiungere l’isola del tesoretto di An, non certo schiantarsi contro uno scoglio sottocosta.
Se avete un salvagente a portata di mano, non fatevi prendere dal solito vostro buoncuore: potrete sempre dire che era sgonfio o bucato.
Quando per anni avevate denunciato che la nave era piena di falle tappullate, loro stavano a ingozzarsi facendo finta di nulla e ignorando i vostri appelli.
Solo una barca di nuovi, umili e onesti marinai potrà riprendere la navigazione verso la giusta rotta.
La destra italiana non si ricostruisce con i taroccatori della bussola.
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile ENNESIMA VISITA ALLA’AMICO PUTIN… E UNO STUDIO LEGALE INTERNAZIONALE HA GIA’ FATTO AVERE AD ARCORE LA LISTA DEGLI STATI CHE NON PREVEDONO L’ESTRADIZIONE
Silvio Berlusconi novello Snowden?
Non sono stati pochi quelli che hanno caricato di significati misteriosi il prossimo viaggio in Russia del Cavaliere.
Perchè è parso strano un po’ a tutti che proprio alla vigilia dell’udienza Mediaset del 30 luglio, Berlusconi abbia sentito l’improvvisa voglia di rivedere l’amico Putin.
Partirà oggi per tornare (dicono) domenica sera a Milano.
Motivo? Nostalgia canaglia. Velata anche da qualche tono di pessimismo, “perchè se poi lo condannassero — sosteneva ieri il fedelissimo Valentino Valentini — possiamo scommettere che la prima cosa che gli leveranno sarà il passaporto…”.
E, dunque, meglio “andarlo a salutare adesso che poi, chissà quando potrà rivederlo”. Già , chissà .
Inutile, d’altra parte, sperare che sopraggiunga, in caso di condanna s’intende, la grazia del capo dello Stato, come da giorni una pressante campagna mediatica, portata avanti da Libero, cercava di ottenere.
Dal Colle è arrivata una risposta che ha colpito — e affondato — come una cannonata: “Sono solo speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato — ha risposto Napolitano, imbestialito — segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale”. Più di così.
Non domo, il presidente ha anche mandato un altro messaggio informale, nel quale ha parlato di “speculazioni che danno il senso di una assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita pubblica” .
Si tratta insomma, di “abituali provocazioni di certi giornali che per la loro sguaietezza e rozzezza dal punto di vista istituzionale non meritano alcuna attenzione nè tanto meno alcun commento”.
Non poteva andare peggio.
Addio ipotesi grazia, dunque. Ma per niente addio all’ipotesi “fuga”.
Per la verità , non è proprio Berlusconi ad aver lavorato , in questi giorni, su un’ipotesi di piano B per farsi trovare all’estero il giorno della sentenza e decidere poi se rientrare o meno in Italia per scontare l’eventuale condanna.
“Berlusconi è un guerriero — commentava qualche giorno fa Guido Crosetto — non lascerebbe mai il Paese, ma giocherà tutta la sua partita facendo il martire della giustizia, persino passando 24 ore a San Vittore, se necessario…”.
E sarà anche così, ma i suoi (e in particolare i familiari) una “via di fuga” l’hanno comunque preparata.
Alcuni collaboratori della famiglia di Arcore hanno infatti dato mandato ad uno studio legale internazionale, che ha una delle proprie sedi a Ginevra, di disegnare un quadro di Paesi su cui poter andare a “svernare” in santa pace senza problemi di estradizione con l’Italia.
Certo, Valentini ha suggerito, fin da subito, proprio la Russia, dove Berlusconi troverebbe porte aperte e accoglienza sopraffina.
Il Cavaliere avrebbe anche altre soluzioni, Putin a parte.
Sembra che uno dei luoghi che potrebbe fare al caso suo sia il Nicaragua.
D’altra parte il suo amico Dell’Utri nel Paese di Daniel Ortega non è proprio di casa ma quasi e, com’è noto, di estradizione verso l’Italia (ma anche verso altri Paesi) l’ex guerrigliero sandinista non vuol sentir parlare.
Sarebbe un’extrema ratio, certo, solo nel caso in cui i giudici gli facessero davvero scattare le manette ai polsi.
Un’umiliazione, quella dell’arresto, a cui non si abbasserebbe mai: “Dopo tutto quello che ho fatto per questo Paese…”, ripetono in via dell’Umiltà .
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 14th, 2013 Riccardo Fucile DA QUOTA 820.607 ISCRITTI DEL 2009 AI 617.000 DEL 2010, AI 500.163 DEL 2012…E QUEST’ANNO I DATI NON CI SON ANCORA
Ai nostalgici magari non dispiacerà il ricordo del caro segretario (politicamente) estinto. E
però davvero deve fare uno strano effetto andare a iscriversi in queste ore al Partito democratico e ritrovarsi in mano la tessera di un partito che non c’è più.
La firma che campeggia in alto a destra è quella dell’ex segretario Pier Luigi Bersani.
Lo slogan pure è fermo all’ultima campagna elettorale, finita come è noto con una sonora “non vittoria”.
“L’Italia giusta”, ricordate? Stampata su quella tesserina nuova di zecca, firmata dal fu segretario, diventa l’immagine plastica di un partito bloccato.
Fermo, come per un maleficio, a quel 25 febbraio immaginato come il giorno della vittoria e diventato l’inizio della fine.
Si capisce che, nonostante il congresso in vista, il tesseramento non stia scaldando i cuori dei Democratici sparsi lungo la penisola.
Al Nazareno preferiscono non dare numeri.
“Tra le primarie, le parlamentarie e le elezioni a febbraio quest’anno il tesseramento non è cominciato prima di aprile”, spiega Tore Corona, il braccio destro di Davide Zoggia, che è il responsabile organizzazione del partito.
Quindi bisognerà aspettare ancora un po’ per capire a che quota si fermerà quest’anno il Partito democratico.
I numeri dei tesseramenti passati disegnano una specie di valanga.
Si parte da quota 820.607 del 2009, l’anno del congresso che elesse Bersani. Si precipita a quota 617.24 nel 2010.
E la discesa prosegue, 602.488 tessere nel 2011, 500.163 nel 2012.
Ultimo dato disponibile. Confrontarlo con i voti dell’ultimo tesseramento prima della fondazione del Pd, quando Ds e Margherita raccolsero rispettivamente 590 mila e 400 mila tessere, fa impressione: in pochi anni i tesserati sono praticamente dimezzati.
“Ma io sono ottimista”, si schermisce Corona: “Il 2013 sarà l’anno del congresso e saranno in tanti a volersi iscrivere”.
Davvero? “Da 24 ore abbiamo anche lanciato il tesseramento online”.
Al momento le cronache dai territori raccontano tutt’altro. Il tesseramento è indietro ovunque. Anche più di quanto non raccontino al Nazareno.
Al Nord, dove a metà anno il tesseramento è già quasi concluso. Come al Sud.
Nessuno vuole fornire dati.
“È un momento difficile, la gente fatica ad arrivare a fine mese”, abbandona l’ottimismo da “regione rossa” persino Palmiro Ucchielli, segretario Pd della Marche. Nemmeno l’icona vivente del vecchio Pci, un bersaniano della prima ora con il nome di Togliatti e la faccia uguale a quella di Lenin, ce la fa in un momento così a mettersi lì a fare tessere come se niente fosse.
In questo non c’è differenza tra lui e il suo antagonista locale, Matteo Ricci, giovane presidente della Provincia di Pesaro, appena passato con le schiere renziane. “Vorrei capire chi dovrebbe iscriversi a un partito che continua a traccheggiare, in balia degli umori e dei processi di Berlusconi?”, sbotta, invocando “la data del congresso”, convinto che fissarla potrebbe aiutare a rompere l’incantesimo.
Mariagrazia Gerina
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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