Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
SCHIFANI: “SE ANDIAMO ALLA ROTTURA, IL GRUPPO CHI LO TIENE? NON C’E’ PIU’ LA COMPATTEZZA DI UNA VOLTA”
In pubblico uniti, dietro le quinte tutt’altro. 
Adesso neanche più così. volano schiaffoni.
Falchi e colombe del Pdl, al di là della linea unitaria dettata dal segretario Angelino Alfano dopo il vertice di Arcore, continuano a dirsene di santa ragione.
All’indomani del summit in cui sono state decise le azioni del partito sul futuro politico del Cavaliere, nel Popolo della Libertà c’è chi continua a marcare le differenze, interpretando le decisioni di Berlusconi come un successo della propria corrente interna.
“E’ finita. Il governo cadrà ”, annuncia trionfante Daniela Santanchè.
Ma le preoccupazioni restano sui banchi di Palazzo Madama dove i traditori potrebbero essere più di venti: “Se si rompe tutto”, commenta il capogruppo Renato Schifani, “chi terrà il gruppo?”.
Tra i sospettati ci sono i volti nuovi, chi è stato infilato in lista all’ultimo minuto e chi il posto da senatore non potrà più averlo: una lista di nomi sempre più concreta e che preoccupa il Cavaliere.
Ha vinto apparentemente la linea dura, ma la compattezza continua a preoccupare il Cavaliere. Se Enrico Letta dovesse arrivare in Senato a chiedere i voti per restare, tutto il Pdl gli volterà le spalle?
Non ne è così convinto il capogruppo a Palazzo Madama Renato Schifani. ”Io”, ha spiegato a il Messaggero, “guido il gruppo dei senatori. E voglio dirvi che non abbiamo un gruppo compatto come quello del 2006. Se andiamo alla rottura e non c’è la sicurezza dell’esito elettorale, il gruppo chi lo tiene?”.
Non ha fatto i numeri Schifani, ma sono circa venti i politici “ballerini” che potrebbero sostenere un Letta bis.
Tra questi gli eletti a sorpresa, quelli che sono arrivati all’ultimo momento a sedere sui banchi del Senato e quelli che una posizione come quella, se si torna alle urne non la potranno più avere.
E secondo il Messaggero, c’è pure una lista dei nomi sospetti: Giovanni Billardi, senatore calabrese finito nel gruppo Gal che difende l’importanza di non far cadere il governo, o il pugliese Pietro Iurlaro, Pippo Pagano, Salvatore Torrisi, Francesco Scoma, Antonio Milo, Vincenzo D’Anna, Pietro Langella, Ciro Falanga o Giuseppe Ruvolo.
Senza dimenticare i siciliani inseriti all’ultimo momento nelle liste campane dopo il caso Cosentino.
Ipotesi che girano nei corridoi di palazzo Madama, ma che Berlusconi sa che deve tenere bene in conto.
Soprattutto una volta che Napolitano farà l’appello all’unità nazionale e alla responsabilità delle larghe intese.
E le accuse scatenano subito le prime smentite di D’Anna, Milo, Langella e Falanga. Tutto secondo la prassi, insomma.
argomento: PdL | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
IN ITALIA QUELLE CHE PESANO SONO LE IMPOSTE SUL LAVORO CHE UCCIDONO L’OCCUPAZIONE E SOFFOCANO LA RIPRESA
Quel che fa più impressione, ma suscita anche una certa dose di rabbia, è l’enorme spreco di tempo e di intelligenze.
Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni e Ignazio Visco sono – ciascuno a suo modo – uomini sagaci, navigati, certo non digiuni di economia politica.
Vederli ancora impegnati a spremersi le meningi per trovare una via d’uscita sulla questione dell’Imu è uno spettacolo piuttosto sconfortante.
Tanto più dopo che il premier e il ministro del Tesoro hanno annunciato che l’economia italiana si appresta, entro l’anno, a rialzarsi da una recessione che la tiene in ginocchio ormai da parecchi anni.
Difficile soppesare quanto siano affidabili i segnali positivi da cui Letta e Saccomanni traggono buoni auspici per il futuro prossimo.
Al 30 giugno le statistiche hanno certificato una caduta del Pil ininterrotta negli ultimi otto trimestri, mentre qualche indicazione di ripresa sta ora venendo sul doppio fronte della produzione industriale e della domanda interna.
Sono piccoli indizi ma dicono che qualcosa, in effetti, si sta muovendo. Se ne può volenterosamente dedurre che forse il paese abbia toccato il fondo della crisi e possa da qui in poi cominciare una risalita.
Ma se è proprio così – e conviene sperarlo caldamente – a maggior ragione oggi la missione cruciale di governo e autorità monetaria dovrebbe essere quella di concentrarsi su misure in grado di incoraggiare e irrobustire la maturazione della così tanto attesa svolta economica.
Non c’è nemmeno da dubitare che a Palazzo Chigi e in Via Nazionale si ignori quali siano i nodi prioritari da sciogliere per aiutare il ritorno della crescita. Sul terreno fiscale si tratta di impegnare ogni pur minima risorsa disponibile per alleggerire il peso delle tasse sul lavoro e sulle imprese, al duplice scopo di ridare ossigeno alla domanda interna e alla ripresa degli investimenti.
Sul terreno monetario si tratta di indurre le banche a un bilanciamento dei loro impieghi che, fra acquisti di titoli del Tesoro e crediti al sistema produttivo, sia un poco più favorevole a quest’ultimo.
Operazioni certo non facili, ma sulle quali sarebbe giusto attendersi il massimo di impegno da parte di chi governa debito e moneta.
E invece no: a più di cento giorni dalla nascita del governo Letta, ancora tutto è bloccato dalla bomba politica e contabile dell’Imu.
Il buon Saccomanni ha cercato di disinnescare l’ordigno mostrando, conti alla mano, limiti e sostanziale irrazionalità di un’abolizione dell’Imu.
Ma il fatto è che Silvio Berlusconi ha fatto di questa ipotesi la carta vincente della sua campagna elettorale e ora la condizione vitale del suo sostegno al “governo di necessità “.Al novello Ghino di Tacco non interessa che in tutti i Paesi civili sia in vigore un prelievo fiscale sulle case, non importa che questo tributo tenda a riequilibrare in senso patrimoniale un sistema fin troppo sbilanciato a danno dei redditi da lavoro, tanto meno si cura della perdita di gettito e del conseguente buco nei conti.
Ancorchè certificato ora come delinquente fiscale dalla Cassazione, Berlusconi esige che questa tassa sia tolta di mezzo perchè lui così ha promesso.
E dunque, come minacciano i suoi bravi: o via l’Imu o via il governo.
Dinanzi a simili ricatti, che impongono di compiere una scelta economica sbagliata pur di tutelare un puntiglio politico di parte, ce n’è abbastanza perchè a Palazzo Chigi si ritrovi il coraggio di recuperare una gerarchia più seria delle cose da fare.
Il dossier Saccomanni con i suoi conti accurati ha spianato la strada.
Per esempio: già oggi è prevista una franchigia di 200 euro, la si porti a 400 e non se ne parli più.
Almeno fino a quando – opera di equità questa sì indispensabile – saranno stati aggiornati i valori catastali.
Chi guida il Paese avrà così più tempo e più risorse per aiutare imprese e lavoratori ad agganciare la sperata ripresa.
I berlusconiani faranno saltare il banco? Data la posta in gioco, val la pena di vedere se lo faranno.
Massimo Riva
argomento: casa | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
VIA LE PROSTITUTE DALLE STRADE: UN REFERENDUM VUOLE ABROGARE LA LEGGE MERLIN
«Salviamo i nostri marciapiedi». La crociata parte dal Veneto e arriva in Abruzzo. Tanti piccoli comuni,
un unico obiettivo: liberare le strade dalle lucciole.
Come? Non a suon di multe e ordinanze, ma riaprendo le case chiuse.
Sul tavolo un referendum abrogativo pronto a rottamare, dopo 55 anni, la legge Merlin. La missione pare quasi impossibile: 500 mila firme entro fine settembre.
La carica dei comuni è partita in piena estate da Mogliano Veneto (Treviso): il sindaco leghista Giovanni Azzolini ha infatti promosso un referendum pe
abrogare parzialmente la legge Merlin.
L’obiettivo è cancellare gli articoli che impediscono l’apertura di case di tolleranza, senza toccare le norme che puniscono il reato di sfruttamento della prostituzione.
La campagna si è rapidamente diffusa a livello nazionale, con centinaia di punti attivi per la raccolta firme.
Tutti uniti i promotori nel rivendicare la loro missione: «Restituire decoro alle strade cittadine».
Gli ultimi in ordine di tempo a sottoscrivere il referendum sono il sindaco di Miane (Treviso), Angela Colmellere, quello di Calalzo (Belluno), Luca De Carlo e il primo cittadino di Montesilvano (Pescara), Attilio Di Mattia, che nei giorni scorsi aveva proposto anche l’istituzione in città di “box del sesso”, sul modello Zurigo
Al centro della crociata, il mercato del sesso in Italia: un business che muove 9 milioni di clienti (tra occasionali e abituali), 5 miliardi di euro e 70 mila prostitute. Ciclicamente si prova a regolamentarlo a suon di leggi, ordinanze comunali e multe. A partire dalla legge Merlin, che nel 1958 ha chiuso le case di tolleranza.
Risultato? Negli anni le lucciole si sono riversate sui marciapiedi. Non solo.
Nel nostro Paese i bordelli non hanno mai davvero chiuso, semmai hanno cambiato nome (sexy disco, centri massaggi) o collocazioni (alberghi, appartamenti)
“Outdoor” e “indoor”, così gli analisti distinguono il mercato da marciapiede rispetto a quello tra quattro mura.
Ed è proprio quest’ultimo in espansione, soprattutto dopo le ordinanze comunali antilucciole del 2008.
Tanto da avvicinarsi nei numeri al mercato su strada. Tradotto: delle 70 mila prostitute stimate in Italia (dal Gruppo Abele), sempre più oggi hanno un tetto sulla testa.
Altro che abolizione delle case chiuse: le cronache raccontano il ritorno ai cinema, la novità delle sale Bingo e slot machine, la diffusione di centri relax (specialità di cinesi e thailandesi) e il boom di appartamenti.
Senza dimenticare i locali mascherati da innocui night club. Sono i bordelli del 21° secolo. E non è una buona notizia: «Sembra paradossale, ma la strada è più sicura – spiega Vincenzo Castelli, presidente di On the road, associazione di sostegno alle vittime della tratta – per noi è più difficile intercettare le ragazze sfruttate al chiuso». E legalizzare i bordelli? Le associazioni frenano: nei Paesi dove sono stati riaperti, non si è risolto il problema della tratta, nè quello dello sfruttamento.
La via referendaria viene liquidata da Pia Covre, del Comitato per i diritti civili delle prostitute, con poche parole: «È un’iniziativa poco seria, che non coglie la complessità del fenomeno e rischia di risolversi in un ennesimo spot politico. Ne riparleremo quando arriveranno a 250 mila firme».
Vladimiro Polchi
(da “la Repubblica“)
argomento: Costume | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
“STA DANNEGGIANDO L’IMMAGINE DEL PARTITO, LA NOSTRA ADESIONE NON E’ STATA A FASI ALTERNE”…”CERCA SOLO VISIBILITA'”
L’intervista a “Repubblica” di Daniela Santanchè ha scatenato le logiche reazioni di chi è stato da lei citato
Il capogruppo al Senato Renato Schifani attacca duramente: “E’ davvero molto grave che si provi a dividere il Pdl in buoni e cattivi, in chi è sempre e comunque con il leader Silvio Berlusconi e chi manifesta dubbi e perplessità sulla strada da percorrere. Il comunicato del segretario del Pdl Angelino Alfano avrebbe dovuto sconsigliare l’onorevole Daniela Santanchè dal fare affermazioni inopportune che possono danneggiare l’immagine unitaria del partito e rischiano, peraltro, di incidere negativamente sulle vicende che coinvolgono il presidente Berlusconi”, ha dichiarato.
“Ritengo – continua – che si debba evitare esternazioni inappropriate ed avere rispetto per chi, sin dalla nascita di Forza Italia, venti anni fa, ha scelto convintamente di condividere un percorso politico in modo sempre coerente, e non a fasi alterne, a fianco e con Berlusconi”.
Anche al vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri le parole della Santanchè non sono piaciute: “Di tutto hanno bisogno l’Italia, la politica e il Pdl tranne che della gara a chi fa il primo della classe” ha commentato, e aggiunto “è buona regola non farsi usare dai nemici ma spesso in politica alcuni cadono in questo errore e poi ne pagano sempre le conseguenze”.
Il coro di dissensi si allarga: “Non abbiamo bisogno nè di falchi nè di colombe, nè di vincitori nè di vinti, ma solo di un partito coeso attorno a Berlusconi. Attendiamo da lui la linea da seguire e da nessun altro che voglia crearsi uno spazio inutile se non controproducente per Berlusconi e il PdL”, dice in una nota la senatrice del Pdl Elisabetta Alberti Casellati.
“Alimentare inutili divisioni in questo momento è controproducente e non rispetta la realtà dei fatti”, dichiara il vicepresidente dei senatori del Pdl, Giuseppe Esposito.
“Che ci sia qualcuno, alla ricerca di visibilità fine a se stessa, che prova a dividere, è disdicevole e serve solo a complicare le cose”, parole di Altero Matteoli.
argomento: PdL | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
LITE TRA FALCHI E COLOMBE SU SPAZI E ARREDI LUSSUOSI DELLA NUOVA SEDE… AFFITTATO UN ALTRO APPARTAMENTO IN PIAZZA SAN LORENZO PER 20.000 EURO AL MESE
La notizia è stata tenuta nascosta fino ad ora. 
Ma adesso ci sono conferme che arrivano direttamente dall’amministrazione del Popolo della libertà .
Come se non gli bastassero le ansie in vista della sentenza della Cassazione, attorno al 20 luglio scorso – per tentare di placare sul nascere un’autentica «guerra delle stanze» che stava iniziando a tormentare il gruppo dirigente del partito – Silvio Berlusconi è stato costretto a dare il via libera all’affitto di un altro appartamento del palazzo di piazza San Lorenzo in Lucina 3 che ospiterà la sede nazionale della nuova Forza Italia.
Un altro assegno staccato, questa volta di 20.000 euro al mese, che si andranno ad aggiungere ai 60.000 dell’affitto del primo piano.
Un assegno con cui il Cavaliere pagherà anche un appartamento di 800 metri quadri, che si trova al terzo piano dello stesso palazzo e che sarà verosimilmente destinato agli uffici che non hanno direttamente a che fare con la politica.
I lavori sono già in corso. E adesso c’è anche la data in cui il trasloco da via dell’Umiltà dovrebbe cominciare. Il 2 settembre prossimo.
Riavvolgendo il nastro e tornando a quei fatidici giorni di luglio, c’è un Berlusconi ansioso ma tutto sommato sereno.
I giorni tristi di giugno, quando aveva dovuto inghiottire un doppio boccone amaro dal Tribunale di Milano (condanna in primo grado nel processo Ruby 1) e dalla Corte costituzionale (il ricorso respinto sul legittimo impedimento), sembrano lontani.
A giugno, una sera, aveva detto ad alcuni dei suoi: «Da adesso, dovrete imparare a fare senza di me perchè io non vi potrò più proteggere».
Ma a luglio l’umore, che derivava dalla fiducia che si respirava nel collegio di difesa, era molto migliorato. Tanto che qualche volta ci scherzava su: «La Cassazione opterà per l’annullamento con rinvio? Ma quando mai, io sono sempre stato promosso a luglio…».
È in quei giorni che Verdini racconta al Cavaliere della «guerra delle stanze» in corso. Le colombe si domandano quante stanze avranno a disposizione i falchi Santanchè e Capezzone.
I falchi cominciano a porre la questione di quanto spazio avrà nella sede Alfano, «che pure ha a disposizione anche Palazzo Chigi e il Viminale».
Berlusconi, che pensava di aver concluso la questione «nuova sede» coi complimenti al tandem Verdini-Abrignani per la scelta («Il posto è bellissimo»), capisce che è l’ora di riaprire i cordoni della borsa.
L’addetto della società Tirrena Immobiliare quasi non crede ai suoi occhi quando si ritrova davanti la coppia di tesorieri formata da Rocco Crimi e Maurizio Bianconi.
«È ancora libero l’appartamento al terzo piano che ci avevate proposto all’inizio?».
La risposta è affermativa. Il prezzo, altri ventimila euro, è giusto. L’affare va in porto.
Peccato che la «guerra delle stanze» non sia finita. Anzi.
Berlusconi ha aumentato lo spazio ma la distribuzione degli uffici – che circondano i due mega saloni (uno sarà per le conferenze stampa) – non è ancora operativa. «Verdini farà le consultazioni. Ma poi, se non si trova un accordo, deciderà il presidente», sussurrano dall’amministrazione.
Non è tutto.
Pare che alle colombe del partito non sia andata giù la scelta «troppo lussuosa», soprattutto «in un momento di crisi», della sede.
Come se fosse un pessimo segnale in vista di una possibile campagna elettorale.
La risposta dei falchi rimanda al risparmio («Paghiamo meno della metà ») rispetto al quartier generale di via dell’Umiltà .
Ma una vittoria, per adesso, l’ha portata a casa Daniela Santanchè. Su sua indicazione Berlusconi ha ordinato ai suoi di «non portare nella nuova sede neanche uno spillo del vecchio Pdl».
Solo, è l’ordine da Arcore, bandiere e gadget di Forza Italia. Solo quelle.
«Il Pdl non esiste. È morto» .
(da “il Corriere dela Sera”)
argomento: Berlusconi, PdL | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
BEN 17 CONSIGLIERI REGIONALI E 20 PROV. E COMUNALI HANNO DOVUTO LASCIARE LA VITA POLITICA, A SEGUITO DEI DECRETI FIRMATI DAL PREMIER… NESSUNO HA PRETESO DI SALVARLI IN NOME DELL’AGIBILITA’ POLITICA, DELLA ILLEGGITTIMA RETROATTIVITA’ O DELL’INCOSTITUZIONALITA’
Un insopportabile affronto per un Berlusconi ormai sul punto di rottura, se solo sapesse. Mentre falchi e colombe del suo partito si affannavano a bombardare la legge Severino Enrico Letta, senza troppa pubblicità , la applicava a pieno regime, firmando di suo pugno i decreti previsti dalla norma che è ormai l’incubo del suo principale alleato di governo.
Eh sì, perchè mentre la decadenza dalle cariche elettive di consiglieri comunali e provinciali è automatica, la sospensione dei consiglieri regionali richiede un apposito decreto del Presidente del Consiglio.
E Letta, dal giorno dell’insediamento, non s’è mai tirato indietro.
Per 15 volte ha firmato, di suo pugno, i decreti sanzionatori della legge che dovrebbe essere applicata anche al senatore Berlusconi. E nessuno, tantomeno dal Pdl, ha sollevato dubbi su retroattività e legittimità della legge accampando pretese sull’“agibilità politica” dei decaduti.
Non un falco, non una pitonessa. Neppure i destinatari dei provvedimenti hanno protestato.
La fabbrica delle sospensioni non s’è interrotta neppure quando la bomba a orologeria della sentenza in Cassazione sui diritti Mediaset si è pericolosamente avvicinata allo zerbino di Arcore.
Il 18 luglio, a due settimane dal verdetto che inchioda definitivamente il leader del Pdl, Letta firma il decreto che colpisce il consigliere della Campania Sergio Nappi (Pdl).
Era finito ai domiciliari il 18 aprile a seguito dell’inchiesta sui rimborsi con l’accusa di peculato e tornato in libertà a metà maggio con il solo obbligo di firma.
Ma il premier si ritrova sul tavolo l’ordinanza con le misure cautelari e applica l’articolo 8 della legge Severino.
Nessuno solleva la questione della retroattività che, di lì a pochi giorni, avrebbe invece occupato giornali e pensieri degli uomini di Berlusconi e perfino di esponenti-mediatori del Pd.
Il 5 agosto la sentenza in Cassazione è definitiva da quattro giorni, impazzano gli altolà del centrodestra ma Letta firma ancora e nessuno solidarizza col sospeso.
Il decreto colpisce stavolta Giampaolo Lavagetto, consigliere Pdl in Emilia Romagna. Sul suo capo pesa una condanna del 2010 per peculato a uno anno e sei mesi di reclusione.
Era subentrato da qualche settimana a Luigi Villani, altro sospeso Pdl per la Severino (ma con decreto di Monti) dopo esser stato arrestato per l’inchiesta parmigiana Public Money.
Lavagetto, secondo i giudici, aveva usato il cellulare di servizio in maniera impropria, non aveva certo creato società offshore per frodare lo Stato come il leader del suo partito.
Ma la legge è legge, e la sospensione è scattata a tre anni dalla sentenza.
Neppure in questo caso vengono sollevati dubbi sul valore retroattivo dell’anticorruzione.
Giusto l’interessato obietterà , a caldo, che “è un provvedimento ingiusto” cercando d’accodarsi ai big del partito che sono però raccolti intorno al Capo e non guardano altrove.
Non troverà nessuno disposto a spender per lui gli stessi funambolici argomenti che vengono compulsati da avvocati e big del partito a caccia di un salvacondotto per il leader.
Del resto quando Mario Monti ha sponsorizzato la legge, in un clima di generale rancore verso sprechi e ruberie nei consigli regionali di mezza Italia, aveva incassato voti e plauso anche del Pdl, azionista della strana maggioranza.
Nessun problema per l’approvazione, nessuno per l’applicazione. Ed è così che dal 5 gennaio 2013, quando è entrata in vigore e per i successivi otto mesi, i decreti sono fioccati in ogni regione d’Italia colpendo 17 consiglieri di ogni colore politico.
E nessuno, tantomeno nel centrodestra, si è stracciato le vesti.
Lo sa bene il primo che ne ha fatte le spese, il presidente del Molise Angelo Iorio.
La sua carriera è iniziata nel ’75, è stato deputato e cinque volte candidato alla presidenza del consiglio regionale.
Ma la sua carriera politica finisce il 28 marzo per effetto della condanna a un anno e sei mesi per abuso d’ufficio, non certo per una frode miliardaria al fisco.
Monti ha sulla scrivania tre documenti: la sentenza del Tribunale di Campobasso datata 22 febbraio, la nota della prefettura del 18 marzo che indica Iorio nuovamente tra gli eletti dopo la tornata del 16 marzo, una nota del Viminale che ne suggerisce la decadenza a partire da quella data.
Il premier, all’epoca transitorio fino a nuove elezioni, non ha dubbi e il 28 marzo firma la sospensione. La notizia è un lancio d’agenzia.
Non provoca boatos sugli spalti del centrodestra. Gli esponenti Pdl si tengono alla larga, neppure uno che si sogni di mettere in dubbio la legge e tantomeno la tenuta di un governo ormai a termine.
Alla prima prova, dunque, l’anti-corruzione della Severino tiene.
Dalle consultazioni esce il nuovo governo di larghe intese sostenuto ancora da Pd e Pdl, Letta diventa premier ed eredita l’onere di firmare i decreti di sospensione. E l’ex responsabile economico della Margherita va avanti come un treno sulla strada della Severino e anzi accelera: in un solo Consiglio dei ministri, quello del 21 maggio, decreta la sospensione di 11 consiglieri della Basilicata, tutti travolti dall’inchiesta sui rimborsi gonfiati che aveva portato all’arresto di due assessori e un consigliere, mentre per altri otto era scattato l’obbligo di dimora.
Tutti insieme, uno dopo l’altro, devono lasciare i loro scranni di ogni colore politico: il capogruppo Nicola Giovanni Pagliuca (Pdl), Rocco Vita (Psi), Alessandro Singetta (Misto), Mariano Antonio Pici (Pdl), Paolo Castelluccio (Pdl), Antonio Autilio (Idv), Vincenzo Edoardo Viti (Pd), Agatino Lino Mancusi (Udc), Rosa Mastrosimone (Idv). Nessuno li rimpiange, nessuno apre un “caso”.
Neppure quando il reato è bello e che prescritto, come accaduto al consigliere regionale di Fratelli d’Italia in Sicilia, Salvino Caputo, condannato a un anno e cinque mesi per un tentato abuso d’ufficio: da sindaco di Monreale provò a far cancellare due multe all’autista del vescovo.
L’ultimo decreto Letta che applica la Severino è del 26 luglio e colpisce Roberto Conte, ex consigliere dei Verdi e poi del Pd, transitato nel centrodestra dopo una serie di vicende giudiziarie.
All’ultima tornata elettorale aveva sfidato la sorte e si era candidato nonostante una sospensione per una condanna ricevuta nel 2009 a due anni e otto mesi per concorso esterno in associazione camorristica.
Nel 2011 Conte torna alla ribalta grazie a un decreto firmato da Berlusconi che ha revocato la sospensione consentendo a un condannato di tuffarsi in campagna elettorale a caccia di voti. Conte, del resto, è un campione ante litteram dell’idea del centrodestra per cui gli unici giudici dei politici sono gli elettori.
I campani, infatti, non restano impressionati dalle sue pendenze giudiziarie e gli regalano 10.400 preferenze.
Ora è un decreto di Letta a cancellare quello di Berlusconi.
Grazie all’odiata Severino.
Anche gli amministratori locali vengono sospesi o dichiarati decaduti, spesso per reati di poco conto, magari prescritti.
Il provvedimento per loro, articolo 11 della legge Severino, non passa per Palazzo Chigi ma viene disposto automaticamente dalle Prefetture. Che finora hanno applicato la 235 una ventina di volte, senza ritenere sussistente la questione della retroattività che anima avvocati e politici.
Quanti consiglieri comunali, provinciali e sindaci siano stati espunti dai loro municipi per effetto della legge anti-corruzione esattamente non si sa. Repubblica riferisce di una ventina di casi.
Certamente sono in fase di istruttoria altri provvedimenti di decadenza.
Le prefetture hanno chiesto ai tribunali i carichi pendenti dei vari amministratori.
Di sicuro è già incappato nella Severino Luigi De Filippis, ingegnere, allontanato dal consiglio comunale di Serino (Avellino) per una condanna in primo grado per abuso d’ufficio, pur essendo i fatti ampiamente prescritti.
A Parabita, provincia di Lecce, si è creato un caso sulla sospensione per 18 mesi del consigliere comunale d’opposizione Stefano Prete.
Il sindaco Pdl Alfredo Cacciapaglia aveva sollecitato la prefettura a pronunciarsi contro il consigliere colpito da una condanna per abuso d’ufficio. Ma nella sua giunta resta in carica un assessore, Biagio Coi, colpito da una più dura condanna a due anni di reclusione per truffa aggravata ai danni dell’Europa.
La scure ha poi colpito Vincenzo Vastola, ex sindaco di Poggiomarino (Napoli), fino a qualche mese fa capo dell’opposizione: a febbraio è stato sospeso dalla carica di consigliere per via di una condanna del 2012 per aver firmato un ordine di servizio privo di protocollo che stabiliva l’installazione di cinque lampioni nella strada in cui abita mentre per regolamento avrebbe dovuto procedere a una gara d’appalto.
“Credo che molti amministratori si trovino nella sua situazione, per questo chi lo ha sospeso dovrebbe accelerare la raccolta di documentazione ed emanare analoghi provvedimenti”.
Parola di Francesco Nitto Palma, ex ministro della giustizia del Pdl e coordinatore del partito in Campania.
Partito che ora chiede esattamente il contrario, di invalidare la legge.
E non per cinque pali della luce.
Thomas Mackinson
argomento: Berlusconi, Giustizia, governo | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
“PANORAMA” E “IL GIORNALE” PUBBLICANO LA LISTA DEI MAGISTRATI CHE HANNO OSATO INQUISIRE BERLUSCONI: SONO “TOGHE ROSSE”
Il settimanale Panorama (tosto rilanciato da Il Giornale con sincronico gioco di squadra) ha elencato,
con foto di gusto segnaletico, 26 magistrati “toghe rosse” che negli ultimi 20 anni “hanno messo sotto accusa Berlusconi e i suoi più stretti collaboratori”, facendo “uso politico della giustizia”.
Quella delle “toghe rosse” è una favola che non regge alla prova dei fatti. Ma le “liste di proscrizione” (in questi termini si sono espressi molti commentatori, a partire dalla Associazione nazionale magistrati) sono ben più di una favola. Perciò conviene parlarne.Innanzi tutto perchè nell’elenco figura un magistrato, Gabriele Chelazzi, morto nel 2003 praticamente “sul pezzo”, mentre era impegnato allo spasimo in un’inchiesta di straordinaria incisività sullo stragismo mafioso del ’93.
Tutti gli italiani per bene lo ricordano, senza retorica, come idealmente avvolto nel tricolore per i servizi resi al nostro Paese.
Calpestare la sua memoria non è ammissibile.
Tanto premesso, devo dire che anch’io figuro nella lista: e se qualcuno si volesse acrobaticamente aggrappare a un mini-conflitto di interesse, faccia pure.
In verità non è la prima volta che ricevo un simile “privilegio”.
Già nel 1994 l’Italia settimanale (diretto da Marcello Veneziani) mi aveva infilato in una grottesca lista di proscrizione con altri magistrati antimafia o di Tangentopoli.
Come si vede, mettere all’indice i magistrati “scomodi” è storia vecchia.
Storia che fin dall’inizio andrebbe riferita al quadro che lo storico Salvatore Lupo (su Questione giustizia 3/2002) delinea: “Già nella campagna elettorale del 1994, partì un attacco, che allora nell’opinione pubblica nessuno accettava, alla legge sui pentiti” e vi fu un “assalto della magistratura quando la magistratura era sulla cresta dell’onda”.
Se fosse stato soltanto un problema di consenso — sostiene ancora Lupo — nessun uomo politico avrebbe azzardato queste operazioni. Furono dunque operazioni “per il futuro”. Un futuro, all’evidenza, che arriva fino ai giorni nostri.
Ma è la stessa ventennale continuità dei fatti a dimostrare come le polemiche di oggi (liste di proscrizione incluse) sulle “toghe rosse” che da anni perseguiterebbero il Cavaliere siano un pretesto: per far ingoiare il rospo della rivendicazione di impunità (che rischia di collocare il nostro Paese in un’orbita premoderna) rispetto a una condanna definitiva confermata in tre gradi giudizio.
Si perpetua — e le “toghe rosse” sono una trovata per distogliere l’attenzione dalla sostanza delle accuse — una delle maggiori anomalie italiane del ventennio: il rifiuto del processo e la sua gestione come momento di scontro per contestarne in radice la legittimità e gli esiti.
Una sorta di impropria riedizione (con la variante che lo praticano “pezzi” di Stato anzichè sue antitesi) del cosiddetto “processo di rottura” ideato dall’avvocato Vergès scomparso pochi giorni fa.
Per tornare alle liste di proscrizione, è troppo facile (ma è necessario) ricordare anche quelle — ovviamente ben più truci e immensamente più grevi in quanto gravide di micidiali concrete conseguenze — stilate dai gruppi eversivi di ieri e di oggi e dalle organizzazioni mafiose.
Le ricordo soprattutto perchè molti dei magistrati citati da Panorama vivono da anni sotto scorte anche pesanti: perciò meritano rispetto (pur nella critica, sempre possibile) e non quella “radicale, definitiva condanna di quanto non si voglia riconoscere o accettare ” che è appunto la miglior definizione di proscrizione (Devoto-Oli).
Infine, la debolezza delle tesi di fondo che hanno portato alla compilazione della lista di Panorama si può anche evincere dai calcoli che il settimanale dice di aver effettuato.
Ma francamente non si capisce in base a quale criterio si sia concentrata l’attenzione su 26 soggetti, mentre è risaputo che dei processi relativi a Silvio Berlusconi si è dovuto occupare ben più di un centinaio di magistrati.
E — si badi bene — certamente dei più diversi orientamenti culturali.
Mentre l’articolo di Panorama, coltivando la favola delle “toghe rosse”, deve per forza mettere nel mirino delle polemiche un numero infinitamente ridotto di soggetti, estratti dal mazzo per un preteso comune orientamento culturale che avrebbe portato a una stagione di “persecuzioni”: là dove si è trattato invece del doveroso dispiegarsi del principio di obbligatorietà dell’azione penale e di un controllo di legalità diffuso, senza una qualche proterva strategia.
A parte l’eterogeneità delle 26 figure elencate, spesso diversissime fra loro e talora persino incompatibili.
Un altro monumentale “difetto” di queste strumentali liste di proscrizione.
Gian Carlo Caselli
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia, Giustizia | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
“CONTRADDICE IL TESTO USCITO DA ARCORE SULL’UNITA’ DEL PARTITO E FA L’ELENCO DI BUONI E CATTIVI”
Se ieri a Arcore, durante e dopo il vertice, si è consumata la decisione di un aut aut al governo Letta,
con essa si sta consumando anche quella dichiarata unità del Pdl che nei fatti non c’è più. E che vede il centrodestra implodere sotto il peso della condanna del suo leader, Silvio Berlusconi.
La spaccatura è ormai sempre più malcelata.
Tra Daniela Santanchè, “falco” e “pitonessa”, e Fabrizio Cicchitto “colomba”, c’è più di un attrito.
La deputata Pdl in un’intervista a Repubblica, racconta quanto discusso e deciso ieri a Villa San Martino, nelle cinque ore di vertice, e anticipando che il “governo Letta cadrà “, dice: “Le colombe hanno ceduto, non ci sono alternative alla crisi perchè gli altri hanno deciso di negare l’agibilità politica a un leader votato da milioni di italiani”, dichiara Santanchè, secondo cui “Alfano ha capito che aria tirava e si subito allineato, il più furbo di tutti”.
Invece “Cicchitto, Schifani, Quagliariello, Lupi fanno a gara nel dire che si può mediare, ma sbagliano”.
Un’affermazione che scuote Fabrizio Cicchitto e provoca la sua, stizzita, replica: “L’onorevole Santanchè, che è anche responsabile dell’organizzazione del partito, dichiara di esprimere le posizioni di una corrente di esso, i “falchi”, i cui nominativi elenca ed elenca anche i nomi dei dissenzienti, dei non allineati, dei renitenti e degli incerti. Francamente non ci sembra che abbia scelto il momento più opportuno per fare questo elenco dei buoni, dei cattivi e dei mediocri”, dice il collega di partito che definisce l’intervista “davvero singolare”.
Non solo, prosegue Cicchitto, perchè “contraddice il testo finale di Arcore che afferma che il partito è unito e compatto”.
Ma, perchè “avevamo capito che, ferme rimanendo le libere valutazioni di ognuno, siamo tutti impegnati a respingere l’attacco politico e giudiziario a Silvio Berlusconi e a porre il Pd di fronte alle sue responsabilità perchè la tenuta dell’attuale governo, che è auspicabile, deve essere affidata al senso di responsabilità di tutte le forze politiche che lo sostengono”, conclude.
argomento: PdL | Commenta »
Agosto 25th, 2013 Riccardo Fucile
CRITICHE ALLE COLOMBE: “FORSE NEL PDL QUALCUNO NON LO HA CAPITO”…. “ALFANO E’ IL PIU’ FURBO E SI E’ GIA’ ADEGUATO”
“È finita, finalmente”. Finita per questo governo, che la pitonessa non ha mai visto di buon occhio, neppure quando Silvio si faceva vanto di averlo immaginato e partorito. Daniela Santanchè lascia la war room di Arcore con l’aria di chi l’ha avuta vinta.
E stavolta esibisce una rabbia sorridente, attribuendosi – senza l’esclusiva: ci sono anche Verdini e Capezzone, anche se lei fa più rumore – una bella di merito per come sono andate le cose a Villa San Marino.
Adesso che cosa succede, onorevole?
“Non l’ha letto il comunicato di Alfano? Durissimo, non ci facciamo più prendere in giro, il governo Letta cadrà “.
Sicura?
“L’ha detto anche il presidente, che non mi è mai sembrato così forte, tranquillo e determinato: non dobbiamo aspettarci niente, perchè da Napolitano, da Letta e dal Pd niente avremo”.
Però c’è chi riferisce che Berlusconi, quando si è alzato dal grande tavolo ovale della sala grande, alla fine della riunione, non aveva ancora deciso del tutto che cosa fare…
“Ah sì? Qualcuno tra noi pensa che lui non abbia ancora preso una decisione chiara e forte? Allora vuol dire che non hanno capito. O forse che fanno finta di non capire”.
Chi?
“Cicchitto, Schifani, Quagliariello, Lupi… Tutti a dire: “Aspettiamo ancora un po’, non decidiamo subito, vediamo; Magari Napolitano concede la grazia, magari Letta convince il Pd a non votare per la decadenza di Berlusconi dal Senato…”. Ma figuriamoci, sono fantasie”.
E lei invece che cosa ha detto al leader del suo partito ?
“Quello che gli dico sempre”
E cioè?
“Presidente, stiamo ai fatti: sono tre anni che ci prendono in giro con i ricatti e con gli imbrogli. E adesso hanno il coraggio di chiederci senso di responsabilità ? Di fermarci perchè se no il governo cade? Impossibile, ingiusto. Per muoverci dobbiamo forse aspettare che ci ammazzino? Neppure per sogno: stavolta agiamo prima noi”.
Dunque hanno vinto i falchi, ha vinto lei, onorevole Santanchè…
“Ha vinto Berlusconi. È lui il primo a capire che non bisogna più perdere tempo. Ne abbiano già perso troppo”
Berlusconi ha scherzato, anche se non troppo, sulla storia dei falchi e delle colombe: “Più che altro si sta facendo un tiro al piccione contro di me”, ha detto nel suo salotto.
“Non ci sono divisioni. La invito di nuovo a leggere il comunicato del segretario del Pdl. La linea l’ha dettata il presidente del partito, che si chiama Silvio Berlusconi, e siamo tutti tenuti a sostenerla. Non c’è altro da fare. Lo vogliono espellere dalla politica? E noi facciamo cadere il governo”.
Le colombe hanno ceduto.
“Questa è la decisione. Non ci sono spiragli, non ci sono alternative alla crisi perchè gli altri hanno deciso di negare l’agibilità politica a un leader votato da milioni di italiani”.
Una decisione forse non facile per Alfano, che è il vice di Letta nel governo…
“Alfano ha capito che aria tirava e si subito allineato. È il più furbo di tutti”.
Rodolto Sala
(da “La Repubblica”)
argomento: PdL | Commenta »