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ESCORT, L’INTERROGATORIO DI BERLUSCONI: “VOLEVO LE RAGAZZE DI FRONTE COSI’ MI TIRAVANO SU IL MORALE”

Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile

I “NON RICORDO” DEL CAVALIERE DAVANTI AI MAGISTRATI DI BARI… LE TRE TELEFONATE A LAVITOLA IN SUDAMERICA DURANTE LA VICENDA CASA DI MONTECARLO

Decine di «non so, non ricordo ». Le bugie sulla mediazioni con Finmeccanica.
«Le bugie di vita» che racconta anche «agli elettori», come ammette lui stesso.
Il giallo di quelle tre telefonate con Lavitola in esilio in Sud America nel bel mezzo dello scandalo sulle case di Fini a Montecarlo.
E perfino le immancabili barzellette, raccontate al pm e messe a verbale.
È questa la sintesi delle due ore di interrogatorio che Silvio Berlusconi il 17 maggio scorso fa davanti al procuratore aggiunto di Bari, Pasquale Drago, nella speranza di convincerlo che fosse innocente.
Un tentativo al momento però non riuscito: Berlusconi sperava nell’archiviazione e invece va verso il processo con l’accusa di aver pagato Tarantini per mentire e sostenere davanti ai giudici che il Cavaliere non sapesse che quelle ragazze erano prostitute (chiuse le indagini i suoi tre avvocati, i parlamentari Niccolò Ghedini, Piero Longo e Francesco Paolo Sisto hanno depositato una memoria, nella speranza di evitare il giudizio).
Pm Drago: «Lei nega di aver saputo che Tarantini le abbia portato in casa delle escort?».
Indagato Berlusconi: «Nella maniera più assoluta (…) Si presentava queste ragazze come sue amicizie dovute al suo fascino».
Pm: «Ma lei, scusi, perchè ha stretto questa amicizia con questo signore?».
B.: «Devo dirle che era piacevole avere in mezzo a tante persone uno che si faceva sempre accompagnare da belle ragazze: dicevo al maggiordomo che le ragazze me le mettesse proprio di fronte per tirarmi su il morale (…) Io però non ho mai nemmeno una volta potuto dubitare che fossero persone che avessero una professione diversa da quella che si appalesavano, cioè modelle o aspiranti attrici (…) Voglio dire si presentavano molto bene».
Pm: «Sennò non si chiamano escort, si chiamano prostitute».
B.: «Si, certo. Per ridere un giorno un mio assistente mi ha fatto vedere sulla tavoletta quante escort ci sono a Roma. Se uno si mette lì in 20 minuti si porta 50 persone in casa, quindi non è che avevo bisogno di Tarantini per portarmi ogni tanto a cena, almeno lì si vedevano le foto e si sceglievano ».
LE BUGIE
Pm: «Non le è mai venuto il sospetto che in realtà  Tarantini attraverso queste cene, questi rapporti volesse ottenere favori da un uomo potente?».
Berlusconi: «No, francamente no (…) Per quanto riguarda la Protezione Civile è successo che una volta gli passai il dottor Bertolaso e poi mi sembra di ricordare che ebbero ad incontrarsi (…) Io sono sicuro di non aver mai telefonato al dottor Guarguaglini per presentargli una azienda, mai».
Pm: «Il 5 febbraio del 2008 alle 17: 52 intercettiamo una telefonata in cui lei dice a Tarantini: «Invece ho fissato un appuntamento per martedì per quella cosa ». (…) Ecco in questa telefonata lei dice a Tarantini di aver fissato un appuntamento con Guarguaglini per quella cosa, non sappiamo quale».
B.: «Non ricordo niente di questo, posso immaginare che magari io abbia dato incarico a qualche mio collaboratore…».
Pm: «Il 10 dicembre del 2008 vi è una telefonata in cui dice a Gianpaolo Tarantini: “Ho visto Guarguaglini e poi ti riferisco”».
B.: «(…) Io non ho mai passato documentazioni. Se è stato Tarantini a dirlo è una millanteria, se sono stato io, è per fargli vedere che mi ero interessato un po’ di più di quanto invece non avevo fatto».
Pm: «È stata la bugia di un uomo politico che certe volte anche ai suoi elettori…».
B.: «Ammetto, ammetto, anche se agli elettori un po’ di meno… Sono bugie che io chiamo bugie di vita, però sono innocue »
IL GIALLO DELLE TELEFONATE CON LAVITOLA
Pm: «Lavitola presenta un tabulato della concessionaria telefonica argentina in cui risultano sul numero di Arcore tre telefonate partite dall’Argentina di cui la polizia di Napoli che stava intercettando non trova traccia. E Lavitola sostiene che in una di queste telefonate avrebbe chiesto al presidente Berlusconi che cosa doveva fare di quei 500 mila euro. Ricorda?»
B.: «Non c’è traccia dei contenuti? ».
Pm:«(…) No».
B.:«Io non ho memoria».
LA BARZELLETTA
B.: «Io faccio televisione, faccio cinema, faccio teatro, stavamo ridendo con l’avvocato… Sa su cento veline a cui era stata rivolta la domanda: “Andrete volentieri a cena del presidente Berlusconi?”, 76 avevano risposto subito. Lui mi disse: e le altre 24? “Erano già  venute a cena prima”».
IL VALORE DEI SOLDI
Berlusconi spiega al pm che per lui quei 5mila euro al mese che dava a Tarantini non potessero essere il prezzo di una corruzione. Troppo pochi. «Mi hanno condannato a pagare 3 milioni e 200mila euro a mia moglie al mese, cioè 100mila euro al giorno. Cinquemila euro sono 20 minuti di pagamento, meno di 20 minuti a mia moglie».

Gabriella De Matteis e Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)

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“IO, TORTURATO E COSTRETTO A MENTIRE”: ECCO LO SCOOP CENSURATO SU BORSELLINO

Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile

RISPUNTA L’INTERVISTA A SCARANTINO CHE NEL ’95 SVELO’ I DEPISTAGGI

Uno scoop soffocato, un’indagine contorta che si rivelerà  poi un gigantesco depistaggio, un pentito che si pente di essersi pentito e una sua intervista cancellata per seppellire ogni prova.
Anche così hanno deviato l’inchiesta sull’uccisione del procuratore Paolo Borsellino. E per “legge” l’hanno incanalata su una falsa pista.
I misteri sulla strage di via D’Amelio non finiscono mai. E adesso si scopre che diciotto anni fa la magistratura aveva ordinato di far sparire una registrazione televisiva – con un provvedimento di sequestro – sulla prima ritrattazione del famigerato Vincenzo Scarantino, il finto collaboratore di giustizia che si era autoccusato del massacro offrendo un’ingannatrice ricostruzione del massacro e indicando come suoi complici sette innocenti.
Tutto su suggerimento di uomini di apparati dello Stato.
Dopo le sue confessioni, Vincenzo Scarantino aveva subito fatto marcia indietro affidando alle telecamere di Studio Aperto la sua verità .
La procura di Caltanissetta ha deciso nel 1995 che quella verità  non poteva diventare pubblica e, subito dopo la messa in onda dell’intervista, ne ha imposto la distruzione dagli archivi e perfino dai server.
Quell’intervista non doveva più esistere. E così è stato, almeno ufficialmente.
Perchè qualcuno, probabilmente un tecnico disubbidiente, ne ha conservato una copia – invano cercata dai pm, che oggi indagano sulle indagini e che hanno smascherato il depistaggio della vecchia inchiesta – di cui Repubblica è entrata in possesso.
Basta ascoltare la voce di Scarantino per capire che lui aveva già  detto tutto, tutto quello che si sarebbe scoperto quasi vent’anni dopo.
Ma nulla si doveva sapere allora, c’era solo una verità  da far emergere: Vincenzo Scarantino colpevole.
I pm di Caltanissetta di oggi stanno ancora indagando su ciò che è accaduto – chi ha taroccato l’inchiesta fin dai primi passi, perchè – ma nei loro archivi non hanno trovato neanche il fascicolo originale del sequestro di quella video- cassetta. Scomparso anche quello.
Adesso vi raccontiamo nei dettagli questa vicenda, precisandovi che la video cassetta recuperata contiene solo una parte dell’intervista concessa da Scarantino.
È lunga quasi tre minuti. La versione integrale non esiste più. Ma in quei tre minuti trasmessi vent’anni fa e mai più riproposti il falso pentito dice tutto.
E tutto è cominciato il 26 luglio 1995, tre anni dopo la morte di Paolo Borsellino.
Il mafioso che si era autoaccusato della strage telefona alla redazione di Studio Aperto a Palermo. Per la prima volta ammette di essersi inventato ogni dettaglio sull’autobomba, di avere fatto nomi di uomini innocenti dopo le torture subite nel supercarcere di Pianosa.
Passano poche ore e, negli studi della redazione di Italia Uno, arriva la polizia e sequestra tutte le cassette con l’intervista di Scarantino.
Il provvedimento è firmato dalla procura di Caltanissetta. L’ordine è quello di cancellarla da tutti i computer, a Palermo e a Milano. Il falso pentito – subito dopo il servizio televisivo – viene raggiunto dai magistrati di Caltanissetta che lo convincono a ritrattare la ritrattazione. È la svolta dell’inchiesta sulla strage di via Mariano D’Amelio. La procura, il capo è Giovanni Tinebra, mette il sigillo sull’autenticità  delle rivelazioni false di Scarantino.
Per più di quindici anni il “caso” viene dimenticato, fino a quando appare sulla scena un nuovo pentito – Gaspare Spatuzza – che smentisce Scarantino e racconta che ad organizzare la strage era stato lui e non l’altro.
Nell’autunno del 2010 la revisione del processo e la scarcerazione di sette imputati, ingiustamente condannati all’ergastolo.
Poi, qualche giorno fa, anche la registrazione dell’intervista a Scarantino è ricomparsa.
Ecco cosa diceva il 26 luglio del 1995 al giornalista Angelo Mangano: «Ho deciso di dire tutta la verità  e di non collaborare più perchè ho detto tutte bugie. Io sono innocente…Non è vero niente, sono tutti articoli che ho letto sui giornali, e ho inventato tutte queste cose. Il giornalista gli chiede se gli uomini che lui ha accusato sono innocenti, Scarantino risponde: «Tutti, tutti, tutti…».
Poi, in una seconda parte dell’intervista – uno spezzone andato in onda il giorno dopo, il 27 luglio – il falso pentito comincia a parlare delle torture subite in carcere: ««A me a Pianosa mi fanno urinare sangue. A me facevano delle punture di penicillina, mi stavano facendo morire a Pianosa… ma voglio tornare in carcere… mi fanno morire in carcere, però morirò con la coscienza a posto».
Scarantino fa anche un nome nell’intervista (che però non è andato in onda) e lo rivela oggi Angelo Mangano: «Gli chiesi: “Chi le ha fatto urinare sangue? Mi rispose: il dottore La Barbera”».
Arnaldo La Barbera, il capo della squadra mobile di Palermo che l’attuale procura di Caltanissetta considera il principale responsabile della gigantesca montatura che è stata l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio.
I retroscena di quell’intervista ce li racconta Mangano: «Nacque in modo del tutto casuale. La mattina del 26 luglio 1995 si era avuta notizia da ambienti giudiziari di una ritrattazione di Scarantino, decisi dunque di andare a casa della madre, alla Guadagna. La signora mi fece sentire una registrazione in cui il figlio ritirava le accuse, una registrazione che si sentiva male. Diedi allora il mio numero alla signora, e neanche un’ora dopo fu Vincenzo Scarantino a chiamarmi».
Qualche mese prima si era già  concluso il primo processo per la strage Borsellino, con la condanna del falso testimone a 18 anni e con l’ergastolo per i complici che aveva indicato.
Due giorni dopo l’intervista e il sequestro della cassetta, Scarantino decise di fare il pentito in un verbale firmato davanti al sostituto procuratore di Caltanissetta Carmelo Petralia. Poi le indagini proseguirono su una falsa pista.
E la procura di Caltanissetta aprì addirittura un’inchiesta «per accertare eventuali comportamenti illeciti per convincere Scarantino a ritrattare ».
Seguì una nota ufficiale dei pm per definire «grave il comportamento della madre di Scarantino e di quanti hanno strumentalizzato un comprensibile desiderio d’affetto per fini processuali».
Il «colpevole» era stato trovato, non ce ne dovevano essere altri. Quella era la verità  sull’uccisione del procuratore Paolo Borsellino.
Ufficiale e falsa.

Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo
(da “la Repubblica“)

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SACCOMANNI PRONTO A DIMETTERSI: “BASTA COMPROMESSI, FACILE PROMETTERE, MA I CONTI NON LO PERMETTONO”

Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile

INEVITABILE L’AUMENTO DELL’IVA…. “SO COSA FARE, MA SE SI VOTA E’ TUTTO INUTILE”

Sono ore drammatiche per il governo Letta.
L’amara e onesta constatazione di aver infranto, seppur di poco, il limite del 3 per cento nel deficit 2013, a pochi mesi dall’uscita dalla procedura europea, e con l’incubo di ritornarci subito, ha creato nell’esecutivo un’atmosfera nella quale la delusione si mischia all’impotenza.
L’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento dal primo ottobre non appare più evitabile, e nemmeno rinviabile.
Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni lo ha detto con chiarezza sia al premier Letta, sia al presidente della Repubblica.
Non accetterà  altri compromessi.   Ed è pronto a dimettersi.
La lettera non l’ha ancora scritta, ma è come se lo avesse già  fatto. La tentazione di formalizzarla è cresciuta dopo aver letto le dichiarazioni di Epifani, a cui si sono aggiunte ieri quelle di Alfano, entrambi fermamente contrari al ritocco dell’Iva.
Quello che amareggia di più il titolare dell’Economia, poco avvezzo alle liturgie della politica, è il sentirsi dire in privato una cosa, specialmente dall’esponente pdl, e ascoltare poche ore dopo in pubblico l’esatto contrario.
Un po’ di gioco delle parti è comprensibile, ma qui siamo alle acrobazie più estreme. Il disagio è forte. La voglia di andarsene, altrettanto: «Ho una credibilità  da difendere e non ho alcuna mira politica».
Il pensiero di Saccomanni è così riassumibile.
Dobbiamo trovare subito 1,6 miliardi per rientrare di corsa nei limiti del 3 per cento. Poi si dovrà  concordare una tregua su Iva e Imu, rinviando la questione al 2014 con la legge di Stabilità  che va presentata entro il 15 ottobre.
Se si agisce subito, è sperabile che l’effetto sui tassi d’interesse sia positivo e si possa finire l’anno con un dato consuntivo sul deficit ben inferiore al maledetto limite del 3 per cento, grazie ad alcune operazioni già  allo studio, come una serie di privatizzazioni, e la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia oggi a bilancio degli istituti che ne detengono il capitale per cifre irrisorie.
Una volta aggiornate le quote di via Nazionale ne beneficerebbe anche l’Erario.
Solo così si potrebbe aprire una seria prospettiva per la riduzione delle tasse e rendere praticabile un sostegno alle imprese con l’alleggerimento del cosiddetto cuneo fiscale. Ma questo presuppone che non si vada a votare presto, altrimenti è tutto inutile.
E oltre alle sanzioni del mercato, avremmo anche le multe dell’Unione Europea.
Anche l’ipotesi di differire l’aumento dell’Iva a fine anno è poco praticabile.
Nemmeno se aumentassimo la benzina di 15 centesimi – è l’esempio che propone il ministro – riusciremmo a incassare l’equivalente.
Ma, si obietta, dopotutto si tratta di un miliardo.
Poca cosa rispetto a una spesa pubblica anormalmente dilatata, all’apparenza granitica, incomprimibile. Il coraggio di tagliare veramente non c’è.
Già , la spesa pubblica. Qui il ministro non si trattiene da un piccolo sfogo.
D’accordo, la colpa dello sforamento del limite del 3 per cento sarà  tutta dell’instabilità  politica, come ripete Letta un giorno sì e l’altro pure, ma se guardiamo bene a quello che è accaduto da maggio in poi ci accorgiamo che la cinghia non l’abbiamo proprio tirata del tutto. Anzi.
Saccomanni ricorda che negli ultimi mesi sono stati reperiti già  ben 12 miliardi per far fronte alle varie misure. Necessarie, vitali per tentare di affrontare la crisi e sperare nella ripresa, per carità .
Ma con il conto dei vari incentivi, del rifinanziamento della cassa integrazione, per non parlare dello sblocco dei pagamenti arretrati della pubblica amministrazione che affluiscono alle imprese – finalmente in questi giorni, con effetti positivi sulla congiuntura – si sono esauriti i margini. Finiti.
La piccola eredità  del governo Monti (che alla luce degli ultimi dati di finanza pubblica non ne esce proprio così male) non c’è più.
«Io non mi metto alla disperata ricerca di un miliardo se poi a febbraio si va a votare. Tutto inutile se una campagna elettorale è già  iniziata».
La preoccupazione del ministro dell’Economia delle larghe intese, che il capogruppo alla Camera del Pdl Brunetta si ostina a considerare una sorta di tecnico prestato alla bisogna (con le reazioni personali che sono facilmente immaginabili) è quella che il clima politico non consenta più un discorso serio sulle finanze pubbliche, proprio nel momento in cui si cominciano a vedere i frutti dei sacrifici e il dividendo delle poche scelte rese possibili.
Un vero peccato, ma soprattutto una dimostrazione di completa irresponsabilità  nazionale. Saccomanni è sconcertato dal dilagante populismo antieuropeo.
La retorica dei sacrifici chiesti dall’Europa senza mai dire che il rispetto degli impegni è scritto in leggi e decreti votati dal Parlamento e il pareggio di bilancio è addirittura una norma costituzionale.
Avanti così e ci siederemo al tavolo a Bruxelles con poche possibilità  di strappare condizioni più favorevoli (non a caso l’allentamento del 3 per cento di cui si parla in questi giorni per i Paesi ad alta disoccupazione non riguarderebbe l’Italia, come se il problema non ci toccasse direttamente).
«Gli impegni vanno rispettati, altrimenti non ci sto».
Parlando a Cernobbio, al workshop Ambrosetti, all’inizio del mese, il ministro aveva ricordato le condizioni poste a Letta per accettare di lasciare la direzione generale della Banca d’Italia e trasferirsi in via Venti Settembre: il rigore nei conti.
Dunque, se i partiti vogliono riaprire irresponsabilmente i rubinetti della spesa lo facciano pure, ma non con la sua firma.
Anche le parti sociali hanno le loro responsabilità . A parole tutti d’accordo sulle riforme, poi c’è la fila al ministero per incentivi ed esenzioni.
Più serio – termina Saccomanni – il giovane re d’Olanda Willem-Alexander, che commentando il bilancio pubblico ha detto: lo stato sociale non è più sostenibile, occupatevene seriamente prima che sia troppo tardi.
E noi qui facciamo finta di non avere nè debiti nè scadenze…

f. de b.
(da “il Corriere della Sera“)

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