Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
PER IL 25% E’ COLPEVOLE DI FRODE FISCALE…. TRA GLI ELETTORI DEL CENTROSINISTRA VETTA DEL 96% DI COLPEVOLISTI
Che il 96% degli elettori di centrosinistra ritenga che Berlusconi sia colpevole di frode fiscale non
meraviglia.
Ci si aspetterebbe, a campi invertiti, che il Cavaliere sia ritenuto innocente dagli elettori di centrodestra per una percentuale almeno analoga.
E invece il sondaggio Piepoli rivela che solo il 61% degli elettori di centrodestra lo reputa innocente e vittima dei “giudici comunisti”.
Non solo: per il 25 % di costoro è addirittura colpevole, quindi sono disponibili a votare per un pregiudicato, mentre ben il 14% preferisce non esprimersi (il che la dice lunga).
Anche tra gli elettori Cinquestelle Berlusconi non gode di grande considerazione: l’89% lo ritiene colpevole e solo il 2% innocente.
Ma è sicuramente il dato che solo sei elettori di centrodestra su dieci ritengono il Cavaliere un perseguitato politico che induce a riflettere.
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
PER NON FARLO DECADERE SI CERCA DI DISTORCERE LA LEGGE SEVERINO CHE E’ TALMENTE CHIARA CHE IL PDL NON HA INFATTI CANDIDATO DELL’UTRI E BRANCHER
Per la serie “Oggi le comiche”, ecco la retromarcia sulla legge Severino, approvata dall’intero Parlamento appena sette mesi fa per dare una ripulita alle Camere.
La legge è la numero 235 del 31 dicembre 2012. Art. 1: «Chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione» decade da parlamentare se lo è già ed è incandidabile se non lo è ancora. Art.3: «Le sentenze definitive di condanna sono immediatamente comunicate… alla Camera di appartenenza» che «delibera ai sensi dell’art. 66 della Costituzione» sui «titoli di ammissione dei suoi componenti» e sulle «cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità ».
Ora, Berlusconi è stato condannato definitivamente a 4 anni, cioè a più di 2, dunque al Senato non rimane altra scelta che dichiararlo decaduto, accompagnarlo alla porta e intimargli di non ripresentarsi prima di sei anni.
Il tutto, indipendentemente dalla durata dell’interdizione dai pubblici uffici che la Cassazione ha chiesto alla Corte d’appello di Milano di ricalcolare, da un minimo di un anno a un massimo di tre.
Ma naturalmente al Pdl non va bene neppure una legge da esso stesso approvata meno d’un anno fa.
Alcuni buontemponi hanno cominciato a dire che la condanna a 4 anni è coperta per 3 dall’indulto: 4 meno 3 fa uno, ergo Berlusconi è sotto il tetto di 2 e non deve decadere. Cretinata abissale: se la legge consentisse di detrarre dalle condanne il bonus dell’indulto, l’avrebbe previsto esplicitamente, dichiarando decaduti e incandidabili i titolari di pene effettive superiori ai 2 anni: invece parla di «condanne».
Fallito il primo tentativo, ecco subito il secondo. Che, quando lo azzardò Carlo Giovanardi, noto giurista per caso, suscitò l’ilarità generale.
Poi però lo seguirono a ruota Francesco Nitto Palma, magistrato e presidente della commissione Giustizia, più il costituzionalista di destra Paolo Armaroli e quello di sinistra Giovanni Guzzetta.
La loro tesi è avvincente: la legge Severino si applica solo alle condanne relative a reati commessi dopo che è stata approvata.
Se invece si applicasse anche a chi il reato l’ha commesso prima del 31 dicembre 2012, sarebbe incostituzionale.
Motivo: nel processo penale prevale sempre la norma più favorevole al reo ed è vietato cambiare le regole del gioco a partita iniziata, se non per trattarlo meglio.
Il che è vero, ma appunto nel processo penale.
Qui il processo è finito, l’imputato è un pregiudicato e il Parlamento è liberissimo di vietargli l’accesso per legge.
Del resto, se fossero esistiti profili di incostituzionalità della norma, i 945 parlamentari che l’anno scorso l’approvarono alla Camera e al Senato se ne sarebbero accorti e li avrebbero sollevati al momento di votare la pregiudiziale di costituzionalità nell’apposita commissione.
Invece nessuno disse nulla.
Del resto – specificò l’autrice, l’allora Guardasigilli Severino – la legge estendeva a Camera e Senato una regola già vigente dal 1999 nei consigli comunali, provinciali e regionali, dove i condannati a più di due anni non possono mettere piede.
E nessuno ha mai eccepito nulla sulla legittimità di un principio che, se vale per gli enti locali, deve valere a maggior ragione per il Parlamento.
M c’è di più .
Alle ultime elezioni, proprio in base alla nuova legge Severino, Berlusconi escluse dalle liste Pdl i pregiudicati del suo cerchio magico: Marcello Dell’Utri, Aldo Brancher, Salvatore Sciascia e Massimo Maria Berruti.
«Non sono io che li ho esclusi», si giustificò, temendo di passare per onesto, «sono i giudici che li hanno condannati».
Dell’Utri per false fatture risalenti ai primi anni 90 (oltrechè, in appello, per mafia fino al 1993). Brancher per i soldi che gli girò Fiorani nel 2005. Sciascia per tangenti pagate tra il 1989 e il 1994. Berruti per un favoreggiamento del 1994.
Evidentemente lo sapeva anche il Cavaliere che la Severino si applicava a tutti i reati, pre o post 2012.
Poi hanno condannato lui e ha scoperto all’improvviso che vale solo per i post.
Non gli resta che spiegarlo a Dell’Utri, Brancher, Sciascia e Berruti.
E sperare che la prendano con filosofia.
Marco Travaglio
(da “L’Espresso“)
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
SECONDO TUTTI I SONDAGGI SARA’ ANCORA LEI LA CANCELLIERA… GIOCHI APERTI PER I POSSIBILI ALLEATI DI GOVERNO
Il 22 settembre i tedeschi voteranno il rinnovo del Bundestag, il loro parlamento, e sceglieranno –
indirettamente – il prossimo cancelliere federale.
Secondo tutti i sondaggi, ancora una volta – la terza – cancelliera sarà Angela Merkel, leader della Cdu, il partito cristiano-democratico.
E saranno solo 5 i partiti che riusciranno a superare la soglia di sbarramento del 5%; Cdu/Csu; i socialdemocratici della Spd; i Verdi; i liberali della Fdp; l’estrema sinistra della Linke.
Si presentano però in 34, già ridotti dalla commissione elettorale rispetto ai 58 – tra partiti e associazioni politiche – che si erano iscritti al voto.
Nel 2009 erano stati 29, ma solo i soliti cinque erano entrati in Parlamento.
Fra le novità di questa tornata elettorale, c’è il nuovo partito anti-euro, AfD (Alternativa per la Germania), che però, accreditato del 2%, non ha chance di entrare al Bundestag.
E anche i Pirati – la sorpresa degli ultimi anni – resteranno fuori: sono dati solo al 3%.
I socialdemocratici hanno cambiato cavallo rispetto al 2009 e , con l’obiettivo di attrarre gli elettori di centro delusi dalla Merkel, hanno puntato su Peer Steinbrà¼ck, ministro federale delle Finanze nella Grosse Koalition del 2005-2009.
La scelta si sta rivelando però azzardata: a 5 settimane dal voto lo sfidante è fermo poco sopra il 20%, con la Merkel che gode – personalmente – del gradimento della maggioranza dei tedeschi (54% delle intenzioni di voto), 15 punti più del suo partito.
Una distanza incolmabile, nonostante il datagate, con le rivelazioni di Snowden sul programma di spionaggio Prism riversato agli americani.
La suspense elettorale però non manca.
Con chi farà il governo la nuova-vecchia cancelliera? I giochi sono aperti.
Secondo l’ultimo sondaggio, Cdu/Csu restano saldamente in testa con il 39,1% delle intenzioni di voto, mentre i socialdemocratici sono fermi al 23,8%, con una piccola rimonta del 2%.
Merkel vorrebbe ripetere l’alleanza con i liberali della Fdp, che però sono in calo di consensi.
In alcuni Là¤nder alle ultime elezioni sono stati sotto il 5%, rimanendo fuori dai parlamenti. Anche ora sono in zona rischio.
Secondo il sito «electionista», che calcola la media dei sondaggi di sette istituti diversi, sono al 6,2%.
Troppo poco per garantire il rinnovo dell’attuale coalizione.
La Merkel però ci conta: nell’intervista di domenica sera con il secondo canale tv, Zdf, l’ha ripetuto.
Ma è un desiderio, non un’opzione realistica.
Se l’opposizione fosse unita, per la cancelliera potrebbero essere guai: le due coalizioni sarebbero grosso modo alla pari.
È vero che i socialdemocratici sono al 23,8%, ma i Verdi arrivano al 13% e la Linke all’8%. Steinbrà¼ck però ha già detto che mai si alleerà con la Linke, il partito che vorrebbe tornare al comunismo.
Così aveva già detto – e fatto – nel 2005 il cancelliere uscente Schrà¶der, perdendo un nuovo mandato alla cancelleria.
Con questi numeri, la maggior parte dei commentatori scommette su una riedizione della Grande coalizione Cdu/Csiu-Spd.
Marina Verna
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
LO STATO SARA’ MULTATO SE RITARDA: 30 EURO PER OGNI GIORNATA PERDUTA
Contro la mole di adempimenti e scartoffie che schiaccia le nostre vite e le nostre imprese, la parola d’ordine è: semplificare.
Ed è proprio in questa direzione che sta andando il governo Letta, varando o mettendo a punto una serie di provvedimenti (nuovi o ereditati) per sbloccare entro l’autunno le sabbie mobili in cui si arena lo sviluppo del Paese.
Senza «pietà » per nessuno: se è la Pubblica amministrazione a rallentare, dovrà pagare.
Come prevede una norma contenuta nel decreto del Fare, che domani dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, per entrare in vigore martedì: si chiama «indennizzo automatico e forfettario», e stabilisce che quando la Pa perde tempo, deve pagare un risarcimento al cittadino di 30 euro per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di 2.000 euro.
Per i prossimi 18 mesi la norma sarà valida solo per le domande che riguardano l’avvio e l’esercizio dell’attività di impresa.
Entro un anno e mezzo, con un apposito decreto del presidente del Consiglio, verrà definito l’indennizzo anche per gli altri procedimenti.
Ma non è l’unica novità «semplificatrice» del Dl fare.
Che punta prima di tutto a venire incontro ai contribuenti strozzati dalla crisi, allentando le maglie della riscossione forzata per chi è in ritardo con i pagamenti. Equitalia non potrà pignorare la prima casa in cui si abita, purchè non sia di lusso, mentre per le altre abitazioni l’espropriazione potrà scattare solo se il debito supera i 120 mila euro (e non i 20 mila come prima).
Si allungano anche i tempi della dilazione: fino a 120 rate, e solo se non se ne pagano otto (anzichè due) si blocca l’agevolazione.
Sempre nell’ottica di facilitare la vita dei contribuenti, non ci saranno più scadenze a scaglioni, ma tutti gli obblighi fissati al 1° luglio o al 1° gennaio.
Tante anche le misure per snellire i permessi per ristrutturare: è il «pacchetto edilizia» che dovrebbe far risparmiare 500 milioni all’anno.
Gli strumenti tecnologici saranno molto più pervasivi anche nella Pa: a partire dagli uffici, dove sarà eliminato l’uso del fax, fino ai certificati medici di gravidanza, trasmessi per via telematica.
Mentre alcuni documenti spariranno del tutto: è il caso dei certificati di idoneità psico-fisica o quelli di sana e robusta costituzione richiesti per alcuni lavori.
Un provvedimento sulla scia di quello adottato da Monti che da gennaio 2012 ha inserito l’obbligo dell’autocertificazione nei rapporti con gli uffici pubblici: in un anno 20 milioni di certificati in meno, -55%.
Ma il «Fare» dà anche una grossa accelerata alla carta d’identità elettronica: annunciata dall’ex ministro Brunetta, sperimentata dal governo Monti, il «documento digitale unificato», che assorbirà la tessera sanitaria, dovrebbe entrare in vigore entro la metà del 2014
E questo è solo il primo capitolo.
Perchè è in arrivo una legge sulle semplificazioni — il disegno è approdato in Commissione al Senato l’8 agosto — che punta a dare un’altra sfoltita al sistema: dal rilascio dei titoli di studio in inglese alla cancellazione delle comunicazioni al Pra.
E pure il cambio di residenza, che dall’anno scorso è valido dal momento in cui viene richiesto, sarà più facile.
Valentina Santarpia
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
COMPRAVENDITE IMMOBILIARI A PICCO, I PRESTITI RICHIESTI CALANO DELLO 0,8%
Quando si tratta di fare pagare di più, l’Italia si tiene stretta i suoi record. 
“Nel primo trimestre 2013 le compravendite immobiliari sono a picco del 13,8% rispetto a fine 2012″, rileva un rapporto di Confartigianato.
“Colpa anche del costo dei mutui che, nonostante la diminuzione di 27 punti base registrata nell’ultimo anno, si confermano i più cari d’Europa con un tasso medio d’interesse, a maggio 2013, pari al 3,53%, superiore di 66 punti base rispetto al tasso del 2,87% dell’Eurozona”.
L’allarme lanciato da Confartigianato non è, purtroppo, una novità .
Un report dell’Adusbef ha segnalato a luglio che su un mutuo di 100mila euro un italiano paga 23mila euro in più rispetto a un altro cittadino europeo.
E all’inizio dell’anno la stessa associazione a tutela dei consumatori ha rilevato che sui mutui trentennali in Italia si pagano 25mila euro in più che in Europa.
Confartigianato precisa che “segnali di difficoltà arrivano dalla diminuzione del 37,4%, registrata tra il 2012 e il 2011, del numero di mutui e finanziamenti per acquisto di abitazioni.
Complessivamente lo stock di mutui erogati alle famiglie italiane per comprare casa è pari a 364,1 miliardi e a giugno di quest’anno è in flessione dello 0,8% su base mensile.
Una percentuale in controtendenza rispetto a quanto avviene nell’Eurozona dove, a giugno 2013, lo stock di mutui per abitazioni è in crescita dello 0,8% rispetto al mese precedente.
Addirittura in Francia si segnala un aumento del 2,7% e in Germania del 2,1%. Fa peggio di noi la Spagna con un calo del 3,8%”.
Anche sul fronte dei tassi di interesse applicati ai mutui per comprare casa Confartigianato mostra il record negativo dell’Italia rispetto agli altri Paesi dell’Ue.
A fronte del nostro 3,53%, la Francia si ferma al 2,77% (vale a dire 76 punti base in meno rispetto all’Italia), la Spagna al 2,90% (63 punti base di differenza), la Germania al 2,91% (62 punti base in meno rispetto all’Italia).
A livello territoriale, il rapporto di Confartigianato mette in evidenza che, sul totale dei prestiti alle famiglie per acquisto di abitazione, l’80,8% si concentra nel Centro-Nord e il restante 19,2% nel Mezzogiorno.
Tra le regioni che utilizzano il maggior volume di mutui è in testa la Lombardia, con il 24,5% del totale, seguita da Lazio (12,7%), Emilia Romagna e Veneto (entrambe 9,2%), Piemonte (7,8%) e Toscana (7,2%).
Secondo il Segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli, “la situazione del settore costruzioni impone interventi in più direzioni. Ben venga quindi il piano da 5 miliardi annunciato dal Governo per agevolare l’erogazione di mutui a famiglie e imprese. Ma senza dimenticare l’efficacia di misure come le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
SARA’ IL SOLITO INTERVENTO CONTRO LE TOGHE ROSSE… PREVISTO DOPO IL VOTO IN GIUNTA CONTRO LA DECADENZA
Il Cavaliere sta preparando un discorso-bomba che, salvo ripensamenti, farà esplodere governo e legislatura.
Si ripromette di attaccare in aula al Senato le «toghe rosse» con una tale veemenza che mai più le aule parlamentari si troveranno a vivere momenti così intensi e drammatici. Nei propositi manifestati da Berlusconi, descritto come una fiera fuori controllo, il centro del discorso graviterà sull’«uso politico della giustizia» (titolo del pamphlet di Cicchitto che l’ex-premier si è appena andato a rileggere).
Nel suo mirino finirà Magistratura democratica, demonizzata come se fosse un potere occulto o, peggio, un gruppo eversivo: Berlusconi presenterà se stesso quale vittima di quella corrente, addirittura come un martire idealmente accomunato nella persecuzione all’altro personaggio che provò a difendersi in Parlamento con un «j’accuse» a 360 gradi, cioè Bettino Craxi.
I più anziani evocheranno paragoni con altri discorsi, ma comunque sempre di crepuscoli fiammeggianti si tratta, non certo di mesti congedi dalla politica come quello cui si acconciò Forlani, citato quale buon esempio da Napolitano in quanto seppe scontare con umiltà e in silenzio la condanna ai servizi sociali.
Perchè a far uscire di senno il Cavaliere è proprio la prospettiva che vent’anni di dominio sulla scena italiana e di celebrità mondiale possano essere archiviati «con una sentenzina burocratica» della Cassazione, ai suoi occhi indegnamente chiamata a fare da spartiacque tra il prima e il dopo Berlusconi…
Ma più dei toni apocalittici cui Silvio farà ricorso in Senato, conterà il momento prescelto.
Nei piani di guerra tracciati ad Arcore, in una solitudine del leader che solo le telefonate dei fedelissimi Verdini, Mantovani e Bonaiuti riescono a spezzare, l’intervento in aula dovrebbe cadere subito dopo il voto della Giunta per le elezioni: quello che deciderà se il condannato a quattro anni di carcere (nove mesi effettivamente da scontare) dovrà essere messo alla porta del Parlamento per effetto della legge Severino contro la corruzione.
Tutto fa ritenere che andrà in questo modo.
E per quanto tra le «colombe» Pdl ci sia chi si batte per un rinvio del verdetto, il 9 settembre sembra praticamente certo che la Giunta chiederà all’aula di sancire con un voto delle sinistre, di Scelta civica e dei grillini la decadenza del senatore Berlusconi. Una sua reazione di quel tenore, così sfrontato e senza un briciolo di «mea culpa», renderà incolmabile la distanza, insostenibili le larghe intese.
Le dimissioni dei ministri Pdl sono date per inevitabili dagli stessi diretti interessati. Che cosa pensi di ottenere l’uomo da una crisi così autoreferenziale, non risulta ben chiaro sul Colle (dove tutta questa nevrosi appare irragionevole e irresponsabile), ma nemmeno è ben compresa da chi sente il Cavaliere due volte al dì.
Pare voglia ottenere le elezioni nella speranza di vincerle, anche se sa che Napolitano mai gliene concederà la chance, piuttosto si dimetterà da Presidente lasciando al successore la firma sotto il decreto di scioglimento delle Camere.
Santanchè, reduce da otto ore trascorse sabato ad Arcore, ieri ha sfidato apertamente il Colle, «sono un po’ pentita di avere votato Napolitano, avrei preferito financo Prodi».
Sostengono i «falchi» Pdl di avere sondato i Cinque Stelle e di averne avuto conferma che mai Grillo darà appoggio a governi-ponte.
Ma perfino nel caso in cui la corsa alle urne fosse bloccata dal Quirinale, Berlusconi si dice pronto ad attendere in riva al fiume, tanto si voterà lo stesso tra breve… Inutilmente gli fanno notare che il suo nome verrebbe depennato dalle liste, casomai volesse ricandidarsi a dispetto della legge Severino; che l’eventuale ricorso alla giustizia amministrativa avrebbe poche speranze di essere ammesso; che nel frattempo sul suo capo pioverebbero nuove tegole giudiziarie, aggravate proprio dall’offensiva contro i magistrati.
Al momento, il tono dell’umore è quello che chiaramente fa intendere il fervorino via telefono ai militanti Pdl di Bellaria: «Andate avanti con coraggio, io resisto. Non vi farò fare assolutamente brutte figure. Prepariamoci al meglio».
O al peggio, chi lo sa.
Ugo Magri
(da “la Stampa”)
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
E HANNO RAGIONE ANCORA LORO: “CERTA GENTE SE NE STIA A CASA”
Quattro caffè e tre amari in Piazza San Marco, con tanto di accompagnamento musicale, sono costati a
un gruppo di sette turisti romani, 100,80 euro.
Il conto «salato», del caffè Lavena pubblicato sulle pagine di Facebook, è diventata l’occasione per una nuova polemica sui costi degli esercizi commerciali di Piazza San Marco.
A incidere sul prezzo totale è stata, in particolare, la voce «accompagnamento musicale», che ammontava da sola a 42 euro, e la «correzione» al caffè, costata 4,80 euro.
I titolari del caffè, che si affaccia sul «salotto buono» della città , non si scompongono e spiegano: «Ai turisti viene dato il listino nel quale sono indicati tutti i prezzi, compreso il supplemento per la musica».
Difende il locale anche Ernesto Pancin, segretario provinciale della Fipe, la federazione dei pubblici esercizi.
«Se quei caffè e quegli amari i sette turisti romani li avessero presi cento metri più in là , fuori dalla piazza, avrebbero sicuramente pagato un prezzo diverso».
E rincara: «Sono stufo di questi episodi che attaccano di continuo Venezia e i locali apparentemente da salasso. Mi sembra che siano persone che non sanno girare il mondo. Cosa pretendevano di pagare in un caffè che è il top sia nel servizio che nella qualità , seduti in Piazza San Marco e con l’orchestra che suona per loro? Se ne stia a casa certa gente. Lancio una provocazione: quel caffè per quanto mi riguarda – conclude – sarebbe dovuto costare almeno 20 euro per i costi che hanno le nostre aziende».
Infatti basterebbe chiuderle per oltraggio al pudore.
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
I RICATTI DELL’EX PRESIDENTE DEL SENATO SCHIFANI E LE MINACCE DELL’EX PIDUISTA CICCHITTO: HANNO VOTATO LA LEGGE SEVERINO E ORA NON VOGLIONO CHE SIA APPLICATA
A nulla è valso il tentativo di Enrico Letta di blindare le larghe intese al Meeting di Rimini.
Il Cavaliere infatti sta preparando un atto di accusa a magistratura e Parlamento da pronunciare a settembre, dopo la riunione della giunta che potrebbe farlo decadere da senatore.
A fare quadrato intorno a Berlusconi intervengono Renato Schifani e Fabrizio Cicchitto secondo cui per la tenuta del governo è imprescindibile il no alla decadenza da senatore del leader del centrodestra.
E Napolitano, da cui “ci aspettavamo di più” deve “ulteriormente misurarsi con la estrema gravità della situazione”.
“Per noi tutto si tiene — ha detto il capogruppo al Senato del Pdl ai microfoni di SkyTg24 dal meeting di Rimini — se ci sarà una chiusura pregiudiziale del Pd sul percorso di approfondimento sulla legge Severino che chiediamo per noi sarebbe impossibile parlare di un percorso comune”.
In sostanza o rinvio sulla Severino — secondo cui non sono candidabili coloro che hanno riportato condanne definitive ”a pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni” – o cade il governo.
Stessa posizione ribadita anche da Fabrizio Cicchitto che in un’intervista al Messaggero manda un “avviso di sfratto” al governo.
“Se dovesse prevalere la linea di chi ha già schierato il plotone d’esecuzione — ha detto — ci sarebbero conseguenze molto negative per la maggioranza e la sopravvivenza del governo”.
Il presidente della commissione Esteri si rivolge a quella parte del Pd (Bindi, Zanda e Moretti), secondo i quali la decadenza di Berlusconi dal seggio senatoriale è inevitabile.
Se così fosse, i cinque ministri del Pdl sarebbero pronti a dimettersi.
“Non esiste una decisione formale — fa sapere Cicchitto- ma c’è qualche probabilità che questo possa accadere se nel Pd non dovesse prevalere la disponibilità ad ascoltare le nostre ragioni”.
Il governo delle larghe intese, ricorda, si regge sull’accordo tra Pd e Pdl, “che può venire meno se si segue la linea di chi ritiene che la questione dell’ineleggibilità di Berlusconi sia già risolta in modo negativo”.
Secondo Cicchitto “esiste un’interpretazione della legge Severino da parte del Pdl della quale va tenuto conto. Non si possono respingere a priori -conclude l’esponente del Pdl- le nostre eccezioni di incostituzionalità , nè la nostra contestazione sulla retroatiività della legge”.
I due esponenti del Pdl esprimono inoltre delusione anche sul fronte della nota del Capo dello Stato dopo la condanna per frode fiscale dell’ex premier.
Cicchitto si aspetta addirittura un altro intervento da parte di Napolitano.
“E’ aperta una partita tra le più drammatiche e delicate della vita politica italiana — scrive in una nota -. Che mette in gioco sia il governo del Paese, sia il destino politico e la libertà personale del leader del centrodestra. In una situazione del genere nessun atto di irresponsabilità e nessuna forzatura sono accettabili. Il presidente Napolitano rimane una scelta migliore di quella di Prodi, ma egli deve ulteriormente misurarsi con la estrema gravità della situazione”.
Se Cicchitto sollecita un nuovo intervento del Quirinale, Schifani ribadisce il disappunto per la nota del Colle. “Da Napolitano ci aspettavamo di più”, dice, perchè “nel messaggio del Capo dello Stato, che non commento, non ho trovato quello che avevamo chiesto. Non entro nel merito, le posizioni del Capo dello Stato si rispettano, ma ci aspettavamo di più”.
E specifica che “il Pdl non si muove per tutelare interessi personali ma per tutelare gli interessi di dieci milioni di elettori”.
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Agosto 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE VUOLE RESISTERE
La linea è sempre più segnata, e le carte tutte in tavola. 
Silvio Berlusconi parla in pubblico ad una riunione di attivisti del Pdl di Bellaria e, in collegamento telefonico lancia il suo ultimo grido di battaglia: «Farò sino all’ultimo l’interesse del Paese e degli italiani. Andate avanti con coraggio, io resisto. Non vi farò fare assolutamente brutte figure. Prepariamoci al meglio»
Parole che confermano la decisione presa venerdì scorso nel vertice con i collaboratori più fedeli, gli avvocati, i figli: «Non chiederò la grazia, nè i servizi sociali. Non mi farò umiliare. La mia battaglia la condurrò dal carcere, se servirà ».
Perchè, ha spiegato anche ieri ai suoi «non si può chiudere una storia politica come la mia con un atto burocratico conseguente a una sentenzina. Non è accettabile»
Dunque, nonostante qualcuno fra le colombe speri ancora nel colpo di scena finale, magari «al fotofinish», al momento non si intravvede una soluzione.
E questo nonostante Berlusconi sia stato ben edotto che, anche in caso di voto (arduo) entro l’anno, la sua agibilità politica non sarà certo quella di prima.
Ma le posizioni si vanno cristallizzando, avvicinando la crisi di governo
Anche in via dell’Umiltà considerano la «deadline» di tutta questa storia il 9 settembre, quando la Giunta per le elezioni del Senato sarà chiamata a dare il suo verdetto sulla decadenza da senatore di Berlusconi.
E se c’è chi ancora, come l’area più filogovernativa, spera che il Pd possa aprire ad un «approfondimento, un rinvio, che potrebbe far calare la tensione e magari permettere un venirsi incontro a metà strada sia di Napolitano che di Berlusconi», la maggioranza del Pdl pare rassegnata: «Voteranno per le dimissioni, e sarà la rottura».
Già le parole di ieri di Enrico Letta non sono parse sufficienti, tutt’altro, a falchi come Capezzone ma anche a colombe come Schifani.
Poi il combinato disposto delle uscite di alcuni nomi noti del Pd – dalla Bindi alla Serracchiani, dalla Moretti a Casson – hanno portato a concludere che «da loro non possiamo aspettarci nulla»
Resta, dicono nel Pdl, un’unica, flebilissima speranza, alla quale peraltro un Berlusconi sempre più deluso e sfiduciato rispetto a Napolitano, crede poco: «L’unica decisione per salvare il governo potrebbe venire dal capo dello Stato: con un atto straordinario come la commutazione della pena potrebbero riaprirsi i giochi».
Ma la difficoltà dell’impresa è presente a tutti: Napolitano potrebbe davvero spingersi a tanto, e in tempi brevi?
E potrebbe sostenere la prevedibile irritazione di una buona parte del Pd, per non parlare di grillini e Sel?
E il governo quanto reggerebbe poi all’urto delle fibrillazioni che si creerebbero a sinistra
Ragione per cui Berlusconi, e con lui l’area dei falchi, sembra dare già per chiusa la partita e per aperta quella elettorale.
Non è un caso che torna concretissima, se non certa, l’ipotesi che il Cavaliere alla ripresa dei lavori del Senato tenga un discorso in Aula che rappresenterebbe un vero j’accuse contro la «magistratura politicizzata».
Un discorso che descrivono «alto e durissimo nella sostanza», e che certo prefigurerebbe la bandiera di uscita dal governo e quella da sventolare in una prossima campagna elettorale.
Già , ma quando?
Anche nel Pdl c’è chi crede poco ad elezioni entro l’anno: «Napolitano – giura un ministro – tenterà di formare un altro governo, altrimenti si dimetterà ».
Ma non sembra che la minaccia sortisca effetti nell’entourage berlusconiano.
Daniela Santanchè, vicinissima al premier in questi tempi, ieri si è detta «pentita» di aver votato per Napolitano, affermando che a lui sarebbe stato preferibile «anche Prodi».
Parole di chi è pronto alla massima sfida: o Napolitano trova il salvacondotto, o smette di essere interlocutore riconosciuto come super partes da Berlusconi, che ha «una forza pazzesca, e qualcosa farà », voto o non voto.
Restano due settimane per capire se il destino del governo, che oggi appare segnato, potrà im provvisamente cambiare
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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