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BERLUSCONI ORA SI PARAGONA A DE GASPERI E TOGLIATTI: “SE IL PD MI FA DECADERE CADE IL GOVERNO”

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

FRANCESCHINI: “RISPEDIAMO IL RICATTO AL MITTENTE”… GRILLINI DIVISI

“Dopo 20 anni dalla mia discesa in campo si ripete la stessa situazione: tentano di nuovo di togliermi di mezzo attraverso misure giudiziarie che nulla hanno a che vedere con la democrazia”: così Silvio Berlusconi in collegamento telefonico con Bassano del Grappa dove era in programma una riunione dell’ “Esercito di Silvio”.   “Sarebbe disdicevole – ha aggiunto il Cavaliere – se il governo cadesse ma naturalmente non siamo disponibili a mandare avanti un governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica”.
La truppa guidata dall’imprenditore Simone Furlan che ha lanciato mesi fa l’arruolamento per la “guerra dei vent’anni” in difesa del Cavaliere, lo ascoltava in devoto silenzio.
A un certo punto Berlusconi dice: “Ho due domande preliminari. Quanti siete?”. Furlan conta: “Qui presenti siamo 25, presidente”.
Il file di registrazione della telefonata trasmette un attimo di silenzio.
Poi, Berlusconi continua: “Quanti maschi e quante signore?”. Furlan verifica: “aspetti che guardo e glielo dico. Uno, due, tre, sei…Dodici donne: sono un po’ in minoranza le quote rosa”.
Berlusconi trova comunque di che rallegrarsi: “ma sono abbastanza, complimenti per avere anche delle donne nelle vostre file”.
E dopo le presentazioni, il monologo con l’ultimatum: “Se la sinistra mi fa decadere, il governo cade”. L’esercito è allertato.
Paragone con Togliatti e De Gasperi.
Per rincarare la dose, poi, si lancia in paragoni improbabili: “Qualcuno mi ha detto, ‘immaginiamoci che cosa sarebbe successo nel ’48 se la Democrazia Cristiana avesse tolto Togliatti al Pci o se il Pci avesse tolto la possibilità  di fare politica alla Dc, o a De Gasperi. Sarebbe scoppiata una guerra civile”.
Poi il preannunciato ritorno a Forza Italia: “Come nel ’94 lanceremo le bandiere di Fi, ci rivolgeremo ai giovani, ma anche a chi non si è mostrato interessato alla politica”.
E’ dunque pronto a una nuova offensiva Silvio Berlusconi, dopo il “colpo” ricevuto dalla Cassazione con le motivazioni sulla sentenza Mediaset.
Ma dal Pd arriva l’ennesimo rinvio al mittente: “Il ricatto di Berlusconi va respinto al mittente a stretto giro di posta: non violeremo mai le regole dello Stato di diritto per allungare la durata del governo”, ribadisce ancora una volta il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini.
La scelta del referendum.
Il Cavaliere oggi ha lasciato il “ritiro” di Arcore ed è tornato, agguerrito, a Roma. Prima ha incontrato il leader dei Radicali Marco Pannella, per fare il punto sul sostegno del Pdl ai referendum sulla Giustizia.
E prima della telefonata all’ “Esercito” ha riunito un vertice con i big del Pdl a Palazzo Grazioli: il vicepremier e segretario del Pdl, Angelino Alfano e Gianni Letta, preceduti a loro volta dal capogruppo alla Camera, Renato Brunetta e da quello del Senato, Renato Schifani, dal ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamno, e dal presidente della Commissione esteri, Fabrizio Cicchitto.
Anche dal presidente della Cei, il cardinale Bagnasco arriva però un monito: “”Se una cosa va sempre evitata è quella di personalizzare il conflitto. La salvezza non va attesa da singole personalità , a qualsiasi schieramento appartengano”
M5S, dialogo con Pd spacca movimento.
Malgrado il gran rifiuto dei grillini a Bersani e il successivo governo di larghe intese, c’è ancora chi   pensa che sia necessario accordarsi con i democratici. Almeno per cambiare la legge elettorale.
Ma non c’è dibattito, e ogni tentativo è bruscamente interrotto da un sonoro ‘vaffa…’. Tutto nasce dall’intervista rilasciata dal 5 Stelle Luis Orellana in cui sostiene la necessità  di dialogare con le altre forze politiche, ricordando a Grillo che i parlamentari non sono soldatini. “Esprimi il tuo punto di vista? Ti sfanculano. Democrazia 2.0” scrive in un tweet il deputato Alessio Tacconi, commentando il post in cui Laura Bottici, questore al Senato dei pentastellati, prende di mira i colleghi che guardano con favore a un eventuale accordo con il Pd, ricordando che “la missione è mandare a casa tutti i politici”.

(da “La Repubblica“)

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CHI E’ PIETRO PAROLIN, L’ARCIVESCOVO CHE DIVENTA SEGRETARIO DI STATO AL POSTO DI BERTONE

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

I TALENTI DI DON PIETRO, SACERDOTE E DIPLOMATICO

Il 58enne Pietro Parolin aveva lasciato Roma quattro anni fa, ordinato arcivescovo da papa Benedetto XVI e inviato come nunzio in Venezuela, dopo essere stato per sette anni “viceministro” degli esteri vaticano.
Secondo le indiscrezioni circolate nelle ultime ore, ora Papa Francesco lo avrebbe scelto come suo primo collaboratore, richiamandolo nell’Urbe come futuro Segretario di Stato.
Parolin diventerebbe il più giovane “arruolato” in quella carica dai tempi di Eugenio Pacelli.
Se la notizia verrà  confermata, la nomina di Parolin offrirà  nuovi spunti per immaginare il cammino che la Chiesa di Roma potrà  compiere nei prossimi anni.
Per accorgersene, basta guardare i passaggi chiave dell’avventura umana e cristiana dell’attuale rappresentante pontificio in terra venezuelana.
Il nuovo Segretario di Stato nasce a Schiavon, in provincia e diocesi di Vicenza, il 17 gennaio del 1955.
La fede in Gesù la assorbe fin dalla prima infanzia nell’ordito della “civiltà  parrocchiale” in cui vive immerso, quella del Veneto bianco dal cuore magnanimo e laborioso.
Il papà , cattolico “da messa quotidiana”, gestisce un negozio di ferramenta e poi comincia a occuparsi di vendita di macchine agricole. La mamma fa la maestra elementare.
Quando Pietro ha dieci anni, la famiglia Parolin viene visitata dal dolore: il padre, mentre sta per rimontare sulla sua vettura, sulla strada tra Bassano e Vicenza viene travolto da un’auto e muore sul colpo.
Da quel momento i tre figli – Pietro, sua sorella e il fratellino che al momento della disgrazia ha solo otto mesi — sono testimoni ogni giorno dei piccoli ordinari eroismi compiuti dalla mamma maestra per farli crescere senza che manchi loro niente di importante.
Pietro fa il chierichetto in parrocchia.
Il parroco di allora, don Augusto Fornasa — che morirà  a Schiavon nei primi anni Ottanta — coglie e coltiva in lui la vocazione al sacerdozio, in un ambiente segnato dalla memoria di grandi figure di pastori “sociali” come don Giuseppe Arena e don Elia Dalla Costa, divenuto arcivescovo di Firenze dal ’31 al ’61.
Nel 1969, a 14 anni, Pietro entra nel seminario di Vicenza. Dopo la maturità  classica prosegue con gli studi di filosofia e teologia.
Le inquietudini feconde e quelle più corrosive del postconcilio agitano anche la vita del seminario. Pietro si tiene defilato rispetto alle turbolenze di quel periodo. Apprezza la linea pastorale del vescovo Arnoldo Onisto, la capacità  di ascolto, di mediazione e di attenzione ai problemi degli operai esercitata in quegli anni da quel buon uomo di Dio dal fare dimesso.
Già  in seminario, i superiori si sono accorti che Pietro “riesce bene” negli studi.
Dopo l’ordinazione sacerdotale — ricevuta nel 1980 dalle mani del vescovo Onisto — e due anni come viceparroco nella parrocchia della Santissima Trinità  di Schio, lo spediscono a studiare diritto canonico alla Pontificia Università  Gregoriana, con l’idea di impiegarlo poi nel tribunale diocesano e nel settore della pastorale familiare.
Ma da Roma — dove don Pietro risiede al Collegio Teutonico di via della Pace — qualcuno chiede al vescovo di mettere quel giovane sacerdote discreto e lavoratore a disposizione della Santa Sede.
Lui, come sempre, accetta di andare dove lo mandano. Coi sistemi di selezione “anonimi” che un tempo funzionavano nei Palazzi d’Oltretevere, finisce quasi per caso nell’orbita del servizio diplomatico vaticano, senza neanche sapere chi sia stato il suo primo talent scout.
Nell’estate del 1983 entra nella Pontificia Accademia ecclesiastica,
Nell’86 si laurea in diritto canonico con una tesi sul Sinodo dei vescovi.
Poi parte per la sua prima missione: tre anni presso la nunziatura in Nigeria, a cui seguiranno altri tre (’89-’92) presso la nunziatura in Messico.
Nella prima destinazione si coinvolge nelle attività  pastorali delle comunità  locali e conosce da vicino le problematiche del rapporto tra cristiani e musulmani.
In Messico dà  il suo apporto alla fase conclusiva del lungo lavoro realizzato dal nunzio Girolamo Prigione che proprio nel 1992 porterà  al riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica e all’allacciamento di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Nazione messicana.
Si compirà  attraverso quelle laboriose trattative diplomatiche l’affrancamento formale dall’impronta laicista e anticlericale che aveva connotato da sempre il Paese fin nel suo impianto costituzionale.
Nel 1992 Parolin viene richiamato a Roma per lavorare nella seconda sezione della Segreteria di Stato.
Sono gli anni del wojtylismo ancora a forte proiezione geo-politica, alle prese con il collasso del blocco comunista e gli effetti della prima guerra del Golfo.
A capo della diplomazia pontificia c’è il cardinale Angelo Sodano, che nel dicembre 1990 ha sostituito Agostino Casaroli.
Al giovane funzionario rientrato dal Messico vengono affidati dossier in ordine sparso: Paesi e Chiese africani e latinoamericani, Spagna, Indonesia.
Nel 2000 inizia a occuparsi della “sezione” italiana: collabora con monsignor Attilio Nicora — oggi cardinale — su questioni ancora aperte legate alla revisione del Concordato avvenuta nel 1984, come quelle relative all’Ordinariato militare o all’assistenza religiosa per i carcerati e negli ospedali.
Nel 2002 Parolin viene nominato sottosegretario della seconda sezione della Segreteria di Stato, quella dedicata ai rapporti con gli Stati.
Nella veste di “vice-ministro degli esteri” vaticano si prende in carico i dossier delicati riguardanti i rapporti della Santa Sede con il Vietnam — che anche grazie a lui imboccano in maniera decisa la strada verso l’allacciamento di piene relazioni diplomatiche – e le questioni giuridiche ancora aperte tra   Vaticano e Israele.
A partire dal 2005, con l’inizio del pontificato ratzingeriano, riprendono anche i contatti diretti con la Cina popolare.
In quel contesto matura anche la Lettera rivolta nel giugno 2007 da Benedetto XVI ai cattolici cinesi, che rimane uno dei testi magisteriali più rilevanti del pontificato.
In quegli anni, il sotto-segretario vicentino guida la delegazione vaticana nelle trattative riservate coi funzionari cinesi per sciogliere i nodi che ancora rendono anomala e sofferente la condizione dei cattolici in Cina.
Per due volte vola anche a Pechino, insieme agli altri membri della delegazione vaticana.
In quegli anni, sembra prendere forma l’inizio di una svolta concreta nei travagliati rapporti sino-vaticani.
Poi, nell’estate 2009, Parolin viene nominato nunzio a Caracas, spedito a vedersela con la gatta da pelare del Caudillo Chà vez e dei suoi rapporti sempre burrascosi con la gerarchia cattolica locale.
Il 12 settembre di quell’anno, Parolin riceve l’ordinazione episcopale dalle mani di Benedetto XVI.
Da qualche settimana è esploso il “caso Boffo”. Le baruffe tra bande ecclesiali, con la loro tragicomica ferocia, hanno raggiunto una fase virulenta.
Papa Ratzinger, proprio nell’omelia per la messa in cui viene ordinato vescovo anche Parolin — scritta evidentemente di suo pugno — ricorda in riferimento ai «litigi» sempre presenti nella Chiesa che «il sacerdozio non è dominio, ma servizio» e che «le cose nella società  civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità , lavorano per se stessi e non per la comunità ».
In occasione del suo trasferimento a Caracas, qualcuno ha cercato di accreditare sui media l’affiliazione di Parolin alla “corrente” di ascendenze casaroliane legata al cardinale Achille Silvestrini, che fu segretario della seconda sezione della Segreteria di Stato dal ’79 all’88.
Manovre che nel caso di Parolin rivelano subito la loro matrice pregiudiziale. Se si sta alle cose, appare evidente che in Segreteria di Stato il suo profilo di funzionario leale e competente è stato valorizzato di volta in volta da superiori di orientamento e sensibilità  diversi. Parolin ha prestato la sua collaborazione discreta e fattiva a Casaroli e Silvestrini, Sodano e Tauran, Lajolo, Bertone e Mamberti
Proprio negli anni della Segreteria Bertone ha avuto occasione di gestire dossier cruciali come quello cinese.
Con Casaroli i momenti di dialogo personale diretto li ha avuti quando il grande Segretario di Stato era già  in pensione.
Con Silvestrini i rapporti più intensi li ha sviluppati alla metà  degli anni Novanta intorno a questioni riguardanti non la Curia romana, bensì la gestione di Villa Nazareth, l’istituzione benefica istituita dal cardinale Domenico Tardini nel 1946 per sostenere la formazione di ragazzi meritevoli ma privi di mezzi.
Su richiesta di Silvestrini — che già  negli anni Settanta era il grande supporter ecclesiastico del convitto — nel ’96 Parolin aveva accettato di assumerne la direzione, trasferendosi a vivere nella residenza universitaria alla Pineta Sacchetti.
Ma quattro anni dopo, con l’intensificarsi del lavoro in Segreteria di Stato, si era accorto che per lui quell’incarico impegnativo era insostenibile, e vi aveva rinunciato. Silvestrini ne era rimasto amareggiato, pur conservando stima e simpatia nei confronti di Parolin
Se Parolin diventerà  Segretario di Stato, si può immaginare che, anche per temperamento, proverà  a valorizzare sensibilità  ecclesiali diverse, nell’orizzonte aperto della Chiesa non auto-referenziale costantemente suggerito da Papa Bergoglio. Se c’è un tratto rintracciabile nel modus operandi di Parolin è quello riconducibile alla grande tradizione diplomatica vaticana: realismo, studio approfondito dei contesti e dei problemi da affrontare, ricerca delle soluzioni possibili.
Davanti ai conflitti regionali che continuano a stravolgere il mondo — a partire dal Medio Oriente – e ai rischi di nuovi scontri globali tra superpotenze antiche e nuove, la Santa Sede potrà  offrire ancora il suo contributo di saggezza e lungimiranza per favorire i cammini della pace.
Accantonando presunzioni di protagonismo geopolitico, anche lo strumento della diplomazia vaticana, sintonizzato sulla «conversione pastorale» suggerita da Papa Francesco, potrà  offrire un contributo creativo all’azione della Chiesa invitata con insistenza dal vescovo di Roma a «uscire da se stessa» per andare incontro a tutti gli uomini nelle periferie geografiche e esistenziali in cui vivono.
Soprattutto, con Parolin sarebbero fatalmente destinate alla rottamazione le false dialettiche che negli ultimi anni hanno provato insistentemente a contrapporre diplomazia e proclamazione della fede, realismo dialogante e difesa dell’identità  e dei valori cristiani.
Tutta la storia della Chiesa suggerisce che proprio la fede evangelica può rendere più lungimiranti nell’esercitare intelligenza e prudenza davanti alle dinamiche reali del mondo e del potere.
Per Parolin, il servizio reso alla Santa Sede è sempre stato solo un modo di esercitare la propria spiritualità  sacerdotale.
La stessa espressa nell’entusiasmo da lui manifestato davanti alla fede dei neofiti montagnard vietnamiti, o nella letizia con cui si è immerso nella vita pulsante del cattolicesimo venezuelano.
Come motto episcopale ha scelto la domanda retorica di San Paolo nella lettera ai Romani: «Chi ci separerà  dall’amore di Cristo?».
Qualsiasi cosa accada, è facile intuire a chi “don Pietro” si affiderà  affinchè sia custodita la pace del suo cuore.

Gianni Valente
(da “La Stampa“)

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IL SOFTWARE PER LA TARES ORA E’ DA BUTTARE: SPUTTANATI 160 MILIONI PASSANDO ALLA SERVICE TAX

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

DALLA TARSU ALLA TARES E ORA ALLA SERVICE TAX: PASSARE DA UNA TASSA ALL’ALTRA IN TRE ANNI STA GENERANDO UN GRAN SPRECO DI DANARO

Dalla Tarsu si passa alla Tares e poi alla service tax.
E i comuni impazziscono, mentre i software acquistati per gestire queste imposte vengono buttati e il rischio di contenziosi è enorme.
In principio era la Tarsu, tassa sui rifiuti che si pagava dal 1993 con tariffa indicata dai comuni. Nel gennaio 2013 il governo Monti ha introdotto la Tares, che è sempre una tassa sui rifiuti ma anche sui servizi comunali in generale, e prevede una maggiorazione dello 0,30% che andrà  non ai comuni ma allo Stato.
La Tarsu era ad aliquota fissa, la Tares ad aliquota composta da una parte fissa e una variabile a discrezione dei comuni.
La Tarsu si calcolava sui metri quadri, la Tares sui metri quadri più il numero di abitanti.
Passare da una tassa all’altra è stato un rompicapo per moltissimi comuni: si è dovuto fare ricorso a software specifici e al relativo addestramento del personale: costo medio dei software 20 mila euro a comune, più la formazione.
Se si butta il software si buttano 160 milioni almeno (20 mila per 8 mila comuni).
Con due complicazioni.
Prima, l’aliquota della Tares di spettanza dei comuni deve essere decisa entro settembre (quindi non è stata ancora stabilita in molti casi) mentre il «carico fiscale» (cioè l’ammontare) per ogni cittadino è già  stato indicato a gennaio e in parte anche pagato, salvo conguaglio.
Seconda, se un cittadino ha pagato il «carico» indicato a gennaio e poi ha venduto la casa, che cosa succede?
Riavrà  i soldi indietro? E in che tempi?
E anche se gli uffici dei comuni riusciranno a dipanare la matassa entro l’anno tutto sarà  inutile, perchè nel frattempo la tassa sparirà  in attesa della service tax.
E si dovrà  ricominciare da capo.
Ma, attenzione, la service tax ingloberà  anche la vecchia Imu rivisitata, ereditando tutto il pasticcio che l’imposta appena abolita si porta dietro.
Per esempio: la prima rata dell’Imu 2012 è stata pagata al 50% allo Stato e 50% al Comune, in attesa che questo fissasse la propria aliquota per il saldo.
Ma i cittadini spesso non lo hanno capito, e hanno continuato a dividere a metà  l’imposta tra stato e ente locale anche per la seconda rata.
Ora i comuni richiedono allo Stato la «compensazione».
Ma arriverà  mai? Tanto più che anche l’Imu, come la Tares, è passata in cavalleria prima ancora di decollare.

Raffaello Masci

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RIVOLTA DEGLI INQUILINI CONTRO LA SERVICE TAX E LO SCONTO RISPETTO ALL’IMU SARA’ DI SOLI 54 EURO

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

LA TASSA SUI RIFIUTI NON POTRA’ VALERE MENO DI 4,5 MILIARDI… L’ESECUTIVO FISSERA’ DEI TETTI SULLE ALIQUOTE DEI COMUNI

Una stangata. L’Unione inquilini, il sindacato degli affittuari, definisce così gli effetti della nuova Service tax, la tassa che da gennaio fonderà  Imu e Tares.
E trova subito una sponda dell’associazione studenti fuori sede, altrettanto allarmata. «Altro che piano casa, questo sembra un piano sfratti», tuona il segretario nazionale Ui, Walter De Cesaris.
«Stimiamo una stangata media da mille euro per ogni inquilino a partire dal prossimo anno», calcola.
La sua tesi è che «la maggior parte degli oneri della tassa saranno a carico di chi è in affitto».
Tenuto conto che l’80% dei 3 milioni di inquilini, secondo dati Bankitalia, «ha un reddito sotto i 30 mila euro lordi annui» e che il 90% delle 70 mila sentenze annue di sfratto sono per morosità , «rischiamo uno tsunami di sfratti», insiste De Cesaris
Gli effetti forse non saranno così catastrofici, ma la novità  vera è che la Service tax sarà  pagata da tutti: proprietari e non.
«Voglio tranquillizzare gli inquilini, la tassazione complessiva si ridurrà », promette Baretta, sottosegretario all’Economia.
Spiegando che il governo dal 2014 ci metterà  2 miliardi – «destinati ai Comuni» – e di conseguenza la nuova tassa varrà  in media circa la metà  dell’Imu (rifiuti esclusi).
Poi ci sarà  «un tetto massimo all’aliquota » applicabile. E quindi il superamento dell’Imu «non verrà  scaricato sugli inquilini», anzi questi “calmieri” li tuteleranno.
Quel che è certo, fin qui, è il federalismo insito nel nuovo balzello. Saranno i sindaci cioè a muovere le leve della tassa. Ancora più di ora.
Il governo ha spiegato, due giorni fa, che la Service tax avrà  due componenti: la Tari e la Tasi.
La prima corrisponde alla tassa sui rifiuti. La seconda, ai servizi indivisibili.
Ma il suo gettito totale, spiega Saccomanni, deve essere invariato per non creare buchi nelle casse comunali. Al netto dei 2 miliardi “offerti” dallo Stato
Questo significa che la tassa sui rifiuti (per le utenze domestiche) non potrà  valere meno di 4,5 miliardi annui. Anche se sarà  adeguata, meglio di ora, al criterio europeo del “chi più inquina più paga”, così caro al ministro dell’Ambiente Orlando.
Ad oggi però applicato solo da un pugno di città  (occorrono metodi per “misurare” la quantità  di rifiuti prodotta da ciascuna famiglia e far pagare meno i virtuosi).
La tassa sui servizi invece, che ora vale 1 miliardo, crescerà  di peso e arriverà  a 3 miliardi.
Perchè andrà  di fatto a sostituire metà  del gettito Imu prima casa.
Anche se i Comuni potranno scegliere di calcolarla sulla rendita catastale (come conviene ai grandi centri) o sui metri quadri (preferiti dai piccoli municipi).
La Uil Servizio politiche territoriali, simulando i costi per una famiglia media, ha stimato per il 2013 un risparmio di 145 euro (tra Imu azzerata e rifiuti rincarati) rispetto al 2012. E un aggravio per il 2014 di 91 euro.
Il prossimo anno pagheremo di più perchè il confronto è con un anno, il 2013, di Imu zero (sempre che il governo trovi le coperture anche per la seconda rata).
Se si fa il confronto con il 2012, il passaggio da Imu a Service tax (servizi più rifiuti) ci farà  risparmiare, in media, “solo” 54 euro.

Valentina Conte
(da “La Repubblica“)

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IL CONDONO DEL GOVERNO ALLE LOBBY DELL’AZZARDO

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

L’ESECUTIVO A CACCIA DI RISORSE OFFRE AI COLOSSI DELLE SLOT MACHINE UNO SCONTO DI 2 MILIARDI PER CHIUDERE IL CONTENZIOSO CON LO STATO

Da due miliardi e mezzo a 600 milioni di euro.
È il regalo che il governo Letta ha offerto alle società  di slot machine multate dalla Corte dei conti.
Nel decreto che cancella l’Imu sulla prima casa viene affrontato anche il problema relativo ai dieci signori delle slot condannati a febbraio scorso a pagare penali per 2,5 miliardi per i loro disservizi del periodo 2004-2006.
Una maxi multa richiesta dai giudici contabili, anche se nettamente inferiore a quella che avrebbe voluto portare a casa la Procura, cioè 98 miliardi di euro.
Ora lo sconto potrà  essere ancora più alto: entro il 15 novembre le società  potranno sanare la propria posizione, pagando soltanto il 25 per cento della multa inflitta dai giudici contabili.
In questo modo potrebbero entrare nelle casse dello Stato circa 600 milioni di euro in totale.
à‰ questa una buona notizia anche per la società  Bplus, la ex Atlantis Group of Companies, una società  originaria delle Antille Olandesi che era gestita dal catanese Francesco Corallo, il re delle slot machine, vicino al mondo di Alleanza nazionale.
La Bplus è tra le società  condannate a pagare la multa della Corte dei conti e potrà  sanare la propria posizione pagando circa 211 milioni di euro invece che rischiare di doverne versare 845.
Il proprietario non è più Francesco Corallo: dopo le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto, la Prefettura di Roma ha avallato il trasferimento della proprietà  a un blind trust inglese per la gestione di Bplus, fino al 30 maggio 2014, data entro cui la società  dovrà  essere venduta.
La Bplus Trust ha già  ricevuto dall’azionista Corallo il 100 per cento delle azioni.
Ora bisogna capire chi sarà  il prossimo acquirente.
Intanto lo scorso 5 agosto l’ex patron della Bplus è atterrato a Ciampino dopo 14 mesi di latitanza.
Su di lui pende l’ordinanza dei custodia cautelare emessa nel 2012 dalla Procura di Milano, nell’inchiesta sui presunti finanziamenti concessi dalla Banca popolare di Milano quando alla guida c’era Massimo Ponzellini.
Secondo l’accusa la banca avrebbe emesso un finanziamento di 148 milioni di euro alla società  Atlantis/BpPlus per comprare nuove slot in cambio di una presunta mazzetta da oltre 1 milione di euro girata all’ex presidente di Bpm, oltre di una presunta promessa di 3,5 milioni di sterline.
Ed è proprio durante le perquisizioni nell’ambito dell’indagini su Bplus, che la Guardia di finanza, a novembre del 2011, ha scoperto quei legami tra Corallo e il parlamentare Pdl Amedeo Labocetta.
La Bplus non è l’unica beneficiaria del provvedimento del governo.
Cirsa Italia potrà  chiudere il contenzioso con la Corte dei conti pagando 30 milioni, la Sisal Slot altri 61,2 milioni, Gtech 25 milioni, Gmatica 37,5 milioni, Codere 28,7 milioni, HBG 50 milioni, Gamenet 58,7 milioni, Cogetech 63,7 milioni e Snai 52,5 milioni.

Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA CGIA DI MESTRE: “CON AUMENTO IVA SARANNO PENALIZZATE LE FAMIGLIE MENO ABBIENTI”

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

“PESERA’ SULLE RETRIBUZIONI PIU’ BASSE E DETERMINERA’ UN’ULTERIORE CONTRAZIONE DEI CONSUMI”

A prescindere dai problemi interni al Pdl, è sull’esecutivo delle larghe intese nel suo complesso che si abbattono nuove critiche e altrettante polemiche.
In tal senso, infatti, mentre Dario Franceschini parla di un “governo che ha fatto molte cose di sinistra”, la Cgia di Mestre prefigura l’esatto contrario per quanto riguarda la questione dell’imposta sul valore aggiunto.
“Con l’aumento dell’Iva le famiglie meno abbienti saranno quelle più penalizzate” sostiene il centro studi, secondo cui, pur se all’apparenza saranno i ricchi a pagare di più, l’eventuale aumento dell’imposta Iva peserà  maggiormente sulle retribuzioni più basse e meno su quelle più elevate”.
A parità  di reddito, inoltre, i nuclei famigliari più numerosi subiranno gli aggravi maggiori.
“Bisogna assolutamente trovare la copertura per evitare questo aumento — esordisce Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre — Nel 2012 la propensione al risparmio è scesa ai minimi storici. Se dal primo ottobre l’aliquota ordinaria del 21% salirà  di un punto, subiremo un’ulteriore contrazione dei consumi che peggiorerà  ulteriormente il quadro economico generale. E’ vero che l’incremento dell’Iva costa 4,2 miliardi di euro all’anno, ma questi soldi vanno assolutamente trovati per non fiaccare la disponibilità  economica delle famiglie e per non penalizzare ulteriormente la domanda interna”.

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FINANCIAL TIMES: “IMU, VINCE BERLUSCONI, PERDE L’ITALIA”

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

“IL GOVERNO ORA SI RITROVERA’ CON UN BUCO DI TRE MILIARDI METTENDO IN PERICOLO IL PIANO DI RISANAMENTO PER PORTARE IL DEFICIT SOTTO IL 3% DEL PIL”

Enrico Letta è costretto a incassare le critiche che arrivano dalla stampa estera. Durissime, infatti, le parole usate dal Financial Times per descrivere l’abolizione dell’Imu sulla prima casa: ”Non è un buon affare” recita l’editoriale del quotidiano britannico, secondo cui “l’Italia ne esce perdente con la vittoria di Berlusconi” sull’Imu.
“Col compromesso con il Pdl di Berlusconi, la fragile coalizione di governo ha schivato un’altra minaccia, ma l’accordo segna anche il trionfo di obiettivi politici di breve termine sugli interessi di lungo termine dell’Italia” spiega il giornale della City, secondo cui che le elezioni anticipate sono ora “improbabili”.
Tuttavia, a sentire il Financial Times, “la stabilità  politica ha un prezzo alto” da pagare e spiega che “ora il governo si ritrova con un buco di almeno 3 miliardi di euro ed ha messo in pericolo il piano per portare il deficit di bilancio sotto il 3%” del Pil”. Morale della favola?
Il quotidiano londinese non ha dubbi: “Il Cavaliere, come al solito, ha giocato in modo intelligente la partita politica. Ma mentre egli può rivendicare la vittoria contro i rivali, l’Italia ancora una volta ne esce sconfitta“.

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NUOVI SENATORI A VITA: TUTTI CRITICI VERSO BERLUSCONI? PER FORZA SONO PERSONE SERIE

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

“TUTTI DI SINISTRA”: INIZIA LA LAPIDAZIONE DA PARTE DEI GIORNALI BERLUSCONIANI… TUTTI IN PASSATO HANNO AVUTO DA DIRE SUL CAVALIERE

Chissà  cosa avrà  pensato Silvio Berlusconi leggendo l’elenco delle quattro personalità , Claudio Abbado Elena Cattaneo Renzo Piano e Carlo Rubbia, che Napolitano ha nominato senatori a vita.
Tutti e quattro hanno avuto da dire sull’ex presidente del Consiglio in passato.
E in più si aggiunge il sospetto da parte del centro destra che i quattro — “che lavoreranno in assoluta indipendenza da ogni condizionamento politico di parte” sostiene Napolitano, possano avere simpatie per la parte opposta pur non avendo mai espresso una fede politica.
E così se il Pd, con il segretario Guglielmo Epifani, parla di “scelta indiscutibile” del Colle, il Pdl ribolle.
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Restiamo in fervida attesa di un voto determinante nel quale i cinque senatori a vita, creati da re Giorgio, saranno determinanti per la sconfitta del centrodestra e di Berlusconi. Proprio di ben in meglio” dichiara il deputato del Pdl, Maurizio Bianconi.
Rocco Girlanda coordinatore del Pdl umbro, adombra quasi il complotto: ”Come diceva Andreotti delle volte a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca… le nomine dei quattro “moschettieri” a vita, in questa fase, non saranno strumentali ad un Pd claudicante in Senato? Credo proprio che oggi peccheremo in molti! Resterebbe comunque una manovra superflua perchè sono i numeri del PdL a mantenere in piedi il Governo”.
Anche la Lega ha la sua da dire: “Non vorrei mai che queste nomine possano assumere l’importanza che i senatori a vita ebbero nel sostegno del governo Prodi. Facendo due calcoli vedo nel nostro futuro con questa scelta un Letta bis con una rinnovata maggioranza. Chi decide le sorti del paese votando le leggi deve essere eletto non nominato” dichiara il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli.
Nel 2003, per esempio, il direttore d’orchestra a Tokyo, nella conferenza stampa di consegna del Praemium imperiale, aveva puntato il dito contro il conflitto di interessi: ” Sono un uomo di cultura, non sono un politico — aveva detto nel suo breve intervento -. Voglio leggere un testo scritto di recente dallo scrittore tedesco Peter Schneider: ”E’ compatibile che nella parte più antica e nel cuore culturale del continente europeo ci sia un uomo che controlla l’80% dei mezzi di comunicazione, e che, per di più, quest’uomo sia primo ministro?”. Spiegando poco dopo il senso del suo intervento, Abbado aveva aggiunto: ”Le mie affermazioni vanno intese nel contesto di un intervento che parlava della cultura e degli scambi tra culture diverse. Ho parlato di un dato di fatto innegabile, che ciascuno può interpretare come vuole. Ci sono cose giuste, che vanno dette, che non sono nè di destra nè di sinistra. Che vanno dette perchè sono fatti importanti, non solo per l’Italia, ma nel mondo”.
Siamo a fine luglio 2005, quando invece scoppia l’affaire Enea.
Lo scienziato e premio Nobel della Fisica bolla il cda dell’Ente nazionale per l’efficienza energetica come “il branco” in mano ai partiti, e nonostante un curriculum straordinario e il riconoscimento universale delle sue competenze viene cacciato. S
u di lui piovono pure le lagnanze di un senatore leghista, presunto ingegnere che aveva dichiarato: “Nessuno mette in discussione le competenze di Rubbia sulle particelle, ma quando parla di ingegneria è un sonoro incompetente”.
Rubbia, dal carattere ruvido riportano le cronache, era finito nel mirino per una lettera in cui esprimeva fortissime perplessità  sulla gestione dell’ente da parte dell’esecutivo guidato Berlusconi: “Con la nuova legge si è voluto che il presidente dell’ente (l’Enea, ndr) avesse un profilo di altissimo livello scientifico internazionale. È però accaduto che il consiglio di amministrazione non venisse individuato dal governo con analogo criterio, ossia privilegiando quello di eccellenza delle conoscenze e esperienze acquisite nel campo delle attività  tecnico- scientifiche. Avrei, forse, dovuto cogliere subito questo handicap di partenza e riflettere su quanto era, a quel punto, lecito e possibile attendersi da me. Senonchè è prevalso sulle perplessità  il mio forte desiderio di dare ciò che potevo al mio Paese, sostenendo costruttivamente l’Enea. È stato un errore. Un errore al quale si sarebbe potuto porre rimedio con adeguata sensibilità  politica. Sensibilità  che non c’è stata. La verità  è   – argomentava Rubbia — che presidente e consiglieri di amministrazione parlano due lingue totalmente diverse. La carenza di sapere scientifico dei consiglieri, ha provocato un ulteriore deleterio effetto: il loro testardo compattamento in stile branco (con tutto il rispetto per le persone, ma il termine rende meglio l’idea), espressione di una mediocre difesa. Si è spesso detto dell’esistenza di scontri tra me e il cda: in realtà  non ci può essere ‘scontro’ tra un gruppo compattato di sette consiglieri di esplicita nomina ministeriale da una parte e uno scienziato senza connotazione politica dall’altra. Uno scienziato-presidente messo continuamente e sistematicamente in minoranza. Tale surreale condizione è frustrante, deleteria. I consiglieri hanno addirittura preteso di sostituirsi al presidente nel proporre il direttore generale. Ossia, rivendicando non solo il diritto (sacrosanto) di nominare il direttore generale, ma anche quello di proporlo a se stessi. Si è giunti al punto di chiedermi, avendo io presentato una rosa di cinque nominativi, di proporne invece una rosa di sei, indicandomi ovviamente anche quale dovesse essere il sesto nome: quello che già  avevano deciso dovesse occupare la carica di direttore generale. Essendomi rifiutato di scadere nella burla, il Consiglio si è appropriato della ‘rosa’, con un solo e unico predestinato petalo. Mi sono allora rivolto al Tar e il tribunale mi ha dato ragione: la nomina era irregolare ed è stata annullata. Il paradosso è che la mia istanza al Tar avrebbe assunto connotati di un atto ‘sovversivo’, agli occhi dei consiglieri soccombenti nel giudizio. E ancora più sovversiva è ora ritenuta la mia richiesta che venga rispettata quella sentenza. Mentre infuria questo tipo di ‘altissima gestione’, l’istituto di ricerca è paralizzato”.
Solo nel luglio di due anni l’archistar Renzo Piano (nella foto), non schierato in nessun partito ma considerato portatore di un’idea progressista dell’architettura, aveva bocciato sonoramente il Cavaliere: ”Berlusconi è un esempio terribile per il nostro Paese. L’Italia — aveva detto al Time magazine — non è una nazione egoista ma lui ha dato ossigeno alle parti peggiori della società . Non c’entra la destra o la sinistra, e’ una questione morale. Qualcosa che va oltre le sue donne, la corruzione e l’egoismo”.
Anche la scienziata ha dovuto combattere una grande battaglia contro il governo Berlusconi per l’esclusione delle cellule staminali embrionali dai bandi di ricerca pubblica in Italia. ‘Un abuso di potere” avevano scritto su Nature le tre ricercatrici, tra cui Elisabetta Cattaneo, che nel luglio del 2009 avevano fatto ricorso al Tar del Lazio (poi bocciato) contro la decisione del governo di escludere dal finanziamento pubblico la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane. ”Riteniamo infatti — avevano sottolineato le tre scienziate   che l’esclusione di questo tipo di cellule, legalmente utilizzabili e scientificamente importanti, costituisca un abuso di potere e che, pertanto, la nostra azione assuma una valenza sia sul piano politico che culturale di particolare rilievo nella situazione attuale del nostro Paese …. E’   già  molto grave per la comunità  scientifica cronicamente sofferente per la mancanza di finanziamenti, che il governo italiano abbia deciso di affrontare la crisi finanziaria tagliando i fondi per la ricerca, l’innovazione e l’istruzione e che il sistema di distribuzione dei finanziamenti pubblici usi modalità  meno trasparenti di quelle che dovrebbero essere. Questo non solo — concludono le autrici dell’appello — per considerazione del lavoro dei ricercatori, ma anche (o soprattutto) di quello dei contribuenti da cui questi fondi derivano”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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I NUOVI QUATTRO SENATORI A VITA: PERSONALITA’ CHE IL MONDO CI INVIDIA

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

I PROFILI DEI QUATTRO NUOVI SENATORI NOMINATI DA NAPOLITANO PER ALTI MERITI NEL CAMPO SCIENTIFICO, ARTISTICO E SOCIALE… LIBERI DA CONDIZIONAMENTI POLITICI

CLAUDIO ABBADO
Nato nel 1933, Claudio Abbado si è diplomato al Conservatorio di Milano. Ha acquisito meriti artistici nel campo musicale attraverso l’interpretazione della letteratura musicale sinfonica e operistica alla guida di tutte le più grandi orchestre del mondo.
A tali meriti si è unito l’impegno per la divulgazione e la conoscenza della musica in special modo a favore delle categorie sociali tradizionalmente più emarginate.
Ha avuto la responsabilità  della direzione stabile e musicale delle più prestigiose istituzioni musicali del mondo come il Teatro alla Scala e i Berliner Philharmoniker; ha ideato istituzioni per lo studio e la conoscenza della nuova musica.
Si è in pari tempo caratterizzato per l’opera volta a valorizzare giovani talenti anche attraverso la creazione di nuove orchestre, come la European Union Youth Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe, la Mahler Chamber Orchestra, la Orchestra Mozart.
CARLO RUBBIA
Nato nel 1934, si è laureato presso la Scuola Normale di Pisa e ha svolto il suo dottorato alla Columbia University. Ricercatore al Cern di Ginevra dal 1961, ne è stato Direttore Generale dal 1989 al 1993.
Per diciotto anni ha svolto l’attività  di Professore di Fisica presso la Harvard University. Nel 1984 ottiene il Premio Nobel insieme a Simon van der Meer per la scoperta dei particelle W e Z, responsabili delle interazioni deboli.
Membro delle più prestigiose accademie scientifiche, detiene 32 lauree honoris causa. Attualmente svolge le sue attività  di ricerca fondamentale al Cern e ai Laboratori nazionali del Gran Sasso.
RENZO PIANO
Nato nel 1937, Renzo Piano si laurea al Politecnico di Milano nel 1964. Vincitore, tra l’altro del Premio Pritzker (Washington), Praemium Imperiale, (Tokyo), Erasmus (Amsterdam), Leone d’Oro, (Venezia).
Dal 1994 è Godwill Ambassador dell’Unesco per la Città . Ha costruito spazi pubblici per le comunità , musei, università , sale per concerto, ospedali.
Tra i suoi più importanti progetti il Centro Culturale Georges Pompidou a Parigi, l’aeroporto Kansai in Giappone, l’auditorium Parco della Musica a Roma, il museo dell’Art Institute a Chicago, il nuovo Campus della Columbia University a New York. Nel 2004 istituisce la Fondazione Renzo Piano, con sede a Genova, organizzazione no-profit dedicata al supporto dei giovani architetti, che accoglie a «bottega»
ELENA CATTANEO
Nata nel 1962, Elena Cattaneo si laurea in Farmacia all’Università  di Milano dove successivamente consegue il dottorato e dal 2003 insegna come professore ordinario.
Ha operato come ricercatrice per tre anni al Mit di Boston nel laboratorio del professor Ron McKay, dove ha avviato studi su cellule staminali cerebrali. Rientrata in Italia, ha fondato e dirige il Laboratorio di Biologia delle cellule staminali e Farmacologia delle malattie neurodegenerative del Dipartimento di Bioscienze dell’Università  di Milano, dedicandosi allo studio della Corea di Huntington. È stata rappresentante nazionale presso l’Unione europea per la ricerca Genomica e biotecnologica. Ha coordinato il progetto europeo NeuroStemcell e, da ottobre 2013, coordinerà  il progetto NeuroStemcellrepair nell’ambito del 7 Programma quadro della Ricerca europa.

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