Agosto 14th, 2013 Riccardo Fucile
LE SENTENZE DA MILANO E NAPOLI: LE INCHIESTE CHE TOLGONO IL SONNO A BERLUSCONI
Giorgio Napolitano lancia l’amo della grazia al Cavaliere ma i problemi giudiziari di Berlusconi non si risolvono certo con l’eliminazione dei 4 anni di pena inflitti dalla Cassazione.
L’evasore fiscale che guida il Pdl deve affrontare altri due processi a Milano e altre due indagini a Bari e Napoli.
La toppa del Colle in caso di nuova condanna si rivelerebbe peggiore del buco.
Il processo Ruby è il più pericoloso.
Le motivazioni della sentenza del Tribunale che ha condannato Berlusconi a 7 anni di reclusione e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici saranno depositate a settembre.
Poi toccherà alla Corte di appello di Milano che ha dimostrato già la sua velocità nel caso Mediaset.
Se l’accusa di concussione per costrizione reggesse nei gradi successivi, Berlusconi si potrebbe ritrovare una seconda condanna definitiva entro la prima metà del 2015. L’effetto domino travolgerebbe anche l’indulto per tre dei quattro anni inflitti nella sentenza Mediaset.
E la condanna definitiva per la concussione farebbe scattare l’interdizione automatica con conseguente addio all’agibilità politica appena restituita dal Presidente.
Sempre da Milano potrebbero arrivare sorprese dalla coda velenosa del processo Ruby bis. Il Tribunale che ha condannato per i festini di Arcore a 7 anni anche Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, ha infatti trasmesso alla Procura le carte delle testimonianze di molte ragazze, compresa la stessa Ruby, che hanno decantato davanti ai magistrati le cene eleganti.
Piccolo particolare: prima o dopo sono state tutte pagate da Berlusconi.
urtroppo per loro il munifico imputato è stato condannato per il reato di prostituzione minorile e in autunno, dopo il deposito delle motivazioni, i giudici trasferiranno il fascicolo ai pm che dovranno valutare una ad una le testimonianze delle ragazze retribuite con bonifici di 2mila e 500 euro al mese o gratificate da automobili e altri benefit.
Anche i comportamenti degli avvocati Nicolò Ghedini e Piero Longo finiranno sotto la lente della Procura.
I magistrati milanesi potrebbe contestare a Silvio Berlusconi le riunioni con le ragazze e i pagamenti a loro favore. Anche se siamo alle ipotesi teoriche questo filone preoccupa più del processo sulle intercettazioni del caso Unipol, nonostante in questo caso sia già intervenuta una condanna in primo grado a un anno.
Il Cavaliere secondo il Tribunale ascoltò in quel di Arcore alla vigilia di Natale del 2005 le intercettazioni trafugate da un imprenditore che lavorava per la Procura e consegnate al fratello Paolo.
La pubblicazione da parte del Giornale di famiglia della celebre conversazione tra l’imprenditore rosso Giovanni Consorte e l’allora leader dei DS, Piero Fassino, (‘Abbiamo una banca’) certamente favorì alle elezioni il centrodestra.
Ma Berlusconi non pagherà il prezzo processuale di quel grande regalo di Natale ricevuto dal fratello.
Colpa della lentezza della giustizia milanese, tante volte accusata dal leader del Pdl di essere eccessivamente rapida.
Il Giornale pubblicò la trascrizione a dicembre del 2005 e quindi la Corte di Appello dovrebbe dichiarare la prescrizione con l’estinzione del reato e delle ansie del Cavaliere
In realtà la Procura di Napoli potrebbe essere il fronte più caldo della ripresa autunnale nell’attività giudiziaria contro Berlusconi.
Il 16 settembre è prevista l’udienza preliminare per il caso della corruzione dell’ex senatore Sergio De Gregorio.
Berlusconi è accusato dai pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock, Alessandro Milita e Fabrizio Vanorio di avere pagato insieme a Valter Lavitola 3 milioni di euro a De Gregorio per far cadere il Governo Prodi.
De Gregorio ha chiesto già il patteggiamento a un anno e 8 mesi e il 23 ottobre si prevede che il Gip Amalia Primavera decida su tutte le posizioni.
Anche se lo sciopero degli avvocati previsto proprio per il 16 settembre potrebbe fare slittare di qualche giorno il ruolino di marcia, il processo contro il presunto corruttore Berlusconi potrebbe iniziare alla fine del 2013 o all’inizio del 2014 con l’ipoteca pesante del patteggiamento del corrotto De Gregorio.
Una situazione apparentemente in discesa per la Procura
Infine a Napoli c’è un’altra indagine per rivelazione di segreto d’ufficio che preoccupa il fronte berlusconiano.
In questo caso, a differenza del caso Unipol, Berlusconi non è indagato ma l’inchiesta riguarda una testata della società guidata dalla figlia Marina. Giorgio Mulè, direttore del mondadoriano Panorama, infatti è indagato per rivelazione del segreto e corruzione dai pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli perchè ha pubblicato i contenuti della richiesta di arresto contro Walter Lavitola e Gianpaolo Tarantini, prima della firma dell’ordinanza di arresto da parte del Gip Amalia Primavera, nell’agosto del 2011.
Le carte segrete, come nel caso delle intercettazioni Fassino-Consorte sarebbero state ottenute — secondo l’accusa — compiendo un reato da parte della fonte: il cancelliere del Gip Primavera che aveva estratto dal computer di ufficio la richiesta di arresto. Inoltre i pm sospettano che i giornalisti abbiano promesso qualcosa in cambio all’avvocato che avrebbe favorito lo scoop facendo da intermediario con il cancelliere. Mulè è indagato insieme all’inviato autore dello scoop, Giacomo Amadori che avrebbe ricevuto fisicamente la richiesta di arresto dei pm ancora segreta.
Il problema è che quello scoop ha favorito oggettivamente la fuga di Valter Lavitola. L’amico del Cavaliere si trovava all’estero quando uscirono le anticipazioni della notizia e fu consigliato al telefono da Berlusconi di restare lì.
Nell’articolo uscito quel giorno è riportata anche una dichiarazione di Berlusconi sul-l’indagine segreta. Panorama, quando chiamò il suo editore conosceva i contenuti della richiesta di arresto di Lavitola e Tarantini.
Chissà se Amadori e Mulè dissero tutto quello che sapevano sulla richiesta di arresto contro Lavitola e Tarantini al padrone della società che li stipendia.
E chissà se chiesero l’autorizzazione per la pubblicazione dello scoop che poi favorì il latitante Lavitola.
Al momento della pubblicazione dello scoop, Berlusconi era considerato dai pm napoletani una vittima dell’estorsione del duo Tarantini-Lavitola.
Oggi invece è indagato a Bari insieme a Lavitola con l’accusa di avere pagato Gianpaolo Tarantini per mentire in suo favore nelle indagini della Procura di Bari sulle escort.
E la risposta alle domande che si pongono oggi gli inquirenti sul contenuto di quella conversazione del Cavaliere con il giornalista di Panorama, assume un senso diverso.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 14th, 2013 Riccardo Fucile
NAPOLITANO AVVISA L’EX PREMIER: SE TIENI IN PIEDI IL GOVERNO E FAI PERVENIRE AL COLLE UNA RICHIESTA DI CLEMENZA SE NE PUà’ PARLARE. MA SULLA SENTENZA NON SI DISCUTE
Tecnicamente è una “dichiarazione”, non una nota, vergata nella tenuta presidenziale di
Castelporziano, vicino a Roma, e che il capo dello Stato fa pubblicare sul sito istituzionale del Quirinale, verso sette e mezzo di sera.
Giorgio Napolitano risponde a Silvio Berlusconi e lo fa nel peggiore dei modi per il Cavaliere.
Il Colle, infatti, apre alla grazia per B., dopo la condanna definitiva in Cassazione per i diritti tv Mediaset, ma nella sua lunga dichiarazione si addensano, uno dopo l’altro, tutti i paletti posti come condizione per dare il gesto di clemenza, a patto che venga chiesto
A partire dal fatidico passo indietro di Berlusconi che Gianni Letta, ambasciatore tra “Silvio” e “Giorgio”, aveva già anticipato nei giorni scorsi. I passaggi che vanno in questa direzione sono due.
Il primo funge da premessa: “È comprensibile che emergano — soprattutto nell’area del Pdl — turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo (fatto peraltro già accaduto in un passato non lontano) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”.
Tra parentesi, Napolitano si riferisce ad Arnaldo Forlani, ex segretario della Dc, che venne condannato definitivamente per la maxi-tangente Enimont.
Non un esempio a caso. A differenza del democristiano Forlani, B. è “rimasto leader incontrastato” di una forza cui comunque il Colle riconosce il merito di aver contribuito alla nascita del governo Letta.
Detto questo, e subito dopo aver elencato meticolosamente la procedura della grazia e puntualizzato che “nessuna domanda mi è stata indirizzata”, Napolitano dà una lezione di realismo estremo al Cavaliere nel passaggio finale: “Toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa l’ulteriore svolgimento — nei modi che risulteranno legittimamente possibili — della funzione di guida finora a lui attribuita”. Qui, il capo dello Stato tira in ballo la questione della successione nel centrodestra. Per un motivo semplice: la grazia, se richiesta e poi concessa, non risolverà il problema dell’incandidabilità di B. secondo la legge Severino.
In pratica, guardando in filigrana la dichiarazione del Colle, si scorge il profilo di un Cavaliere ridotto al ruolo di padre nobile, che si ritira dalla politica attiva dopo aver ottenuto la grazia.
È lo scenario immaginato dalle colombe del Pdl (Gianni Letta, Alfano, Schifani), non certo dai falchi della Santanchè.
Il secondo paletto del Quirinale è che la sentenza va accettata, altra condizione anticipata sempre da Gianni Letta nei giorni scorsi: “Nell’esercizio della libertà di opinione e del diritto di critica, non deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza. Nè è accettabile che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche”.
Non solo, il capo dello Stato specifica pure che un “eventuale atto di clemenza” non toccherà “la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicata”.
Niente Aventino parlamentare o campagna di Ferragosto sulle spiagge.
Berlusconi continui a rimanere in silenzio e a dare ascolto alle colombe.
Solo così, in autunno, Napolitano, in caso di domanda a lui “indirizzata”, valuterà sulla grazia.
E qui siamo al terzo paletto , che il Colle pianta dopo aver fatto un giro di consultazioni con Pdl (Brunetta e Schifani) e Pd (Epifani, Speranza, Zanda, Finocchiaro): il governo Letta non si tocca e basta con la “tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere”.
È un manrovescio violento ai falchi berlusconiani che predicano il ribaltamento del tavolo di governo: “Fatale sarebbe invece una crisi del governo faticosamente formatosi da poco più di cento giorni; il ricadere del Paese nell’instabilità e nell’incertezza ci impedirebbe di cogliere e consolidare le possibilità di ripresa economica finalmente delineatesi”.
Senza dimenticare la “revisione della legge elettorale” e il percorso delle riforme (compresa quella della giustizia) che con B. padre nobile e colomba convinta potrebbero maturare in una “prospettiva di serenità e di coesione”.
Questa, dunque, è la traduzione della risposta di Napolitano, “chiamato in causa in modo spesso pressante e animoso”.
Il capo dello Stato non ritiene più la grazia a B. un caso di “analfabetismo istituzionale”.
L’ipotesi adesso c’è. Nero su bianco. Dopo la visita di Brunetta e Schifani al Quirinale, a inizio agosto.
Ma il prezzo per B. è altissimo: fare il passo indietro, accettare la sentenza, niente elezioni anticipate in autunno.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 14th, 2013 Riccardo Fucile
TIMORI SUL PD: “QUELLI VOGLIONO FARMI FUORI”
E guardando in volto gli avvocati che lo affiancano nello studio di Arcore nel tardo pomeriggio – come poi farà in serata nella cena con tutti i direttori delle reti Mediaset e dei giornali del gruppo – tira le conclusioni del responso.
E per lui non sono certo conclusioni entusiasmanti
Tanto Ghedini e Coppi con lui, quanto Gianni Letta al telefono da Roma – braccio destro che sembra possa aver visto di persona Napolitano a Castelporziano – lo invitano a mordere il freno.
A reagire con cautela, perfino con una moderata soddisfazione alla presa d’atto del Colle.
In realtà il Cavaliere ai più intimi confida fino a tarda ora tutte le sue perplessità , adesso non gli si aprono certo autostrade, ma sentieri assai stretti e su quelli bisognerà lavorare.
Ma gli esiti a cui poteranno le vie tortuose sono incerti e per nulla rassicuranti.
«Sono moderatamente soddisfatto, ma certo non sto lì a suonare le fanfare» commenta con schiettezza il leader ai dirigenti che in sequenza lo chiamano per ore al centralino di Villa San Martino dalle più disparate località di vacanza.
Lui blindato ad Arcore e con la sensazione di essere ancor più stretto all’angolo, con scarsi margini di manovra.
E soprattutto, come ha confidato a pochi, col sospetto cocente che dietro tanti riconoscimenti del ruolo, dietro l’apprezzamento per il contributo al governo del Paese, si celi il rischio concreto di finire in una trappola.
Ordita dal Pd, senza tanti giri di parole. «Quelli continuano a volermi fuori gioco e proveranno a farlo già in giunta: considero quel voto il banco di prova» è una delle reazioni a caldo dopo la lettura delle parole del presidente Napolitano.
Le garanzie fornite dall’inquilino dal Colle all’ambasciatore di sempre Gianni Letta, lo hanno convinto insomma fino a un certo punto.
Nessun commento ufficiale, nessun comunicato, nessuna intervista tv, taglia subito corto il portavoce Paolo Bonaiuti.
E «gli spiragli positivi ci sono», fanno presente all’ex premier proprio gli avvocati e lo stesso Letta.
Punto primo, c’è in quella nota il riconoscimento della sua leadership politica e del suo ruolo nel governo del Paese.
Ma soprattutto – e in questo momento è l’aspetto che sta più a cuore al Silvio Berlusconi fresco di condanna – viene escluso del tutto il carcere, la pena restrittiva più umiliante.
Non quelle alternative, è vero, ma quella viene considerata un’apertura incoraggiante. Che, a ragione o forse a torto, i legali ritengono possa essere di conforto anche per il futuro, per le eventuali altre condanne se dovessero poi passare anch’esse in giudicato. Ancora, viene rimesso al partito, al Pdl o meglio a Forza Italia la valutazione delle strade legittime da intraprendere adesso
Per non dire del riconoscimento della legittimità del dissenso e delle riserve, come se le critiche mosse in questi giorni alla condotta del presidente di sezione Esposito non fossero prive di fondamento.
Poco o tanto che sia, è l’unica zattera alla quale il quartier generale berlusconiano deve aggrapparsi adesso.
Tutto questo si traduce nella decisione di evitare per il momento reazioni scomposte. Non ci saranno dunque ricadute immediate sulla stabilità e sulla vita del governo Letta.
Ma fino a quando il premier possa contare su questa stabilità non è chiaro e ad Arcore fanno pronostici.
La mossa della disperazione per ora è congelata ma non esclusa del tutto.
I falchi del partito alla Santanchè, Verdini, Capezzone non a caso tacciono, non partono arma in resta contro Napolitano, nè invocano una crisi a breve.
Ma il quadro resta complicato. Berlusconi lo sa.
Ad oggi «prende atto degli spiragli, pur considerandoli tali, appunto» racconta un parlamentare che gli ha parlato. Si accontenta di un Quirinale che «non lo spinge fuori dallo spazio politico».
Non fa cenno al nodo della incandidabilità . Lasciando perfino una breccia per la via della grazia.
Napolitano ha escluso il motu proprio, sembra. Ma non di valutare una eventuale richiesta.
Istanza che tuttavia il leader forzista è restio ad avanzare: «Vorrebbe dire riconoscermi colpevole e in quel caso dovrei accompagnare la richiesta con un impegno a fare un passo indietro».
E per adesso lo scenario non è contemplato tra quelli possibili.
L’unica cosa certa è che non ci saranno elezioni, nè oggi nè domani.
Il messaggio del capo dello Stato impone uno stop a chi lavora sotto traccia per una crisi, sia nel Pdl che nel Pd.
«Ma adesso di tutta la macchina di Forza Italia lanciata in corsa dobbiamo valutare che fare» ragionava ieri sera un Berlusconi perplesso.
Manifesti, aerei, spot sul web. Perchè è chiaro che di una macchina elettorale si tratta, più che di un semplice partito rimesso a nuovo.
E se non si va al voto entro pochi mesi, rischia di bruciare tutto nella corsa a vuoto. Infine l’incubo in prospettiva.
Pier Ferdinando Casini e Luca Cordero di Montezemolo hanno intuito che a destra si spalancano praterie, pronti a lanciare un’Opa su un partito segnato dalla leadership monca.
L’ex premier ha colto la minaccia. È l’altra insidia che lo assilla, tutta interna stavolta: la tenuta del Pdl, il suo travaso in Forza Italia senza che tutto venga fagocitato da un grande centro deberlusconizzato.
La figlia Marina si tira fuori dai giochi. Ma i più vicini alla «corte» invitano a cogliere le ragioni strategiche della mossa: se non l’avesse fatto in queste ore, la sua disponibilità implicita avrebbe offerto sul piatto l’alternativa già in campo rispetto a una leadership ormai segnata e tramontata.
Se ne riparlerà quando si apriranno davvero i giochi elettorali.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Agosto 14th, 2013 Riccardo Fucile
PALETTI E NESSUNA SOLUZIONE…. SILVIO NON VUOLE INVOCARE PERDONO Nà‰ ACCETTARE LA CONDANNA, MA NON SA CHE FARE E NON REAGISCE (PER ORA)
Il messaggio arriva intorno alle quattro del pomeriggio. Marina Berlusconi ribadisce che non entrerà
in politica: “Mi auguro che di questa ulteriore smentita prendano atto anche quanti continuano ad attribuirmi un’intenzione che non ho mai avuto e che non ho”.
C’è un leader solo nel centrodestra italiano ed è Silvio Berlusconi: con lui bisogna fare i conti.
È con questa consapevolezza che attorno alle sette di sera Giorgio Napolitano diffonde la sua risposta sulla cosiddetta “agibilità politica” del fu Cavaliere.
Lui l’attende riunito ad Arcore con le solite comparse — Francesca Pascale e il cane Dudù, la senatrice Maria Rosaria Rossi, Daniela Santanchè, Niccolò Ghedini — e l’umore, dopo, non è dei migliori.
Nei commenti informali non siamo nella zona del fulminante insulto che gli riservò anni fa Giuliano Ferrara (“il suo stemma araldico dovrebbe essere il coniglio bianco in campo bianco”), ma la distanza non è così marcata.
Berlusconi voleva di più, si aspettava non la grazia subito, troppo anche per lui, ma una presa di posizione netta sulla superiorità della politica e del consenso popolare rispetto alle quisquilie legali.
Sorpresa vicina al disappunto, poi, su tutti i paletti che Napolitano ha piazzato sull’eventuale, possibile, discrezionale cammino di un provvedimento di clemenza: in sostanza, un gentile invito a farsi da parte.
La delusione non è stata però di quelle cocenti: l’ex premier era stato informato già da ore dal suo luogotenente sul campo — vale a dire Gianni Letta — che i contenuti del messaggio sarebbero stati quelli e ha deciso di non reagire e di tenere a bada i famosi falchi.
Niente dichiarazioni di guerra, niente fucili puntati sul governo, tanto è chiaro che l’ipotesi dell’ordalia elettorale ad ottobre non è in campo (“impraticabili scioglimenti delle Camere”, ha messo a verbale Napolitano).
Del rio-orientamento subitaneo dei cannoni mediatici di Berlusconi è buona testimonianza la home page di Libero, passata nello spazio di mezz’ora da “Napolitano molla Silvio” a “Napolitano: se mi chiede la grazia…”.
L’interessato peraltro, raccontano fonti interne, non si è ancora convinto ad invocare un gesto di clemenza.
Il motivo è molto semplice: significherebbe accettare la condanna (esattamente, peraltro, quanto gli chiede di fare il Quirinale), ponendo fine a quella sorta di stato di rimozione in cui Berlusconi ha vissuto fino ad ora.
La strategia, insomma, è evitare attacchi per il momento e soppesare la situazione con calma: dichiarare una guerra senza aver chiaro lo scopo non è nelle corde del nostro. Per questo sulle agenzie e in tv compaiono subito le colombe del Pdl, quelle che vedevano il voto anticipato come fumo negli occhi: “Ci riconosciamo nella nota del presidente della Repubblica — dichiara subito Maria Stella Gelmini — che dimostra come il problema da noi posto dell’agibilità politica di Berlusconi non sia un fatto personale ma una questione schiettamente politica”.
Segue Fabrizio Cicchitto: “La nota di Napolitano lascia aperti spazi significativi per quello che riguarda il futuro”. Tutto nella norma fin qui, ma poi cominciano ad arrivare i commenti anche di chi teoricamente dovrebbe rappresentare l’ala guerresca del partito.
A Michaela Biancofiore sembra di “cogliere una disponibilità di massima alla concessione della grazia”; per l’ex ministro Paolo Romani si tratta di un intervento “equilibrato, che sembra non lasciare dubbi sulla eccezionalità del caso giudiziario che ha coinvolto il presidente Berlusconi”; Deborah Bergamini ha visto ieri “riconoscere una volta per tutte la piena rappresentatività politica del presidente Berlusconi”.
Anche dal mondo ex An sono arrivati commenti positivi: da Maurizio Gasparri ad Altero Matteoli fino a Barbara Saltamartini (per esplorare tutte le correnti della destra interna al Pdl) è stata una gara a vedere il bicchiere mezzo pieno.
Non è un caso che l’unico commento davvero onesto arrivi da un leghista: “Sento puzza di fregatura”, ha scritto Matteo Salvini su Facebook
Resta che la soluzione al dilemma Berlusconi non s’è trovata.
Ora, notava l’ex ministro Anna Maria Bernini, “è evidente che nella sostanza politica della questione è possibile e necessario trovare tutte le vie che garantiscano agibilità politica a Berlusconi e rappresentanza al suo popolo”.
Come a dire: in pratica come si può fare?
La risposta, al momento, non esiste: dal Pd, al momento, non sono arrivate aperture di nessun genere, nemmeno quelle formali concesse dal capo dello Stato.
Per scrivere la parola fine, però, è ancora molto presto: Berlusconi è all’angolo, si agita in rabbia impotente e non sembra sapere cosa fare, ma l’uomo ha dimostrato capacità non comuni di recupero.
E magari domani, dopo averci dormito su, potrebbe decidere di giocarsi all’attacco l’ultima battaglia.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 14th, 2013 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO DI NAPOLITANO ANALIZZATO DAL VICEDIRETTORE DI “REPUBBLICA”
Avevano preso l’impunità giudiziaria e l’avevano chiamata “agibilità politica”.
L’ennesimo trucco, etico e politico, che violenta le parole e la verità .
Per fortuna, il tentativo, tecnicamente eversivo, è fallito. Giorgio Napolitano rompe l’assedio che da settimane Berlusconi e le truppe del Pdl avevano lanciato intorno al Colle.
E lo fa nel modo più fermo, chiaro e inequivoco.
Lo fa da vero garante della Costituzione, quale è sempre stato nel corso di uno dei settennati più difficili dal dopoguerra.
Lo fa da vero custode dei valori repubblicani, che vedono nell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nel principio di bilanciamento e separazione dei poteri due capisaldi irrinunciabili per il buon funzionamento della vita democratica.
Il comunicato del Quirinale ha una doppia chiave di lettura, che cambia e ridefinisce il corso della legislatura, in nome della legalità e della stabilità .
C’è una chiave di lettura costituzionale, che ruota intorno a tre cardini principali.
Il primo cardine: le sentenze, specie se definitive, vanno sempre e comunque applicate.
Dunque, non c’è spazio per scorciatoie o manipolazioni: il Cavaliere è stato condannato a quattro anni per frode fiscale, e da questa realtà processuale non si può sfuggire.
Le decisioni di tre organi giurisdizionali si possono criticare, nel rispetto della divisione dei poteri, ma non certo disapplicare.
E certo non si possono minacciare ritorsioni antidemocratiche contro la magistratura.
Sembra una banalità , e lo sarebbe, in una qualunque democrazia europea. Riaffermarlo nell’Italia di oggi, è invece un grande merito civico del Capo dello Stato.
Il secondo cardine: Berlusconi non andrà comunque in carcere, e questo fa piazza pulita, una volta per tutte, delle grida sguaiate e bugiarde dei falchi della destra, che urlano allo scandalo da settimane per un leader eletto e acclamato dal popolo ma condannato a concludere il suo glorioso cursus honorum nelle patrie galere.
Non andrà così, perchè Berlusconi è un ultra-settantenne e perchè per lui sono previste pene alternative al carcere, come per ogni pregiudicato nelle sue stesse condizioni.
Il terzo cardine: la grazia, della quale nel cerchio magico berlusconiano si favoleggiava da giorni, resta al momento una chiacchiera da bar, anzi da saloon.
Non ci sono le condizioni tecnico-giuridiche, perchè nessuno l’ha chiesta.
Se qualcuno la chiederà , il Quirinale la tratterà come tutte le altre domande di grazia: ossia valutandone attentamente il fondamento.
È il massimo che il Colle può concedere e il Pdl si deve accontentare di questo.
E comunque un’eventuale clemenza inciderebbe solo sulla pena principale, cioè sulla condanna alla reclusione, e non anche sulla pena accessoria, cioè l’interdizione dai pubblici uffici.
Questa, come si legge esplicitamente nel testo del Colle, nessuno la potrà mai togliere a Berlusconi, nel momento in cui la Corte d’appello l’avrà ricalcolata.
Dunque, non ci sono spazi per alcun salvacondotto, per il quale, nonostante la propaganda sediziosa degli esagitati dirigenti del partito del popolo delle libertà , mancano le condizioni etico-politiche.
Ed è proprio qui che s’innesta l’altra chiave di lettura dell’intervento di Napolitano, che è appunto tutta politica, e che discende direttamente e naturalmente dalla chiave di lettura costituzionale.
Anche in questo caso, i cardini del discorso di Napolitano sono almeno due.
Il primo cardine: il governo Letta, a questo punto, esce decisamente rafforzato dalla nota del Colle.
Per la semplice ragione che viene riaffermato e rienfatizzato il suo carattere di assoluta eccezionalità , ma al tempo stesso di assoluta necessità : dalle parole del Capo dello Stato si evince chiaramente che nell’attuale fase di crisi acuta che l’economia sta attraversando, non sarà consentito alcuno scioglimento anticipato delle Camere soltanto per opporsi ad una sentenza della Corte di Cassazione.
Questo disarma ulteriormente e platealmente la lotta esasperata portata avanti fino a questo momento dal pregiudicato Berlusconi.
Il secondo cardine: se non ci sono margini per garantire in altri modi, impropri e inaccettabili, la cosiddetta “agibilità politica” di Berlusconi, allora questo significa che in un modo o nell’altro il suo destino politico è segnato.
Per questo, tocca solo al Cavaliere e al suo partito decidere il futuro della destra italiana.
Tocca al Cavaliere decidere se il destino dei sedicenti moderati italiani si debba esaurire con l’avventura autocratica e cesarista della vecchia o nuova Forza Italia, dove il potere si tramanda magari di padre in figlia per diritto dinastico, oppure se si possa aprire una fase nuova, nella quale il partito-azienda, guidato da un solo padre-padrone, può evolvere verso una dimensione finalmente plurale della leadership.
E tocca ai colonnelli del Pdl decidere se il destino dei cattolici liberali e dei laici liberisti si debba esaurire con la sventura sfascista e populista del forzaleghismo, o si possa aprire un ciclo diverso, nel quale il partito di plastica può evolvere verso l’identità risolta dei conservatori di tutta Europa.
È una scelta complessa, dopo il Ventennio dominato dal sedicente “statista di Arcore”.
Ma è ormai una scelta irreversibile.
La posta in gioco, come ha chiarito implicitamente la nota del presidente della Repubblica, non è e non è mai stata quella di eliminare un avversario politico per via giudiziaria, come è andata ripetendo per anni, mesi, settimane e giorni l’armata Brancaleone riunita intorno al Cavaliere. Molto più semplicemente, si tratta di riaffermare e salvaguardare non una persona, ma lo Stato di diritto.
E si tratta di ricreare le condizioni perchè nasca finalmente una destra normale, anche in questo sciagurato paese.
L’Italia può tornare ad essere una grande democrazia occidentale.
Non può ridursi a essere una piccola satrapia mediorientale.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)
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Agosto 14th, 2013 Riccardo Fucile
LA NOTA DEL QUIRINALE VISTA DALL’EDITORIALISTA DEL “FATTO QUOTIDIANO”
In attesa che i luminari a ciò preposti, con lenti di ingrandimento e occhiali a raggi infrarossi, ci diano
l’interpretazione autentica del Supermonito serale del presidente della Repubblica e dell’incunabolo che lo contiene, una cosa è chiara fin da subito: il fatto stesso che sia stato emesso già dimostra che Silvio Berlusconi non è un cittadino uguale agli altri.
Mai, infatti, in tutta la storia repubblicana e pure monarchica, un capo dello Stato — re o presidente della Repubblica — era mai intervenuto su una condanna definitiva di Cassazione per pregare il neopregiudicato di restare fedele al governo, facendogli balenare in cambio la grazia e garantendogli che non finirà comunque in galera. Intanto perchè spetta al giudice di sorveglianza, e non a Napolitano, applicare al caso concreto la legge svuota-carceri del 2010: fino alla condanna di Sallusti, infatti, chi doveva scontare fino a 1 anno di pena (totale o residua) finiva dentro e di lì chiedeva gli arresti domiciliari; dopo invece, per salvare Sallusti, il procuratore capo di Milano decise che la pena viene comunque sospesa e si tramuta automaticamente in domicilio coatto.
Ma l’ultima parola appunto spetta al giudice, non al Quirinale.
Il fatto poi che la grazia, per ottenerla, uno debba almeno fare lo sforzo di chiederla dopo aver riconosciuto la sentenza di condanna (“prenderne atto” è perfino poco), è noto e arcinoto alla luce della sentenza della Consulta 200/2006: quella che diede ragione a Ciampi nel conflitto col ministro Castelli per la grazia a Bompressi.
Solo che quella sentenza dice ben più di quel che Napolitano le fa dire: afferma che la grazia può essere motivata solo con “eccezionali esigenze di natura umanitaria”, mai “politiche”.
Se fosse un atto politico, richiederebbe il consenso e la controfirma del governo, visto che per gli atti politici il Presidente è irresponsabile.
Ma siccome la grazia deve rispondere a una “ratio umanitaria ed equitativa” per “attenuare l’applicazione della legge penale” quando “confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale” e per “mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio… garantendo soprattutto il ‘senso di umanità ‘ cui devono ispirarsi tutte le pene… non senza trascurare il profilo di ‘rieducazione’ proprio della pena”, essa “esula da ogni valutazione di natura politica” ed è “naturale” attribuirla in esclusiva al Colle.
E qui Napolitano si dà la zappa sui piedi, quando dice che il condannato in carcere non ci andrà , dunque non c’è alcuna detenzione disumana da “mitigare”.
Infatti rivendica il potere di graziare B. per motivi tutti politici (la sopravvivenza del governo, la condanna di un ex presidente del Consiglio): proprio quelli esclusi dalla Consulta, che verrebbe platealmente calpestata da una grazia a B..
Se poi, come scrive, la grazia non gliel’ha chiesta nessuno, non si capisce a chi Napolitano risponda, e perchè.
Non una parola, poi, sulla gravità del reato di B: la frode fiscale. Nè sui vergognosi attacchi ai giudici. Nè sui 5 procedimenti in cui è ancora imputato: che si fa, lo si grazia una volta all’anno per tenerlo artificialmente a piede libero?
La grazia seriale multiuso non s’è mai vista neppure nello Zimbabwe, ma dobbiamo prepararci a tutto.
Nell’attesa, resta lo spettacolo grottesco e avvilente del Quirinale trasformato per due settimane in un reparto di ostetricia geriatrica, con un viavai di giuristi di corte e politici da riporto travestiti da levatrici con forcipi, bende, catini d’acqua calda, codici e pandette, curvi sull’anziano puerpero per agevolare il parto di salvacondotti, agibilità e altri papocchi impunitari ad personam per rendere provvisoria una sentenza definitiva e cancellare una legge dello Stato (la Severino su incandidabilità e decadenza dei condannati).
Ieri sera, al termine di una lunga attesa che manco per il principino George, il partoriente ha scodellato un mostriciattolo che copre ancora una volta l’Italia di vergogna e ridicolo.
Ma è solo l’inizio: coraggio, il peggio deve ancora venire.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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