Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
IL GOVERNO DECIDE UN MEGA-CONDONO SULLE SANZIONI AI BOSS DELL’AZZARDO… MA LORO NON VOGLIONO PAGARE NEANCHE QUELLO: IL PREMIER FA UN BRUTTA FIGURA E RISCHIA DI NON INCASSARE UN EURO
La decisione dell’esecutivo di ‘scontare’ la multa ai concessionari dei giochi in cambio del contante con cui finanziare l’abolizione dell’Imu ha infatti sollevato le proteste di politica e associazioni.
Come se non bastasse però, nelle ultime ore, il danno si è persino trasformato in beffa, e proprio i concessionari chiamati in causa dalla sanatoria hanno fatto sapere di non avere alcuna intenzione di pagare.
“A queste condizioni le aziende non aderiranno alla transazione”, ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera il presidente di Confindustria Gioco Massimo Passamonti, “Preferiamo aspettare il giudizio d’appello. Siamo sicuri che ci darà ragione”.
In poche parole: dopo la figuraccia di aver approvato lo sconto, al governo Letta neppure arriveranno i soldi di cui ha bisogno.
Prima di andare avanti può essere utile un breve riassunto della vicenda.
Come parziale copertura del decreto di legge sull’Imu, pubblicato in Gazzetta ufficiale, il governo Letta ha inserito 600 milioni di euro provenienti dai concessionari di slot machine su cui pende una multa da 2 miliardi e mezzo.
Attraverso una sanatoria insomma, lo Stato chiede a dieci società (multate in primo grado dalla corte dei conti e già ricorse in appello), di chiudere le proprie pendenze versando appena un quarto del dovuto.
Con questa formula si punta così a mettere la parola fine al contenzioso partito da un’indagine della Guardia di Finanza che, tra il 2005 e il 2007, registrò come le slot delle dieci società non fossero collegate al cervellone dei monopoli e, di conseguenza, non fossero monitorate. Indagine che portò il pm a chiedere 98 miliardi di multa (moltiplicando le ore di attività “offline” per il numero di macchine scollegate), poi diventati 2,5 miliardi nel giudizio di primo grado.
Un tesoretto di non poco conto in tempo di crisi e che, anche decurtato a un quarto, può tornare utile ai fini politici.
Ma il piano dell’esecutivo Letta si è rivelato un buco nell’acqua, peraltro non del tutto inaspettato.
Nelle prime bozze del decreto sull’Imu si parlava infatti di un piano di riserva, ovvero l’aumento della tassazione sui giochi (Preu) in caso di fallimento della sanatoria.
Un incremento dell’aliquota, definito “un ricatto” da ambienti vicini al settore giochi, che è però scomparso nella versione definitiva del testo, e che ha permesso ai signori delle slot di rifiutare la sanatoria senza il pericolo di nuove tasse.
“Un aumento delle tasse sui giochi sarebbe stato controproducente e avrebbe portato a una riduzione del gettito”, spiegano da Confindustria commentando a l’Espresso la scomparsa del ritocco delle tasse e difendendo la posizione delle aziende del settore impossibilitate, a giudizio dell’associazione di categoria, a trovare entro il 15 novembre le centinaia di milioni di euro richiesti.
La domanda che ora sorge spontanea è quindi: se non lo pagano i re della macchinette, chi lo paga il decreto che cancella l’Imu, tanto caro a Silvio Berlusconi?
La risposta è scontata: i cittadini.
Come si può leggere in Gazzetta Ufficiale infatti: “qualora […] emerga un andamento che non consenta il raggiungimento degli obiettivi di maggior gettito indicati alle medesime lettere, il Ministro dell’economia e delle finanze […] stabilisce l’aumento della misura degli acconti ai fini dell’IRES e dell’IRAP, e l’aumento delle accise di cui […]”.
Maggiorazione nei prelievi di Ires e Irap e un aumento delle accise, probabilmente su alcol e tabacchi quindi. I giochi invece sarebbero salvi, in quanto soggetti a tassazione ordinaria e non ad accisa.
In attesa di capire se governo e concessionari troveranno un punto di accordo sulla sanatoria (al momento non sono state avviate le trattative, ma nei prossimi giorni potrebbero esserci avvicinamenti tra le parti), non si ferma il dibattito sull’aspetto politico di una sanatoria sulla multa.
A difendere l’operato dell’esecutivo, respingendo le accuse di fare sconti ai signori dell’azzardo, ci ha pensato il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta (Pd). “E’ talmente chiaro che non è uno sconto che hanno detto che non aderiranno”, commenta all’Ansa, aggiungendo poi che i concessionari ”Sbagliano: ci vuole senso di responsabilità . C’è un contenzioso tra lo Stato e i concessionari e questa è una transazione non sull’intera cifra ma solo su una parte”.
Nel suo partito però c’è chi lavora per superare completamente la sanatoria ed eliminarla dal decreto quando questo sarà discusso in Parlamento.
“Credo si tratti di una formula non valutata bene dal Consiglio dei Ministri”, spiega all’Espresso Eduardo Patriarca, deputato del Pd e componente della commissione Affari Sociali, “Si tratta di una misura in contrasto con quanto proposto dallo stesso Pd in Parlamento e credo si possa lavorare per modificare questa parte del decreto”.
Patriarca annuncia emendamenti che eliminino la sanatoria, non escludendo la collaborazione con l’opposizione, in particolare il Movimento 5 Stelle. “Si può lavorare anche con deputati fuori dalla maggioranza, anzi sono i benvenuti. Credo che quello sull’Imu sia un decreto con troppi buchi e troppe toppe e che per risolvere il problema della tassa sulla casa finisca per crearne molti altri. Comunque resto convinto che l’idea della sanatoria sia arrivata dagli uffici del ministero incaricati di trovare la copertura economica perchè conosco la sensibilità di Letta sull’argomento”.
Mauro Munafò
(da “l’Espresso“)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
LA COPERTURA ECONOMICA AL DECRETO IMU COSTRINGE IL GOVERNO A RIVEDERE I FINANZIAMENTI PREVISTI PER CREARE POSTI DI LAVORO, PER LA LOTTA ALL’EVASIONE E PER LE RINNOVABILI… RIDOTTA ANCHE LA MANUTENZIONE ALLA RETE FERROVIARIA
Servono soldi per coprire il mancato gettito della prima rata dell’Imu.
E il governo prova a raschiare il fondo del barile.
Arrivano così con il decreto legge un taglio al Fondo per l’occupazione da 250 milioni e un “prelievo” di 300 milioni alla disponibilità su 40 conti Mps che raccolgono le risorse della Cassa Conguaglio Settore Elettrico per finanziare l’efficienza energetica e le rinnovabili.
Ma anche un taglio ai fondi per le assunzioni finalizzate alla sicurezza e la riduzione delle risorse per rimpinguare gli ispettori in lotta contro l’evasione.
Si tratta di 20 milioni stanziati nel 2003 per le assunzioni di nuovi sceriffi del Fisco e di 10 milioni al fondo per incentivare la mobilità e le trasferte del personale che combatte i contribuenti meno fedeli, il lavoro nero, il gioco illegali e le “frodi” fiscali.
La scure non ha risparmiato nemmeno un settore nevralgico come quello dei trasporti: la manutenzione della rete ferroviaria avrà 300 milioni di euro in meno, una falciata alle risorse per il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, finalizzata, tra l’altro, agli investimenti per la rete e per la manutenzione straordinaria.
Sforbiciate che non mancheranno di far discutere in quanto vengono sottratte risorse là dove secondo il parere di molti economisti ce n’è più bisogno: il fronte dell’occupazione, un capitolo dolente in Italia dove il tasso dei senza lavoro è arrivato al 12% e quello dei giovani disoccupati al 39%.
Complessivamente si tratta di quasi un miliardo di tagli ai diversi ministeri, in parte realizzati con una sforbiciata ai consumi intermedi e agli investimenti fissi lordi, ma per la gran parte con una cesoiata su ben 35 autorizzazioni di spesa, contenuti in una tabella che non indica il capitolo ma solo il rimando legislativo.
E’ quanto prevede una parte delle coperture – per l’esattezza 975,8 milioni – che il decreto Imu realizza attraverso tagli allo Stato centrale.
Ecco, ministero per ministero, le riduzioni di spesa in milioni di euro. Con una premessa.
Le cifre ridotte al ministero dell’Economia e delle finanze riguardano talvolta autorizzazioni di spesa previste da passate finanziarie che intervengono in settori gestiti da altri ministeri, come ad esempio per i tagli alle assunzioni sulla sicurezza o alla manutenzione del settore ferroviario.
Min. Economia: 644,80
Min. Sviluppo: 20,99
Min. Lavoro: 1,01
Min. Giustizia: 16,72
Min. Esteri: 9,45
Min. Interno: 32,84
Min.Ambiente: 6,8
Min.Trasporti: 81,98
Min. Difesa: 149,74
Min. Agricoltura 4,10
Min.Salute 7,36
TOTALE 975,80
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
DOCUMENTO CONGIUNTO TRA CONFINDUSTRIA E CGIL, CISL UIL: RIDUZIONE DELLE TASSE PER LAVORATORI, PENSIONATI E IMPRESE
Alla fine, il “Patto delle fabbrica” è arrivato. Ed è arrivato in un luogo non casuale.
La festa nazionale del Partito Democratico di Genova, dove Confindustria e Cgil-Cisl-Uil hanno firmato un documento congiunto che elenca le priorità per la Legge di stabilità e per la crescita del Paese.
Ad annunciarlo il presidente degli industriali Giorgio Squinzi ed i segretari generali dei sindacati, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti.
Un’intesa che registra una critica molto decisa agli ultimi provvedimenti dle governo, prima fra tutti quello sull’Imu.
“Le iniziative promosse in questi giorni” dall’esecutivo Letta, per “assicurare” la governabilità si legge nelle prime righe del documento “hanno però sottratto per la loro realizzazione risorse che sarebbero state meglio impiegate per misure più efficaci per il rilancio delle imprese e il sostegno dei lavoratori”.
Squinzi: “Impossibile non remare nella stessa direzione”.
“Siamo in una situazione tale che non possiamo che remare tutti nella stessa direzione”, ha spiegato Giorgio Squinzi “Le cose da fare sono tante per cui facciamo un appello forte al Governo, l’unico possibile, affinchè senta tutta la pressione. Credo che il governo, nell’elaborazione del Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2014 debba tenere in considerazione quanto abbiamo concordato, è solo da qui che può partire la ripresa, la crescita, per il nostro Paese. Abbiamo concordato su una visione comune – ha aggiunto – le cose da fare sono tante, partiamo da quelle che si possono fare subito. Da qui lanciamo un appello a questo governo, l’unico governo possibile. Dobbiamo far sentire la nostra pressione perchè si vada nella direzione di realizzare i punti concordati” nel documento.
Camusso: “Necessario cambio di passo”.
“È necessario cambiare passo. Non dobbiamo più essere prigionieri del dibattito ma avere una strategia per il Paese”, ha commentato il leader della Cgil, Susanna Camusso.
Bonanni: “Basta chiacchiere su Imu e Iva”.
“Perdersi in chiacchiere sull’Imu e sull’Iva significa solo perdere tempo, invece bisogna guardare in faccia l’intera realtà “, ha commentato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni.
“Si deve rivedere l’intero sistema fiscale – ha aggiunto – fare politiche industriali e informatizzare la pubblica amministrazione. È vero che c’è l’esigenza di avere un governo, ma deve governare ciò che è più essenziale alla salute economica, e quindi sociale, del Paese”.
(da “L’Huffington Post”)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
IL SALVACONDOTTO A BERLUSCONI? PD AL 5%
Circola nel Pd un sondaggio: se i Democratici fornissero un salvacondotto a Berlusconi il loro consenso scenderebbe al 5%.
E anche per Luciano Violante la prima preoccupazione è di chiarire che mai ha pensato a un salvacondotto o a un “lodo” per graziare il Cavaliere dalla decadenza, che perciò «non ci saranno sotterfugi» e decadrà .
Ma l’ex presidente della Camera, davanti ai militanti e ai parlamentari torinesi, ribadisce la linea che ha scatenato la tempesta nel partito: «Berlusconi ha il diritto alla difesa davanti alla giunta del Senato come qualunque parlamentare, nè più nè meno.
Occorre rispettare le regole anche per i nostri avversari, è molto facile applicarle solo per gli amici, più complicato per gli avversari».
Premesso che il segretario Epifani ripete ogni giorno non esserci trattative politiche in corso con il Pdl, tuttavia nel Pd qualcosa sta cambiando.
Si cerca di evitare il crash, lo scontro frontale in giunta sulla decadenza immediata da senatore del Cavaliere?
Rosy Bindi, pasdaran anti berlusconiana, pondera le parole per dire che bisogna puntare a far dimettere Berlusconi: «Non vedo via d’uscita per lui. Dovrebbe dimettersi. E poi il capo dello Stato potrà analizzare meglio una richiesta di clemenza», cerca di allettare Bindi.
In molti nel Pd sono pronti a scommettere che lo zelo di fare cadere subito il capo del Pdl si stia affievolendo nel loro stesso partito: c’è chi lo sospetta, e quindi lo denuncia. Laura Puppato ad esempio, parla della “sindrome di Ponzio Pilato”, rinviare cioè i lavori di giunta attendendo che sia la Corte d’appello di Milano a depennare Berlusconi, decidendo l’interdizione dai pubblici uffici (da uno a tre anni).
A quel punto, se Berlusconi ascoltasse il consiglio di non impugnare il ricalcolo dell’interdizione, resterebbe fuori da ogni carica pubblica per untempo minore rispetto ai sei anni previsti con la legge Severino.
La giunta parlamentare non potrebbe votare più — secondo questo ragionamento la decadenza di un senatore ormai ex. La tentazione a dilazionare i tempi si sta quindi facendo strada tra i Democratici?
«In giunta del Senato onestamente non mi pare ci siano “tricoteuses”…», ragiona Francesco Sanna, ora deputato, ex componente democratico della giunta di Palazzo Madama, che quei meccanismi conosce bene e che ora non entra nel merito.
Però di “ghigliottinare” il Cavaliere c’è sempre meno voglia.
Beppe Fioroni, in feeling con Violante, sostiene che i tempi nonimmediati della decadenza sono nella logica delle cose.
Le conseguenze politiche sarebbero ottime e abbondanti per il Pd: un Berlusconi decaduto per mano dei magistrati agevolerebbe in processo già in corso di sfarinamento del Pdl.
«Quando Letta afferma che il governo non avrà più limite di scadenza, vuole dire esattamente questo: tolto Berlusconi dalla scena politica, il premier potrà ottenere una fiducia bis con quanti del Pdl guardano al Ppe».
Un liberal democratico come il senatore Massimo Mucchetti invita alla ragionevolezza: «Non è che un giorno in più rispetto al 9 settembre, data della prima riunione della giunta, dia la misura del tradimento… non mi pare che “ghigliottiniamolo” sia la parola d’ordine giusta».
Se Berlusconi avesse un “piano B”, e se questo non andasse in porto, resta lo scorrere del tempo (relatore, audizioni, primo voto, nuovo relatore fino alla cosiddetta udienza parlamentare) a stemperare se non proprio sminare.
«Dilazione? Non è questo il punto — spiega Filippo Bubbico, senatore che il presidente Napolitano volle nel comitato dei saggi — Va rispettata l’attività istruttoria della giunta e preso atto delle conclusioni… qui c’è la civiltà in gioco».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
PIU’ CORSE E PIU’ FERMATE, MA SUI BINARI LA VELOCITA’ NON CAMBIA…PENDOLARI LOMBARDIA: “A RILENTO ANCHE SULLE LINEE CON IL RADDOPPIO”
Quattro minuti in più da Varese, due da Pavia, uno da Lecco.
Due minuti in meno per andare da Milano a Piacenza e quattro per Brescia nonostante i viaggi siano effettuati da molto più costosi Frecciabianca (si percorre, cioè, lo stesso tratto nello stesso tempo ma con un biglietto più caro).
Il mondo va avanti ma forse non quello ferroviario che, anzi, in alcuni casi, va pure all’indietro.
Basta recuperare un orario ferroviario del 1975 – noi abbiamo preso un PozzoOrario, guarda la scheda – e metterlo vicino a quello di oggi per rendersene conto.
Alcuni treni negli orari di punta per i pendolari sulle cinque tratte più frequentate dai 670 mila viaggiatori lombardi sono più lenti oggi rispetto a 38 anni fa.
Quasi tutti, ad arrivare a destinazione, ci mettono lo stesso tempo di allora. Pochi, invece, sono realmente più veloci.
Secondo Trenord, che in Lombardia gestisce tutti i treni segnalati tranne i Frecciabianca e gli Intercity, «il motivo principale per cui il tempo di percorrenza non è diminuito è l’aumento delle fermate, istituite negli anni su richiesta dei Comuni». Inoltre, dicono da Trenord, sono aumentati i treni in circolazione (2.300 in tutta la regione, erano 1.600 nel 2006): la moltiplicazione del servizio ha causato perciò traffico sulle linee.
I pendolari, però, non ci stanno. «È assurdo che oggi i treni arrivino a destinazione nello stesso tempo di quarant’anni fa – ha detto Alberto Viganò, portavoce dei Comitati lombardi dei pendolari – soprattutto su quelle tratte, come la Lecco-Milano, dove c’è stato il raddoppio della linea. Trenord, purtroppo, non ha interesse a fare un orario stretto perchè correrebbe un rischio maggiore di avere treni in ritardo».
Quello che servirebbe, però, sarebbero gli investimenti: «Se il materiale rotabile e i sistemi di segnalamento rimangono gli stessi di quarant’anni fa – ha spiegato Dario Balotta, esperto di trasporti di Legambiente – la capacità di accelerazione e la velocità dei treni rimarranno sempre le stesse. Anche sulle tratte meno trafficate come la Milano-Piacenza dove si è aggiunta la linea dell’alta velocità ».
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
UN ISPETTORE OGNI 13 SCUOLE IN GRAN BRETAGNA, UNO OGNI 22 IN FRANCIA, UNO OGNI 2.076 NEL LAZIO
Un ispettore ogni 13 scuole in Gran Bretagna, uno ogni 22 scuole in Francia, uno ogni 2.076 scuole nel Lazio.
Bastano tre numeri per capire quanto il nostro sistema scolastico sia fuori controllo e come l’autonomia sia stata vissuta come «tana libera tutti».
Lo denuncia un dossier di Tuttoscuola . Che lancia sei idee per cambiare tutto.
A partire dalla rottura del vecchio patto scellerato «ti pago poco, ti chiedo poco» per passare a un altro: «ti do di più, ti chiedo di più».
Che l’autonomia sia una cosa seria non si discute. Anzi, gli esperti concordano nel ritenere che proprio un’ampia autonomia dovrebbe spingere le scuole a assumersi più responsabilità .
Fino a essere costrette a migliorare la loro offerta agli studenti e alle famiglie per poter essere «competitive» in un mondo in cui il «pezzo di carta» di per sè è sempre meno importante
Il guaio è che la concessione di un’autonomia sempre più larga a partire da 2000 col riconoscimento anche della parità alle «non statali», denuncia Tuttoscuola, doveva essere parallela a un aumento dei controlli. È successo il contrario.
«Prima» c’erano in organico 695 «ispettori», oggi 301.
Solo sulla carta, però. In realtà , a causa di circa 200 vuoti, sono solo un centinaio: «In intere regioni, con centinaia di istituzioni scolastiche e migliaia di insegnanti, opera a volte un solo ispettore».
Come nel Lazio, appunto, dove il poveretto, contando non solo gli istituti centrali ma anche le «dependance», dovrebbe vigilare su 4.603 scuole.
E poi ci sono due ispettori a disposizione dell’ufficio scolastico regionale in Piemonte, uno in Liguria, uno nelle Marche, neppure uno in Toscana. Zero carbonella.
C’è chi dirà che si possono sempre inviare per un’ispezione dei dirigenti scolastici investiti volta per volta del ruolo.
Sarà ..
Restano i buchi, però. Aggravati dai tempi biblici con cui è stato avviato il rammendo: «Il concorso per reclutare nuovi dirigenti tecnici (con funzioni ispettive) è stato bandito quasi sei anni fa per coprire 144 posti vacanti, ma si è concluso solo nella primavera di quest’anno con circa 70 vincitori, che però non sono stati ancora nominati. Si parla della prossima primavera…
E nel frattempo sono diventati vacanti per pensionamento altre decine di posti». Non bastasse, quel concorso ha avuto una grandinata di ricorsi per il sospetto che abbiano vinto «amici degli amici». Auguri.
Una domanda emerge angosciante dalla lettura del dossier, che ricorda storture inaccettabili sui deficit di qualità e di equità («come spiegare che a Milano solo un maturando su 381 è valutato meritevole di lode, e a Crotone uno ogni 35?») e la necessità di una dura lotta all’abbandono scolastico.
Quanto potremo resistere tra i Grandi con il 65% degli italiani tra i 16 e i 65 anni con livelli di «competenze funzionali effettive» valutate «fragili» o addirittura «debolissime»
Mentre sta rimettendosi a girare il pianeta scolastico, al quale Corriere.it dedicherà un «Canale Scuola» quotidiano, la rivista di Giovanni Vinciguerra lancia, accanto alle denunce, sei idee «un po’ rivoluzionarie» per cambiare «una scuola dove si è sballottati da una sede a un’altra, dove è riservato lo stesso trattamento a chi lavora duro e con passione e a chi ha la testa altrove, dove si guadagna tutti una miseria» e «dove la carta igienica e quella per le fotocopie le portano i genitori».
Primo: basta con le scuole «chiuse agli studenti per molte ore al giorno durante i periodi di lezione e per mesi interi al di fuori».
È uno «spreco enorme». Gli spazi scolastici potrebbero restare aperti al pomeriggio e anche fino a fine luglio per offrire agli studenti «servizi aggiuntivi» che oggi le famiglie pagano ai privati: dalle lezioni di musica ai «summer camp», dai corsi di lingue alla ginnastica artistica.
Organizzandoli in proprio, grazie ai dipendenti che ne ricaverebbero più soldi in busta paga, o affidandoli a privati dietro precise garanzie.
Certo, occorrono elasticità e fantasia, ma non solo le scuole potrebbero ricavarne fondi da reinvestire ma «si sbroglierebbe anche l’inaccettabile matassa dei precari».
Secondo: per recuperare risorse servono tagli «chirurgici».
Esempio? Ci sono 10mila «microscuole» primarie con meno di 50 alunni, «che costano in termini di personale il doppio delle altre (fino a 8 mila euro per alunno, contro i 3.500 euro di una scuola standard con 100 alunni)».
Guai a toccare quelle in montagna e nelle piccole isole: sono sacre, anche a costo di rimetterci. Ma tantissime «sono lì spesso per motivi di campanile». I risparmi sarebbero «reinvestiti in spesa “buona”, a partire da edilizia, banda larga, laboratori, palestre».
Terzo: occorre «liberare e premiare le energie degli insegnanti. Sono loro che “fanno” la scuola. Certo, guadagnano poco. Il 10-15% in meno della media dei colleghi europei.
Ma riallineare la retribuzione per tutti costerebbe oltre 3 miliardi di euro l’anno. Troppo per l’Italia di questi anni». Ma «allora concentriamo le risorse e gli sforzi per premiare chi vuole dare di più» rompendo con «la carriera dei docenti legata solo all’anzianità di servizio».
Quarto: guerra agli abbandoni con «corsi di recupero obbligatori e sistemi di incentivi e disincentivi d’intesa con le famiglie.
Per esempio: se non hai concluso l’obbligo scolastico non puoi comprare/guidare il motorino o partecipare a programmi sportivi del Coni».
Perchè non possiamo più permetterci di avere «il 20% dei nostri 18-24enni in possesso al massimo della licenza media».
Quinto: più autonomia, ma anche più controlli, più trasparenza nei conti e «una rigorosa valutazione dei risultati» che premino le scuole virtuose e si spingano con quelle che non raggiungono determinati standard «fino alla chiusura», come accade in America.
Sesto: «digitalizzazione delle scuole (per tutti)».
Non è accettabile che l’Italia abbia in totale solo 14 scuole statali «2.0», cioè digitalizzate, su oltre 9.000. Nè che ci siano soltanto, citiamo il Rapporto «Review of the Italian Strategy for Digital Schools» voluto da Francesco Profumo, 6 Pc ogni 100 studenti contro i 16 europei e il 6% delle scuole altamente digitalizzate contro il 37% del resto d’Europa. Insomma, «la scuola digitale può offrire un grande contributo al cambiamento del Paese, ed è un treno che non può essere perso».
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
ORA ATTACCANO LA NORMA SULL’INCANDIDIBILITA’, MA ALLORA NESSUN DUBBIO DI COSTITUZIONALITA’… ANZI DICEVANO: “APPROVIAMOLO IN FRETTA”
La legge Severino sulle incandidabilità è incostituzionale. È retroattiva, una bestialità giuridica. La Giunta delle elezioni del Senato non può solo prendere atto della condanna, deve tenere conto del quadro in cui è maturata e dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi.
Da circa un mesetto, diciamo, il decreto legislativo dell’ex Guardasigilli per l’intero Pdl è diventato una porcata immonda.
Prima, però, i parlamentari di centrodestra suonavano tutta un’altra musica.
Il partito dell’ex Cavaliere nel dicembre 2012 diede il suo voto favorevole al testo, si sa, ma non solo: durante il passaggio nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di quel dlgs delle preoccupazioni costituzionali che oggi tolgono il sonno ai vari Caliendo e Malan non c’è traccia; al contrario c’è una entusiastica adesione all’idea “liste pulite”.
A leggere i resoconti di quei dibattiti, tanto alla Camera che al Senato, si assiste ad un notevole sperpero di soddisfazione per contenuti e tempestività della legge.
Fu il Senato a cominciare.
Qualcuno contestò l’articolo 3, quello che prevede la decadenza immediata in caso di condanna durante il mandato parlamentare? Macchè.
Filippo Berselli, ex An, relatore del provvedimento, si limitò a chiedere un coordinamento con l’articolo 2 per definire meglio i tempi d’intervento: quando si viene depennati dalle liste, quando si decade dopo la nomina.
Così, senza aggettivi.
Niente neanche sulla retroattività della decadenza? Niente.
Sempre il povero Berselli, anzi, si limitò a sottolineare che giustamente c’era una norma transitoria che la sospendeva in caso di patteggiamento avvenuto prima dell’entrata in vigore (conoscendo i contenuti della Severino, infatti, l’interessato avrebbe potuto scegliere la via del processo).
Va bene, si dirà , il relatore è obbligato ad una certa equidistanza, ma i senatori del Pdl si saranno fatti sentire, avranno protestato.
Purtroppo per loro, no.
Il povero Giacomo Caliendo, già sottosegretario alla Giustizia, si complimentò pure per la velocità della Severino, che aveva scritto il testo “in tempo utile per consentirne l’applicazione già in occasione delle prossime elezioni generali”.
D’altronde, spiegò, la legge delega su cui agite l’avevamo inventata noi nel “ddl per il contrasto alla corruzione originariamente approvato dal governo Berlusconi”.
Dunque, avanti a passo di carica con l’approvazione: “Rinunciamo a porre condizioni, segnaliamo solo le nostre osservazioni al governo”.
Oggi Caliendo ci ha un po’ ripensato: “No, io dicevo di fare in fretta su un’altra cosa”.
Non manca l’autocritica: “È il problema dell’applicazione della legge a fatti precedenti che dovevamo porci allora. In effetti, non è mai stato discusso. Fu una svista”.
Chissà come sarà contento Berlusconi della svista collettiva dei suoi eletti.
Pure Lucio Malan, infatti, aveva tanta voglia di “liste pulite”: “Dobbiamo approvarlo in tempi congrui”.
Il senatore valdese, però, non rinunciò a “segnalare due criticità ”. La retroattività ? L’incostituzionalità ? Niente da fare: la durata temporale dell’incandidabilità e quel problema di tempi tra Ufficio elettorale e Giunta cui accennava Berselli.
Peccato non gli siano venuti allora i dubbi che oggi lo tormentano: “Ci sono degli ampi profili di incostituzionalità che vanno valutati”.
Il senatore Roberto Centaro è l’ultimo a intervenire in Senato per il centrodestra.
Ci avrà pensato lui a porre il problema di Silvio nostro? Macchè: era preoccupato che imporre una legge statale alle Regioni a statuto speciale, tra cui la sua Sicilia, non fosse corretto. Fine. Un paio d’ore e il Senato approva.
E alla Camera? I giovani virgulti berlusconiani si diedero da fare per bloccare la mostruosità giuridica? Buio pure là .
Jole Santelli, che fu relatrice, dice che grazie al lavoro suo e degli altri non c’erano più “incertezze … in sede applicativa”.
Manlio Contento parla addirittura di “passo avanti” e dice al governo: bene la norma transitoria solo sul patteggiamento e bene pure la soglia unica per l’incandidabilità perchè ogni altra via presentava “inconvenienti e rischi di incostituzionalità ”.
Il battagliero Enrico Costa, infine, rivendicò persino il ruolo del suo gruppo: “quella comunista di Donatella Ferranti (Pd) — mise a verbale — ci ha accusato di voler rinviare e invece oggi approviamo il decreto Severino con un solo giorno di ritardo”.
Adesso ci ha ripensato: “Quella legge è stata scritta e pensata solo per far fuori Berlusconi”. Una chicca.
La Lega Nord, che oggi ritiene Berlusconi “candidabile” (Calderoli), all’epoca si lamentava che la legge Severino fosse troppo blanda: “Per certi reati dovrebbe bastare la condanna in primo grado”.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
I LEGALI ACCELERANO SULLA RICHIESTA DI COMMUTAZIONE DELLA PENA
Silvio Berlusconi si trova nella villa San Martino ad Arcore, dove resterà fino a domani.
Oggi a pranzo, come di consueto, incontrerà i famigliari e gli amici più stretti (la figlia Marina e Fedele Confalonieri, Ennio Doris, Bruno Ermolli) che guidano le imprese della galassia Mediaset, gli avvocati e, forse, sarà presente anche Gianni Letta.
Con loro farà il punto su una situazione incertissima perchè al momento non è chiaro come si possa rendere effettiva l’agibilità politica del leader del centrodestra.
La riunione di Arcore si colloca all’avvio di una settimana importante non soltanto dal punto di vista economico finanziario per i titoli Mediaset.
Mercoledì 4 si riunisce l’ufficio di presidenza della Giunta per le elezioni del Senato per decidere come procedere quando, lunedì 9, l’organismo parlamentare nel suo complesso comincerà a esaminare i dossier che riguardano la decadenza dell’ex premier.
Come agire? Berlusconi si trova di fronte al dilemma, perchè qualunque possa essere la sua decisione al riguardo, essa avrà inevitabilmente dei riflessi sui corsi borsistici delle aziende riconducibili a lui.
La scorsa settimana le azioni hanno avuto un andamento oscillante, legato alle fluttuazioni politiche dovute alle sortite del Cavaliere.
Ecco perchè quello di oggi è un meeting particolarmente delicato. «Sarà l’occasione di decidere cosa fare perchè sul tavolo ci sono diverse opzioni», afferma uno dell’inner circle ammesso a tali incontri. Ma alla domanda (quali?) si nasconde dietro un «non posso dire oltre»
Chi lo ha sentito nelle ultime ore descrive Berlusconi «lacerato per ciò che dovrà scegliere e allo stesso tempo indeciso sul da farsi, consapevole però di avere pochi giorni a disposizione».
E una delle ipotesi è anche quella di difendersi direttamente davanti alla Giunta del Senato.
Il suo umore oscilla come un pendolo.
Da un lato, si fa notare, c’è «la voglia di rompere tutto», di aprire la crisi di governo se il Pd voterà la sua decadenza, dall’altro il suo contrario, la tentazione di «accettare le condizioni della resa, cioè la sentenza, chiedere la grazia e uscire di scena».
E a questo proposito, nelle ultime ore, per propiziare una svolta, si sarebbe intensificato il lavorio dei suoi stessi avvocati per richiedere la commutazione della pena.
Una valutazione, prima scartata, che ora torna sul tavolo dopo le motivazioni della sentenza della Cassazione.
Di questo Berlusconi dovrebbe parlare oggi con Franco Coppi e Niccolò Ghedini, oltre che della scelta tra gli arresti domiciliari e i servizi sociali
La rottura o la presa d’atto producono effetti sulle aziende, come del resto l’andamento della Borsa ha messo in evidenza.
Se rompe e tenta di salvare l’onore politico, il risultato sarà che i titoli dell’arcipelago Mediaset verranno penalizzati ma non avrà la certezza che si vada a votare, come ha fatto capire il capo dello Stato in più di un’occasione.
Se, al contrario, si dimette compie un atto di sottomissione e forse proprio per questo potrà incorrere in un gesto di clemenza: non salverà l’onore ma (forse) avrà salvaguardato il patrimonio, suo e dei familiari.
Insomma, una scelta per nulla facile, sulla quale pesano i dubbi di una nuova «caccia all’uomo», dopo la perdita dello scudo parlamentare, da parte di qualche pm.
Del resto, che il suo umore fosse ondivago lo si è capito quando ha firmato tutti i dodici referendum radicali, anche quelli sui quali il Pdl non aveva espresso parere favorevole (sui quesiti per il divorzio breve, immigrazione, niente carcere per piccoli reati di droga).
Benchè Berlusconi abbia motivato tale gesto come un’opportunità per i cittadini di potersi esprimere, dentro il Pdl sono circolati dei mugugni.
Per adesso è un’opinione negativa circoscritta. Ma c’è.
Si teme che, anzichè un messaggio di libertà , ne arrivi uno contraddittorio e proprio per questo generi confusione rispetto al proprio mondo di riferimento.
E in questo momento ciò che conta è mantenere la sintonia con gli elettori, che stanno premiando il Pdl, come testimoniano i sondaggi.
Lorenzo Fuccaro
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
EX MISSINO, GIA’ SPIN DOCTOR DI ALEMANNO, IN PASSATO TENTO’ DI RIAPPACIFICARE IL CAVALIERE CON FINI
Andrea Augello, già gran regista e stratega politico della campagna di Gianni Alemanno nella Capitale (non è andata benissimo) ha ancora pochi giorni per impacchettare, come relatore all’apposita Giunta del Senato, una proposta che salvi Berlusconi e che abbia qualche probabilità di successo.
Ma chi è questo parlamentare del Pdl che ha un ruolo così delicato?
Esponente di spicco della destra romana (che si contende da anni con il ‘fratello d’Italia’ Fabio Rampelli), 52 anni, già Msi, già An, Augello in passato ha tentato di fare anche il pontiere tra Fini e Berlusconi (neanche quella volta è andata benissimo).
Poi si ritrovò cofondatore dei Responsabili e, da marzo, è senatore berlusconiano.
Nel frattempo, ha fondato l’associazione Capitani Coraggiosi per aggregare i ‘moderati romani’ sotto la bandiera del Pdl, scegliendosi come simbolo un vascello.
Tra le sue passioni, la storia: ha scritto un libro encomiastico sulla Battaglia di Gela (1943, i soldati del Duce che tentarono di fermare l’arrivo degli Alleati) con tanto di postfazione bipartisan firmata Anna Finocchiaro; e un altro sul Graal, ma «evitando tentazioni e trappole esoteriche», chiarisce nel suo sito.
In questi giorni, quelli della difficile redazione della proposta da portare in Giunta, Augello viene cercato dai giornalisti e, educatamente, premette sempre: «Come relatore vesto le funzioni di un magistrato, sono obbligato al silenzio».
Poi però dice: «E’ fuori di dubbio che la Giunta per le elezioni possa ricorrere alla Corte costituzionale». E anche «Nella relazione ci saranno proposte e argomenti fin qui minimamente toccati dal dibattito in corso», fino a tracimare su Facebook: «Mi sento libero di dichiarare la mia vicinanza sul piano umano e politico in questo difficilissimo momento al Presidente del nostro partito».
Comunque, assicura lui, tutto sarò fatto, proposto e soppesato «sul filo del diritto». Sicchè deve aver tirato un sospiro di sollievo qualche giorno fa quando gli hanno scodellato sulla scrivania i sei pareri ‘pro veritate’ di illustri costituzionalisti italiani, tutti contrari alla decadenza automatica del Drago, blindando il relatore in un oltremondo accademico dove poter parare ogni attacco nemico.
Nella giornata del 9 settembre, comunque, Augello metterà sul piatto anche, e soprattutto, il suo futuro politico.
Berlusconi pare nutra per l’uomo una stima diffidente, anche alla luce delle frequenti posizioni del senatore a favore di una trasformazione del Pdl «in un grande movimento federativo», senza cesarismi e senza leadership predefinite.
Posizioni che hanno fatto rimbalzare sottovoce, nei corridoi semideserti del Palazzo in agosto, l’idea che fosse proprio Augello uno dei promotori di una transumanza di alcuni parlamentari pidiellini nell’area Monti-Casini, nell’ipotesi di una crisi di governo e al fianco di un Letta bis senza falchi
Una sorta, insomma, di responsabili 2.0.
Anche per questo prende sempre più quota l’ipotesi che il relatore, con l’abbrivio della proposta Violante, spinga per una sbrodolatura dei tempi sulla pronuncia del Senato, col pretesto di approfondire, valutare e ponderare ogni possibile cavillo giuridico prestato dai giuristi (alcuni dei quali, vedi Caravita, pure attivissimi come saggi lettiani per le riforme).
Insomma, come il vascello dei “capitani coraggiosi”, il primo obiettivo è non naufragare spazzato via dalla furia del drago.
In attesa di mari migliori.
Giovanni Manca
(da “l’Espresso”)
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