Settembre 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL 1 OTTOBRE SCATTERA’ L’AUMENTO… PRIORITA’ AL TAGLIO DELLE TASSE SUL LAVORO
Il dado è tratto. Dopo mesi di tentennamenti e un rinvio, il governo ha deciso di rinunciare ad un nuovo blocco dell’aumento dell’Iva.
È quanto emerso in queste ore da un confronto nel governo, con la Commissione europea e in particolare fra Letta e il ministro dell’Economia Saccomanni.
A dispetto degli annunci pubblici – lo aveva fatto ieri il premier – la situazione dei conti, già compromessa da una crescita del Pil inferiore alle attese, «impone di stabilire delle priorità », spiegano fonti dell’esecutivo.
E le priorità oggi sono due: mantenere il rapporto deficit-Pil entro il 3% e allo stesso tempo trovare le risorse per un taglio delle tasse sul lavoro.
Il solo blocco dell’aumento Iva fino alla fine dell’anno ci costerebbe un miliardo, per renderlo strutturale ne sarebbero necessari quattro.
Numeri ormai insostenibili, se si considera che fonti della Ragioneria riferiscono di un rapporto deficit-Pil già abbondantemente oltre la soglia di sicurezza prevista dalle regole europee.
Il primo ottobre la terza aliquota Iva salirà dunque dal 21 al 22% come previsto dall’ultima manovra del governo Berlusconi per lo scorso primo luglio.
Ieri Saccomanni ha messo al corrente della decisione il commissario agli Affari monetari Rehn in visita a Roma.
Inutile dire che il giudizio (molto negativo) della Commissione sull’abolizione dell’Imu si è fatto sentire.
Non solo perchè a Bruxelles considerano prioritario far scendere la pressione fiscale sul lavoro (e non sulla rendita immobiliare), ma soprattutto perchè le coperture individuate finora sono giudicate molto aleatorie.
Nei contatti riservati di questi giorni Bruxelles aveva avanzato la richiesta di rinunciare al taglio della seconda rata dell’Imu, tuttora scoperto per due miliardi di euro.
Ma per Letta la marcia indietro sarebbe politicamente impraticabile, così si è deciso di procedere con l’abolizione dell’Imu compensando i timori di Bruxelles sulla tenuta del deficit con l’aumento dell’Iva.
Alternative non ne ha nemmeno la Commissione.
Lo fa capire Rehn quando in conferenza stampa spiega del differente trattamento riservato alla Francia, il cui deficit viaggia oltre il 4%: sull’Italia pesa il debito monstre e la richiesta di chiudere la vecchia procedura di infrazione.
«L’Italia deve essere all’altezza degli impegni assunti», come a dire che se la Commissione dovesse certificare l’aumento del deficit oltre il 3% Bruxelles sarebbe costretta a riaprire la procedura, con tutte le conseguenze che questo avrebbe su spread e andamento dei tassi di interesse.
Se tutto andrà bene, e se Bruxelles non ci chiederà di stringere ulteriormente la cinghia sul deficit, la legge di Stabilità prevederà invece una riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, le tasse che gravano su lavoratori e imprese.
L’ordine di grandezza potrebbe essere fra i tre e i quattro miliardi di euro, sempre che a Saccomanni riesca di imporre i tagli di spesa necessari.
Almeno un miliardo dovrebbe arrivare da una partita di giro, ovvero dalla cessione alla Cassa depositi e prestiti di un miliardo di immobili pubblici, altri spazi potrebbero essere garantiti dall’abbassamento delle stime sul costo degli interessi per onorare il debito pubblico.
Venerdì il governo approverà i numeri del Def, il documento di economia e finanza.
Quella sarà la prima indicazione utile su quel che Letta e Saccomanni intendono fare nel 2014. Berlusconi permettendo.
Alessandro Barbera
(da “La Stampa”)
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Settembre 18th, 2013 Riccardo Fucile
LO STOP DEL TESORO: IMPOSSIBILI ENTRAMBE LE MISURE
A un passo dall’aumento dell’Iva. Dal primo ottobre l’aliquota al 21 per cento salirà al 22%.
È uno scenario che al ministero dell’Economia danno ormai pressochè per scontato. «O si finanzia l’abolizione dell’Imu – dicono fonti autorevoli di Via XX settembre – o si finanzia il blocco dell’aumento dell’Iva. Entrambe le cose non sono possibili»
E d’altra parte è stato il premier Enrico Letta a dichiarare solo un paio di giorni fa che la partita del-l’Iva «è complicata».
Più o meno la diplomatica ammissione che si lascerà scattare l’incremento.
Il titolare dell’Economia, Fabrizio Saccomanni la pensa allo stesso modo. Infatti negli ultimi giorni non ha speso una parola sull’Iva mentre si è prodigato nello spiegare la strategia, suggerita anche da Bruxelles e dagli organismi internazionali, dall’Ocse al Fondo monetario, di alleggerire il peso del fisco sul lavoro e le imprese per intercettare un po’ la ripresa ma anche per attrarre gli investimenti esteri.
Tanto che proprio il taglio del cuneo è tra le 35 misure previste nel pacchetto “Destinazione Italia” che il Consiglio dei ministri dovrebbe varare venerdì con la costituzione di una società per azioni proprio per accompagnare gli investitori.
I tecnici del ministero stanno cercando le coperture (per l’Iva serve un miliardo fino alla fine dell’anno), simulano le possibili soluzioni, ma la conclusione è sempre la stessa: i soldi non bastano.
L’abolizione della seconda rata dell’Imu (2,4 miliardi circa) è per ora soltanto un impegno del governo.
Non è scritta da nessuna parte mentre l’aumento dell’Iva, che riguarderà tantissimi prodotti, dal vino agli elettrodomestici, è già legge.
E se tra tredici giorni l’aliquota dell’Iva passerà al 22 per cento, appare del tutto scontato che nella rimodulazione complessiva delle aliquote prevista per il 2014, il governo non tornerà indietro.
Insomma i circa quattro miliardi che sarebbero stati necessari per mantenere strutturalmente l’Iva al 21 per cento verranno dirottati alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo.
Poi sarà tutto da vedere come verrà realizzato il taglio.
Di certo, vista l’esperienza precedente del 2007 con il governo Prodi, 4-5 miliardi di taglio sarà difficilmente percepibile delle imprese e soprattutto dei lavoratori nelle loro buste paga.
Più soldi, tuttavia, non ce ne sono. Per questo è possibile che si profili una soluzione molto light: riduzione del cuneo solo per i neo assunti a tempo indeterminato. Probabilmente a favore dei giovani come già gli incentivi, che diventeranno pienamente operativi con una prossima circolare dell’Inps, per le assunzioni dei lavoratori tra i 18 e i 29 anni, disoccupati da almeno sei mesi e con il solo titolo di scuola media inferiore. Vedremo.
Di certo sull’Iva e sul cuneo si fronteggiano i due partiti delle larghe intese, con qualche accenno di trasversalità , e con relative lobby a fianco (industriali per il taglio del cuneo, commercianti per quello dell’Iva).
Il Pdl vuole innanzitutto l’Iva. Anche in campagna elettorale criticò la proposta della Confindustria di spostare il carico fiscale dalle persone e le imprese alle cose.
Il Pd ha sposato la linea Letta-Saccomanni per quanto con qualche dissenso.
Per esempio quello del vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, a favore del blocco dell’aumento dell’Iva per i possibili effetti recessivi che altrimenti si determinerebbero, e freddo sul cuneo data la carenza delle risorse.
Anche il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, si è mostrato più sensibile di altri alle posizioni delle lobby dei commercianti.
Un braccio di ferro tra il partito dei consumi e quello dei produttori.
Anche se – dice Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi della Confcommercio – «l’Iva non è altro che il cuneo fiscale sui consumi ».
«E comunque – aggiunge – se scatterà l’aumento dell’aliquota vorrà dire che “scomparirà ” uno 0,1 per cento di consumi potenziali. Più che la ripresina vedremo una stagnazione».
Roberto Mania
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Settembre 18th, 2013 Riccardo Fucile
“PERICOLOSO FAR SALTARE IL BANCO ADESSO, ASPETTIAMO LA MANOVRA”
La tentazione di mandare tutto all’aria torna prepotente nell’animo del Cavaliere.
E d’altra parte, chiunque dovesse sborsare mezzo miliardo al suo peggior nemico sarebbe un tantino irritato.
Si aggiunga l’umiliazione che l’ex premier patirà stasera in Giunta, quando il Pd voterà per cacciarlo dal Parlamento: sembra quasi di assistere allo «schiaffo del soldato», con la vittima che le busca ora da questo, ora da quello…
Dunque l’ira ribolle nel campo berlusconiano. Insulti ed epiteti si abbattono come grandine sulla sentenza Mondadori.
La destra ne denuncia la «chirurgica tempestività » (tesi di Brunetta), come se il momento per renderla nota fosse stato scelto apposta dai giudici per consumare su Berlusconi la più plateale e sadica delle vendette.
Si domanda incredulo Minzolini, già direttore del Tg1, eletto nel Senato della Repubblica: «Non capisco cosa ci sia ancora da aspettare per reagire».
Come lui la pensano tutti i «falchi» del Pdl, che da oggi tornerà a chiamarsi Forza Italia: si mandi a casa il governo, si torni quanto prima a votare…
Berlusconi è più imbufalito di loro, in fondo tocca a lui risarcire De Benedetti, mica all’«amazzone» Biancofiore che grida allo «scippo di Stato», o alla Santanchè scatenata contro le «toghe con licenza di uccidere».
Diversamente dai più scalmanati, però, il Cavaliere ritiene che reagire subito sarebbe tatticamente sbagliato, aprire d’istinto la crisi un regalo a Renzi che non chiederebbe di meglio per «asfaltarlo».
L’Italia unanime addosserebbe a Silvio la colpa dello sconquasso, gli metterebbe sul conto lo spread e tutti i mali conseguenti all’instabilità .
Per cui l’uomo sta apprestando un piano, che nella frustrazione impotente di queste ore qualcuno dei suoi pregusta come risarcimento di tutti i colpi subiti: far saltare il banco a metà novembre, non appena si aprirà la finestra di un possibile voto primaverile.
Quello potrebbe essere il momento per scatenare una crisi che «oggi non verrebbe compresa, ma tra due mesi forse sì».
Anzichè sulle condanne di Berlusconi, Letta verrebbe mandato a casa sulla manovra economica dell’autunno.
A fronte delle tasse e dei balzelli, dei rincari e delle accise che il governo dovrà introdurre per far tornare i conti (complice l’esborso sull’Imu), Forza Italia chiamerà a raccolta il popolo moderato.
E il Cavaliere a quel punto potrà dire: «Sulla giustizia ho subito il martirio senza falli di reazione, ma di fronte a una Finanziaria che mette le mani in tasca alla gente io mi ribello…».
Questo è quanto va maturando dalle parti di Arcore. Nessuno si aspetta sfracelli dal video-messaggio che doveva essere mandato in onda ieri, invece è stato rinviato a oggi per registrarne una nuova versione più dura contro le toghe.
Durerà 7 minuti, di cui 4 per annunciare che Forza Italia «is back».
Neppure domani, quando alle 17 il Cavaliere visiterà la nuova sede di piazza San Lorenzo in Lucina, sono previsti colpi di scena.
Ma le «colombe» già fiutano la tempesta che si prepara tra qualche settimana, perciò tenteranno di ottenere un chiarimento preventivo dal Capo.
Stasera dopo la Giunta, o al più tardi domattina, Alfano e gli altri ministri Pdl porgeranno sul piatto a Berlusconi le dimissioni dal governo.
«Se vuoi che le presentiamo, caro Presidente, noi siamo pronti», sarà il biglietto d’accompagnamento.
Con un Ps: «… ma tu se vuoi che restiamo al governo, allora ci devi garantire che non saremo vittime del fuoco amico».
Basta con le accuse di tradimento che i «falchi» (ribattezzati da Cicchitto «gli esagitati») sparano a raffica, specie dopo la terribile gaffe del sottosegretario Castiglione, beccato da un «fuori onda» su La 7 mentre pianificava un cambio di casacca in caso di crisi.
In ogni caso, gli diranno, il nuovo partito non può essere messo in mano a Verdini e alla Santanchè. Perchè se tutte le stanze della nuova sede verranno occupate, nessuna ne resterà libera a novembre per gli ex ministri, nemmeno una poltroncina di partito.
Insomma, la crisi non scoppierà domani. Ma il clima resta pessimo, e Silvio ha ripreso a insistere con la figlia Marina perchè raccolga il testimone in politica per una sfida che rimane dietro l’angolo.
Lei, stando ai «si dice», sarebbe meno risoluta nel suo «no».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Settembre 18th, 2013 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA, ORE DECISIVE PER BERLUSCONI… DOPO LA BOCCIATURA DI AUGELLO CI SARA’ UN NUOVO RELATORE
Intorno alle dieci di stasera, il dado dovrebbe essere tratto.
La Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato, dopo le dichiarazioni di voto degli otto capigruppo, dieci minuti a testa, si pronuncerà .
Il risultato atteso è di quindici a otto, anzi di otto a quindici perchè si vota a favore della proposta del relatore, Andrea Augello, Pdl, di convalidare l’elezione del senatore Berlusconi.
A quel punto, il presidente della Giunta, Dario Stefano, già stasera o al massimo domani mattina nominerà il nuovo relatore tra i senatori che hanno bocciato la relazione.
E potrebbe avocare a sè il compito di formulare la proposta di decadenza di Berlusconi.
Stasera, dunque, il giro di boa della Giunta.
Il traguardo, però, è ancora lontano. Nelle prossime ore, forse già domani, il presidente Dario Stefano e il presidente del Senato, Piero Grasso, potrebbero fissare la data (non prima di dieci giorni) dell’udienza pubblica.
Sempre che Silvio Berlusconi non si dimetta prima da senatore, come lasciano intendere diversi esponenti politici.
Era il primo agosto quando la sezione feriale penale della Cassazione confermava la condanna a quattro anni per frode fiscale di Silvio Berlusconi.
E la Giunta delle elezioni già il 7 agosto decideva di fissare per il 9 settembre l’avvio della procedura per la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, fissando per quella data la relazione di Andrea Augello, Pdl.
Il 28 agosto, la difesa di Berlusconi aveva depositato sei pareri pro veritate, e prima del 9 settembre, la stessa istanza inviata a Strasburgo, alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Sembra passato un secolo, anche se fino alle due del pomeriggio di ieri, e stasera prima del voto con le dichiarazioni dei capigruppo, nella sala della Giunta, si sono ribadite e si ribadiranno le ragioni contrapposte tra chi, Pdl e Gal, si è schierato per l’incostituzionalità della legge Severino (Lucio Malan, Pdl, ha citato gli Aventiniani espulsi da Mussolini per una sorta di «indegnità morale») e chi coerentemente ha invocato la sua applicazione, Pd, M5S, Scelta civica (ma dovrebbero votare contro la proposta Augello anche il presidente della Giunta, Stefano, Sel, e il socialista Buemi).
Proprio l’ex Guardasigilli Paola Severino ha voluto precisare: «Dopo un lungo e accurato approfondimento, fummo tutti d’accordo nell’approvare quel testo. La sua applicazione spetti al Parlamento».
Il dibattito si è snodato lungo due direttrici, l’incostituzionalità della retroattività della legge Severino, e la presunta legittimazione della Giunta a sollevare davanti alla Consulta l’incostituzionalità stessa della legge.
Giusto ieri, per pochi minuti, ha avuto un momento di pubblicità la proposta del socialista Buemi di sospendere la procedura di decadenza di Berlusconi seguendo l’applicazione della Severino, ma di legarla alla «interdizione» (la ridefinizione delle pene accessorie sarà definita il 18 settembre dall’Appello di Milano).
Proposta irricevibile perchè, come è noto, la pena accessoria della interdizione deve essere ancora definita.
Anche il dibattito sul voto palese in Aula, al di là delle dichiarazioni di fede (M5S ha presentato una proposta di modifica del regolamento) lascia il tempo che trova.
Come, del resto, il ricorso in Cassazione presentato da due avvocati «senza alcun vincolo di mandato o rappresentanza con gli imputati» per chiedere l’annullamento della sentenza di condanna nei confronti di Berlusconi per un difetto di composizione del collegio giudicante (composto da quattro giudici penali e un civile).
Un ricorso bollato dal senatore Felice Casson come una «inutile provocazione»: «L’articolo 7 bis dell’Ordinamento giudiziario recita che «la violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati».
Guido Ruotolo
(da “La Stampa“)
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Settembre 18th, 2013 Riccardo Fucile
LA SENTENZA SUL LODO MONDADORI: IL BUSINESS ILLIBERALE E TANGENTARO DEL CAVALIERE
I bardi della corte di Arcore, ancora una volta, la sparano grossa.
Gridano al «golpe rosso », all’«attacco concentrico», all’«esproprio proletario».
Molto più banalmente, depurate dal falso ideologico e politico al quale ci ha abituato la propaganda populista e vittimista del quasi Ventennio berlusconiano, le motivazioni della Cassazione sul Lodo Mondadori sono solo l’ovvia conseguenza civilistica di una verità giudiziale ormai acquisita.
Una verità definitiva, al di là di ogni ragionevole dubbio, che a questo punto diventa anche storica.
Una verità che sveste il Sovrano di tutti i suoi finti orpelli e i suoi falsi scudi. E lo espone, nudo, di fronte alla legge e al Paese.
Cos’altro deve accadere, perchè si debbano considerare vere e non più contestabili le accuse provate in ben sei gradi di giudizio, e infine sanzionate con una condanna dalla Corte d’appello di Milano il 9 luglio 2011?
A cos’altro ci si può appigliare, per contestare quella sentenza esemplare in cui ora la Cassazione, trova come unico e paradossale «difetto» quello di essere «fin troppo analiticamente argomentata »?
Eppure non basta, ai falchi e alle colombe del Pdl che insieme ai familiari difendono il Capo, in una rituale confusione di ruoli in cui come sempre il partito si fa azienda e l’azienda si fa partito.
I giudici di allora, come quelli di oggi, hanno scritto e ampiamente dimostrato due dati di fatto oggettivi, e non più controvertibili.
Il primo: nella contesa che nel 1991 portò il gruppo Mondadori nelle mani del Cavaliere si produsse un episodio gravissimo di corruzione di magistrati, di cui Berlusconi fu l’ideatore iniziale e Previti l’esecutore materiale.
Il secondo: se quel reato corruttivo non si fosse verificato, la casa editrice di Segrate sarebbe rimasta a pieno diritto nella proprietà del gruppo De Benedetti (editore di questo giornale).
Basterebbe questo a dare la misura dell’enorme responsabilità penale che, nella vicenda specifica, grava sulle spalle della sedicente «vittima» del «complotto» e giustifica il risarcimento danni cui è adesso costretto.
Ma qui c’è molto di più.
Nelle carte del Lodo Mondadori come in quelle delle altre sentenze passate in giudicato (da All Iberian ai diritti tv Mediaset) c’è riassunto lo stigma dell’intera parabola berlusconiana, e insieme il paradigma della sua avventura imprenditoriale e politica.
Un vero e proprio «metodo di governance » (e poi anche di governo), che risale a molti anni prima dell’epica «discesa in campo» del ’94 ed è in buona parte alla base delle fortune iniziali del tycoon della televisione commerciale, fin dai tempi dei primi decreti «ad aziendam » varati dall’amico Craxi negli anni ’80.
Un «sistema di potere» collaudato, incui gli affari privati si mescolano agli interessi pubblici. Gli strumenti della mala-finanza sono usati per assicurarsi i buoni uffici della mala-giustizia.
Il Cavaliere evade il fisco, crea fondi neri, realizza falsi in bilancio.
Tutto serve per alimentare una «provvista» segreta, con la quale si comprano magistrati compiacenti e finanzieri renitenti, e poi anche faccendieri senza scrupoli e parlamentari senza vergogna.
LA GUERRA DI SEGRATE E IL “DOMINUS” DELLA CORRUZIONE
Nella guerra di Segrate «l’apparato corruttivo » berlusconiano dispiega tutta la sua geometrica potenza.
All’inizio degli anni ’90 la contesa tra due industriali per il possesso della Mondadori volge a favore di De Benedetti, dopo che un collegio di arbitri gli assegna la titolarità della maggioranza delle azioni della casa editrice.
Berlusconi impugna il Lodo davanti alla Corte d’Appello di Roma. E qui, nel «porto delle nebbie» della Capitale, accade il misfatto.
Il giudice relatore Vittorio Metta deposita una sentenza di 167 pagine (scritta non da lui ma da «ignoti», pare nello studio Previti) che sovverte il Lodo e riassegna la Mondadori al Cavaliere.
Si scoprirà poi, più di dieci anni dopo, che quella sentenza Berlusconi l’ha comprata, facendo depositare 400 milioni di lire sul conto di Metta, attraverso i buoni uffici di Previti.
Anche questa è una verità giudiziale, scritta in una sentenza passata in giudicato, dopo le pronunce della Corte d’Appello di Milano del 23 febbraio 2007 e della Cassazione il 13 luglio dello stesso anno.
Quella condanna penale costa la galera a Previti e agli avvocati Acampora e Pacifico. Berlusconi si salva solo perchè, nel frattempo, è già diventato presidente del Consiglio nel 2001, e ha fatto approvare dal Parlamento un paio di leggi che gli servono a salvare la faccia e la poltrona.
A lui, premier, i magistrati di secondo grado applicano la pena della «corruzione semplice » (non quella «aggravata» che invece inchioda Previti) e gli riconoscono le «attenuanti generiche».
Grazie a queste, e alla nuove norme che nel frattempo hanno accorciato i tempi della prescrizione, il Cavaliere è riconosciuto a tutti gli effetti colpevole, ma non viene condannato perchè il reato è ormai prescritto.
Lo schema è sempre il solito. Ed è lo stesso che, attraverso l’abuso autoritario del potere esecutivo e l’uso gregario del potere legislativo, lo salva dalle sanzioni del potere giudiziario.
È andata quasi sempre così: dal processo Sme-Ariosto a Mills, dal processo Mediatrade a All Iberian 1.
Di fronte a tutto questo, solo i teoreti bugiardi della Grande Menzogna possono gridare al «tentativo di annientamento totale» del Cavaliere ad opera delle toghe politicizzate.
Sulla base di quelle sentenze penali, la giustizia civile non fa altro che il suo corso. I giudici della Cassazione non possono che ribadire solennemente le due evidenze che già decretarono quelli della Corte d’Appello due anni fa.
Prima evidenza: Berlusconi è «il corruttore », perchè è stato «indiscusso beneficiario delle trame illecite materialmente attuateda altri sodali», e Previti è l’ufficiale pagatore, perchè «doveva ritenersi organicamente inserito nella struttura aziendale», al punto che tra le sue varie incombenze «rientravano anche l’attività di corruzione di alcuni magistrati».
Seconda evidenza: la corruzione del giudice Metta ha privato De Benedetti non solo e «non tanto della chance di una sentenza favorevole, ma senz’altro della sentenza favorevole».
La posta perduta dalla Cir, in altri termini. È stata molto più grande della «chance »: è stata la Mondadori stessa, perchè secondo la Corte «con Metta non corrotto l’impugnazione del lodo sarebbe stata respinta».
Questo passaggio, ormai «res iudicata », rende risibile l’ira di Marina Berlusconi, che tuona contro l’«autentico esproprio politico» e l’accanimento di «una certa magistratura» che «assieme al gruppo editoriale di Carlo De Benedetti, tentano di eliminare dalla scena politica» suo padre.
La politica, in questa vicenda processuale come nelle tante altre che lo riguardano, non c’entra nulla. Il Cavaliere paga in denaro per i reati comuni che ha commesso quando era solo un imprenditore e l’epifania di Forza Italia era ancora di là da venire. Paradossalmente, Marina avrebbe quasi ragione quando sostiene che Fininvest non «deve un euro» alla Cir.
Perchè gli dovrebbe molto di più: cioè la Mondadori stessa, quella di allora, con tutto il potenziale economico e finanziario che rappresentava e avrebbe potuto rappresentare nell’arco di questi vent’anni.
Un’occasione persa per sempre. Per questo, riafferma la Cassazione, il dannosubito dalla Cir è «ingiusto».
IL SISTEMA DI POTERE E L’ESSENZA DEL BERLUSCONISMO
Ma il Lodo Mondadori è solo un capitolo di una «narrazione» molto più vasta, e molto più inquietante.
Come ha scritto Giuseppe D’Avanzo su “Repubblica” il 10 luglio 2011, questa vicenda giudiziaria, insieme a tutte le altre che lo hanno visto e lo vedono ancora coinvolto, riflette il rifiuto delle regole e il disprezzo della legge che il Cavaliere ha sempre dimostrato, da imprenditore illiberale e poi anche da leader di una destra anti-costituzionale.
È lui il simbolo dell’Italia tangentara degli anni ’80 e ’90, e poi dell’Italia corrotta del nuovo millennio. Il meccanismo corruttivo è intrinseco alla gestione aziendale, ed è quasi consustanziale al raggiungimento dei risultati.
Va al di là del solito principio secondo il quale il Cavaliere «non poteva non sapere». Scrive la Cassazione: «Un’analisi ricomposta dell’intera vicenda (costituzione della provvista all’estero ed utilizzo della stessa a fini corruttivi) consentiva di concludere in termini di consapevolezza necessaria di quanto andava accadendo in capo al dominus societario»
Qui, come sui diritti tv Mediaset, è sempre lui il «dominus», che architetta e sovrintende al sistema.
E lo fa con una logica ferrea, che D’Avanzo ricostruiva ricordando la sentenza Mills, l’avvocato inglese che per conto e nell’interesse di Berlusconi e con il suo coinvolgimento diretto e personale crea e gestisce «64 società estere offshore del “group B very discret” della Fininvest», dove transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri. I 21 miliardi che hanno ricompensato Craxi per l’approvazione della legge Mammì. I 91 miliardi destinati a politici «ignoti» (che «costano molto perchè è in discussione la legge Mammì»).
E ancora il controllo illegale dell’86% di Telecinco.
L’acquisto fittizio di azioni per conto di Leo Kirch. Le risorse destinate appunto da Previti per la corruzione di Metta nel Lodo Mondadori.
Gli acquisti di azioni che in violazione delle regole favorirono le scalate a Standa e Rinascente.
All’elenco di allora si potrebbero aggiungere ora i miliardi spesi nel frattempo per comprare i silenzi dei Tarantini e i Lavitola, spacciatori di olgettine nelle «cene eleganti» di Palazzo Grazioli e Villa Certosa, o per comprare i voti dei De Gregorio e altri «responsabili», congiurati necessari per far cadere il governo Prodi nel 2008.
Eccola, al fondo, la vera essenza del berlusconismo. Un potere che sfrutta senza scrupoli la sua funzione pubblica, con l’unico scopo di proteggere i suoi affari privati. Aspettiamo l’alba di un nuovo video-messaggio, per capire se lo Statista di Arcore farà saltare il tavolo.
Ma intanto assistiamo basiti al suo ultimo, disperato travestimento: il ladro che si urla perchè l’hanno «rapinato».
Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)
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Settembre 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL TESTO DEL VIDEOMESSAGGIO DEL CAVALIERE
Cari italiani, ma soprattutto italiane, mi vedo costretto un’altra volta a ricorrere allo strumento del videomessaggio, vincendo la mia proverbiale ritrosia all’apparire in pubblico, a causa della censura esercitata da vent’anni nei miei confronti dai media, in particolar modo televisivi.
Come sapete, nell’ultimo mese e mezzo mi ha abbandonato anche la Cassazione, in cui riponevo la massima fiducia perchè finora, almeno lì, l’avevo sempre fatta franca. Invece mi ha colpito a tradimento con due sentenze politiche sui casi Mediaset e Mondadori, che mi vedono totalmente estraneo.
Nel senso che, come mi assicurano i miei avvocati, anch’essi molto cari ma in un altro senso, in entrambi i processi ho dimostrato di non aver mai avuto nulla a che fare nè con Mediaset nè con Mondadori: questi due nomi non mi dicono nulla e li ho appresi recentemente dai giornali, visto che dal 1994 io mi occupo d’altro, cioè di figa.
Ma io non demordo, non mi arrendo, non mi dimetto: ho intenzione di vendere cara la pelle, almeno quella poca che mi è rimasta di originale (qualche raro frammento fra l’anulare e il mignolo del piede sinistro).
Chi pensa che, per rappresaglia contro due sentenze politiche, io intenda ritirare i miei ministri dal governo Letta non ha capito nulla.
Intanto, se ritiro Alfano, Quagliariello, Lupi, De Girolamo e la Lorenzin, non se ne accorge nessuno: sai che rappresaglia.
E poi la mia vera e unica garanzia al governo non è certo quel quintetto di scioperati mangiapane a ufo: è il giovane Letta, ma non posso ritirarlo perchè è ancora in prestito d’uso al Pd, in attesa del tagliando.
Il ragazzo sì che mi sta dando tante soddisfazioni: dopo Dudù, è l’unica consolazione della mia vecchiaia. Gianni me l’aveva detto: mettici lui, a Palazzo Chigi, e non te ne pentirai.
Avete visto com’è stato bravo a fingere di abolire l’Imu cambiandole il nome e dando tutto il merito a me? Monti e Tremonti, al confronto, sono dei dilettanti.
Non c’è niente da fare: l’erba del vicino è sempre la più verde.
Per questo ho deciso di tornare a Forza Italia: la chiameremo Forza Italia 2.0 perchè il 2 mi ha sempre portato fortuna: Milano 2, P2, due minorenni, due gemelle De Vivo, 416-bis, 41-bis, Napolitano bis, due Letta.
Ora con Enrico stiamo architettando un altro giochino di prestigio: bloccare l’aumento dell’Iva aumentando le accise sui carburanti.
Cioè levare un’altra tassa che si nota di più sostituendola con una che si nota di meno. Tanto la gente abbocca ancora: li avete visti i sondaggi?
L’altra notte, passeggiando nel parco con Dudù che mi teneva Alfano al guinzaglio, pensavo agli amici del Pd e mi dicevo: perchè mai dovrei dar retta a quei polli dei falchi e far cadere il governo? Ma dove ne trovo un altro così?
Alle elezioni, sette mesi fa, sono arrivato terzo su quattro (Monti svolgeva il ruolo che ha la Grecia in Europa per far arrivare l’Italia penultima) e mi son sentito perduto, anche perchè mi avevano rottamato D’Alema e Veltroni e non sapevo più a che santo votarmi.
Fortuna che mi è rimasto Napolitano: ha fatto tutto lui, d’intesa con Gianni, cioè con Enrico.
Mi han fatto scegliere il capo dello Stato, poi il capo del governo, poi il programma di governo, insomma tutto.
Tant’è che una volta gli ho anche detto: ma non starete esagerando?
Ma quelli niente: figurati, è un piacere, siamo qui apposta.
I titoli delle mie aziende in Borsa vanno su che è una meraviglia: nessuno dei miei governi era riuscito a fare così bene. Se Letta fa qualcosa di buono, è merito mio.
Se fa una cazzata, è colpa sua e del Pd.
E io dovrei aprire la crisi? Ma siamo matti? Poi mi ritocca lavorare, sottraendo tempo prezioso ai cazzi miei. Una cosa però non capisco: perchè Napolitano e il Pd, con tutto quel che ho fatto per loro, non mi hanno ancora inventato un salvacondotto.
Non che me ne freghi poi tanto, di decadere da parlamentare: tanto in Senato non ci ho mai messo piede, e neppure prima alla Camera, e i miei li comando: basta un fischio, lo stesso che uso per Dudù, e quelli corrono.
Che io fischi da Arcore, da villa Certosa, da Palazzo Grazioli o da Palazzo Madama, manco se ne accorgono. Ma è una questione di principio.
Ma come: me le avete date tutte vinte per vent’anni, avete persino salvato dalla galera Previti e Dell’Utri, e ora che tocca a me fate gli schizzinosi? Non si fa così.
Capisco che Grillo vi fa a pezzi: ma quando vi servivo per bloccare Prodi e Rodotà , per rieleggere Napolitano e per fare le larghe intese, da me ci siete venuti eccome: eppure avevo già addosso le condanne Mediaset e Mondadori in appello.
Ci voleva tanto a prevedere che prima o poi arrivava la Cassazione?
Nossignori, non si fa così con i vecchi amici.
Anche quel Renzi, che pure prometteva bene, s’è guastato col tempo. Gli avevo scatenato Briatore, ma non è bastato.
Dopo quell’altro che mi voleva smacchiare, adesso arriva lui e dice che mi vuole asfaltare.
Spiacente, giovanotto, ma arriva tardi: sono già asfaltato di mio.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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